Non c’è niente di sorprendente in quanto succede in Niger e
attorno al Niger, se non la posizione di Mosca. Almeno quella esplicitata da
Dmitri Peskov, portavoce del governo, che pare allinearsi alle posizioni
occidentali, Washington, Parigi, Londra, Bruxelles, e dei guardiani degli
interessi neocoloniali in Africa, Unione Africana ed Ecowas (Unione Economica
degli Stati dell’Africa Occidentale), nella richiesta di restaurare l’ordine
pre-giunta militare retta dal generale Abdurahmane Tchiani
Attendiamo dalla Russia atteggiamenti chiarificatori, più
autorevoli ed espliciti. Intanto ci permettiamo un certo stupore di fronte a
una apparente presa di distanza da Niamey da parte della nazione che da otto
anni difende la Siria da una criminale invasione occidentale tramite
mercenariato jihadista e bombaroli israelo-statunitensi. Una nazione invocata
in soccorso – concesso – da altri paesi africani liberatisi dalle catene di una
ex-potenza colonialista di ritorno, impegnata, questa, nuovamente nel dominio,
controllo, spietato sfruttamento e nella pretestuosa difesa contro milizie
islamiste, appositamente allevate e armate per giustificarne l’ingiustificabile
presenza.
Sono gli ultimi sviluppi di una rivoluzione che ha visto la
popolazione del Niger sollevarsi contro l’assolutamente antistorico revanscismo
dell’ex-tirannia coloniale, inteso alla rapina delle risorse che al Niger
assicurerebbero prosperità e autodeterminazione, ma che la Francia utilizza per
tenere in piedi il suo armamentario nucleare civile e militare, garanzia del
suo epigonale ruolo nel mondo.
Una sollevazione caratterizzata, attraverso masse con bandiere,
striscioni, slogan, persino l’assalto all’ambasciata, per un lato dall’ostilità
nei confronti di chi ha finora imperversato, dominato, sfruttato e, per
l’altro, dall’amicizia e dalla fiducia verso chi, in Siria, in Ucraina, in
Mali, Burkina Faso, in tante parti del mondo, si è schierato politicamente,
diplomaticamente, economicamente e, in alcuni casi, militarmente, dalla parte
del diritto internazionale, dei diritti umani, della sovranità popolare e
nazionale.
A Parigi, negli organismi sovranazionali africani di segno
neocoloniale, a Washington, a Bruxelles e negli uffici dei direttori di
Repubblica, Corriere e Stampa (bravi, integri e autonomi giornalisti: Molinari,
Fontana, Giannini) si percuotono, rispettivamente, tamburi e tamburelli di
guerra. Nel fronte opposto alla manomorta colonialista di ritorno, come sempre
segnata da metastasi razzista e militarista, gli Stati liberatisi negli scorsi
mesi per volontà popolare e investitura dell’apparato militare nazionale, Mali,
Burkina Faso, Guinea, dichiarano il proprio impegno alla difesa dei fratelli
nigerini in lotta di liberazione.
In questo contesto di clangori di sciabole abusive e di
sacrosanta richiesta di libertà e dignità, sorprende un Crosetto, finora
presentatosi sullo scenario interno ed esterno nei panni di Crosettsky, contrappasso
italiota del più noto Zelensky. Il ministro della difesa in perenne mimetica,
con elmetto in testa, bombe a mano al cinturone e, al laccio, il generale
tuttofare Figliuolo, dalla corsa in sesta marcia e ridisceso al rallentamento
della seconda. Alla fregola militarista, che ha contrassegnato ogni suo passo
da quando era a capo della lobby delle armi, a quando di quella lobby è
diventato ministro, ha sostituito uno stupefacente “calma e gesso”, in merito a
eventuali incursioni sui “golpisti” del Niger. Vedremo se dura, o se l’ha detto
prima del caffè.
Fa riflettere che il redivivo maresciallo italico,
solitamente così pronto a piazzare i suoi soldatini di qua e di là sul
mappamondo, dove le supreme autorità glielo indicano, perfino sulle cattedre
delle elementari, qui non condivida il prurito di mani altrui praticato dai
Molinari e compari. Non è che qui si tratti di non agevolare troppo quel
Macron, che ogni tanto ci rifila qualche sberla su migranti ed Europa, e in
compenso di sottrargli qualche striscia di sabbia (e uranio, oro, petrolio,
manganese, zinco, diamanti….) in Africa?
Non è questo che abbiamo percepito nelle effusioni, al
limite dell’accoppiamento porno, tra Giorgia e Joe, quando Joe sussurrava a
Giorgia che le avrebbe concesso in dote una garitta e una spingarda in Nord
Africa? Ovviamente a scapito e scherno di Macron? E allora, se dei soldatacci
golpisti risultano sostenuti dall’intera loro popolazione e, quindi, sarebbe un
po’ problematico affrontare il lago di sangue che comporterebbe un assalto
della Legion, con concorso di afroregimi subalterni, perché non tenersi di
riserva la carta del “golpista” Tchiani?
Potrebbe venire buona, una volta che nell’ottusità
colonialista occidentale si fosse inserita quel barlume di buonsenso da farle
capire che, al di là delle bombe con l’insegna del gallo, che nulla risolverebbero
contro un’intera regione in rivolta, il faccia a faccia tra invasori africani
“buoni” e “cattivi” di esercito e popolo uniti di Niger, Mali, Burkina Faso,
Guinea e forse Repubblica Centroafricana, al meglio destabilizzerebbe mezza
Africa. E al peggio, se questi dalla faccia nera si abbracciassero, anziché
spararsi, segnerebbe un altro passo (”step”, come dicono gli analfabeti)
verso la sconfitta, stavolta decisiva, del neocolonialismo euratlantico.
A vantaggio di chi? Ci sta pensando Mosca? Pechino, zitta, sembra
averci pensato. Tra l’una e l’altra sono già i garanti del riscatto del
Continente.
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