lunedì 31 luglio 2023

 


Mentra Zanotelli e Save the Children avvelenano i pozzi

 L’AFRICA PRENDE IL LARGO

 Fuori i francesi, Biden ci riprova con Melonsky

 Fulvio Grimaldi. Storia e geopolitica dell'Africa: ultimo capitolo, il Niger

 https://www.youtube.com/watch?v=nfsVsrzXcS8

 https://youtu.be/nfsVsrzXcS8

 

Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

 Il peggio di quanto il colonialismo ha fatto e il neocolonialismo sta facendo all’Africa si rispecchia nelle operazioni di fiancheggiamento del missionario comboniano Alex Zanotelli come in quelle dell’ONG Save the Children.

Di quest’ultima bastano gli spot di vera pornografia della carità dai quali vengono mitragliati ricatti allo spettatore tramite raccapriccianti esibizioni di bambini africani ammalati, agonizzanti, imploranti, per estrargli l’obolo del senso di colpa.

 

STC è quella ONG dei veleni guerrafondai che si fece onore NATO quando, a promozione del massacro della Libia, affermò che Gheddafi distribuiva Viagra ai suoi soldati perché stuprassero con maggiore vigore le donne e i bambini del proprio popolo. Evidentemente c’è da fidarsene, come quando ti aggredisce con bimbetti morenti.

 

Il comboniano Zanotelli ha recentemente indirizzato l’ennesima lettera-appello spaccacuore “alla stampa italiana” perché questa rompa un silenzio complice e si schieri finalmente accanto a chi si preoccupa di salvare l’Africa dai suoi feroci.dittatori, dalle sanguinose e insensate guerre civili, insomma dall’ endemica condizione di regressione alla barbarie del continente. Sembra di leggere Rudyard Kipling quando, a proposito delle colonie, lamentava “il fardello civilizzatore dell’uomo bianco”.-

 

Invano aspettarsi da questo missionario, al di là di invettive e lamentazioni, indicazioni su chi fomenta cosiddette guerre civili (esempio: in Somalia, lotta di liberazione di un popolo contro fantocci USA sostenuti da bombardamenti USA), o perché un governante debba essere definito “spietato dittatore” (esempio: il governo eritreo che si rifiuta di condannare “l’invasione” russa dell’Ucraina e di votare per le sanzioni a Mosca).

 

Chi di questi tempi si vede sottrarre controllo, dominio, predazione, sterminio, di africani e delle loro risorse, trova consolazione nei depistaggi del frate e delle ONG su un’Africa che si farà a pezzi da sola, ora che i civilizzatori sono costretti alla fuga da folle inferocite, o vengono emarginati da chi all’Africa si propone come partner rispettoso e mutualmente benefico.

 

Disintegrata l’Africa, nella seconda metà del secolo scorso, dal Congresso di Berlino del 1984-85, in cui gli europei si erano spartiti la torta africana (tutte le materie prime necessarie alla costruzione del capitalismo e relative guerre), nella seconda metà del ‘900 i popoli africani hanno conseguito liberazione e indipendenza da poteri costruiti sul genocidio. E fu l’epopea della decolonizzazione conseguita con la lotta armata e indicibili sacrifici, lutti, sofferenze, Ricordiamoci la martirizzata Algeria.

 

Vennero il neocolonialismo, il revanscismo, il recupero delle ricchezze perse. Primavere arabe, AFRICOM, il comando Sud di USA e NATO, l’emigrazione indotta, quando non forzata, la presa multinazionale di controllo delle risorse tramite regimi corrotti e il pretesto di una lotta al jihadismo, fomentato, armato, addestrato da chi pretendeva di combatterla. E si ristabilì la manomorta francese sul Sahel: oro e uranio a garanzia della grandeur militare, geopolitica ed energetica.

 

Oggi gli africani stanno felicemente assistendo al secondo tempo di una partita in cui si trovano costantemente in area di rigore avversaria. Dopo la decolonizzazione, la de-neocolonizzazione. Esempio clamoroso, il Sahel, la fascia di paesi subsahariani nella quale un paese dopo l’altro si libera dall’occupante, a forza di sollevazione delle masse, interpretata dalle forze armate nazionali e la cacciata dei fantocci allevati da Parigi. Nel resto del Continente, poi, la liberazione cammina sui nuovi rapporti militari ed economici con Russai e Cina, sostitutivi di quelli della rapina e predazione. Prima la Repubblica Centrafricana, poi il Mali, poi il Burkina Faso, ora il pezzo forte della presa  militare francese (con partecipazione di circa 500 militari italiani in “missione di pace”), il Niger.

 

Sono paesi, soprattutto Niger e Mali, che oltra a garantire a Parigi cruciali posizioni strategiche e risorse energetiche e minerarie fondamentali, svolgono un ruolo cruciale nel controllo, o piuttosto, nella promozione dei flussi migratori dall’Africa subsahariana. Sono i canali lungo i quali le forze promotrici dello sradicamento di giovani generazioni produttrici e riproduttrici e dello svuotamento di territori da depredare (ONG e altre), offrono alle classi dirigente del Sud Europa manodopera che deprima i salari degli autoctoni e contribuisca al meticciato indistinto universale, caro al Grande Reset.

 

Veniamo alle ultime. Nel Sahel sventolano bandiere tricolori russe su slogan antifrancesi di masse impegnate e promuovere cambi di governo tramite le forze militari nazionali. In tutta l’Africa, la Cina, con gli investimenti nelle infrastrutture (ma anche in progetti culturali, umanitari, sanitari) e la Russia, con l’intervento in agricoltura e industria alimentare, tecnologie, cereali, fertilizzanti, miniere, entrambe con una politica dei prestiti che prescinde dalle condizioni capestro degli organismi sovranazionali, si vanno sostituendo a una presenza euro-atlantica percepita sempre più chiaramente come predatoria.

 

Ne sono indicatori il dimezzamento degli scambi USA col continente negli ultimi 15 anni (da 120 a 60 miliardi di dollari), mentre già nel 2021 la Cina aveva raddoppiato il fatturato commerciale (254 miliardi di dollari, il doppio rispetto a un decennio prima). Ma non è che un’egemonia di controllo si sostituisca all’altra. Scambi e rapporti con le due grandi potenze dell’Eurasia sono tali, dopo secoli di sbilanciamenti a totale favore dei colonizzatori occidentali e a totale detrimento della popolazione africane, da garantire anche sovranità e autodeterminazione.

,

L’ ECOWAS, organizzazione degli Stati dell’Africa Occidentale e l’Unione Africana, entrambe allineate ai vecchi dispositivi neocoloniali, hanno intimato alla giunta che ha defenestrato l’amico di Macron, Mohamed Bazoum, un ultimatum di rispettivamente sette e 15 giorni, pena un ventilato intervento militare, ribadito poi anche da Macron (che dovrebbe ricordarsi della Quinta Colonna maghrebina che ha in casa).

 

L’Algeria, sovrana e autodeterminata come sempre, dai tempi del rifiuto di partecipare alle aggressioni a Iraq, Libia e Siria, alla recente vittoria su una prolungata rivoluzione colorata, ha offerto il proprio sostegno al generale Abdelrahman Tchiani, nuovo capo del governo. Un intervento militare diretto dei francesi, o per interposti residui sujbalterni africani, magari con concorso di AFRICOM, incendierebbe non solo il Sahel.

 

A dispetto del tentativo dei media di servizio di sminuire la portata del vertice Afro-russo a S. Pietroburgo, 50 Stati africani su 54 hanno confermato e potenziato la propria collaborazione con Mosca. 43 hanno concluso accordi con Rosoboronexport, l’ente russo per l’export militare. Ricavandone protezione militare (Wagner), là dove richiesta, forniture gratuite di cereali e, soprattutto, una remissione di debiti che dall’FMI gli africani si possono sognare.

 

Il futuro del continente sembra segnato. E in questo futuro, le quote di sabbia concesse da Biden alla Melonsky in Nordafrica, nella recente occasione del bacio della pantofola a stelle e strisce, a sostituzione di quelle di seta cinese le sono state tagliate, non modificano in nulla il ruolo di servo sciocco attribuito storicamente all’Italia dal nostro maggiore alleato. Sempre agli “scatoloni di sabbia” restiamo.

 

 

 

 

 

 

Nessun commento: