Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=ywoZEdFd_zM
Target! Ricordate, voi che avete più di trent’anni, o che
avete studiato un po’ di storia pur avendone di meno, o che vi siete fatti una
coscienza politica enumerando le guerre che USA e NATO hanno fatto contro varia
umanità? Beh, una di queste guerre contro innocenti, come sempre, l’hanno fatte
contro la Serbia nel 1991. A completare la festa che avevano fatto all’intera
Jugoslavia nei dieci anni precedenti. A tale festa, di devastazione e
sterminio, abbiamo partecipato anche a noi, con tanto di bombardamenti a
tappeto su tutta la Serbia, al comando del premier Massimo D’Alema e del suo
vice, Sergio Mattarella, che poi, visto che da parecchio ci va tutto storto,
l’hanno pure fatto bi-presidente della Repubblica, con tutto ciò che ne è
derivato.
Dunque “Target”. Sulla guerra alla Serbia del 1999, 78
giorni di bombardamenti a tappeto su una nazione pacifica e democratica,
vincitrice da sola degli invasori nazisti, ci ho fatto due documentari: “Il
popolo invisibile”” e “Serbi da morire”. Se volete sapere cos’è “Target” nel
secondo docufilm troverete una scena che per me è di quelle che più rivelano la
nobiltà, anzi l’eroismo, di una gente. C’è un ponte a Belgrado, in centro, che
supera il fiume Sava. La Nato, cioè noi, bombardava con particolare diletto le
vie di comunicazione, ponti sulla Sava e sul Danubio per primi.
A Novi Sad li aveva distrutti tutti, tutti bellissimi. A
Belgrado l’obiettivo era il Ponte Branko, fondamentale per spaccare la città e
il paese. Ho detto obiettivo? Ho detto “target”: obiettivo, o bersaglio, in
inglese. Target erano per i piloti NATO tutti i serbi, 7 milioni bambini
compresi, con tanto di case, scuole, ospedali, chiese, treni, centri culturali
e sportivi… E ovviamente i ponti. E soprattutto il Ponte Branco, iconico,
cruciale.
Ebbene, nel mio filmato si vedono donne, uomini, ragazzi,
allineati in piedi lungo l’intero Ponte Branko. Ci venivano di sera, dopo il
lavoro e ci restavano fino a notte inoltrata, tempo di semina NATO. Di bombe.
Sui ponti. E tutti cantavano l’inno nazionale e tutti avevano sul davanti una
pettorina che diceva, appunto, “TARGET”, con tanto di disegno di un bersaglio da
tiro a segno Una parola sola, che però ne conteneva alcune altre, bastava saper
leggere: “Vigliacco, vuoi colpire la Serbia? Eccomi qua, colpisci me, non
provare a farmi paura!””.
Questo era nel 1999. Nel corso della distruzione della
Jugoslavia (Germania, Woytila, USA, Nato) avevano già massacrato i serbi delle
Krajine in Croazia, sradicandone e cacciandone 250.000. Almeno altrettanti
erano stati espulsi, su ordine USA, dal Kosovo, provincia serba storica, pulita
etnicamente dalla minoranza albanese diventata maggioranza per immigrazione
dall’Albania. Mattanza affidata a una milizia, UCK, comandata da tale Hashim
Thaci. Uomo dalla commendevole biografia. Presidente del Kosovo, dopo un’autoproclamata
indipendenza benedetta dagli USA e dall’UE, Thaci viene processato dal
tribunale dell’Aja e condannato per crimini di guerra e contro l’umanità:
assassinii di massa, traffico di droga e di organi. Condanna condivisibile da
tutti i miliziani dell’UCK. Solo che, forse, all’Aja non c’era abbastanza
posto.
In Kosovo restano, resistono, 100.000 serbi, rinchiusi nel
Nord del paese e vessati incessantemente dalla polizia albanese e, quando non
basta, dalla KFOR. Che sarebbe l’ONU vestita da Kosovo. Ultimamente bastonati e
sparati nel maggio scorso, quando il presidente serbo Alexander Vucic si è
visto costretto a mandare truppe al confine, per far capire ad albanesi e KFOR
che può bastare.
Per farla breve, la Serbia è tornata “target”. Nei Balcani
occidentali e orientali tutti normalizzati e dentro UE e NATO, o in procinto di
entrarci, resta questo cuneo serbo, che rifiuta le sanzioni alla Russia, non
esegue standing ovations all’UE (pur disposta a entrarci, ma alle sue
condizioni e non a quelle di Bruxelles (fine dell’amicizia con Russia e Cina e,
ovviamente austerity e sanzioni a Mosca). Insomma quel dannato Vucic non ci
sta. Addirittura non riconosce che il Kosovo, strappato alla Serbia per farci
il traffico di narcotici e Bondsteel, la più grande base militare USA
d’Europa), sia indipendente (per 100 Stati su 193) e perseguiti i serbi che vi
ci resistono.
Hanno provato con l’ircocervo della Bosnia-Erzegovina, un
costrutto abnorme voluto dagli USA nel 1995 e che vorrebbe essere una
federazione tra serbi e croati-musulmani e non è che un focolaio di conflitti
continuamente attizzati per attaccare e far esplodere quanto resta di Balcani
disobbedienti. Hanno provato con l’oppressione dei serbi in Kosovo. Ora
ricorrono allo strumento più collaudato: la rivoluzione colorata.
L’innesco è quello di quasi tutte le manovre di regime
change: elezioni e, dunque, brogli. Tipo Tehran, tipo Algeria, tipo Egitto,
tipo Libano, tipo USA (Capitol Hill)…Il buffo e il rivelatore è, stavolta, la
troppa foga: media e politici di opposizione e, addirittura, media presstitute
occidentali si sono sbilanciati. Di brogli avevano giurato che ne sarebbero
stati fatti addirittura PRIMA delle elezioni legislative. Poi le ha vinte il
Partito Progressista di Vucic in coalizione con socialisti e altri patrioti,
con un numero di voti doppio rispetto ai filo-occidentali della “Serbia contro
la violenza”. E hanno scatenato la piazza. Come contro Milosevic e i serbi, già
allora palestinesi dei Balcani, non ridotti alla ragione nemmeno dai
bombardamenti all’uranio impoverito. (per più dettagli vedi la trasmissione)
E’ un deja vu. Tutto come nel 2001, mancanza di
fantasia: stessi capimastri, stesse maestranze, stesse manovalanze. E, come
risulta dai pubblici bilanci, stessi ufficiali pagatori: USAID, NED,
Dipartimento di Stato, Open Society di Soros e governo tedesco. E’ tutto
scritto e ammesso, o vantato, nei resoconti del Centro di Studi Democratici,
capofila di tre ONG analoghe. Manca solo Otpor che, avendo fatto il giro delle
sette chiese colorate, è un tantino sputtanata.
Di nuovo Target, di nuovo palestinesi dei Balcani. Dovremmo dargli lo stesso appoggio e lo stesso affetto che diamo ai combattenti e alle vittime di Gaza. Prima che sia troppo tardi. Sia può essere palestinesi e serbi insieme. Proletari contro l’èlite.
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