giovedì 10 ottobre 2024

REGALO DI MAZZUCCO A ISRAELE--- --- Un video del giornalista investigativo denuncia Hamas creatura consapevole di Israele. Peccato che i file di Wikileaks e l’evidenza politica e materiale dicano il contrario

 


Massimo Mazzucco è un valido giornalista-regista investigativo. I suoi lavori, Il presunto allunaggio, l’autoattentato dell’ 11 settembre, il mega-imbroglio Ucraina, meritano le nostre standing ovations. E’ un amico, per quanto distanziatosi, forse in seguito ad alcune divergenze su interpretazioni dei fatti. Con il video sul 7 ottobre dell’attacco di Hamas ha, a mio avviso, indebolito la sua credibilità. Volente o nolente, il suo è stato il ricorso a uno dei classici sistemi messi in campo per demolire l’onorabilità e la verità di un protagonista della lotta contro il Potere.

E aggiungo una considerazione cruciale. Fosse anche fondata la tesi di un Hamas prezzolato a suo tempo e poi lasciato fare il 7 ottobre e quindi spinto nella trappola – e NON lo è - , diffonderla ora, per amore di scoop alla Fracassi, a detrimento dell’onorabilità e dell’integrità del cuore della resistenza palestinese e umana, significa assumersi una pensate responsabilità

Lo si è fatto molte volte e io ne sono stato testimone, in particolare al tempo delle guerre all’Iraq. Saddam Hussein, da sempre l’antagonista più coerente e pericoloso per americani e Israele, andava distrutto moralmente ancora prima che militarmente.

Si fece credere a un’opinione pubblica, che ne stava sostenendo la causa antimperialista e antisionista e costituiva massa critica nell’opposizione internazionale a contrasto della guerra (ricordate i milioni in piazza detti “La Terza Potenza Mondiale”?), che, dopotutto, il presidente iracheno aveva delle vergogne da occultare: era stato “l’uomo degli americani” i quali lo avevano armato per decenni e, in particolare, contro l’Iran. Quindi, agli occhi del suo popolo e dei suoi sostenitori internazionali, doveva risultare un inaffidabile doppiogiochista, al quale non andava concessa nessuna solidarietà

La storia degli armamenti USA forniti a Saddam si dissolse presto e sotto i miei occhi: né a noi inviati sul campo, né dalle tante riprese dei giornalisti embedded in onda sulle tv di tutto il mondo, risultò mai una sola arma statunitense in mano all’esercito iracheno. Neanche una colt. Era tutto, dal Kalashnikov al mortaio, antiquato materiale sovietico. Mosca aveva cessato di rifornire Baghdad fin ai primi anni ’90, epoca gorbaciovian-eltsiniana della “convivenza pacifica”.

Chi veniva invece rifornito dall’Occidente, perfino di armi israeliane, era l’Iran: ricordate lo scandalo “Iran-Contras”? Con i soldi ricavati da quelle vendite si pagarono e armarono gli squadroni della morte utilizzati dagli USA contro il Nicaragua sandinista (per fortuna oggi ancora in piedi a dispetto di Washington e Vaticano).

Presentatosi e risettatosi con la denuncia delle condizioni dei palestinesi di Gaza, prima e dopo il genocidio in atto, Mazzucco ricorre a un esempio tirato crudamente per i capelli: l’attacco giapponese a Pearl Harbor, provocato, come è ormai ammesso e documentato da sopravvissuti e ricercatori, dalla minaccia di un’aggressione statunitense fatta pervenire a Tokio. I giapponesi ci credettero e decisero un’azione “preventiva”, Roosevelt sacrificò navi e uomini, ma potè dichiarare guerra all’Impero del Sol Levante.

In Palestina le cose sono un po’ diverse, a dispetto dello sforzo di farle apparire affini. Sforzo che Mazzucco non è il primo a fare. Subito dopo il 7 ottobre, sono spuntati come funghi coloro che provarono, nel nome dell’infallibilità degli apparati israeliani e della bassezza morale dei loro nemici, a giurare che è tutto un lavoro, per quanto cinico e brutale, dei diabolici israeliani.

Dunque, per Mazzucco, Israele s’è fabbricata Hamas, fine anni ’80, per contrastare Fatah del vecchio e pacificato Arafat (quello del grande imbroglio di Oslo), che stava veleggiando tranquillamente verso la senilità e, superate le intemperanze giovanilistiche della Prima Intifada, verso un quieto convivere con i vari Barak, Rabin, Netaniahu (il primo), Olmert. L’idea era quella di ridurre l’ancora percepita minaccia potenziale di Fatah ad ancora più miti termini, facendogli balenare un rivale, Hamas.

Bastava, si calcolava, lasciare passare i soldi che i Fratelli Musulmani del Qatar passavano ai fratelli di Palestina per vedersi spaccare in due il movimento. Lo ribadivano gli “Israel Files” di Wikileaks, esibendo gli scambi tra intelligence e ministeri degli esteri di Washington e Tel Aviv. Ne veniva fuori un moderato malumore verso Fatah, tuttavia temperato da compiaciuti riferimenti alla sua disponibilità ad acconciarsi, un qualche pensiero su quell’entità ambigua di Hamas e, nell’evolversi della situazione, una sua netta identificazione come nemico.

Tutto qui: l’idea che Israele si fosse creato Hamas, l’avesse coltivato, promosso, pagato, non ha la benchè minima base. Ci hanno provato a utilizzarlo come cuneo per fossilizzare il movimento, lasciando passare aiuti e soldi dal Qatar. Poi, vista la piega delle cose, cioè visto un’partito-organizzazione combattente che aveva guadagnato l’egemonia, anzi il monopolio della resistenza, grazie alla sua identità genuina e alla sua determinazione a riprendere e rafforzare il filo della lotta per la liberazione, è iniziata la guerra, strisciante prima, poi genocida.

Con Hamas vittorioso delle elezioni in tutti i territori occupati, ma non impedito da Fatah-Abu Mazen e dai loro conviventi-conniventi israeliani a imporsi al governo di Gaza, parte la strategia dello sterminio progressivo: il carcere a cielo aperto, la riduzione degli spazi e mezzi per vivere, la confisca degli aiuti, finanziari e altri, le incursioni, i raid.

Siamo agli inizi del secolo. Nel giro di tre lustri si succederanno cinque aggressioni, un po’ via mare e aria, un po’ via terra, un po’ tutto. Strano trattamento per una creatura che viene detta tua. Io ne ho visto e vissuta quella che, prima dell’8 ottobre, è stata la più feroce e distruttiva: “Piombo fuso”, dal dicembre del 2008 al gennaio 2009. Quando, incendiata dal fosforo bianco, la gente si inceneriva sull’asfalto, lasciandovi una sagoma nera; quando una ragazzina di 12 anni mi raccontò che i suoi famigliari, 27, usciti di casa con il fazzoletto bianco levato alto, vennero mitragliati da Tsahal; quando le tre bimbette, figlie di un giornalista di Gaza che era in collegamento diretto con una TV israeliana, vennero disintegrate nella stanza accanto, centrata da un missile perfettamente consapevole.

Torniamo al teorema di Mazzucco. La sua descrizione, anche grafica, del Kolossal  di sorveglianza intorno a Gaza, di barriere elettroniche, meccaniche, fisiche, a innesco automatico e, magari, a raggi ultravioletti e infrarossi, palloni aerostatici, deve essere tratta dal rendering di qualche progetto ultracibernetico. Perché non risultano a chi ha giracchiato da un lato o dall’altro della linea di separazione. Esistono barriere di reti elettrificate di cemento, torri di osservazione, radar, Quelle che Hamas ha sfondato con le ruspe e sorvolato con i parapendii, mentre l’apparato umano del comando militare principale, Erez, dormiva. Si fidavano dei dispositivi di sorveglianza che Hamas aveva neutralizzato e poi superato. Erano anni che nessuno aveva provato a passare. Del resto, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, si sa, basta un cavetto tagliato per mandare in tilt il sistema.



Del resto, nei lunghj mesi della precedente operazione di Hamas, “La Grande Marcia del Ritorno”, nel 2018, l’architettura descritta da Mazzucco non esisteva, se non nelle forme più o meno perpetuatesi fino al 7 ottobre. Migliaia di palestinesi di Gaza si avvicinavano alle reti di recinzione e da lì lanciavano sassi e aquiloni incendiari. I due schieramenti si distanziavano di non più di 200 metri. L’IDF e la polizia di frontiera rispondevano sparando: 234 morti.

Per quel che vale, io stesso, durante l’operazione “Piombo Fuso” contro Gaza, mi ero avvicinato alla linea di separazione tra Gaza e il resto della Palestina occupata. La presenza israeliana visibile era costituita da torrette di controllo con soldati che, all’occorrenza, uccidevano i contadini che si avventuravano a lavorare nei loro campi.

L’evidenza del fallimento dell’apparato di contenimento israeliano era l’assoluta sorpresa che ha caratterizzato la reazione israeliana. Il comando di Erez era stato fulmineamente occupato da Hamas e i suoi membri ridotti a rifugiarsi nei bunker sotterranei, incapacitati di organizzare le difese. Soprattutto grazie a questa defaillance, Israele dovette reagire in misura improvvisata, scoordinata, avventata. Con tanto di precipitarsi di carri armati e ben 29 elicotteri d’assalto che, data l’adozione della famigerata direttiva Hannibal (uccidere gli ostaggi piuttosto che farli portare via), spararono non solo sugli incursori gazawi, ma su tutto ciò che si muoveva. Figuraccia incancellabile per il “terzo o quarto esercito più potente del mondo”. Umiliazione letale.

Mazzucco avrebbe fatto bene a corroborare, con la sua perizia, le tante versioni, basate su testimonianze, prove, immagini, che israeliani onesti e altri ricercatori hanno prodotto su quel massacro da fuoco amico. Anche quelle sulle decapitazioni di neonati e sugli stupri di massa via via inventati da Tel Aviv e dai suoi portatori d’acqua per rimediare allo scacco e giustificare la mostruosità di Gaza,

Oltre all’incrinatura del grande artificio propagandistico dell’invincibilità e invulnerabilità del più efficiente esercito e della più avanzata potenza mediorientale inflitta da Hamas e per la quale hanno pagato con ignominiose  dimissioni forzate tutti i responsabili di esercito e intelligence, lo spot pubblicitario di un Hamas coltivato e lasciato fare dallo Stato ebraico trova una smentita incontrovertibile negli esiti militari e, soprattutto, politici del presunto complotto di Netaniahu e sodali.

Sarebbe grazie ad esso che Israele è andato precipitandosi in una fase declinante che ne avvicina un credibile epilogo? Grandi strateghi davvero! Gaza, dopo un anno di aggressione con tutti i mezzi di sterminio e distruzione a disposizione, Hamas, presunto prodotto di Israele, non è stata debellata, continua a colpire Israele a Gaza e fuori e l’obiettivo di sollevare la popolazione decimata di Gaza contro Hamas è risultato onirico. Nessuno degli obiettivi fissati è stato raggiunto. La guerra dei tunnel neanche iniziata, la città sotterranea di Hamas (qualche cantina di ospedale fatta passare per bunker di Sinwar), su 250 ostaggi in un anno liberati appena 6.

In compenso Israele ha suscitato una rivolta di popoli tutt’intorno a sé e l’indignazione e l’isolamento di tre quarti dei paesi del mondo. La statura morale, fondata su un vittimismo, storico e attuale, che ne occultava il ruolo di carnefice sistematico, è stata disintegrata. Israele è percepito come protagonista mondiale del terrorismo contro i civili. La misura del suo impazzimento sta nella risposta all’isolamento planetario consistente in un’esasperazione di quello stesso isolamento: i paesi del mondo, riuniti nell’assemblea generale delle Nazioni Unite, insultati come “palude di antisemitismo”, il suo Segretario dichiarato persona non grata nello Stato sionista, le basi dell’Unifil in Libano attaccate a cannonate.

Per quanto se ne celino i risultati, Israele è colpito in profondità, ma sempre su obiettivi militari o infrastrutturali, da una crescente schiera di nemici che ne moltiplicano i fronti di impegno militare e la dimensione critica sul piano economico. Tra Sud e Nord, 250.000 persone, coloni anche quelli arrivati 80 anni fa e loro prole, hanno dovuto essere evacuati. La crescita del paese, privato della maggior parte degli investimenti si avvicina allo zero, Nell’apparato produttivo sono venuti a mancare sia la componente matura, tecnologica, richiamata alle armi per una guerra che non finirebbe mai, sia la bassa manodopera dei palestinesi. L’immigrazione, indispensabile per contenere l’irriducibile vitalità demografica palestinese e araba, si va trasformando in un poderoso flusso emigratorio.

La fine dello Stato del razzismo e della violenza non sarà vicina, ma non è neanche lontana. Comunque è inesorabile e autoinflitta. Un bel argomento per un’eccellenza del giornalismo d’inchiesta come Massimo Mazzucco.

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