martedì 7 ottobre 2025

Fulvio Grimaldi per l’AntiDiplomatico L’origine di un genocidio, di una flottiglia, di un “accordo di pace” --- --- IL 7 OTTOBRE E’ UN ALTRO E 1 milione di manifestanti lo sa

 


ESTRATTI DALL’ARTICOLO

 https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fulvio_grimaldi__il_7_ottobre_e_un_altro__e_1_milione_di_manifestanti_lo_sa/58662_62918/

Mentre scrivo dalla data di uscita dell’articolo nella mia rubrica di martedì manca qualche giorno. Distanza dovuta a un accumularsi di impegni, sanitari e di convegni, non rinviabili. Chiedo perciò scusa se avrò dovuto bucare qualcosa di importante inerente all’argomento del pezzo, cosa possibile data la tumultuosità degli accadimenti. Ho fatto in tempo, però, a vivere il privilegio di assistere, nelle notti e nei giorni attorno al cambio del mese, a una della più grandi, belle, valide espressioni di civiltà e coraggio umani. Civiltà e coraggio sulla Flotilla e parallelamente in Italia, vera avanguardia europea, la gigantesca sollevazione di popolo del 3 e 4 ottobre contro la barbarie genocida e i suoi sicari in Occidente e a dispetto del ratti in fuga che ci governano. Un ottobre come un maggio parigino di 57 anni fa. Allora grazie al Vietnam, oggi alla Palestina. E’ sempre dal Sud globale, quello che allora chiamavamo Terzo Mondo, che viene la salvezza.

Nel milione di manifestanti del 3 e 4 ottobre non s’è udito nessuno azzardare una sola parola di biasimo, o di condanna, o di critica, a Hamas. Bella risposta a Travaglio e al suo inserto nel Fatto Quotidiano in cui ben 14 paginoni sono state riempite da firme ritenute illustri per ripetere l’assunto che Israele ritiene giustifichi l’orrore di Gaza: il terroristico pogrom di Hamas del 7 ottobre, con la carneficina di 1.200 civili e relativi stupri. A salvarsi è rimasta la sola Barbara Spinelli che, forse, ha intuito che se un milione di persone applaudono a un cartello con la scritta “Verità sul 7 ottobre” e se gli stessi israeliani di Haaretz rifiutano la fabbricazione del loro governo, qualche motivo per pensarci dovrebbe esserci.

Quelli che… poveri palestinesi ma quei terroristi di Hamas…”Il governo di Israele e il vertice di Hamas, cioè le due organizzazioni terroristiche…”, “”Israele appoggiava Hamas per cancellare la già debolissima ANP… “Entrambi, Israele e Hamas, i guardiani del loro inferno”…” E’ un genocidio, ma le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre”…”La strage dei milleduecento innocenti perpetrata il 7 ottobre 2023 dai macellai di Hamas”… “Sentimenti ovviamente ignoti al terrorismo di Hamas”…

Trattasi di dichiarazioni pubbliche e pubblicate, tutte di personaggi in vista, giornalisti, analisti, diplomatici, che, mentre forniscono questi assist al genocidio equiparando colonialisti e colonizzati, oppressori e resistenti, tirannia e movimento di liberazione, si professano – e risultano al pubblico – convinti critici di quanto lo Stato sionista infligge alla Palestina. E poi c’è chi ritiene eccessivo che, per riconoscere l’integrità e coerenza di chi si proclama “proPal”, gli debba essere fatto “l’esame del sangue” (ovviamente etico-politico).

Di questo infantile, o piuttosto incolto e disinformato, mettere sullo stesso piano la giornata del 7 ottobre e i due anni di carneficine a Gaza, se ne avvantaggia anche il cosiddetto “piano di pace” (macabramente detta “eterna”) dei tre serialkiller Trump, Netanyahu, Blair. Piano che, nella sua ciccia, implica, con linguaggio da sicari mafiosi, l’inevitabilità che si debba “finire il lavoro”. Che implica pure il mantra partito l’8 ottobre, secondo cui il popolo palestinese, 2,3 milioni a Gaza, 15 milioni in tutto, è Hamas e viceversa. Per cui “finire il lavoro” significa obliterare Hamas, intendendo l’ultimo palestinese.

Ma c’è equiparazione ed equiparazione. Alla fondatezza di quella sopra riportata proverò ad apporre qualche dubbio. Invece trovo un’inesorabile equivalenza tra quanto è stato detto, dagli uni e dagli altri, attorno a una Flotilla che ha contribuito a cambiare, in meglio, il volto dell’umanità. Accantoniamo, per carità di patria, l’esibizione del Q.I. del premier Meloni quando ha chiamato il suo governo vittima della destabilizzazione orchestrata nientemeno che dai militanti del diritto di 44 paesi, tutti “irresponsabili”, che stavano sulla Flottiglia.

L’equiparazione, stavolta del tutto evidente è, da un lato, quella che vede una Meloni dal megalomane vittimismo definire nemici della pace gli equipaggi della spedizione politico-umanitaria. Quelli che, sfidando questi infami dileggi, a volte fatti propri perfino da chi si dichiara “voce della Palestina”, hanno messo a disposizione della pace e della giustizia il loro tempo, i loro mezzi finanziari, la loro incolumità

Accanto a lei tutti quegli altri, suoi pari colonialisti occidentali, compresi i proclamatori grotteschi della “pace eterna”, cioè della resa incondizionata dei palestinesi. Sono coloro che ricattano i naviganti (sia ripetuto: infinitamente nobili e coraggiosi) intimandogli di mollare e non provocare “le giuste rappresaglie di Israele”, ma si astengono rigorosamente dall’imporre imporre ai violatori del diritto internazionale e carnefici di Gaza di rientrare nella legalità e rispettare il diritto di violare blocchi illegali.

Dall’altro lato, in parallelo, anzi, in osmosi, stanno quei personaggi, statuali, politici e mediatici della sfera sionista, che affermano, sventolando documenti di fattura opaca, che l’intero ambaradan della flottiglia, dei portuali che sabotano le partenze di armi per Israele, di centinaia di milioni di manifestanti nell’orbe terracqueo, obbediscano ai “terroristi” di Hamas e da questi verrebbero addirittura pagati. Sarebbero le bande dei contractors di Hamas. Qui la collocazione sullo stesso piano ci sta tutta, comodamente.

E’ tempo, da tempo, di false flag

Stiamo attraversando tempi nei quali i cieli del Nordeuropa producono grandinate di False Flag, uno strumento diventato principe dell’arsenale di chi muove guerra per sottomettere, conquistare, rapinare, ma che ha alle spalle, in Occidente, quasi tutta la sconfinata teoria di guerre colonialiste e imperialiste. Spesso, quando ormai lontane nel tempo e indifferenti a smentite, addirittura neppure più rivendicate come tali dai rispettivi autori.

Basta pensare alla Maine, nave da guerra USA, incendiata dagli USA nella baia dell’Avana per strappare Cuba agli spagnoli. A Pearl Harbor, quando, fingendo un imminente attacco a Tokio, si indusse il Giappone a bombardare una flotta USA, in buona parte spostata al riparo, peer avere il pretesto della guerra. Nel Golfo del Tonchino dove un inventato attacco vietnamita agli USA innescò una guerra costata al Vietnam tre milioni di morti e conseguenze genetiche a generazioni da napalm e diossina da Agente Orange. I tedeschi che finsero di essere stati sparati da soldati polacchi che invece erano soldati del Reich. Il primato assoluto per ciò che se ne è tratto, ma anche per la grossolanità dell’inganno, spetta all’11 settembre. L’attentato, attribuito a degli sprovveduti sauditi, costò 3000 vittime nelle torri, ma guerre “al terrorismo” per milioni di morti in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, accompagnato da repressioni in casa favorevoli alla fascistizzazione delle proprie società.

Israele, di solito, non ha bisogno di ricorrere a false flag. Le sue bandiere sono magari false nella narrazione dell’accadimento, ma quanto all’accadimento stesso non si sono mai manifestati scrupoli, Netanyahu o non Netanyahu, ad attaccare, bombardare, invadere, incendiare, devastare, uccidere. Vedi, oltre a Gaza e Cisgiordania, Iran, Libano, Iraq, Yemen, Qatar, più attentati ed esecuzioni sparsi in giro, perlopiù tra paesi amici. Con governi tolleranti fino alla compiacenza.

Così, subìta l’offensiva del 7 ottobre, la prima dopo le operazioni dei fedayin degli anni settanta, gli attentati kamikaze, le due intifade e il successivo quietarsi della popolazione sotto occupazione, indotto dal collaborazionismo nella repressione dell’ANP di Abu Mazen, Israele si è adoperato a fare del suo racconto una falsa bandiera.

Hamas è il legittimo rappresentante dei palestinesi, in seguito alla sua vittoria nelle ultime elezioni che l’ANP di Mahmud Abbas ha permesso di tenere nei territori occupati. La sua operazione del 7 ottobre ha ridato vita alla prospettiva di esistenza di una nazione per 15 milioni (tra stanziali e profughi) di palestinesi. L’ha inserita al centro dell’attenzione mondiale, anche per essere diventata un simbolo della contesa mondiale tra colonizzatori e colonizzati e, di più, tra ricchi e non ricchi, tra élites e masse, tra i pochi e i tanti.

Cosa è successo il 7 ottobre

L’operazione condotta il 7 ottobre alle porte di Gaza, finalizzata a ottenere la liberazione di qualcuno dei 70.000 palestinesi passati per le carceri israeliane, spesso senza accusa e processo e a tempo indeterminato, diventa nel racconto del regime israeliano il pretesto e la giustificazione militare, politica e morale del genocidio in atto da allora. Ed è qui che sventola la bandiera falsa. Conviene tornare a esaminarla. E su questo bubbone cognitivo che si ha il dovere di incidere.

Arrivati via aria in territorio occupato adiacente alla Striscia con parapendii a motore e, via terra, con moto e pick-up, l’obiettivo era quello di approfittare della presenza di giovani, spesso militari, al Rave Nova e di altri coloni che risiedevano nel kibbutzim costruiti sulle macerie dei villaggi palestinesi. Va qui precisato che quando si parla di civili attaccati e uccisi, si parla di coloni occupanti una terra altrui, in gran parte armati contro gli espropriati. Gli unici israeliani ai quali non si attaglia questa definizione dovrebbero essere coloro non in grado di decidere se stare in quel posto: i bambini

 Neutralizzata ed elusa la rete di sorveglianza fisica ed elettronica, gli incursori sono riusciti a occupare il comando centrale dell’IDF di Erez, alle porte di Gaza, oltre a comandi minori lungo la delimitazione della Striscia. Questo ha impedito ogni reazione prevista pressochè automatica. Ci sono volute circa due ore prima che forze di sicurezza e militari, avvertiti via cellulare dagli abitanti dell’area, potessero intervenire. I combattenti di Hamas disponevano di armi leggere, Israele è intervenuto con carri armati e una ventina di elicotteri. E allora da chi e cosa sono stati sventrati o ridotti in macerie gli edifici dei Kibbutzim con al loro interno gli abitanti e i militanti di Hamas che facevano prigionieri da scambiare on i loro? Dai mitra degli incursori, o dalle cannonate dei tank e dai missili degli elicotteri?

Distrutto il mito dell’invincibilità militare di Israele, ma riparato con la favola che Israele ha lasciato fare o, addirittura, era d’accordo con Hamas.

La dottrina Hannibal, a suo tempo adottata in Libano per impedire la cattura di soldati, è stata a quel punto impiegata dalle forze disordinatamente accorse e confusamente impiegate. Lo ammettono ufficiali superiori della stessa aeronautica israeliana che nessuno ha mai smentito e poi lo stesso Yoav Gallant, allora ministro della Difesa. Hannibal impone di sparare ai sequestratori, anche a costo di colpire i propri cittadini. Ne sono nati il fuoco incrociato e le cannonate e i missili che hanno ridotto in macerie edifici in cui si trovavano sia gli incursori, sia i loro residenti. A loro volta i piloti degli elicotteri, come detto anche nei loro scambi telefonici, privi di istruzioni, hanno sparato sui mezzi che portavano via i coloni catturati.

Perché, quando si continuava a parlare di 1.200  “civili innocenti” uccisi (poi da Haaretz ridimensionati a circa 600 verificati) si trascura che, oltrechè di soldati, di coloni si trattava, perlopiù già militari o in procinto di esserlo, comunque adulti della riserva, spesso armati, partecipi dell’occupazione coatta di un territorio espropriato. Coloni e, per contro, colonizzati, ai quali la carta dell’ONU e numerose convenzioni riconoscono il diritto della lotta armata di liberazione.

La zeppa nelle elucubrazioni della Hasbara di Netaniahu e compari, l’hanno già messa parecchi, a cominciare da media e organizzazioni pacifiste dello stesso Stato sionista. Ma la Hasbara non conosce limiti e, a dispetto di ogni inchiesta, a ogni anche minima sollevazione di sopracciglia, la false flag di una versione totalmente manipolata torna a sventolare. I 40 neonati decapitati che non c’erano, le esecuzioni a freddo, gli stupri di gruppo, i bambini cotti nei forni. E non un testimone (che non sia la giornalista alla quale l’IDF avrebbe mostrato un video, mai pubblicato, di alcune di tali atrocità), o un referto medico, o un’autopsia che avesse confermato.

C’è una più recente smentita alla narrazione false flag che dovrebbe giustificare i bambini uccisi mentre chiedevano pane, gli ospedali distrutti, i sanitari e pazienti ammazzati e gettati nelle fosse comuni, un popolo che viene fatto morire di fame e di sete, l’80% delle costruzioni in macerie, le coltivazioni devastate avvelenate, mare e pesca negati a fucilate (ricordiamo Vittorio Arrigoni),  le donne alle cui pance gravide veniva ordinato di mirare, i civili catturati, denudati, umiliati e rinchiusi in carceri della tortura.ù

Chi ha stuprato chi

E’ ora uscito un rapporto dell’Associazione Internazionale per la Prevenzione della Violenza Sessuale (SVPA), basata a Washington e altamente rispettata per i suoi interventi, ricerche, denunce e la gestione della più grande data basi sul fenomeno a livello mondiale.

Il rapporto dimostra come Israele stia producendo propaganda bellica fondata sugli stupri e utilizzando la violenza sessuale come arma di guerra. A questo scopo Tel Aviv farebbe ricorso a ciò che nel rapporto è chiamato SORVO, acronimo inglese di Systemic Oppression, Reverse Victim and Offender, oppressione sistemica, inversione di vittima e autore di violenze.

Osservo ogni giorno l’impiego di SORVO contro i palestinesi. Violenza sessuale per giustificare un genocidio”, dichiara l’autrice responsabile del rapporto, Miranda Martone, a commento del dato, affermato da un PM israeliano, che non ci sono state a oggi denunce di  violenze sessuali commesse da palestinesi il 7 ottobre.

Un testimone che avrebbe salvato donne dall’essere violentata da combattenti di Hamas, è stato smentito e screditato da un giornalista israeliano. Rami Davidian, “testimone della corona” nel libello di propaganda intitolato “Urla prima del silenzio”, filmato della regista statunitense Sheryl Sandberg, avrebbe visto dozzine di  donne uccise, vittime di presunti stupri.

Nulla di tutto queste è confortato da prove autoptiche e altre, o da testimoni sul posto, e rientra, nei dati del rapporto SORVO, tra gli strumenti di propaganda islamofobica secondo cui misogenia e violenza caratterizzerebbe il musulmano. Personalmente, avendo frequentato per sessant’anni il mondo arabo e islamico, mi è rimasta solo l’impressione di una grande armonia nelle famiglie e di un assoluto rispetto per la donna. Non ho mai visto una mano maschile alzarsi su una donna.

Lo stesso New York Times ha dovuto fare ammenda per il suo commento al film “Urla prima del silenzio”. Commento basato su dichiarazioni di vittime, la più rilevante delle quali ha poi dovuto negare tutto quanto il giornalista le aveva attribuito. Resta da osservare che il governo israeliano ha impedito all’ONU di effettuare un’inchiesta sulle violenze del 7 ottobre.

Concludendo, il trattamento che subiscono le donne nelle carceri israeliane, sia durante tutta l’occupazione, sia nel corso dell’attuale sterminio di Gaza, è stato invece confermato dalle vittime, dai medici e da visitatori indipendenti. Per la pratica di un “diritto allo stupro” rivendicato da alcune guardie carcerarie in Israele, si ha la conferma dallo stesso IDF che, ad agosto 2024, arrestò ben nove soldati per “gravi abusi sessuali” su un detenuto palestinese nel carcere nel deserto del Negev. Montare le bufale sugli stupri di Hamas serve sia a distrarre da questi crimini, sia a giustificarli.

La narrazione false flag di Israele è a brandelli. Ma insistono a trarne spunto spunto, i nostri amici delle equivalenze. Quelli che si ritraggono indignati dall’accordo Trump-Netaniahu-Blair per “finire il lavoro” e, due righe più in là, si riaggiustano la cravatta deplorando le atrocità dei terroristi di Hamas. Ma c’è anche di peggio. Sono quelli che si dichiarano del nostro fronte, ma che abbondano di talmente tanta buona volontà colonialista da interpretare l’intimazione alla resa del popolo palestinese, condita di minacce di “finire il lavoro” fino all’ultimo palestinese, come un accettabile passo verso la pace.

 

 

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