Due eventi avevano promesso di interrompere l’uragano
terroristico, intimidatorio, manipolatore, unanimistico, squadrista, a giornale
e schermo nazionali uniti (al guinzaglio del New York Times, organo di Soros,
Gates e del profeta Malachia) e di farci eremgere, almeno con il naso, dal
pantano di spazzatura politica e morale in cui ci hanno affondato.
Sprovveduta, ma santa subito
Invece niente. I due eventi ci hanno ricacciato col naso,
gli occhi e le orecchie sotto, nella melma della propaganda falsa, bugiarda e
ipocrita. Una retorica sgocciolante di emozioni farlocche (esaltazioni), che
Mario Appelius, la voce tonante di Mussolini (“Dio stramaledica gli
inglesi!”), era al confronto un sommesso ora pro nobis di beghine nella
cappella laterale. Un trionfo epocale del regime e, dunque, a loro avviso,
della nazione tutta, la liberazione della povera Silvia Romano. Povera perché,
con ogni evidenza, travolta dagli avvenimenti costruitile addosso. E
giustamente soddisfatta per essere tornata a casa dopo 18 mesi. 18 mesi durante
i quali aveva capito che la ragione di chi l’aveva spedita a far girotondi con
bambini neri, non era altro che una miserabile operazione colonialista in linea
con quelle che, da qualche secolo, i bianchi cristiani infliggono ai diversi
per fregargli radici, identità, cultura, fede, e farli sentire beneficati da
alieni di qualità superiore (che poi gli avrebbero fregato anche il resto). Per
cui s’è fatta musulmana, cioè della religione dei cattivi, malmessi e
inferiori. Brava.
Con raccapriccio rivedo l’accoglienza all’aeroporto, tutti
addosso a Silvia intabarrata nella veste islamica somala, ad abbracciarsi e
baciucchiarsi, alla faccia dei tecnoscienziati e del loro banditore. Poi,
invece, fatta, come si deve, con i gomiti, dal bischero mascherinato trricolore
che, ore prima, aveva ribadito il suo ruolo di caporale di giornata dell’armata
Brancaleone, giurando “fedeltà ai valori, che sono quelli del nostro perenne
alleato americano”, con tutto quello che ne consegue: Nato e sue guerre,
Deep State finanzcapitalista e terrorista, Bill Gates e relativa cosca di “Un
vaccino per il Nuovo Ordine Mondiale”. Bel passo avanti rispetto ai tempi in
cui borbottava di “rivedere la nostra presenza nella Nato e togliere le
sanzioni alla Russia”. Si chiama Luigi Di Maio e, credeteci o no, è dei
5Stelle e fa il ministro degli Esteri. Cosa avrai mai fatto di male il buon
popolo dei 5Stelle, la meglio gioventù vista da molti decenni, a meritarsi uno
così!
Sulla sceneggiata a cui il popolo è chiamato a sbattere le
mani, sbattendosene magari le gonadi, va ancora detto qualcosa. Sappiamo che
non c’è stata nessuna liberazione da parte dei nostri prestigiosi servizi
segreti, ma uno squallido ma doveroso mercato delle vacche, esclusiva tutta
italiana, su quanti nostri soldi dovessero essere dati per riavere la nostra
cittadina che va in giro per il mondo a rallegrare bambini, indifferente alle
conseguenze (perniciose per quei bambini e costose per noi). E’ trapelata la
cifra di 4 milioni, probabilmente il doppio.
Rapitori (chi?), pagatori (noi), sceneggiatori
(loro)
Ricordate le “due Simone”, Torretta e Parri? Nel 2004,
altra grande impresa dei servizi liberatori, e anche un po’ prestigiatori.
Rapite in Iraq ad agosto, il 28 settembre al Jazeera ne annuncia la liberazione
ed ecco che, con un allestimento degno di Hollywood, davanti a file di
telecamere schierate, dalle brume dell’alba emergono, prima stagliate
sull’orizzonte e poi lentamente avanzanti nel deserto, due figure intabarrate
in palandrane nere: Simona e Simona. Come, dove, chi e perché non si saprà mai.
Rapimento rivendicato da una “Jihad islamica”, prima epifania di integralisti
islamici al servizio di Usa, Golfo e Turchia (quelli poi impiegati in mezzo
mondo) in un Iraq dove tutta la resistenza contro l’invasore era laica e
saddamista.
Nella Somalia del dopo-Barre, del dopo-invasione Nato, con governi-fantoccio
installati dagli americani e spazzati via uno dopo l’altro da varie resistenze,
dopo una successione di movimenti di liberazione nazionale, da quello del
generale Farah Aidid (grande patriota che ebbi l’onore di intervistare prima
che i colonialisti lo facessero fuori) alle Corti Islamiche (che
riorganizzarono decentemente il paese), la lotta al colonialismo di ritorno era
stata assunta dagli Al Shabaab. Islamici e anti-occidentali, necessariamente “terroristi”
e dunque giustamente bombardati dagli Usa, con tanto di eccidi di civili. I
media unificati sotto l’ombrello Nato-Bilderberg, fanno degli Shabaab l’ala
regionale di Al Qaida. Vero o no, strano che Al Qaida e Isis non abbiano mai
attaccato interessi USA, o dei loro proconsoli coloniali, ma sempre quelli dei
nemici dell’imperialismo, mentre la guerra di questi islamici somali ha esclusivamente
colpito obiettivi statunitensi, o di chi ne sono i soci e subalterni.
Ma quale Al Shabaab!
Tutti attribuiscono il rapimento a questa organizzazione e,
dal momento che gli Al Shabaab nulla avrebbero da aspettarsi in termini
politici dall’Italia, che conta una mazza da quelle parti, se non dei soldi, ecco che la
questione viene presentata come risolta in termini puramente monetari. Sempre
che sia vera la storia del riscatto, visto che la posta per i rapitori veri era
di ben altra portata. Senza contare che una guerriglia in aree limitate del
paese, costantemente bombardata dagli USA e inseguita dalle loro Forze
Speciali, difficilmente avrebbe avuto l’agio di tenere protetta per 18 mesi e
di trasferire ripetutamente in sicurezza un ostaggio. Altri, che controllano
gran parte del paese e della sua amministrazione, invece sì. Domani potrà
magari uscire una rivendicazione firmata “Al Shabaab”. E con questo? Anche
l’assassinio dei miei colleghi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è stato rivendicato
da qualche finto brigante somalo….
I servizi impegnati parlano di aver avuto contatti con
varie bande, dette di malviventi. La prima, del rapimento, e l’ultima, che
avrebbe avuto in consegna la ragazza dagli Al Shabaab. Quindi nessun contatto
mai con costoro. E, allora, chi ci garantisce che siano stati loro i rapitori?
Capro espiatorio geopolitico, sì, ma rapitori? I servizi condividono i propri
meriti non con qualche entità somala, ma esclusivamente con i turchi. Quelli di
Erdogan, uno che di scrupoli ne ha quanti Mr. Hyde quando esce di notte. Quelli
che da dieci anni conducono guerre in Siria, Libia e Iraq, avvalendosi della
peggiore feccia terrorista mai vista. Quelli che in Somalia, da qualche anno,
fanno il bello e il cattivo tempo, vuoi collusi, vuoi collisi, con i
concorrenti di Abu Dhabi (UAE) e dell’Egitto, la posta in gioco essendo il
controllo del Corno d’Africa e dunque lo strategico passaggio di Bab el Mandeb,
da Est a Ovest e da Sud a Nord.
Chi mai ce la può avere con Roma?
I ribelli somali non hanno contenziosi con l’Italia, per la
sua irrilevanza nella zona. I turchi, invece, ne hanno a iosa. In primis nel
Mediterraneo orientale, dove gas e petrolio nelle acque di Cipro e
internazionali li hanno contesi all’ENI a suon di cannoniere, con bocche da
fuoco solo per ora zitte. Sempre in termini di idrocarburi, non hanno per
niente gradito le proteste italiane contro l’accordo tra Erdogan e Al Serraj
(il fantoccio Occidentale di Tripoli) per un controllo congiunto di tutto il
mare e di tutto il petrolio tra Turchia, Cipro e Libia. E mentre la Turchia è
al 100% dalla parte del governo cartonato dei jihadisti di Tripoli e contro
Haftar, che però controlla il 90% del territorio e della popolazione, Roma, al
suo solito, traccheggia, teme il ricatto dei migranti scatenati da Al Serraj,
occhieggia verso Haftar e l’Egitto che, assieme all’ENI, sfrutta i più ricchi giacimenti
a mare dell’intero Mediterraneo.
Con Al Serraj e contro l’Egitto, troppo vicino alla Russia,
(vedi Regeni, spedito lì dai britannici) sta l’intero Occidente predatore,
anche se la Francia si distingue per doppiogiochismo. L’Italia, conta poco e se
la giocano tutti. Ma l’ENI conta moltissimo, come ai tempi di Mattei è il
convitato di pietra che fa saltare gli equilibri stabiliti tra le Sorelle e
che, a dispetto della campagna forsennata lanciatagli contro, con
Stefano-Bilderberg-Feltri, dal Fatto Quotidiano, con il confermato AD Descalzi
è ancora lì, primo partner petrolifero della Libia e dell’Egitto.
Cosa s’è pagato al sultano in cambio della
sventatella?
Sarà ancora così, ora che, grazie ai turchi, abbiamo
riavuto Silvia Romano? E, allora, saranno stati davvero gli Al Shabaab ad aver
rapito e ospitato la ragazza convertita? Lo si dovrebbe dedurre facilmente dai
prossimi sviluppi negli scacchieri indicati, specie da cosa capita tra Ankara e
Roma.
Bonafede-Di Matteo, guarda chi si rivede!
E questa era una delle storie che per un attimo ci hanno
depistato dalla grancassa della Banda del Virus, assordandoci, peraltro, con
clamori altrettanto stonati e cacofonici e annebbiandoci con altrettanti
riflessi stortignaccoli da specchi deformanti. L’altra è cosa forse anche più
seria, nell’immediato domestico. E’ Cosa Nostra, cioè cosa loro, l’eterno
duetto Stato-mafia.
Riassumo la vicenda per chi, stando nelle carceri insieme
ad altri 60 milioni di potenziali untori, si fosse lasciato distrarre dalle
storiacce di Netflix o da Lilli-Bilderberg-Gruber. Cittadini, oggi, con il
cervello in rimessa, ma da usare al
risveglio contro chi ci assassina, fisicamente, moralmente, intellettualmente,
culturalmente, socialmente, e ci mina, inevitabilmente, nella salute. Si tratta
del pasticciaccio brutto combinato dal ministro Bonafede, ultima stella spenta
tra quelle finite in parlamento. Finite in parlamento per aprirlo come una
scatola di tonno e per illuminarne, alla vista dei cittadini, la fossa
biologica.
Sappiamo che i magistrati italiani si dividono in due
categorie. In una circolano gli Ermini, Lo Voi, Pignatone, Bruti Liberati,
Tinebra, Legnini, brave persone in ottimi rapporti con l’esistente. Nell’altra
procedono i Borsellino, Falcone, Scopelliti, Chinnici, Livatino, Costa, De
Magistris, Woodcock, Robledo, Di Matteo, molto poco apprezzati dall’esistente
Tanto che quasi tutti sono stati ammazzati, o minacciati di morte. Di solito,
la carriera dei primi procede senza intoppi fino all’ultimo piolo della scala.
Quella degli altri, spesso s’intoppa e finisce a terra.
Della seconda categoria il più illustre e, oggi, più
esposto ai risentimenti di chi delinque in una forma o nell’altra, è Nino Di
Matteo, procuratore a Palermo e Pubblica Accusa nel processo sulla sinergia –
chiamiamola “trattativa” – Stato-mafia. Una consociazione alla quale dobbiamo
molti successi dalla lotta di classe dall’alto al basso contro il popolo
italiano, da Portella della Ginestra alle stragi 1992-93. E fino al
coronavirus.
Un magistrato che aveva spaventato tutta la
scala istituzionale, fino in cima
Questo magistrato, medaglia d’oro del lancio della legge più
in là di ogni record, fin nella casa in cima al colle, era stato invitato dal
“nuovo che avanza”, nella persona del ministro della Giustizia Bonafede, a
occuparsi dei carcerati, in primis di quelli della consociazione, facendo il capo
del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Di Matteo aveva
accettato, la mafia dentro e fuori aveva espresso il suo belluino non
gradimento e, nel giro di 24 ore, Bonafede aveva ritirato la nomina e l’aveva
assegnata a tale Francesco Basentini. Un magistrato ignoto ai più e, forse,
anche ai boss, i quali, però, lo conobbero e apprezzarono presto, quando, quatto
quatto, consentì il ritorno a casa di quasi 400 mafiosi, compresi quattro
mammasantissima al 41bis. Segnale più seduttivo di quanti ne avesse mai dati
Andreotti. E che apriva la strada alla grande abbuffata, offerta ai picciotti
dagli invasori del pianeta Virus, in termini di imprese schiantate da divorare
e esseri umani da impiccare col cappio dell’usura.
Qualcuno di quelli che, fino al giorno prima, avevano
considerato il magistrato peggio di Charles-Henri
Sanson (boia della ghigliottina, esecutore di Luigi
XVI), di colpo coprirono di elogi lui e di vituperi il ministro. E gli chiesero
come mai non avesse denunciato la maleodorante offesa già allora, nel 2018. La
risposta, di cui peraltro costoro non sono degni, avrebbe potuto essere che,
col senso delle istituzioni che lo distingue, Di Matteo non abbia voluto farsi
protagonista di una vicenda poco onorevole per il governo. Ma che, davanti allo
spudorato rilascio dal carcere e ritorno all’operatività di 400 criminali, con la
mina posta sotto al lavoro suo e quello di tutti coloro che si battono, si sono
battuti e sono morti nella guerra contro la piovra di Stato, tacere sarebbe
stato come apparire connivente. E far prevalere chi, come Giorgio Napolitano,
aveva intralciato il suo lavoro, imponendo la distruzione delle conversazioni
telefoniche tra il Quirinale e l’indagato ex-ministro Mancino.
Del resto chi mai avrebbe
un’autorità così alta da potersi permettere di imporre a un onesto e, fin qui,
agguerrito ministro, espresso dal Movimento sulla cui bandiera sta scritto
“onestà”, il veto al migliore dei nostri magistrati anti-mafia? Fatevi una
domanda e datevi una risposta. Facile facile.
Mascherina, se
la conosci….
Torniamo nella palude dalla
quale siamo usciti un istante e dalla quale eravamo finiti non proprio in un
giardino di rose. Un paio di fatti occorsi negli ultimi due giorni mi
permetteranno, cari amici, di fare il protagonista. Parliamo di mascherine, uno
dei dispositivi definiti di “protezione individuale” più odiosi e dotati di
occulte intenzioni che siano usciti dalla caverna del drago tecnoscientifico. E
anche uno dei più ridicoli, se pensiamo a quando i bonzi del ramo ci dicevano
che non servivano, a quando divennero obbligatori qua e là, a quando dovettero
costare meno del costo di produzione e non se trovava una neanche nella
farmacia del Vaticano, a quando, rassegnato, lo sventurato commissario all’emergenza
ci disse che potevamo farcele da noi, con le magliette.
Da una tale saga dei
controsensi non poteva che uscire una cosa balorda. La sedicente protezione è
una pezza di materiale qualunque, anche rimediato e senza il minimo controllo
d’efficacia, sul quale l’eventuale virus, se non lo attraversa come lama nel
burro, si accoccola e permane, in attesa di nuove imprese, sia che lo espiri tu,
sia che te lo soffino altri. E’ dunque nient’altro che un ricettacolo di
patogeni: un salottino per batteri, germi, germi, nanoparticelle, polveri. Dopo
un po’ ti gira la testa perché respiri forzato e vai in debito d’ossigeno. Poi
te la togli, la metti in tasca, o in borsa, accanto ad altre impurità, la posi sul
tavolo accanto alle briciole e alle macchie di sugo, ti cade per terra e lo
rimetti per qualche giorno, visto che t’è costato minimo 6-8-12 euro e per il
lockout sei già o mezzo sbroccato, o tutto rovinato. In compenso qualcuno a
produrlo s’è già fatto un po’ di soldini, aprendo la via a quelli di altri
“dispositivi”, tipo i vaccini. Tutta roba che serve a farti star male. Sempre
che, mettendo fine allo spettacolo, il deus ex machina del sangue
iperimmune non sbatta fuori di scena i commedianti di mascherina, intubazioni,
distanziamenti, carceri e sfascio.
Ma, nel frattempo, di tutto
questo ai tecnoscientifici non frega un’amata cippa, giacchè il mandato
conferitogli è quello di farci tutti uguali ma separati, diffidenti, anonimi,
irriconoscibili, senza faccia e senza espressione-comunicazione. Fa parte della
nuova ingegneria sociale dell’atomizzazione, detta distanziamento. E si sa, chi
non si tocca, chi non si aggrega, chi non si assembra, peste lo coglierà. E,
soprattutto, non rosica. Il formaggio resta, tutto intero, agli inventori
promotori della mascherina.
Mascherine da guerra
civile?
E il distanziamento tramite
anche mascherina sarebbe niente (si fa per dire), se non coincidesse con
l’assembramento di cattivi pensieri e cattive azioni tra i mascherinati. Ecco
cosa mi è successo ieri e oggi. In fila davanti al ferramenta, insieme ad altre
tre persone, debitamente mascherinate e distanziate. Nel Lazio la pezza sul
muso non è obbligatoria, se non entrando in qualche esercizio pubblico. Dunque
posso girare smascherinato. Preferisco evitare, quando con mascherina, gli
sguardi ansiosi e diffidenti di chi mi indaga se sono io, o un altro, amico o
nemico, stronzo o gentiluomo. E viceversa.
E lì mi capita per la prima
volta di assistere agli effetti programmati da chi ci ha inflitto le
mascherine. Un omone del quale appare solo la pelata e che prima bofonchia
l’incomprensibile attraverso il doppio tessuto, poi, aumentando il volume,
libera i suoi improperi contro di me che metto a repentaglio la sua vita non
tappandomi bocca e naso. E’ un crescendo, fino al diapason, che riecheggia per
tutto il corso e lo riempie di mascherinati dagli occhi strabuzzati. Sarebbe il
caso, o di mascherinarsi, cosa che mi pare politicamente corretto, dunque
scorretto, o di darsela, di pari valenza. Fortuna vuole che l’omone, forse
temendo il contagio, si induca ad andarsene lui, così che i tonitruanti
improperi si perdono molto lentamente verso il fondo della via. Però sono
bravi: gli è riuscito di aggiungere un altro innesco al conflitto orizzontale,
un nuovo diversivo da quello verticale.
Invece, stamane, davanti
all’autoscuola per il rinnovo della patente. Siamo in una decina, perlopiù
maturotti, ben distanziati. Tutti con mascherina. Io no, non è obbligatorio nel
Lazio, siamo all’aperto. Sto leggendo il giornale quando mi arriva, come uno
schiaffo di tramontana, un “Si metta la mascherina!”, perentorio
quanto, nei film americani, l’intimazione del colonello SS al partigiano da
fucilare. Obietto che sto fuori e qui non c’è obbligo. “Sì che c’è, non vede
che l’abbiamo tutti, abbia rispetto, coglione!”. Subito un rumoreggiare di
molti brontolii, sui quali si erge uno strepito femminile: “Io chiamo i
carabinieri””. Il dialogo, del tutto unilaterale, si perpetua nel tempo con
monotona, quanto impetuosa, regolarità con, ogni tanto, un solista che lancia
l’acuto. Il volume in espansione, l’intrecciarsi dei latrati, il colore
paonazzo di quanto resta fuori dalla mascherina, diffondono aria di linciaggio.
Il primo intervenuto, alto e grosso quanto la sua voce, fa per venirmi addosso
e tradurre le percosse verbali in atti. Ma si ferma al metro arcuriano di
distanza sociale. Più della collera potè il terrore del virus. Grazie,
seminatori del terrore!
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