“Viva gli sciagurati (per lo sciagurato OMS)
napoletani” (Anonimo fiorentino)
Le squadre in partita
Da una parte il subimpero del sultano ottomano neo-islamista,
padrino di tutto il terroristame che imperversa in Medioriente e Africa, con
alle spalle l’impero tenuto in piedi dal Deep State statunitense con il
corredo dei “progressisti” imperiali di Soros, di nascosto Israele e, ultimo
arrivato, paradossalmente, l’Iran del “moderato” Rouhani, suo rivale in Siria e
Iraq.
Dall’altra l’Egitto, maggiore potenza araba, Arabia
Saudita, Emirati, il pezzo più significativo del mondo arabo, Bengasi e gran
parte della Libia liberata dai jihadisti, la Russia che traccheggia, la Cina
che simpatizza da molto lontano. Queste le forze che si fronteggiano oggi nella
regione. Il che è individuabile al semplice osservare le mosse dei due opposti
schieramenti, ma mistificato e reso ingarbugliato dai servizi mediatici offerti
ai soliti attori preferiti.
Regeni, la leva con cui sollevare il
Medioriente
Si pensi al “manifesto”, arrivato a sostenere lo psicopatico
guerrafondaio Bolton contro Trump, e al suo internazionalista “de sinistra”
Alberto Negri. Antiamericano da vetrina, ma anche, all’uopo, antisaudita; detesta
i turchi in quanto sterminatori di curdi (dichiarati “vincitori dell’Isis” al
posto dei siriani, ed effettivi ascari antisiriani degli USA)), ma oggi come
oggi, detesta di più al Sisi, da amico dei russi capovolto in “cocco di Trump”.
Il suo condirettore, Tommaso Di Francesco, autonominatosi, nelle more dei
giudici di Roma e del Cairo, PM, giudice e, domani, boia del presidente
egiziano, dichiara Giulio Regeni “barbaramente
fatto uccidere dai suoi servizi segreti”. Uno specialista di efficaci
messaggi subliminati, questo Negri ex-Sole-24 Ore, come li definisce acutamente
un mio amico. Del resto lo accredita nientemeno che Amnesty International. Chi
oserebbe contraddire questa santa costola del Dipartimento di Stato?
Quell’Amnesty dei diritti umani sulla cui invenzione di una
spia, Caesar, che attribuisce ad Assad qualcosa come 15mila assassinati in
carcere (con foto di soldati siriani uccisi in combattimento!), Washington ha
ora eretto la mannaia di ulteriori sanzioni genocide alla Siria, straziata da 9
anni, per impedire che mangino anche l’ultima pagnotta e ricevano anche solo il
primo mattone per la ricostruzione. Poi, per la gioia dei nostri antifascisti
con chiacchiera e distintivo, gli “Antifa” americani, nel quadro della
rivolta fatta passare per antirazzista, ma coltivata dal Deep State, hanno
creato a Seattle una “libera comune” intitolata a Idlib, quella degli invasori
turco-terroristi, vista come avamposto dell’antifascista Erdogan.
L’iniziativa, grazie al poco pubblicizzato, ma evidente e
decisivo sostegno diplomatico e jihadista del settore guerrafondaio USA (che,
incidentalmente, come ovunque, coincide con quello coronavirale) è in mano al
sultano della mezzaluna a stelle e strisce. Riempita la Libia di mercenari
jihadisti e truppe corazzate, droni e aerei dell’esercito turco, è riuscito a mantenere
in vita i presidi dei Fratelli Musulmani di Tripoli e Misurata, e a respingere
l’Esercito Nazionale Libico, liberatore laico del resto della Libia.
Turchi ante portas
Presente con armi e bagagli in Yemen e Somalia,
collaboratore dello sterminio di questi popoli a fianco dei regimi fantocci
degli USA e a fianco, stavolta, dei sauditi nemici in Libia, ha poi invaso il
nord dell’Iraq. Il pretesto, come per la Siria nordoccidentale, glielo hanno
fornito i curdi. Incurante della sovranità di un paese che, grazie alle milizie
popolari vincitrici dell’Isis, sta riguadagnando un minimo di autonomia e
dignità, ovviamente col beneplacito degli occupanti USA, in difficoltà per i
continui missili che i patrioti iracheni lanciano sulle loro basi.
Sul piano geopolitico, a queste offensive in terra e aria,
ha aggiunto quelle sui mari, dove il nuovo subimpero ottomano si è assicurato,
nell’attonita passività di tutti gli interessati, una striscia di mare tra Asia
Minore e costa libica che vorrebbe in pratica porsi a difesa di tutto il
petrolio e gas dell’immenso serbatoio mediterraneo.
Di fronte a questa davvero colossale operazione espansiva,
a parte borbottii innocui di qualche cancelleria (pensate, noi abbiamo Di Maio!),
non s’è mossa foglia mediatica, né sospiro dell’ONU, o della merkeliana UE.
Neppure quando il turco s’è permesso di prendere a ceffoni l’Italia, cacciando
con una nave da guerra dalle acque internazionali attorno a Cipro, il naviglio
da ricerca dell’Eni. Neppure quando, il 18 giugno scorso, si è arrivati quasi
allo scontro tra Turchia e Francia allorchè una fregata francese, in esercitazione
Nato, è stata oggetto di una manovra al limite dell’aggressione da parte di una
nave turca. Osservava l’operazione, con tranquilla indifferenza, una flottiglia
civile turco-italiana, attiva sulle zone petrolifere.
Tutto questo configura una poderosa strategia
offensiva del caposaldo Nato in Medioriente cui è ovviamente consentito dal
capofila dell’Alleanza, dai suoi subordinati e dal finto opposto teocratico
israeliano (da sempre cogestore del jihadismo terrorista e, anche per questo,
intoccabile) di fare tutti i comodi suoi, purchè diretti contro chi anche all’Impero
grande dà fastidio. In primis, l’Egitto.
Ma che, davvero l’Egitto…?
Ma che, davvero qualcuno pensava che si potesse lasciare l’Egitto,
massima potenza storica, demografica, industriale, laica, della nazione araba,
a costruirsi un futuro più influente, prospero e autonomo e a garantire tale
condizione anche alla sorella Libia? E a fondare tale futuro prossimo sullo
sfruttamento della ricchezza del più grande giacimento marino di idrocarburi
del Mediterraneo, Zohr, davanti alle sue coste? Un giacimento affidato all’italiana
ENI, alla faccia del branco di famelici pronti al balzo, proprio come Shell, BP,
Exxon e le altre nel 1953, al tempo di Enrico Mattei e del nazionalizzatore del
petrolio iraniano, Mohammed Mossadeq? Con quest’altro Mossadeq, Abdel Fattah al
Sisi, portato alla presidenza da una sollevazione di popolo contro il Fratello
Musulmano e amerikano Mohamed al Morsi e che poi, per stramisura, riesce ad
aumentare gli introiti dello Stato raddoppiando in un anno il canale di Suez.
Visto questo scenario, come non chiedersi ciò che il buon
Alberto Negri, campione di ambiguità geopolitica, e tutti i suoi affini non si chiedono?
Se, cioè, questa realtà nel cuore del Mediterraneo, cuneo e transito tra Africa
ed Europa, Asia e Atlantico non potesse destabilizzare l’egemonia, in corso di
attuazione, dell’affidatario ottomano, in nome anche del suo ruolo di pilastro
Nato numero uno nel mondo. Come non chiedersi la ragione di tanta passività,
tanta tolleranza, di tutti gli altri interessati alla cornucopia mediterranea e
come non rispondersi che, al di là dei rimbrotti politically correct,
gli sta bene quello che Erdogan fa e ne sono tutti complici?
Compresi gli apostoli del povero Giulio Regeni “santo
subito”. Per la centesima volta – e chi non vuole intendere, intende benissimo
- io e molti altri riassumiamo la storia, ostinatamente dimenticata, dello
sventurato giovane “ricercatore”. Viene addestrato negli Usa da ambienti dell’Intelligence,
collaboratore della multinazionale dello spionaggio “Oxford Analytica”, diretta
da John Negroponte (squadroni della morte in Nicaragua e Iraq), Colin McColl (ex-capo
del MI6 britannico), e David Young (gestore del caso Watergate), mandato da una
docente di Cambridge, rimasta muta dal giorno del ritrovamento del corpo, a
installarsi nel covo di spie che è l’American University del Cairo.
Prova a contattare sindacati di opposizione,
incappa in un agente governativo, non se ne rende conto, gli offre 10mila
dollari per un “progetto” che s’illude di contrasto al “regime”, in questo modo
si scopre ed è bruciato. Viene ritrovato nel fosso, torturato, nel giorno in
cui la ministra dello sviluppo italiano dovrebbe firmare con Al Sisi accordi
commerciali, oltre a quelli con l’ENI, per, se ben ricordo, più di 4 miliardi
di euro. L’incontro e gli accordi italo-egiziani saltano. Altri subentrano.
Il più bravo nell’intelligence, il più cretino
dei regimi? O il nuovo amico dei russi?
L’operazione Regeni, che, su ovvii suggerimenti di ovvii
suggeritori, viene sussunta dall’intero arco costituzionale italico e diffonde
i suoi virus anche tra i governi alleati, per quattro anni e per tutto il
futuro prevedibile, ne ignora i dati. Però accredita un regime idiota e
tafazziano, per quanto dotato della più agguerrita intelligence della regione,
che avrebbe eliminato una zanzara, facendola poi ritrovare torturata, con il
dito puntato al palazzo presidenziale e rimettendoci accordi di enorme
vantaggio. Su questa base il moscerino cocchiero Alberto Negri, suoi affini in tutti
i media, i consanguinei Amnesty e HRW, fanno un respiro profondissimo, strapieno
di proliferanti virus e, come succede con le nostre mascherine, lo espirano e
sparano contro Al Sisi e il suo Egitto. Che diventa il dittatore più
sanguinario, quello che non deve difendere il suo paese da un’ aggressione dei cari
Fratelli musulmani, sotto forma di terrorismo Isis che decima civili e
istituzioni, ma che incarcera e tortura 60mila oppositori. 60mila conosciuti (da
chi?), perché altri, in massa, spariscono.
Naturalmente Regeni è solo il vessillo dietro al quale marciano
gli ottomani e i loro complici, i gelosi dell’ENI, Israele, gli intolleranti
nei confronti di qualsiasi ruolo arabo non allineato con i satrapi del Golfo
(che di tortura s’intendono molto meglio: vedi gli schiavi massacrati nei
lavori per i Mondiali di calcio nel Qatar), i sostenitori di una Libia in mano
ai tagliagole di Misurata e ai trafficanti di migranti di Tripoli. E,
soprattutto, un Egitto che si allontana dal fare il sussidiario dei suoi
ex-colonizzatori e che naviga verso Mosca.
Chi è storicamente il più pratico di assassinii mirati?
Restano due domande. Come mai il Cairo non esce dalla
tenaglia Regeni e denuncia il complotto? Difficile la risposta, ma neanche
tanto. Uno, forse non ci sarebbero le prove e si scatenerebbe un altro uragano
di accuse, calunnie, boicottaggi. Due, se è vero, come sembra, che entrano in
ballo elementi destabilizzatori stranieri, denunciarli, magari con molti dannanti
indizi, significa entrare in un gioco pericoloso di ritorsioni che
comprometterebbe la posizione dell’Egitto nei suoi complicati equilibri per
preservare agibilità geopolitica, coesione interna, indipendenza e pace. Per
non farsi saltare subito addosso i veri responsabili della tragedia Regeni.
Russia e Cina, amici, ma a ragion veduta
L’altra domanda: e la Russia? Sempre lì che tentenna,
subisce, prova a rimediare, irresoluta. Illudendosi di portare dalla sua parte
chi è ontologicamente legato all’imperialismo. Subisce in Siria tregue con
Erdogan, il quale sistematicamente ne approfitta per rafforzare la presenza sua
e di un’inenarrabile feccia terrorista in Idlib e sabotare ogni sforzo di
liberazione dell’esercito siriano. Tace sulle ininterrotte incursioni
israeliane che aggravano terribilmente il costo siriano dell’aggressione.
Soffre, ma subisce anche, l’iniziativa dei turchi in Libia, sempre nel vano
tentativo di mantenere i piedi in due staffe. Politica della seduzione alla
quale il supposto sedotto risponde a calci da quelle parti.
Del resto, Mosca delude anche i suoi sostenitori, mai
quelli andati in fissa con Putin, allineandosi all’Occidente anche nel modo
demenzial-criminale di affrontare l’operazione globalista del Covid.19. C’è
dentro anche la Cina, si sa. Può darsi che, alla lunga, nessuna classe dirigente
rinunci alla possibilità di conquistare un potere assoluto e definitivo sul
proprio popolo. Anche a rischio di distruggerlo, come il 5G cinese prospetta.
Noi, che proviamo a essere “follower” di
Cartesio, nel confronto-conflitto con l’Occidente, ci schieriamo senza remora e
in misura incondizionata a fianco di questi due paesi. Occidente coloniale,
imperialista, neocoloniale, strutturalmente sadico guerrafondaio, che, in base
a calcoli matematici, prima ancora di quelli morali, sta al “male assoluto”, di
cui si vuole portatore il nazismo, come la bomba atomica sta ai V2. Ciò non ci
impedisce di obiettare ai lockdown e alle altre misure disumane e
totalitarie per un pericolo che è il topolino partorito dalla montagna. O per
un 5G, che è la cosa più genocida mai progettata contro l’uomo, gli animali, le
piante.
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