Per
“Il ringhio del bassotto”, Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
Il ringhio del bassotto: Assange e i pericoli
per la libertà di espressione (con Fulvio Grimaldi)
Qui
si parla in lungo e in largo della vicenda Assange, omicidio bianco
programmato, e della spaccatura tra due mondi in contesa strategica e
definitiva: quello di Assange e il l’antimondo di Navalny.
Altri
ne hanno trattato, anche meglio e sotto le più varie angolazioni. La stampa
mainstream, dal canto suo, che si trova nel secondo dei due mondi citati, del
primo non sa, non vede, non dice, se non per ripetere l’arzigogolo dello spione
– altro che giornalista - al servizio di Putin. Il giornalismo lo concepiscono
così, essendo della razza di quelli che si beccano uno stipendio e buffetti da
mane a sera per ogni servizietto fornito, cioè per fare i ragazzi di bottega di
assassini in marsina, truffatori, mentitori, rapinatori. E, dunque, per
ignorare e diffamare Assange ed elevare sugli altari il qui pro quo russo.
A
me pare che l’imperdonabile, lo scandaloso, l’irrimediabile anche, del lavoro
che ha portato Julian alla tattica della morte strisciante durante 14 anni di
reclusione, senza un raggio di sole o uno spicchio di cielo, non sia stato
evidenziato a dovere. C’erano stati i Pentagon Papers del 1991, le 7000 pagine
delle infamie del Dipartimento della Difesa USA; c’era stata la Commissione
Frank Church, nel 1975, che svelò i fantastici crimini di CIA e FBI contro
nemici, amici, alleati. Ma erano altri tempi. La sconfitta del Vietnam,
agevolata da milioni di persone nelle strade, scuole, università, fabbriche, di
tutto il mondo, perfino le solitamente ligie Chiese, la tuttora incombente
memoria del nazifascismo orrido e stravinto, avevano creato le condizioni.
Favorite anche da un’informazione della quale si poteva ancora dire con
apprezzamento: “E’ la stampa, Bellezza!”
Lavoratasi
ben bene quella, sfoltendola e concentrandola per toglierla dalle mani di chi
la faceva per il gusto di farla, gli editori, e metterla nelle mani di chi
preferiva produrre bugiardini di
accompagnamento ad armamenti, cementificazioni, intossicazioni ambientali e
sanitarie, cibi OGM, automobili e altri generi da plusvalore, il sistema si è
garantito una stampa che si riconosce in Navalny e non conosce, o disconosce,
Assange.
Ma
siccome gli è rimasta la fissa dello scoop, il piacere di epater le
bourgeois, che ancora assicura vendite ed introiti, certi media si sono
potuti fare belli con ciò che gli arrivava da Wikileaks sotto forma di
dispacci, cablo, Sms dell’imperatore. Notizie bomba, ma rivestite della vernice
correttrice dei commenti di chi le pubblicava: giornalacci patentati come il
Guardian, il Washington Post, Le Monde. Organi di servizio con la pretesa
dell’obiettività, grazie all’astuta alternanza di un colpetto al cerchio e un
colpo micidiale alla botte, che se lo potevano permettere, anzi ai quali era
permesso. Giacchè nel conto costi-benefici presentavano pur sempre un bilancio
positivo.
Ma
a Assange no, non si poteva consentire. Assange era andato oltre. Assange aveva
davvero ripetuto, potenziato, il grido del bambino di Andersen che spogliava il
re delle sue sfolgoranti vesti immaginarie: “Il re è nudo”. Come? Facendo
arrivare direttamente a tutti noi e a chi di dovere i fatti nudi e crudi. I
LORO fatti, senza nulla aggiungere, in termini di interpretazione, commento,
condanna, approvazione, qualcosa di esterno, di ideologico. Fatti
irreversibili, irrimediabili, non cosmetizzabili.
I
video di chi mitragliava per divertimento giornalisti Reuter e passanti, il
numero di quanti venivano fatti fuori, a migliaia, perché s’erano avvicinati
troppo al posto di blocco, chi a
Guantanamo era dentro per niente e per niente per anni veniva orribilmente
torturato, Hillary Clinton e del suo direttore di campagna John Podesta, che,
con interlocutori sovrani in Qatar o Arabia Saudita, organizzavano un’armata di
terroristi Al Qaida-ISIS con cui pretendere di combattere orribili dittature e,
invece, da usare per abbattere governi e distruggere paesi. Proseguendo nella
strada aperta dai Neocon a partire da
Ground Zero. Strumento fondamentale per la riconquista del mondo all’insegna
della “Guerra al terrorismo” radicata in quella medaglia d’oro di tutte le
False Flag
C’era
poco da sfrucugliare: quelle erano le chat di Hillary, quello il cablo del
Pentagono, quella la direttiva del presidente del Comitato Elettorale
Democratico, quello l’ordine di assassinio extragiudiziale di Obama, quella la
descrizione di come operare il waterboarding a Guantanamo, quello il documento
sulle regole d’ingaggio per i massacri di civili in Afghanistan, quelli tutti i
dispacci diplomatici che ordivano intrighi, complotti, delitti da occultare
sotto le apparenze.
Attivando
il filo diretto tra criminalità organizzata politica e umanità inconsapevole,
ma con il pieno diritto - e la massima opportunità – di sapere, per regolarsi,
Assange con Wikileaks aveva stracciato il velo di Maia, l’immunità che
garantisce l’impunità dell’élite e, quindi, la sua licenza autoconcessa di dominare
il 99% dell’umanità a tutti i costi e con qualsiasi mezzo. Aveva inflitto un
colpo mortale a un sistema rivelato pronto a tutto, tutto, tutto, pur di tenere
in piedi l’aberrazione contronatura del dominio di pochi delinquenti sulla
totalità di noi tutti. Colpo mortale che merita la morte.
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