mercoledì 14 agosto 2024

NEL NOME DI IPAZIA: DAL FIUME AL MARE

 


 

Canale Youtube di Fulvio Grimaldi:

Da Elena Basile alla Palestina “dal fiume al mare”, da Kutsk al Venezuela

https://youtu.be/P5fHolraM_o

https://youtu.be/P5fHolraM_o https://youtu.be/P5fHolraM_o

 

Byoblu, “Le Interviste”,

Edoardo Gagliano intervista Fulvio Grimaldi sull’incursione ucraina in Russia nel contesto dei fronti aperti in Medioriente

https://www.byoblu.com/2024/08/13/la-russia-ha-la-guerra-in-casa-fulvio-grimaldi/

 

 

“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, Elena Basile?

Stimo e seguo con vero affetto Elena Basile, scrittrice, ex-ambasciatrice e analista geopolitica. Mi è cara per la nobiltà formale e sostanziale dei suoi interventi sul Fatto Quotidiano e altrove. Interventi segnati da accurata conoscenza dei fatti, dei contesti, dei retro- e avanterra, sempre percepiti e trasmessi con la sapienzialità fiorita dall’esperienza e suonata con l’archetto della sensibilità umana.

Elena, o Ipazia, come agli esordi significativamente sul FQ si pseudonomizzava. Ipazia, filosofa e grande scienziata, martire della civiltà greco-pagana, quando con Costantino e poi con Teodosio, il monoteismo imperiale cristiano si fece spietato giustiziere della classicità, dei cui monumenti e opere non lasciò che lo 0,1%. Ipazia fu assassinata insieme alla Biblioteca di Alessandria, massima custode del patrimonio intellettuale di secoli, data alle fiamme dalla turba inconsapevole scatenata dal vescovo Cirillo. Una specie di rivoluzione colorata, di quelle alle quali reca omaggio Franco Fracassi con il suo documentario “La Fabbrica delle Rivoluzioni”.

Detto tutto questo, mi posso anche prendere la libertà di afferrare una matita rossa e tracciare un grosso frego sotto una frase inserita in un suo articolo sul FQ dell’11 agosto scorso.

Si tratta delle parole di commento alla sentenza di un tribunale tedesco contro… “ i manifestanti pro-Palestina che hanno gridato l’atroce slogan ‘Palestina libera dal fiume al mare’, implicitamente condannando Israele alla distruzione, esattamente come il Likud e Netaniahu non riconoscono la Palestina e teorizzano l’espansione di Israele.

No, Elena Basile, mia strepitosa collega, la parola d’ordine gridata da quei manifestanti a Berlino, come da tutti i palestinesi, come da 450 milioni di arabi (al netto delle 4 o 5 migliaia di satrapi e famigli nel Golfo), da 1,7 miliardi musulmani, come da milioni di altri nel mondo, non è atroce, né condanna chi non merita di essere condannato. E’ equa e giusta. Storicamente, politicamente, moralmente. Atroce, iniqua e ingiusta, è quell’altra, “Israele dal Nilo all’Eufrate”, legato biblico riesumato e inscritto su quella terra con il sangue di chi non chiede altro che restarvi e condividerla. Vedi Marwan Barghouti, segretario legittimo di Al Fatah, leader palestinese in carcere con cinque ergastoli, la cui liberazione è oggi in vetta alla lista dele condizioni avanzate da Hamas: “Siamo qui, palestinesi e ebrei, e qui resteremo” (da una mia intervista nel documentario “Fino all’ultima Kefiah!”). 

Nessuna organizzazione palestinese chiede la distruzione del popolo ebraico. La rimozione dello Stato Sionista dell’Apartheid, sì. Il modello è il Sudafrica, dove la giustizia è stata possibile dopo due secoli di apartheid colonialista. Che da questa sorga lo Stato unico, democratico e plurale di Palestina, come ritengo debba essere un futuro vivibile, o ne discendano i due Stati monoetnici, però di pari voce, dignità e diritti, saranno gli eventi a determinarlo. Possibilmente senza interferenze di istanze colonialiste.

E neanche l’Iran ha teorizzato la distruzione di Israele. Anche in questo caso, ciò di cui si nega la legittimità è lo Stato sionista dell’Apartheid e la negazione dei diritti palestinesi. A questo proposito, è istruttivo fare un confronto tra quanto l’ipocrisia occidentale esige a gran voce da Tehran, cioè di astenersi dalla risposta al crimine terrorista israeliano, e il riguardoso silenzio osservato nei confronti di quegli stessi crimini israeliani. Ed è ancora più significativo l’esempio che ci offre l’Iran quando ipotizza la rinuncia alla sacrosanta ritorsione in cambio di un cessate il fuoco che preservi i palestinesi dalla totale eliminazione. Quando da noi in Occidente si ciarla di solidarietà umana non si ha un cazzo di idea di cosa si vada parlando. Si provi ad ascoltare l’Iran.

Nel video sul mio canale Youtube sottolineo ancora una volta l’estrema pericolosità della fase che stiamo vedendo evolversi. Il culto di morte da setta antropofaga che caratterizza il centro e la periferia dell’Occidente politico e che prova a coinvolgerci con sempre maggiore ferocia e impegno manipolatorio, ha ora affiancato ai fronti aperti in Europa e Medioriente, un terzo, latinoamericano.

Qui è in atto un’offensiva che coinvolge diversi paesi da “recuperare”, a partire dal boccone principale, il Venezuela, titolare della più vasta riserva energetica del pianeta e portatore di un modello politico, sociale, istituzionale, incompatibile con gli interessi del neocolonialismo euroamericano e dei suoi centri di potere: i grandi fondi di investimento e gestione che hanno in mano la finanza del mondo e che, osservazione incidentale, ma non banale, casualmente compongono una rete che casualmente professa le stesse credenze religiose e globaliste dei millenaristi insediatisi in Palestina.

Una banda di scappati, non da casa, ma dal manicomio criminale, questa setta del culto della morte, avvoltolata nella sua sua pre- e post-umana matrix biblica, cerca di favorire il suo rientro nella Storia, da dominus legibus solutus, attraverso la pratica di sacrifici umani su scala planetaria. E’ il sogno vampiresco di sopravvivere alla propria dissolvenza grazie al furto della vita altrui.

La vittoria in Venezuela, come in Bolivia, Nicaragua, Honduras, Cuba, Messico, Brasile, ora anche Colombia, di istanze popolari, più o meno fedelmente interpretate e rappresentate, ha innescato l’ennesimo tentativo golpista, sproporzionato come tutti i precedenti (di quello del 2002 ero stato testimone, vedi il documentario “Americas Reaparecidas”), rispetto alla determinazione di un popolo che sa benissimo cosa rischia di perdere nell’ipotesi di un ritorno dei gringos e dei suoi corifei locali (in notevole quota italiani, arrivati quando la borghesia compradora locale invitava al banchetto gli amici).

Sul Venezuela, nella foga di riaprire una partita che ripetutamente è stata persa, vedi la barzelletta Juan Guaidò, riconosciuto presidente senza avere neanche il sostegno di mezza compagnia di fanteria, i ventriloqui del pupazzetto Biden non temono di precipitare oltre il ridicolo. Gli hanno fatto fare la promessa a Maduro di un’ ”amnistia”, purchè rinunci alla sonante vittoria, documentata da controlli senza pari nel mondo (li illustro nel video) e si rifugi nella colonia Panama, prontamente dichiaratasi disposta a garantire all’usurpatore asilo politico.

Così Biden concede la grazia a un presidente a condizione che ignori e tradisca la volontà espressa dalla stragrande maggioranza dei suoi cittadini e affidi paese e popolo a chi ne disponeva negli anni della spoliazione imperialista e a chi quel popolo ha dissanguato e fatto morire a decine di migliaia a seguito di sanzioni tra le più feroci ma imposte. Sono ridicoli e hanno la faccia come il culo.

L’aggressività dell’apparato bellico globalista arriva a vertici senza precedenti. A fronte del terrorismo sionista, pronto ad affiancare al genocidio palestinese una campagna di assassini mirati extragiudiziali, sul modello di quelli inaugurati da Obama con la sua firma sotto un settimanale elenco CIA di “sospetti” da liquidare, c’è l’impresa del sicario ucraino. Un regime nazista (i cui rappresentanti militari AZOV stanno in queste settimane compiendo una tournee di autopromozione in vari paesi democratici europei) nato dal colpo di Stato mandato dagli USA e condiviso dall’UE, fallito il tentativo di far fuori a cannonate un segmento della propria popolazione restia al fascismo, prova ora ad avventarsi contro chi quel segmento era entrato a difendere.

L’incursione in territorio russo, sotto evidente comando NATO (contractors e militari) dei disperati rastrellati dal sicario sotto la minaccia di botte, carcere, torture e fucilate, non avrà conseguenze sui rapporti di forza tra le parti in campo. Rientrerà, ma avrà sancito un principio mai neppure rasentato, per quanto vagheggiato fin dal 1945 trumaniano e atomico: la Russia, URSS o altro che sia, può essere attaccata, invasa. Anzi, deve.

Non c’è dubbio che finirebbe come con Napoleone e con Hitler. Ma il tabù è stato rimosso. E sul vuoto di tabù vedremo lanciarsi a tuffo domestici, famigli, garzoni, fattorini, valletti, sottopancia e tirapiedi che popolano e commentano i risultati delle nostre libere elezioni. Gliene verrà in termini di sopravvivenza politica, prosperità economica, licenza di malaffare e profitti di guerra.

Senza calcolare quanti inconfutabili pretesti la società di guerra, le mobilitazioni, il nemico ti ascolta, il filoputinismo, le fake news, le False Flag, gli attentati qua e là, offrano per concedersi di spazzare via quanto di Costituzione, di diritti, di voce, protezione sociale, ci è rimasto dopo il passaggio del Covid e dei vari Russiagate.

Il nuovo duce promessoci dal premierato è solo l’antipasto. E nessun par.e accorgersene

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