martedì 5 novembre 2024

Baraccone USA: Più gente entra più bestie si vedono Bolivia: c’era una volta Evo America Latina: ritorno e andata Contro le alluvioni fate le guerre

 


In SPUNTI DI RIFLESSIONE di Paolo Arigotti: “Il ringhio del bassotto”, con Fulvio Grimaldi:  Dalla Bolivia che si dilania, all’America Latina sull’ennesimo crinale tra liberi o predati- https://youtu.be/6Ln3Hy_AeuA

In CALEIDO  Francesco Capo  intervista Fulvio Grimaldi: Miliardi alle armi, spiccioli all’ambiente, BRICS: Lula contro Maduro, Nordcoreani pretesi a Kursk, NATO per davvero in Ucraina. https://www.youtube.com/watch?v=58PLDMnqt4c  https://youtu.be/58PLDMnqt4c

QTV, Alluvionati armatevi e affogate,  baracconata delle elezioni, Medioriente carta vince carta perde, Ucraina… perde, Legge Bilancio:  chi piange e chi ride

https://www.quiradiolondra.tv/live/  martedì e venerdì alle 20

 

il dato è questo, al di là di quello che uscirà dall’indecente e fuorilegge baraccone elettorale statunitense: l’establishment dal quale nell’Occidente politico veniamo maltrattati e turlupinati è a favore del rigurgito di Biden, Kamala Harris con un accanimento che rende moderato il fanatismo tifoide della curva ‘ndranghetista dell’Inter. Di quanto di più maleodorante inquina la vita del cittadino e della nazione all’interno del perimetro di quanto pomposamente e grottescamente si definisce la “COMUNITA’ INTERNAZIONALE” (con tutte le maiuscole, come la SCIENZA, definita tale dal concerto farmaceutico-climatico-oligarchico), ogni singola cellula tumorale sostiene Kamala, vale a dire il nulla-con-la dentiera da cavallo drogato.

Si va da Mentana a Mieli, da Renzi a Conte, dal mafioso al parroco, dal finto socialdemocratico e vero piddino a quella che, scordatasi la cresima ricevuta mentre l’organo tuonava “Dio stramaledica gli inglesi” (e gli ebrei), si fa baciare in fronte dal rintronato sostenitore di due genocidi e, se avesse fatto in tempo, di una terza guerra mondiale. E poi naturalmente tutta la créme de la créme che suole prendere il tè a Davos o negli alberghi a 25 stelle di Bilderberg.

Questo nel nostro piccolo, riguarda i ratti che marciano verso il burrone al suono del piffero. Quanto ai suonatori, che frenano prima del burrone, ci sono tutti quelli che già una volta erano riusciti a imbrogliare le carte, meglio le schede, per garantire la prosecuzione del modello lanciato l’11 settembre del 2001: quello della famiglia di Jack-lo Squartatore-Cheney, fisiologicamente transitato nel partito che i genocidi li ama e li pratica con maggiore frequenza e convinzione.

Tutto questo per lo spettatore, legato dai media alla poltrona di ferro in platea, è come l’Atellana che, nel teatro romano antico, era la farsa ridanciana finale, che doveva farti riprendere dopo le psicomazzate inflitteti dalla Tragedia nella prima parte dello spettacolo.

Al di là di queste piacevolezze, libabili tra le offerte votive che vi propongo nelle sopraelencate trasmissioni, potete, cari ragazzi, ora riuniti con me sotto l’ombrello della consapevolezza che sta piovendo fango peggio che a Valencia, constatarne natura, dimensioni ed effetti collaterali.

Dell’America Latina, continente con 700 milioni di, perlopiù simpatici e assennati, abitanti e più ricchezze naturali di quante Creso abbia mai potuto sognare, né il Programma del Nuovo Secolo Americano (PNAC=11 settembre) di Obama, Cheney, Biden annettersi, i nostri politici e mediatici si curano una cippa. A fatica sanno che ci sia e dove. Ogni tanto gli viene di battere le mani quando il dollaro, armato di golpe e dittatori, vi tenta una qualche incursione. Ultimamente un paio di volte in Venezuela, ogni due per tre, invano, a Cuba (a proposito: all’ONU 187 paesi hanno votato per la trentesima volta contro l’embargo USA a Cuba. A favore solo USA e Israele (convinti che far morire di fame popoli faccia bene alla salute della democrazia). Astenuta la Moldavia, testè messasi a disposizione nel lupanare UE.

E pensare che da quelle parti c’è tanto litio da alimentare più macchine elettriche e congegni elettronici di dieci pianeti come il nostro. Cosa che forse è all’origine di uno spiacevolissimo scazzo che lacera da mesi la nobilissima componente dello schieramento antimperialista che è la Bolivia. Superati brillantemente tutti golpe allestitivi nei secoli dagli USA, stabilitovi nel 2006, e io lo vidi succedere, un governo sovrano rivoluzionario con a capo un indigeno, Evo Morales, oggi siamo all’autogolpe.

Nel senso che Evo, superati i tre mandati tra il 2006 e il 2018, scampato con la – non edificante -  fuga in Messico alle cattive intenzioni dell’ennesimo colpo di Stato USA, trovatosi al ritorno un valido successore, Luis Arce (valido economista di tutti i suoi governi), democraticamente eletto, non ha voluto rassegnarsi alla sua stessa Costituzione che gli inibiva ulteriori mandati. E ha iniziato a fare casini utilizzando il suo proprio retroterra: i Quechua e gli Aymara, eminentemente contadini cocaleros.

Ha preteso di essere candidato unico alle elezioni presidenziali del 2025 e, visto che le istituzioni glielo negano, ha allestito la spaccatura del suo partito, MAS (Movimento al Socialismo), tra blocco Evista e blocco Luisista, ha lanciato una gigantesca marcia su La Paz, poi posti di blocco che hanno fermato il paese e la sua economia. Affrontato dalle forze dell’Ordine gli ha sparato. per poi fingere di essere stato vittima di un tentativo di assassinio. E Infine, non essendo riuscito a smontare Arce dalla presidenza, si è buttato sullo sciopero della fame, sulla profferta di dialogo (prima negato) e sulla richiesta di mediazione di paesi amici. Lo stallo perdura, ma Evo pare aver esaurito le cartucce.

A essere maligni, ma occhiuti, si può intravedere all’orizzonte il luccichio delle immense distese boliviane di litio, le più grandi del mondo il minerale dell’ennesima rivoluzione industriale, questa sì, globale. Chi ne incamererà i benefici politici ed economici?  Intanto Luis Arce lo ha nazionalizzato e ne ha concesso la gestione ai cinesi. Chi se ne avvantaggerà? La rivoluzione?

Prima di risalpare in senso contrario al Colombo foriero di sventure senza fine e provare a non affondare nelle sabbie mobili nostrane, salutiamo con sincera passione il resistente Nicolas Maduro del Venezuela, l’insostituibile (alla faccia di USA e Vaticano) Daniel Ortega, ma non ci facciamo mancare uno sberleffo all’Erdogan dell’America Latina, neopresidente brasiliano Lula da Silva. Andatosi a prendere l’OK di Biden, prima visita dalla sua rielezione, se lo è ulteriormente ingraziato con una mossa davvero epocale: il veto al Venezuela per la partecipazione al BRICS in Russia.

Fatta la figuraccia, ha cercato di attenuare attribuendo l’iniziativa a un oscuro diplomatico. Figurarsi! Anche perché solo pochi mesi prima aveva condiviso con gli yankee e Corina Maria Machado, la sostenitrice del golpe yankee di Juan Guaidò nel 2018, la farsa della vittoria alle presidenziali venezuelani del vecchio detrito coloniale Edmundo Gonzales.

Ancor prima che si aprissero le urne, aveva vantato la propria vittoria per il 60% contro il 30% di Maduro. Naturalmente, dalle nostre solite parti, nessuno ha riso. Tantomeno Mentana o Mieli

 

 

 

 

 

 

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