Messico
vince, Bolivia perde, Venezuela resiste, fascismo in Argentina
AMERICA
LATINA, L’ALTRO CONFRONTO
“Il ringhio del bassotto”, Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=WIiHA68hwQ8
Non solo Ucraina, Medioriente e Taiwan. L’impero sta al
resto del mondo come i bizantini nel 1453 stavano agli ottomani. Con qualche
mezzo militare, qualche vassallo e qualche potere manipolatorio in più.
In Latinoamerica, dopo gli episodi isolati di Cuba e del
Nicaragua, si potrebbe dire che, a spanne, siamo alla Fase Tre. Abbiamo, nella
seconda metà del secolo scorso, la fase dei primi fermenti di rivolta
antimperialista con i movimenti guerriglieri alla Tupamaros, schiacciati nel
sangue dalle dittature imposte con la kissingeriana Operazione Condor. Poi la
fase della risposta rivoluzionaria partita dal Venezuela e diffusasi in quasi
tutto il subcontinente. Oggi sembra si possa dire che siamo al terzo capitolo
della guerra tra colonialismo ed emancipazione. In senso tennistico, come usa
oggi, stiamo a tre set a due con i giocatori sul 3 a 3. La partita resta
aperta.
In Perù un golpe propiziato dalla Generale Laura Richardson,
Comandante SUD degli USA, ha messo al potere la parlamentare Dina Boluarte e ha
chiuso in carcere il legittimo presidente progressista Pedro Castillo. In Ecuador,
dopo il golpe contro Raffale Correa, si succedono presidenti che disfano quello
che Correa aveva fatto in termini sociali e di liberazione dei ceppi yankee. In
Argentina, con la demenziale elettrosega Javier Milei, siamo alla catastrofe
sociale (58% di poveri assoluti) attraverso una privatizzazione di tutto, Banca
Nazionale copmpresa, la coatta adozione delle ricette del FMI, una feroce
repressione popolare, una stretta alleanza con Biden, Netaniahu e… Meloni.
Nell’ambiguità viaggiano i presidenti di Cile e Brasile. Il
primo, Gabriel Boric, presidente dal 2022, devoto alla tradizione economica e
antidemocratica dei predecessori post-Pinochet. Il secondo, il ripetente Lula,
scampato alle imputazioni di corruzione, come la “successora” Russeff, fa la
sua prima visita da neopresidente a Biden, omaggiandolo capo del primo partner
di Brasilia, successivamente pone il veto alla partecipazione al vertice dei BRICS
in Russia di due paesi antimperialisti e socialisti, Venezuela e Nicaragua e
sul primo condivide la campagna USA di presunti brogli nelle ultime elezioni
generali e presidenziali. Poco significa, in questo contesto, il formale
sostegno ai palestinesi.
Note positive, invece vengono dallo stesso Venezuela, netto
vincitore delle elezioni assicurate dal sistema elettorale più trasparente e
preciso del Mondo (Centro Carter) e dall’enorme concorso di folla avversa alle
ennesime mire golpiste dell’opposizione. Di grande risonanza a Caracas, anche
il convegno mondiale antifascista.
Lo Stato sandinista di Daniel Ortega resiste agli incessanti
tentativi di destabilizzazione e sovversione, con attori i soliti colorati
filo-USA, rappresentanti dei residui ceti padronali e, con particolare
accanimento, la Chiesa cattolica. Si avvicina il momento in cui il Nicaragua
sarà attraversato da un nuovo canale tra Caraibi e Pacifico, con grave scorno
del Panama e di chi né esercita il padrinaggio.
In Messico, con la recente elezione di Claudia Sheinbaum
alla successione di AMLO, Andres Manuel Lopez Obrador, primo vero rinnovatore
delle tradizioni rivoluzionarie e sovraniste di Juarez, Zapata, Villa, Cardenas.
Con Obrador, il Messico ha iniziato la sua faticosa uscita dalla presa letale
dei Narcotrafficanti, di cui i suoi predecessori e pezzi di magistratura,
polizia ed esercito erano manifesti complici e benficiari.
Un compito che ora la sua compagna nel partito nazionalista
e progressista “Sigamos Haciendo Historia”, Sheinbaum, vincitrice delle
presidenziali con il 57% contro il 31%, va perseguendo. Adesione ai BRICS,
ricupero delle risorse naturali (petrolio, litio) attraverso nazionalizzazioni,
riconoscimento dello Stato di Palestina, netto rifiuto alla manomorta statunitense,
le cui banche cessano di essere alimentate dal narcotraffico messicano, sono il
segno della continuità antimperialista.
La situazione più drammatica e a rischio di ritorno ai tempi
bui della successione di colpi di Stato e dittature, sotto sponsor USA, è
quella di un faro della lotta di liberazione anticoloniale latinoamericana. La
Bolivia, per la quale si è sacrificato il più grande eroe del Continente, Che
Guevara, e che vent’anni fa era stata ricuperata al suo cammino di sovranità ed
emancipazione economico-sociale da Evo Morales e dal suo Movimento al
Socialismo (MAS), va rasentando da oltre un anno la guerra civile.
Evo Morales, subito nel 2019 un colpo di Stato reazionario
dagli storici terratenientes di Santa Cruz, la parte meridionale e più
arretrata del paese, era fuggito in Messico e aveva abbandonato il suo paese, e
specialmente la componente indigena, sua base di forza, alla feroce repressione
dei golpisti. Rientrato, dopo che un sollevamento popolare, espressosi poi
anche nel voto del 2020, aveva sconfitto il disegno yankee e posto
democraticamente alla presidenza il creolo Luis (Lucho) Arce, suo valido
ministro dell’economia dal 2006 al 2017, Evo aveva voluto candidarsi, contro
Arce, per il 2025, a un quarto mandato presidenziale, non ammesso dalla
Costituzione.
L’improvvida iniziativa ha provocato una profonda
lacerazione nel MAS, come nelle organizzazioni civili e nei sindacati, finendo
con il contrapporre “luisisti” ed “evisti”, con episodi eversivi che vedono
contrapposti i due fronti anche sul piano fisico. Evo, a partire dalla sua
roccaforte di Cochabamba, terra dei cocaleros, organizza posti di blocco, marce
nazionali sulla capitale La Paz, finge di aver subito attentati. Arce risponde
con la mobilitazione delle istituzioni. Ora siamo allo sciopero della fame di
Morales e alla sua invocazione di una mediazione dei governi amici: segno di
debolezza.
La vicenda è tragica, visto il ruolo positivo che per due
decenni questo paese ha svolto dal cuore del continente, a fianco di Cuba,
Venezuela, Nicaragua, Honduras, Messico e altre nazioni sovrane del Cono Sud.
Evo Morales sembra un leader sopravvissuto al suo tempo e che non si rassegna a
un cambiament che a molti risulta fisiologico. Qualcuno ha l’occasione di
pescare nel torbido.
Nel video il resto e la mia esperienza in Latinoamerica.
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