Conflitto sociale contro guerre, guerre contro conflitto sociale
“TUTTO IL MONDO STA ESPLODENDO…”
Canale
Youtube di Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=YqyZn-bORJc
“Eve of Destruction” (Era della distruzione, 1965) di
Barry McGuire, nella versione di Lotta Continua del 1970: “Tutto il mondo sta
esplodendo”. https://youtu.be/qQ0VPHdtcHA
Ho sbraitato alcune frasi sconnesse, come suole, dal
soundsystem mobile della Resistenza palestinese, sul quale alcuni compagni
generosi avevano voluto issarmi. Per questo mi permetto di integrare e dare un
po’ di senso a quanto da lissù mi è stato concesso l’onore di gridare.
La manifestazione dei 30.000 per la Palestina – e non solo
- sulla quale i soliti burloni da
strapazzo del baraccone fascistoide hanno voluto inventarsi che sono stati
inquinati da episodi di “cretini violenti” (copyright del solito cretino dei
Trasporti), ha avuto un significato di una portata enorme. Non so in che misura
tutti noi e chi ci ha osservato da vicino e ci ha sentito e letto da lontano, abbiamo
saputo accorgercene. Vorrei darne una veloce lettura.
Ma prima voglio, pur nella felice leggerezza e nel ricco
stimolo alla riflessione regalatici dal formidabile corteo, precisare una cosa.
Mi aggiro dalle parti della Palestina da 60 anni. Ne ho conosciuto gli eroi e
le vittime di un genocidio che dura dal 1947. Ne ho anche condiviso il
combattimento. Ne ho osservato i pochi accondiscendenti allo stato delle cose
imposto dai carnefici, chi si accomodava sullo strapuntino a reggere il moccolo
per quelli in poltrona muniti di pallottole e bombe, e a spegnerlo per quelli
rimasti fuori.
Ebbene, ve ne erano, all’insaputa dei più, bene manipolata,
anche alcuni che su questa manifestazione di intrepidi e integri ha voluto
mettere un suo berrettino. Poco male, Gaza, la Palestina, una storia di
irriducibile vita all’insegna del giusto, del bene, del bello, sono diventati lo
spicchio romano del cielo che si va allargando sul mondo, il sangue nelle sue
arterie.
Ai miei tempi c’era chi ripeteva, fino a provare a sfinirci
tutti, “Unità – unità – grande unità”. Magari non ci sfinì, perché eravamo
molto lucidi allora, ma impedì che si sfinissero loro, quelli muniti di
gendarmi e di false flag (anche se allora si chiamavano diversamente: terrorismo
di Stato, nero o “rosso”). Noi rispondevamo: bella l’unità, forte l’unità, ma
dipende con chi e per cosa. Quello è il criterio.
Nel corteo spiccavano le facce e i comportamenti, oltre a
quelle dei fratelli palestinesi, di una rappresentanza di italiani, mai così
folta, dei ceti aggrediti e calpestati, proprio come, in altro contesto e con
altre modalità, vi sono e lottano altri aggrediti e calpestati Calpestati,
stavolta, fino a essere schiacciati a morte, palestinesi, libanesi, siriani,
yemeniti, iracheni, arabi in lotta.
Popoli proletari, voluti deboli e impotenti, qui rappresentati
da ragazzi, donne, uomini voluti deboli e impotenti. Quelli della guerra
fasciocapitalista ai proletari, sottoproletari, ceti medi impoveriti e
minacciati in quanto gli resta (e gli è tolto) di benessere, democrazia,
autodeterminazione, pace.
Contro la guerra, conflitto sociale. Anche nell’accostamento
con lo sciopero generale del giorno prima, indetto da tutti, storici e di base,
tranne da uno perennemente quinta colonna, e riempito di contenuti dai milioni
che gli hanno dato corpo, finalmente, dopo trent’anni che i grandi sindacati
erano, un po’ come certi collaborazionisti a cui sopra si è accennato, solo
chiacchiere e distintivo.
Conflitto sociale contro la guerra, da ribaltare il
paradigma, dettato dall’eterno nemico, della guerra contro il conflitto sociale.
Tutto era placido e ordinato, da noi nei primi decenni del
dopoguerra. Poi partì una rivoluzione mondiale, simboleggiata dall’Algeria afro-araba
e culminata con il Vietnam asiatico, con forti scossoni in America Latina. Ci
mostrò che potevamo, anche noi, procedere da svegli e coscienti, a condizione
di lottare, nelle piazze come loro nelle trincee. Dalle guerre di liberazione,
dall’averle conosciute e sostenute, imparammo di affiancarvi il conflitto
sociale. E fu in tutto il mondo il decennio ’68-’77. E ovunque le gerarchie
cambiarono e chi era subalterno e rassegnato maturò una nuova consapevolezza di
sé, degli altri e dei padroni.
Oggi succede la stessa cosa a fattori invertiti, ma il risultato
promette di essere quello. Allora era la decolonizzazione e l’antimperialismo e
l’anima si chiamava Vietnam. Oggi è la decolonizzazione e l’imperialismo e l’anima
è la Palestina. La guerra dei padroni vorrebbe essere quella della rivincita, i
popoli rispondono con la resistenza, noi con il conflitto sociale. Di classe.
Di popolo.Tutto il mondo sta esplodendo.
Mi sembra che dalla magnifica giornata romana di sabato 30
novembre 2024 si possa trarre questa conclusione.
Grazie Palestina, libanesi, arabi in lotta. Ce n’est che
le debut.
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