Fratelli Musulmani, il nostro agente a Damasco
LA PRESA
ALLA GIUGULARE ARABA
“CALEIDO, il mondo da angolazioni diverse”. Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi
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Ha cominciato Goffredo da Buglione, nel 1099, prima
crociata, col massacro dei musulmani a Gerusalemme. Ha proseguito Riccardo Cuor
di Leone, nel 1189, Terza Crociata, con la strage di 3000 musulmani, uomini,
donne, bambini (Saladino non aveva toccato capello alla popolazione cristiana).
E poi, via via, altre crociate, fino a Lepanto, fino al Kosovo, alla Bosnia.
Fino alla Palestina, al Libano, all’Iraq, alla Libia. Fino a Damasco.
Non so se l’Occidente cristiano abbia potuto avvalersi,
nelle sue millenarie crociate, di una quinta colonna araba, accreditatasi tra
gli eterni aggrediti grazie alla comune religione. Fede consistente, al pari di
gran parte delle religioni, in una
paccottiglia di superstizioni finalizzate al potere, ai massacri di genti da
eliminare e di terre e risorse da predare.
Stavolta, però, di una simile quinta colonna abbiamo
l’evidenza addirittura autoproclamata e dagli aggressori riconosciuta e
celebrata: i Fratelli Musulmani. Creata nel ventennio del secolo scorso a
Londra, costruita la sua base nell’ Egitto, protettorato britannico, con
l’intento del colonialismo in crisi di opporre una forza e una motivazione alla
travolgente crescita della coscienza nazionale araba, quella già del Saladino,
poi compressa da bizantini e ottomani, la Fratellanza Musulmana ha coronato il
suo percorso con il trionfo in Siria.
Imponendo ai colonialisti in ritirata la propria costituzione
in singole nazioni libere, sempre puntando lo sguardo all’ambita unità, dal
Golfo Persico all’Atlantico, di popoli accomunati da visione, volontà, storia,
lingua, religione, cultura, gli arabi erano riusciti a scippare all’ennesima
“crociata” europea le spoglie dell’impero ottomano.
La quinta colonna, mimetizzata nella forma islamica più
radicale per sedurre grazie a un più militante contrasto con il colonialismo
degli “infedeli”, viene messa all’opera allora. Subisce una lunga serie di
rovesci grazie all’affermazione, qui come in altre parti del mondo colonizzato,
delle istanze nazionali e alla cacciata dei propri sponsor europei, poi
atlantici, poi euroatlantici. Accende focolai eversivi da Bengasi in Libia, a
Hama e Daraa in Siria, destabilizza o recupera al neocolonialismo regioni africane
come il Sahel o la Nigeria, si afferma al potere in Sudan, però in versione
anti-occidentale e, brevemente, in Egitto con Mohamed Morsi. Qui l’ormai
consolidata coscienza laica lascia al presidente fratello musulmano appena 12
mesi di dittatura della Sharìa, accompagnata a una feroce repressione di
lavoratori e della comunità cristiana copta.
Al suo successore, laico e votato al multipolarismo,
frequentatore di Mosca e sostenitore del legittimo governo libico esiliato a
Bengasi, hanno buttato tra i piedi una rivolta jihadista nel Sinai e, con
riferimento all’ENI, il corpo di Giulio Regeni.
Abbiamo ben presente la Libia mandata al macero
dall’aggressione NATO innescata dalla sollevazione di bande jihadiste nell’Est
del paese e poi affidata allo stesso brigantaggio terrorista per la rapina
delle risorse energetiche, la balcanizzazione del paese, il controllo, quanto
meno, della capitale e la gestione di un’emigrazione, se non coatta, quanto
meno indotta.
In Iraq questo mercenariato della riconquista coloniale, in
presenza di interventi militari diretti (gli ultimi, ad oggi, in prima
persona), si è limitato a svolgere la funzione della sussidiarietà. Ha assunto
la forma del presunto nemico (lo Stato Islamico) contro cui intervenire per
aver modo di bombardare a morte il paese, al tempo stesso sostenendo gli
infiltrati dall’aria con rifornimenti di armi e mezzi.
Al termine del primo decennio di questo secolo, il conflitto
tra l’Occidente della “remontada” colonialista e il resto del mondo trova i
suoi spazi operativi nell’ eliminazione dei titolari delle risorse energetiche.
Alla faccia dei giochi propagandistici, di distrazione di massa e di ingegneria
sociale, attorno al cambiamento climatico e alle “rinnovabili”, si recidono i
legami energetici, gasdotti ed oleodotti, tra Russia ed Europa. Legami
oltretutto tali da consolidare, in negativo per l’Impero, i rapporti tra un
nemico da disintegrare e un nemico da rendere innocuo sul piano geopolitico ed
economico.
In Medioriente la quinta colonna della Fratellanza Musulmana
è al potere con i tiranni reali della dinastia Al Thani (parto britannico) in
Qatar e con Erdogan (massima – e leale - colonna Nato fuori dagli USA) in
Turchia. Viene attivata nel momento dell’offensiva anti-russa e anti-europea in
Ucraina. Offensiva che vede l’Europa dissanguarsi nell’inutile armamento
all’Ucraina e perdere le fonti del suo benessere, sviluppo e ruolo, con
l’esplosione CIA dei gasdotti nel Baltico.
A Sud, operando nella stessa direzione, i Fratelli Musulmani
di Qatar e Turchia avevano attivato la pipelina dall’Azerbaijan attraverso
Turchia e Grecia (Nato) al Salento in Puglia (TAP) e tentato di creare l’altra,
dal Qatar via Siria, Turchia all’Europa e a Israele. La prima era stata imposta
con gravi danni al territorio, tranquillamente tollerati visti i governi che ci
ritroviamo a nostra insaputa, nonostante un’opposizione di anni delle
popolazioni locali. La seconda, visto il governo che loro avevano, era stata
esclusa da Damasco. Perché fare un favore a gente che ti fa le scarpe da tutti
i punti di vista?
La Siria di Bashar el Assad aveva avuto l’improntitudine di
opporre l’alternativa di un’altra pipeline, “antimperialista”: quella dall’Iran
attraverso l’Iraq e la Siria, fino al Mediterraneo.
Nel primo caso il rubinetto sulle forniture agli europei
stava in Azerbaijan e Turchia e, nel secondo, in Qatar e Turchia. La decisione
su apertura o chiusura, con relativi effetti di ricatto e controllo, stava
saldo in mani statunitensi, di Wall Street e delle compagnie lì accreditate. E
in ogni caso restava obsoleta e geopoliticamente neutralizzata la “lifeline”
energetica, indigesta solida base di buoni e reciprocamente proficui rapporti,
tra Russia ed Europa.
Una “lifeline” alternativa tra Iran, Iraq, Siria ed
Occidente, avrebbe pesantemente inciso sul progetto unipolare, ridando a
europei e molti altri la facoltà di autodeterminarsi in materia economica e,
quindi, politica. Cosa che, in tempi di BRICS, andava neutralizzata con le
buone e con le cattive. Si è fatto ricorso alle cattive, dato che la Siria di
Assad, diversamente dall’Europa di Meloni, Macron, Starmer e Scholz, non ci
stava.
La neutralizzazione è stata affidata alla collaudata
Fratellanza e al loro braccio armato che, per quanto terrorista, tagliagole,
oscurantista, corrotto, tirannico, pronto a ogni nefandezza, ha dalla sua il
consenso, il compiacimento e la disponibilità di soccorso in armi, denaro e
rivestimenti democratici, dei loro pari con Stelle e Strisce e Stella di
Davide.
Dei quali ultimi la
cronaca ci conferma l’assunto: Grande Israele: un passetto avanti in quella
direzione approfittando del bailamme creato dai compari turchi, Jihadisti e
curdi. In due giorni sono scesi dal Golan occupato e si sono presi un
territorio vasto già come il doppio della Striscia di Gaza, fino a 40 km da
Damasco. La travolgente avanzata dei terroristi democratici ci aveva fatto
trascurare le incursioni di terra di Tsahal, ancora grondante sangue
palestinese, e i 350 raid aerei su una Siria da desertificare, anche alla
faccia dei subalterni della Fratellanza musulman-sionista di Al Qaida-Hayat
Tahrir Al Sham, come di curdi, drusi, turchi e chi altro s’impiccia.
Chè poi alla Siria ci penseranno i coloni.
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