Fulvio
Grimaldi per L’Antidiplomatico
Siria:
verso la guerra tra avvoltoi
MARTIRIO
E RESISTENZA
Assassinio
di una nazione, morte della civiltà
Sono il segno dell’abiezione
morale del sistema politico mediatico occidentale la sorpresa e lo sconcerto
esibiti al rivelarsi di ciò che tutti sapevano e sanno benissimo: che al potere
a Damasco si è – è stata - collocata, la peggiore feccia terroristica che Nato,
Israele e la Fratellanza Musulmana abbiano saputo inventare, rastrellare,
armare e lanciare contro uno Stato sovrano da radere al suolo, insieme alla
pratica, ormai ufficializzata e consolidata, del genocidio del relativo popolo.
E’
in questo modo che l’ultima crociata dei mille anni di guerra agli arabi ha
conseguito il successo negatole da Saladino fino a Nasser e Saddam. Una nazione
antica e moderna, coesa, di incomparabili valori culturali, dalla convivenza
armoniosa tra etnie, confessioni, tradizioni, squartata in arti separati,
affidati alla spoliazione di altrettante barbarie cieche e ottuse: turca,
israeliana, curda. Funerale officiato dalle potenze della civiltà occidentale.
Come quando Riccardo Cuor di Leone aveva fatto passare a fil di spada tutti gli
abitanti di Acri, donne e bambini compresi.
Si
conferma una volta di più, se non bastassero Abu Mazen o Zelensky, o i vari
fantocci Davos e Nato condotti per mano ai vertici dei propri paesi, che a
essere risolutivo per l’esito dell’aggressione è la presenza di una quinta
colonna. In questo caso, dato la forte coesione interna della società siriana, quinta
colonna largamente importata (paesi arabi reazionari, uiguri, ceceni, ucraini,
colombiani).
Negli
ultimi giorni gli scappellatori occidentali hanno dovuto esibire stupore,
perché prese in contropiede dopo lo scambio di smancerie e riconoscimenti,
davanti a quanto hanno visto fare all’accozzaglia da manicomio criminale installata
a Damasco. Un’orgia di sangue e atrocità a esatta ripetizione di quanto, a partire
dal 2011 e per 14 anni, tutti avrebbero potuto vedere e tutti i siriani e anche
il sottoscritto hanno visto. All’ombra di tale stupore, Israele impiantava
sette basi militari su territorio siriano e occupava vaste aeree da incorporare
nella Grande Israele.
Ho
già raccontato che la principale strategia di comunicazione-condizionamento
praticata, su evidente suggerimento dei corsi di formazione CIA, Mossad, MI6,
turchi, era quella di incutere terrore e sottomissione tramite la diffusione su
cellulari e online delle immagini più raccapriccianti di nefandezze su civili e
prigionieri. Abomini con i quali neanche le più orripilanti allucinazioni di
Hieronimus Bosch avrebbero potuto competere. Tanto meno quelle riportateci dai
lager. Racconti che oggi chi pensava alla palingenesi del ceffo insediato a
Damasco e dei suoi licantropi fa finta di trovare sorprendenti.
Lo
scatenamento della furia belluina dei conquistatori per procura della Siria si
è visto nell’enclave territoriale della costa mediterranea e del suo primo
interno, Latakia, Tartus, Oms, Hama, Jableh. Ma si era manifestata, per quanto
meticolosamente ignorata, fin dai primi giorni dalla caduta di Damasco, con
rastrellamenti, esecuzioni a freddo, sequestri, demolizione di case, violazione
di chiese, contro chiunque avesse avuto a che fare con il governo passato,
fosse anche solo un portalettere.
Al
di là dei filtri mediatici da sempre impegnati a oscurare le prodezze del
mercenariato sion-imperiale, testimonianze evidenziano massacri sistematici,
fosse comuni, 700 giustiziati nella sola provincia alawita. Si vuole ripetere
il modulo praticato dalla nostra civiltà nei secoli: fino all’ultimo
palestinese, fino all’ultimo ucraino, fino all’ultimo alawita?
Poi
la comparsa nelle provincie del Mediterraneo di un embrione di resistenza tra
le comunità alawite e cristiane, maggiormente legate al precedente assetto
statale, con l’imboscata a un’unità jihadista costata 16 morti, ha tolto ogni
freno alla pulizia politico-sociale-confessionale del gangsterismo messo al
potere. Da lì i pogrom si vanno ripetendo – sotto gli occhi di un mondo resosi
complice con l’accredito di rispettabilità istituzionale concesso ai
tagliateste - con migliaia di famiglie in fuga verso la vicina Bekaa libanese e
circa 7000 scampati all’eccidio accolti nella base russa di Khmeimim
Ma
ha anche fatto emergere una resistenza organizzata, forse ai primordi, ma che,
alla vista del rapidissimo collasso del paese di fronte all’offensiva delle
milizie jihadiste custodite e protette da Erdogan a Idlib, era difficile
prevedere. A partire dall’inizio del mese, sono apparsi vari nuclei di
resistenza, quali espressi da quanto è rimasto dell’esercito siriano e quali
improvvisati da comunità locali.
Circolano
appelli alla lotta armata firmati da una “Resistenza Popolare Siriana”, cui dà
credito anche la stampa del Cairo e che cita una serie di azioni compiute
contro l’occupante ad Aleppo, Latakia, Hamidiya, Tartus, Homs, Talfita. Sarebbe
composta da reparti riorganizzati del 25° Reggimento Forze Speciali e della
Guardia Repubblicana e farebbe parte di un nuovo “Consiglio Militare per la
Liberazione della Siria”.
L11
gennaio si era costituito il “Fronte di Resistenza Islamico in Siria”, con
riferimenti ideologici a Iran, Hezbollah e Hamas. Una resistenza della comunità
drusa ha preso il nome di Jaysh al Muwahhideen, mentre in Iraq si annuncia una
formazione siro-irachena “Guardiani della Verità”, fondata sulle “Unità di
Mobilitazione Popolare”, vincitrici sull’ISIS a Mosul. Tra i comandanti
dell’Esercito di Assad sarebbero operativi Bassam Hussam al Din, comandante
della 25esima Divisione e il generale Suhail Hassan, comandante delle “Tiger
Forces”. A questi si aggiungono milizie locali scite individuate a Zaiter,
Jaafar, Noun, Shams, Homs e Jamal.
Dato
conto anche di un appello a riunire le forze e opporsi in resistenza
all’occupante da parte del Partito Comunista Siriano, membro della coalizione
capeggiata dal Partito Arabo Socialista Baath, restano da vedere gli sviluppi
per provare a misurare il potenziale e la dimensione numerica e territoriale di
queste espressioni di rifiuto del nuovo ordine Al Qaida-Al Nusra-Isis. Nuovo
ordine celebrato, sostenuto e ora riconosciuto dalla coalizione di Stati ed
entità che hanno condotto sul campo e nelle retrovie politico-militari
l’assalto al bastione della resistenza araba.
E
qui veniamo a coloro che vengono rappresentati come i manovratori della
campagna jihadista lanciata nell’ambito della malamente denominata Primavera
Araba con l’utilizzo di mercenariato vario. Una “primavera”, ricordiamolo,
fondata su pretesti del tutto menzogneri (armi di distruzione di massa, Torri
Gemelle, stragi chimiche), sullo sfruttamento e sull’infiltrazione in settori
sociali insoddisfatti e manipolati (i famigerati USAIDS e NED), sullo
scatenamento di integralismi islamisti a cura della Fratellanza Musulmana
(dagli anni ’20 del secolo scorso strumento colonialista di contrasto a
sovranità e unità araba). “Primavere” peraltro fallite in due Stati decisivi:
Egitto (cacciata del Fratello Musulmano Morsi, sconfitta militare del
terrorismo islamista nel Sinai) e in Algeria (ennesima rivoluzione colorata
berbero-islamista).
Il
primo protagonista di questa gigantesca campagna di riordino del Medioriente,
pianificata da Oded Yinon, consigliere del governo di Menacherm Begin con il
documento A Strategy For Israel In The Nineteen Eighties, che prevedeva
la frantumazione di tutti i maggiori Stati arabi lungo linee etnico-religiose,
è stato per lunghi anni, quelli di Clinton, Bush e soprattutto Obama,
Washington. Poi dal 2016, cambio, non
nettissimo, di Trump che, pur bombardando a scopo dimostrativo e senza danni un
paio di volte la Siria, aveva dichiarato di “preferire Assad a quegli
altri”, trovandosi una volta di più in sintonia con Mosca.
Ma
è sul terreno che sono emersi gli attori a cui colonialismi, imperialismi,
interessi economici e finanziari, alcune petrotirannie, hanno affidato
l’esecuzione del progetto. Su tutti la Turchia del Fratello Musulmano Erdogan,
favorito dall’ essere le più temibile potenza militare della regione (anche
relativamente autonoma in ambito NATO), padrino, finanziatore, istruttore del
coacervo di varie sigle terroristiche riunite nella provincia di confine di
Idlib, dopo che, con l’aiuto di Hezbollah e dei russi, i tagliagole erano stati
cacciati dal resto del paese.
A
suo fianco lo Stato sionista che Erdogan, con oscena improntitudine, fingeva di
avversare per via di Gaza. Dimostrato il suo sostegno alle bande terroriste con
apposite cliniche per feriti attrezzate sul Golan occupato, a Netaniahu il
compito di demolire, a forza di pirateschi bombardamenti contro uno Stato
sovrano e incolpevole, il presente resistente e il futuro possibile della
Siria. Bombardamenti intensificati, perfino su Damasco, dopo la presa di potere
dei jihadisti, vecchi compari e, inevitabilmente, futuri avversari. Si tratta
di distruggere infrastrutture e ogni capacità, militare ed economica, di
ricostruire uno Stato funzionale e, insieme, occupare vaste aree,
principalmente nel Sud della Siria, da cui partire per contrastare ogni
eventuale velleità di altri attori in commedia. Nessuno batte ciglio, al
massimo genocida della Storia tutto è consentito. Sotto la mannaia
dell’”antisemitismo”.
La
conflagrazione, se non imminente, è inevitabile. Anche perché soprattutto i
sionisti, nominatisi eletti, non dividerebbero mai un bottino imperiale con
altri, per quanto moralmente consanguinei. Di sistemato da quelle parti non c’è
proprio nulla e nuovi scenari di conflitto, anche catastrofici, magari anche
più probabili che quelli sulla faglia euroasiatica, stanno lampeggiando da
tutti gli orizzonti visibili da Damasco.
In
analogia con la collaborazione-competizione tra mafie, Cosa Nostra, ‘ndrangheta,
Camorra, con l’appendice della Corona Unita (ruolo locale paragonabile a quello
dei curdi), la triplice criminalità organizzata di Turchia, Israele,
Fratellanza Musulmana, conseguito l’obiettivo primario della rimozione dell’impedimento
all’egemonia regionale, rappresentato ormai dalla sola Siria, non potrà non
finire con il dilaniarsi in uno scontro di tutti contro tutti. Avete presente
la Strage di San Valentino? Sarà curioso vedere chi farà Al Capone.
Scontro
cui potrà forse sfuggire il predatore curdo, tacitato da Al Jolani con la
concessione del Rojava arabo rapinato, benemerito USA, israeliano e della
Fratellanza, nel comune furto di risorse – energia, cibo - che al popolo
siriano sarebbero servite per sopravvivere e, forse, per resistere. Curdo,
l’elemento moralmente più squallido di tutta la vicenda, incredibilmente ancora
glorificato da certi sinistri italiani. Del resto, tra questi rumoreggia
addirittura chi consideri l’operato di Erdogan una corretta strategia per gli
equilibri della regione.
D’ora
in poi dovremo seguire avvenimenti che, calamitati anche dalla questione
palestinese, sicuramente saranno tutto fuorchè una sistemazione coordinata tra
mafie. Lo scontro tra chi si pone l’obiettivo del proprio impero in Medioriente
non prevede condivisioni, sarà all’ultimo sangue. E saranno pochi a riuscire a
restarne fuori.
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