martedì 18 marzo 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico --- Siria: verso la guerra tra avvoltoi --- MARTIRIO E RESISTENZA --- Assassinio di una nazione, morte della civiltà

 

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico

Siria: verso la guerra tra avvoltoi

MARTIRIO E RESISTENZA

Assassinio di una nazione, morte della civiltà

 

 

Sono il segno dell’abiezione morale del sistema politico mediatico occidentale la sorpresa e lo sconcerto esibiti al rivelarsi di ciò che tutti sapevano e sanno benissimo: che al potere a Damasco si è – è stata - collocata, la peggiore feccia terroristica che Nato, Israele e la Fratellanza Musulmana abbiano saputo inventare, rastrellare, armare e lanciare contro uno Stato sovrano da radere al suolo, insieme alla pratica, ormai ufficializzata e consolidata, del genocidio del relativo popolo.

E’ in questo modo che l’ultima crociata dei mille anni di guerra agli arabi ha conseguito il successo negatole da Saladino fino a Nasser e Saddam. Una nazione antica e moderna, coesa, di incomparabili valori culturali, dalla convivenza armoniosa tra etnie, confessioni, tradizioni, squartata in arti separati, affidati alla spoliazione di altrettante barbarie cieche e ottuse: turca, israeliana, curda. Funerale officiato dalle potenze della civiltà occidentale. Come quando Riccardo Cuor di Leone aveva fatto passare a fil di spada tutti gli abitanti di Acri, donne e bambini compresi.

Si conferma una volta di più, se non bastassero Abu Mazen o Zelensky, o i vari fantocci Davos e Nato condotti per mano ai vertici dei propri paesi, che a essere risolutivo per l’esito dell’aggressione è la presenza di una quinta colonna. In questo caso, dato la forte coesione interna della società siriana, quinta colonna largamente importata (paesi arabi reazionari, uiguri, ceceni, ucraini, colombiani).

Negli ultimi giorni gli scappellatori occidentali hanno dovuto esibire stupore, perché prese in contropiede dopo lo scambio di smancerie e riconoscimenti, davanti a quanto hanno visto fare all’accozzaglia da manicomio criminale installata a Damasco. Un’orgia di sangue e atrocità a esatta ripetizione di quanto, a partire dal 2011 e per 14 anni, tutti avrebbero potuto vedere e tutti i siriani e anche il sottoscritto hanno visto. All’ombra di tale stupore, Israele impiantava sette basi militari su territorio siriano e occupava vaste aeree da incorporare nella Grande Israele.

Ho già raccontato che la principale strategia di comunicazione-condizionamento praticata, su evidente suggerimento dei corsi di formazione CIA, Mossad, MI6, turchi, era quella di incutere terrore e sottomissione tramite la diffusione su cellulari e online delle immagini più raccapriccianti di nefandezze su civili e prigionieri. Abomini con i quali neanche le più orripilanti allucinazioni di Hieronimus Bosch avrebbero potuto competere. Tanto meno quelle riportateci dai lager. Racconti che oggi chi pensava alla palingenesi del ceffo insediato a Damasco e dei suoi licantropi fa finta di trovare sorprendenti.

Lo scatenamento della furia belluina dei conquistatori per procura della Siria si è visto nell’enclave territoriale della costa mediterranea e del suo primo interno, Latakia, Tartus, Oms, Hama, Jableh. Ma si era manifestata, per quanto meticolosamente ignorata, fin dai primi giorni dalla caduta di Damasco, con rastrellamenti, esecuzioni a freddo, sequestri, demolizione di case, violazione di chiese, contro chiunque avesse avuto a che fare con il governo passato, fosse anche solo un portalettere.

Al di là dei filtri mediatici da sempre impegnati a oscurare le prodezze del mercenariato sion-imperiale, testimonianze evidenziano massacri sistematici, fosse comuni, 700 giustiziati nella sola provincia alawita. Si vuole ripetere il modulo praticato dalla nostra civiltà nei secoli: fino all’ultimo palestinese, fino all’ultimo ucraino, fino all’ultimo alawita?

Poi la comparsa nelle provincie del Mediterraneo di un embrione di resistenza tra le comunità alawite e cristiane, maggiormente legate al precedente assetto statale, con l’imboscata a un’unità jihadista costata 16 morti, ha tolto ogni freno alla pulizia politico-sociale-confessionale del gangsterismo messo al potere. Da lì i pogrom si vanno ripetendo – sotto gli occhi di un mondo resosi complice con l’accredito di rispettabilità istituzionale concesso ai tagliateste - con migliaia di famiglie in fuga verso la vicina Bekaa libanese e circa 7000 scampati all’eccidio accolti nella base russa di Khmeimim

Ma ha anche fatto emergere una resistenza organizzata, forse ai primordi, ma che, alla vista del rapidissimo collasso del paese di fronte all’offensiva delle milizie jihadiste custodite e protette da Erdogan a Idlib, era difficile prevedere. A partire dall’inizio del mese, sono apparsi vari nuclei di resistenza, quali espressi da quanto è rimasto dell’esercito siriano e quali improvvisati da comunità locali.

Circolano appelli alla lotta armata firmati da una “Resistenza Popolare Siriana”, cui dà credito anche la stampa del Cairo e che cita una serie di azioni compiute contro l’occupante ad Aleppo, Latakia, Hamidiya, Tartus, Homs, Talfita. Sarebbe composta da reparti riorganizzati del 25° Reggimento Forze Speciali e della Guardia Repubblicana e farebbe parte di un nuovo “Consiglio Militare per la Liberazione della Siria”.

L11 gennaio si era costituito il “Fronte di Resistenza Islamico in Siria”, con riferimenti ideologici a Iran, Hezbollah e Hamas. Una resistenza della comunità drusa ha preso il nome di Jaysh al Muwahhideen, mentre in Iraq si annuncia una formazione siro-irachena “Guardiani della Verità”, fondata sulle “Unità di Mobilitazione Popolare”, vincitrici sull’ISIS a Mosul. Tra i comandanti dell’Esercito di Assad sarebbero operativi Bassam Hussam al Din, comandante della 25esima Divisione e il generale Suhail Hassan, comandante delle “Tiger Forces”. A questi si aggiungono milizie locali scite individuate a Zaiter, Jaafar, Noun, Shams, Homs e Jamal.

Dato conto anche di un appello a riunire le forze e opporsi in resistenza all’occupante da parte del Partito Comunista Siriano, membro della coalizione capeggiata dal Partito Arabo Socialista Baath, restano da vedere gli sviluppi per provare a misurare il potenziale e la dimensione numerica e territoriale di queste espressioni di rifiuto del nuovo ordine Al Qaida-Al Nusra-Isis. Nuovo ordine celebrato, sostenuto e ora riconosciuto dalla coalizione di Stati ed entità che hanno condotto sul campo e nelle retrovie politico-militari l’assalto al bastione della resistenza araba.

E qui veniamo a coloro che vengono rappresentati come i manovratori della campagna jihadista lanciata nell’ambito della malamente denominata Primavera Araba con l’utilizzo di mercenariato vario. Una “primavera”, ricordiamolo, fondata su pretesti del tutto menzogneri (armi di distruzione di massa, Torri Gemelle, stragi chimiche), sullo sfruttamento e sull’infiltrazione in settori sociali insoddisfatti e manipolati (i famigerati USAIDS e NED), sullo scatenamento di integralismi islamisti a cura della Fratellanza Musulmana (dagli anni ’20 del secolo scorso strumento colonialista di contrasto a sovranità e unità araba). “Primavere” peraltro fallite in due Stati decisivi: Egitto (cacciata del Fratello Musulmano Morsi, sconfitta militare del terrorismo islamista nel Sinai) e in Algeria (ennesima rivoluzione colorata berbero-islamista).

Il primo protagonista di questa gigantesca campagna di riordino del Medioriente, pianificata da Oded Yinon, consigliere del governo di Menacherm Begin con il documento A Strategy For Israel In The Nineteen Eighties, che prevedeva la frantumazione di tutti i maggiori Stati arabi lungo linee etnico-religiose, è stato per lunghi anni, quelli di Clinton, Bush e soprattutto Obama, Washington.  Poi dal 2016, cambio, non nettissimo, di Trump che, pur bombardando a scopo dimostrativo e senza danni un paio di volte la Siria, aveva dichiarato di “preferire Assad a quegli altri”, trovandosi una volta di più in sintonia con Mosca.

Ma è sul terreno che sono emersi gli attori a cui colonialismi, imperialismi, interessi economici e finanziari, alcune petrotirannie, hanno affidato l’esecuzione del progetto. Su tutti la Turchia del Fratello Musulmano Erdogan, favorito dall’ essere le più temibile potenza militare della regione (anche relativamente autonoma in ambito NATO), padrino, finanziatore, istruttore del coacervo di varie sigle terroristiche riunite nella provincia di confine di Idlib, dopo che, con l’aiuto di Hezbollah e dei russi, i tagliagole erano stati cacciati dal resto del paese.

A suo fianco lo Stato sionista che Erdogan, con oscena improntitudine, fingeva di avversare per via di Gaza. Dimostrato il suo sostegno alle bande terroriste con apposite cliniche per feriti attrezzate sul Golan occupato, a Netaniahu il compito di demolire, a forza di pirateschi bombardamenti contro uno Stato sovrano e incolpevole, il presente resistente e il futuro possibile della Siria. Bombardamenti intensificati, perfino su Damasco, dopo la presa di potere dei jihadisti, vecchi compari e, inevitabilmente, futuri avversari. Si tratta di distruggere infrastrutture e ogni capacità, militare ed economica, di ricostruire uno Stato funzionale e, insieme, occupare vaste aree, principalmente nel Sud della Siria, da cui partire per contrastare ogni eventuale velleità di altri attori in commedia. Nessuno batte ciglio, al massimo genocida della Storia tutto è consentito. Sotto la mannaia dell’”antisemitismo”.

La conflagrazione, se non imminente, è inevitabile. Anche perché soprattutto i sionisti, nominatisi eletti, non dividerebbero mai un bottino imperiale con altri, per quanto moralmente consanguinei. Di sistemato da quelle parti non c’è proprio nulla e nuovi scenari di conflitto, anche catastrofici, magari anche più probabili che quelli sulla faglia euroasiatica, stanno lampeggiando da tutti gli orizzonti visibili da Damasco.

In analogia con la collaborazione-competizione tra mafie, Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Camorra, con l’appendice della Corona Unita (ruolo locale paragonabile a quello dei curdi), la triplice criminalità organizzata di Turchia, Israele, Fratellanza Musulmana, conseguito l’obiettivo primario della rimozione dell’impedimento all’egemonia regionale, rappresentato ormai dalla sola Siria, non potrà non finire con il dilaniarsi in uno scontro di tutti contro tutti. Avete presente la Strage di San Valentino? Sarà curioso vedere chi farà Al Capone.

Scontro cui potrà forse sfuggire il predatore curdo, tacitato da Al Jolani con la concessione del Rojava arabo rapinato, benemerito USA, israeliano e della Fratellanza, nel comune furto di risorse – energia, cibo - che al popolo siriano sarebbero servite per sopravvivere e, forse, per resistere. Curdo, l’elemento moralmente più squallido di tutta la vicenda, incredibilmente ancora glorificato da certi sinistri italiani. Del resto, tra questi rumoreggia addirittura chi consideri l’operato di Erdogan una corretta strategia per gli equilibri della regione.

D’ora in poi dovremo seguire avvenimenti che, calamitati anche dalla questione palestinese, sicuramente saranno tutto fuorchè una sistemazione coordinata tra mafie. Lo scontro tra chi si pone l’obiettivo del proprio impero in Medioriente non prevede condivisioni, sarà all’ultimo sangue. E saranno pochi a riuscire a restarne fuori.

Nessun commento: