martedì 11 marzo 2025

 

Fulvio Grimaldi per l’Antidiplomatico



In Siria i jihadisti democratici tornano carnefici

CISGIORDANIA, LA NUOVA NAKBA

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fulvio_grimaldi__in_siria_i_jihadisti_democratici_tornano_ca

 

Occultata dalle intemperanze e improvvisazioni di Trump, comprese le oscenità sul cimitero dei vivi di Gaza e le nequizie deontologiche e morali di un sistema politico-mediatico italiota, sistematicamente depistatore e menzognero, dovremmo passare sopra la nuova Nakba che lo Stato terrorista dei soli ebrei sta infliggendo agli umani veri di Cisgiordania. Nakba che è ormai il quarto fronte aperto dai necrofagi impiantati dall’anglosfera in Medioriente, dopo Gaza, Libano, Siria. Paesi, popoli, che si vorrebbero frammenti di cadaveri per comporre la Grande Israele.

La troupe era composta da Sandra e me e nel documentario “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza” potete vedere cosa abbiamo girato in Cisgiordania e, soprattutto a Hebron, oggi nuovo obiettivo della sostituzione etnica che faccia della Cisgiordania la Giudea e Samaria della mistificazione biblica.  

Da Hebron che, con la pulizia etnica dilagante dal Nord della Cisgiordania al Sud, era rimasta relativamente fuori dalla furia stragista e devastatrice delle bande di coloni e dell’esercito, mi arrivano famigliari e care voci. Quanto di oppressione nazirazzista avevamo visto e documentato allora, si è duplicato, quadriplicato, esteso e potenziato fino ad assumere i tratti genocidi di Gaza. Dopo Nablus, Jenin, Tulkarem, e decine di centri abitati, dopo lo svuotamento della Valle del Giordano, anche Hebron deve scomparire.

La pulizia etnica strisciante, operata allora tramite terrore ancora episodico, al quale assistevano impotenti i soliti nostri ridondanti “peacekeepers”, in ispecie Carabinieri (e ce lo confessavano frustrati), è diventata sterminio. Tutto calcolato, tutto pianificato meticolosamente. Loro, commettendo la solita, abusiva rivendicazione storica, direbbero “fin dai tempi di Mosè”. Noi sappiamo che la matrice è il sionismo allestito dal colonialismo storico alla fine dell’800.

Arrivando a Hebron dalle colline che la circondano, costellate di villaggi agropastorali di antichissima cultura, si scende a fondo valle correndo lungo una fiumana di abitazioni, moschee, botteghe, officine, scuole, sedi istituzionali. Alla fine, stop. Il nulla. Il nulla dove era il centro della comunità, del suo vivere insieme, il grande mercato medievale arabo. Solo serrande chiuse. E pattuglie dell’esercito occupante che già solo con l’atteggiamento, se non con le canne del fucile che ti guardano, digrignano: “Via da qui!”.

E’ ancora vivo e lotta insieme alla sua comunità il medico, laureato in Italia, che ci ha accolto sulla porta della casa da cui era stato espulso, ma in cui erano trattenuti, sequestrati, dall’occupante militare israeliano insediatosi nel piano alto, moglie e figli piccoli.

Mentre il dottor Jussef, ci raccontava come dal tetto i soldati, utilizzando i suoi famigliari come scudi umani, si divertivano a sparare contro le case abitate sul lato opposto della piazza, questi stessi fucilatori, accortisi della nostra presenza, dall’alto ci mostravano il dito medio.

Prima del mercato antico c’era uno dei mille e mille posti di blocco dedicati all’esasperazione della vita dei titolari di questi luoghi. Riuscimmo ad attraversarlo e, passando per il dedalo di vicoli e corridoi ingrigiti, tra bazar defunti dietro alle saracinesche, superando uno spiazzo vuoto nel quale restavano solo le tracce delle fondamenta di edifici commerciali rasi al suolo, risalimmo verso la cittadella storica. Allora occupata da 500 ebrei sionisti di origine statunitense. Ogni strada di accesso a questo territorio stuprato, ogni sua via di comunicazione interna, era percorsa, con la regolarità di un servizio pubblico urbano, da pattuglie e blindati di militari. A volte a scorta di nugoli famigliari in abito nero, cappello nero e treccine. E inevitabilmente occhiate sospette, sguardi torvi.

Ma si resisteva. Accadendo ogni giorno, nella zona della città che la truffa di Oslo aveva concesso alla libertà di movimento – sempre parziale e spesso interrotta – venivano improvvisate barricate a contrasto dei pattugliamenti e delle irruzioni in case, negozi, università, municipio. E all’arrivo dei blindati o dei soldati appiedati, le venivano date fuoco. Partivano i sassi. Che soddisfazione parteciparvi. Il tempo di vita che mi riconosco non buttato è sicuramente quello che mi ha visto a fianco di chi tirava sassi, e anche altro.

Oggi Hebron ospita ancora circa 200.000 palestinesi, sotto tiro di 800 coloni che rivendicano tutta la città perché datagli dal loro dio. Sono pochi i maschi che nel corso di questi anni non siano passati per le carceri israeliane della tortura, comprovata mille volte dalle proprie carni, più che dai racconti. Sono poche le famiglie che non siano state terrorizzate dalle incursioni notturne di chi, bastonato chi rimaneva, sequestrava padri, madri figli e li portava dove sarebbero rimasti. Anche per anni, nudi, denutriti, vessati, senza imputazioni, processi, difesa: detenzione amministrativa. Dal 1967 è toccato a circa 700.000 palestinesi. Sono molte le case demolite perché un loro inquilino dava motivo per sospettarne…

La situazione è precipitata in tutta la Cisgiordania a partire dal 7 ottobre dell’Alluvione di Al Aqsa. Ma nel Sud da questi ultimi giorni.

Da Hebron ci giungono voci di ancora sopravviventi. Nei giorni dopo l’operazione liberatoria di Hamas, nel carcere della città arrivarono donne di Gaza. Vestiti insanguinati, lo jihab strappato, sistemate per terra, il cambio con indumenti zeppi di pulci. Entrano soldati, gli mettono le manette di nastro che stringono i polsi fino a gonfiarli, bendano gli occhi, le costringono a terra con la faccia nella polvere, le insultano, le minacciano cani poliziotti.  E le portano via. Le fanno rientrare nelle loro celle una volta che vi hanno fatto esplodere candelotti lacrimogeni. Quelli tossici, CS, quelli che a me, nei miei scontri a Ramallah durati pochi minuti, hanno lasciato una bronchite cronica. Figuriamoci il loro sistema respiratorio sottoposto alla gassificazione fin dall’infanzia….

Intanto, dai coltivatori e allevatori sulle colline attorno a Hebron hanno iniziato a essere incorporati dai coloni migliaia di ettari di terra, intere greggi, milioni di ulivi. E gli acquedotti  e le reti elettriche distrutti. E chi si ostina a non togliersi dai piedi, si ritrova la casa devastata, le stanze bruciacchiate dalle granate di gas, la macchina a fuoco, i cellulari rubati, tutti i percorsi ostruiti, cancellati. Lo vivono ora ogni giorno, ogni notte, ogni ora quelli di Um Al-Khair, Khirbet Zan, Tuwani, Sheb Al-Butom., villaggi a corona intorno a Hebron, assediati e soffocati dagli insediamenti dei coloni.

A Hebron visitammo, superando con disagio gli ostili frammezzi militari ebraici, la storica Moschea di Abramo, luogo sacro dell’Islam. Baruch Goldstein, fanatico decerebrato del partito di Meir Kahane, padrino e ispiratore delle attuali formazioni fasciste dei ministri annessionisti, Smotrich e Ben Gvir, nel 1994 vi ammazzò a mitragliate 29 palestinesi. Il suo ritratto è appeso nell’ufficio di Itamar Ben Gvir, capo di Otzama Yehudit, “Potere Ebraico”.

Torniamo a Nord, alla nuova Nakba, a quella innescata dal regime ebraico-nazista senza alcun bisogno dell’innesco-pretesto del 7 ottobre (un autodafè, se mai ce n’è stato uno!), a partire dal rogo che, parecchio prima, il 26 febbraio 2003, con un raid di coloni, incenerì la citta palestinese di Howara.

Solo nei primi due mesi di gazificazione - ricordiamoci: accuratamente preparata dalle incursioni della polizia del presidente Abu Mazen - 50.000 palestinesi espulsi dalle loro terre, case, comunità, nel nulla della nuova Nakba. E’ l’inizio. Con i confini verso Giordania, Libano, Egitto, Siria, chiusi, quando non superati da Israele con le cosiddette “zone cuscinetto di sicurezza” (da annettere domani) nel territorio degli altri Stati, per questi 50.000 e quelli che seguiranno è prevista solo la dissoluzione. Evaporare, come l’acqua.

DOVE ISRAELE BUTTA L’OCCHIO, PARTONO GLI STERMINII

Una tale decomposizione, in combutta con i fratelli jihadisti, la contigua setta sionista ha iniziato a infliggerla alle popolazioni di Latakia, Tartus, Hama, Oms, la regione della Siria abitata da sunniti insieme a una locale maggioranza di sciti alawiti, della stessa confessione e cultura politica dei protagonisti della liberazione e della rivoluzione laico-socialista. E in questa area, infatti, che si stanno verificando i primi episodi importanti di una resistenza organizzata e operativamente efficiente.

Occultati dalle cancellerie corresponsabili dell’episodio siriano della guerra agli arabi, già da settimane filtravano notizie sulla ripresa delle atrocità jihadiste, sotto copertura dell’abito e della cravatta di Ahmed Sharaa-Al Jolani, in varie zone della Siria occupata e trisquartata tra turchi, israeliani e mercenariato curdo degli USA.

Incontenibile nella loro ferocia stragista, fatta di esecuzioni di massa, crocefissioni, persone bruciate vive, scuoiate, annegate, stuprate, i “liberatori della Siria” sono tornati a mostrare il volto esibito durante i 13 anni dell’aggressione colonialista, eufemizzata in “guerra civile” Tutte cose documentate anche nel mio “Armageddon sulla via di Damasco” girato in piena guerra. I mercenari Al Qaida dell’aggressione turco-israelo-statunitense diffondevano in tutto il paese le immagini delle loro atrocità a danni di civili di cellulare in cellulare, con l’intento di terrorizzare e castrare ogni volontà di resistenza.

 Hanno esibito buone maniere nel momento delle cerimonie democratiche di insediamento a Damasco. Tanto goffe e bugiarde, quanto applaudite da quel nostro mondo che vi si riconosce, ma che dice di amare il diverso. Tanto da ucciderlo, o farlo uccidere appena può (vedi Siria). Ma la vera natura di questi mostri allevati e armati dalla CIA e da Erdogan (Netaniahu ne faceva curare i feriti in cliniche israeliane) è riesplosa appena le telecamere di servizio coloniale si sono ritirate. Insieme ai primi sussulti di una resistenza, per ora apparsa a macchie di leopardo.

Una fin qui occultata campagna di esecuzioni, anche di massa, distruzione di abitati, arresti, sequestri, maltrattamenti, massacri di soldati dell’esercito siriano, di amministratori, funzionari, impiegati dello Stato abbattuto, addirittura bombardamenti da elicotteri, tutto riservato con particolare accanimento a cristiani e sciti, raggiunge ora l’apice nella regione siriana che scende verso il Mediterraneo. Al 10 di marzo le persone assassinate erano oltre 1.300 nella sola provincia di Latakia. Insieme ai membri dei gruppi di resistenza e ai miliziani jihadisti, in maggioranza civili.

Non pare che il tentativo della popolazione di trovare protezione rifugiandosi nelle vicinanze delle basi russe, navale a Tartus e aerea, Khmeimim, a Latakia, abbia impedito la continuazione dell’eccidio. Del resto sul destino di queste basi non sai è ancora saputo nulla di definitivo. Pare siano in corso colloqui tra Mosca e le nuove autorità di Damasco.

Il mondo tace. Al capo massacratore, lasciato fare per 13 anni, e ora riscattato dalla promessa di sparpagliare i resti della Siria ai piedi degli squartatori, tutto è consentito.

Torniamo in Cisgiordania. I coloni, smaltita la fuga di molte decine di migliaia dalla Galilea colpita da Hezbollah, garantiti da questo regime, hanno ripreso a immigrare e dovrebbero aggirarsi intorno al milione. La loro rapina a mano armata di territorio a oltre due milioni di palestinesi della Cisgiordania e assicurata dagli armamenti ricevuti, dalla libertà giuridica di delinquere a tutti i livelli purchè sia ai danni dei nativi, dal costante rinforzo prestato dall’IDF e dal collaborazionismo armato e di intelligence dell’ANP. E, ora, dopo i tentennamenti di Biden, anche dal benestare di Trump. in vista dei resort da far sorgere in queste valli ubertose.

La violenza armata, ormai quotidiana e che non si ferma alla distruzione e poi allo sgombero di interi campi profughi (Jenin, Tulkarem, Nur Shams…) mediante pogrom di coloni, carri armati, ruspe, addirittura raid di cacciabombardieri, ripete pari pari il genocidio di Gaza.

La distruzione mirata di acquedotti, reti elettriche, depositi di viveri, sistemi fognari, la cancellazione o ostruzione delle vie di comunicazione, i 900 posti blocco, spesso improvvisati, i quasi 200.000 lavoratori che traevano il sostentamento delle loro famiglie da lavori per imprese israeliane, predispongono all’invivibilità, all’inedia e, quindi, allo spodestamento e alla desertificazione del cuore della Palestina. Per il quale sarà previsto la riabilitazione attraverso un piano di rinascita tipo “Riviera di Gaza”.

E’ un’altra Nakba. Sotto i nostri occhi. Come nel 1948. E seguenti.

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