martedì 5 agosto 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico---- Da Ben Gurion a Netaniahu: il passo più lungo della gamba---- GRANDE ISRAELE, GENOCIDIO O SUICIDIO?

 

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico

Da Ben Gurion a Netaniahu: il passo più lungo della gamba

GRANDE ISRAELE, GENOCIDIO O SUICIDIO?

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fulvio_grimaldi__da_ben_gurion_a_netaniahu_il_passo_pi_lungo_della_gamba__grande_israele_genocidio_o_suicidio/58662_62272/

Dall’occupazione all’annessione

Ce n’est que un debut. Permettetemi la blasfemia di adattare una parola d’ordine che aprì un tempo di liberazione e giustizia a qualcosa che ne è l’opposto: schiavitù e crimine. Cioè Gaza. E non solo.

Ci vuole tutta l’insolenza accompagnata ad abissale ignoranza - i due binari sui quali viaggia l’intera nostra compagine governativa - del trovatello berlusconiano che un prodigio neofascista ha fatto diventare ministro egli Esteri, per esigere (!) che, prima di venire ad esistenza, lo Stato palestinese (che non c’è) debba riconoscere lo Stato israeliano che c’è da ottant’anni. Con la consapevolezza di chi è convinto che non ce n’è per nessuno, Tajani sorvola sul dato granitico del riconoscimento solennemente dichiarato, nel 1993, dalla massima autorità palestinese, l’OLP di Arafat. Un leader, già ridimensionato dalla cacciata da Beirut, rannicchiato in esilio a Tunisi, che si rassegna a coronare l’ennesima turlupinatura sionista, della quale non verranno mai rispettate neanche le forme.

Questa manifestazione di competenza ed arguzia diplomatica, Tavjani l’ha espressa, con il tempismo che rivela la sua oculatezza diplomatica- Erano le ore in cui si materializzava la presunta elucubrazione onirica di Trump dell’oscena “Riviera di Gaza”, apparecchiata, a forza di cocktail e aragoste, per Bibi, Donald, loro consorti e altri della Fratellanza Epsteiniana, Quelli da Bibì tenuti ferreamente per i santissimi in virtù dei ricattini sexy allestiti dal pedofilo ebreo (ovviamente suicidato) su mandato del Mossad.

 “Gaza riviera, dalla visione alla realtà” è la solenne dichiarazione, a fine luglio, di una determinante quota di parlamentari e ministri Knesset, riferendosi, appunto, al futuro distopico di una Gaza dove fame, bombe, veleni, cecchini anti-bambini, avranno fatto togliere il disturbo a un residuato di pezzenti umanoidi sgraditi a Jahvé. Ben Gvir: “Nessun negoziato (altro che Hamas indisponibile), occupazione e incoraggiare l’emigrazione”.

 Riviera Gaza

 Scansando l’ironia, con la quale cerchiamo di dribblare l’orrore, il ribrezzo e l’indignazione, ricordiamoci che Gaza del libro “Palestina 1947-2025” è solo il capitolo più sanguinolento, ora finalmente letto ad alta voce da tutta una serie di pali, complici e addirittura sicari politici (i silenzi, le fughe, o le baggianate di Tajani), militari (i nostri contributi alla tecnologia dello sterminio), mediatici (i nostri mainstream). Capitolo recitato a voce alta quanto basti a silenziarne gli altri di un tomo tanto pesante da contenere un secolo e mezzo Medioriente.

Il preventivo è l’occupazione, il consuntivo l’annessione. Ci siamo. Per quella di Gaza hanno già fatto circolare il rendering. Quella della Cisgiordania è in stato avanzato e legittimato da autorità ministeriali. L’occupazione del Sud del Libano fino all’acqua del prezioso fiume Litani, è garantita dal nuovo ordine stabilitosi a Beirut a seguito dell’indebolimento di Hezbollah e grazie ai “cessate il fuoco” per i quali Israele rade al suolo ogni due per tre pezzi di Beirut e Libano.

Nella fiammata di attenzione iniziale, ci siamo meravigliati come la Comunità Democratica, che aveva  posto (ipocrite) taglie sulla testa dei tagliateste Al Qaida-Al Nusra-Isis-Daesh- Hayat Tahrir al-Sham (HTS), precursori dell’IDF di Gaza, li avesse poi ritrovati a Damasco in cravatta, riconosciuti, applauditi e accolti. La meraviglia si è dissolta a forza di diverse migliaia di assassini perpetrati dai “liberatori da Assad” ai danni di alcune minoranze riottose: Alawiti sciti, prima, drusi semi-sciti e beduini sunniti, poi. Condizione ideale perché Israele potesse proseguire nella scrittura di quel famoso tomo. Del resto, c’era poco da meravigliarsi alla luce di come la gramigna del jihadismo sia stata seminata, concimata, addestrata, finanziata per tutte le guerre coloniali e imperialiste che la combine USA-UE-Sion ha preferito delegare, piuttosto che rischiare contraccolpi come per il Vietnam.

Netaniahu visita feriti Isis sul Golan

Mosul, Isis giustizia un prigioniero

Un passo indietro. In effetti tutto inizia nel 1948, quando un’assemblea ONU, a ciò non titolata, assegna alla minoranza immigrata ebraica la maggioranza della Palestina storica e quando tale minoranza, super-armata dai suoi mandanti, inaugura l’epoca del terrorismo bruciando villaggi e spedendone nel vuoto la popolazione. Nel 1967, poi, viene scritto un altro capitolo, programmato da lunga pezza.

Sono inviato di Paese Sera alla Guerra dei Sei giorni, giugno 1967. L’esercito egiziano, preso alla sprovvista grazie alla distruzione preventiva della sua aeronautica, viene maciullata e ci basta un pullmino per accompagnare le truppe sioniste ad occupare Gaza e nel Sinai. Al centro del paese che gli ebrei, pensandosi nella bibbia, chiamano Giudea e Samaria, la presenza giordana dell’amico re Hussein fa finta di non esserci, scompare e la Cisgiordania è occupata. Preventivo che nei nostri giorni, con l’annuncio ministeriale dell’annessione, si fa consuntivo. Più tosta è a Nord, dove la tenuta della Siria, bestia nera irriducibile, dalla fondazione alla caduta di Assad, costringe il giornalista ad accompagnare le truppe ospitato sulla torretta di un carro armato. E si scrivono i capitoli Galilea e Golan.

Un passo dopo l’altro, tocca alla Siria

 Tank Israeliani verso il Golan

Dal quale Golan Israele che, millenarista, conosce i tempi lunghi, coglie oggi l’occasione per scendere e dilagare ulteriormente in Siria. Si assicura il controllo del triangolo cruciale del confine Israele-Libano-Siria (rifornimenti a Hezbollah e Assad) e l’acquisizione del sudovest del paese, proiettato verso Giordania, Arabia Saudita e Iraq. Anche qui, quanto ad attenzione mediatica, non si è andati molto oltre le bombe d’avvertimento a Damasco   e all’intervento di Tel Aviv in presunta difesa degli storici vassalli drusi. Ma in effettiva occupazione definitiva dell’area. Annessione in vista.

Mentre a forza di bombardamenti su capitale, palazzi del potere e ogni struttura e infrastruttura militare ereditata dalla Siria sgominata, si segnala ai vecchi compari terroristi che l’amicizia dura finchè conviene. I tempi in cui Netanyahu saliva sul Golan a salutare i feriti dell’ISIS curati in cliniche israeliane, sono passati. Ora il vecchio compare è di troppo.   Per i fascismi è fisiologico. Dunque lo è per Netanyahu e Trump.

Tutto questo viene scritto via via, sotto gli occhi dei contemporanei. Ma è la trascrizione sul terreno di quanto una dettagliata bozza, fatta conoscere solo agli intimi, aveva preannunciato e pianificato, con l’autorevolezza di chi si era assicurato immunità e impunità grazie ad olocausti subiti e potenza finanziaria costruita.

Il bombardamento di Piazza Omayyadi a metà luglio ha una portata simbolica: è il luogo dell’anima di Damasco, ospita il Monumento della Spada damascena e, ricordando il glorioso califfato Omayyade che si stendeva dai Pirenei alle steppe dell’Asia centrale, è   l’emblema della dignità e dell’orgoglio della nazione araba unita. Anatema per il colonialismo. Oggi per i sionisti. Ne serviva l’umiliazione.

Damasco bombardata

Una conquista che ha per meta Eretz Israele, il Grande Israele. Che è realistico pianificare al prezzo della frammentazione di ogni forma di unità araba, mirando ad annullare il dato storico e antropologico che si tratta di una civiltà unita da religione, cultura, lingua, volontà, ma capace di affermarsi nel segno del pluralismo e della convivenza etnica, confessionale, tribale. L’intervento deve essere, è stato, ed è tuttora, quello del divide et impera.

Occasione più recente, i drusi. Non ha, il ministro degli Esteri, Gideon Saar, detto che “l’idea di uno Stato unico e sovrano di Siria non è realistico”? E non aveva aggiunto Rami Siman, docente di Arte Militare a Tel Aviv, “La Siria è uno Stato artificiale. Israele lo deve far scomparire. Al suo posto ci saranno cinque cantoni”. E l’immancabile Bezalel Smotrich: “La guerra finirà solo quando la Siria sarà stata divisa”. Conclusioni logiche per chi, mandante e mandatario, aveva realizzato che mai lo Stato sionista avrebbe potuto, o dovuto, integrarsi nel mondo arabo e musulmano e che l’alternativa obbligata erano l’assedio, la conquista e la frantumazione.

Da Abramo, attraverso Herzl e Ben Gurion, a Netaniahu e ad…Abramo

  Grande Israele, fase 1 e fase 2

Tutto questo ha un retroterra, è la progressiva attuazione di quanto scritto nella bozza, intitolata ufficialmente “Grande Israele” e che prefigura una prima fase: la Palestina del mandato britannico, più quanto già incorporato nelle guerre a Libano, Siria, Egitto. Poi la fase seconda, sulla quale si lavora con più discrezione, ma con incorrotta fedeltà alle determinazioni degli autori della bozza.

Ricordiamo alcune di queste leggi post-e para-mosaiche dettate a chi, nella formulazione dei grandi padri della patria, non avrebbe mai dovuto essere difensivo, ma sempre offensivo, Theodor Herzl, Golda Meir e David Ben Gurion, tra gli altri. Così il fondatore dello Stato ad esclusività ebraica: “Nostro obiettivo è fracassare Libano, Transgiordania e Siria… Li bombardiamo, avanziamo e prendiamo Port Said, Alessandria e il Sinai… Dobbiamo creare uno Stato dinamico, orientato all’espansione… Non esiste una sistemazione definitiva… che riguardi il sistema di governo, i confini, (qualcuno specificava: “dal Nilo all’Eufrate”, Israele è totalmente priva di acqua), gli accordi internazionali”. Qualche decennio dopo, i neocon americani, sfruttando il loro 11 settembre, pianificarono la guerra a sette Stati della regione.

Golda Meir e Ben Gurion

Ancora Ben Gurion: “I confini delle ambizioni sioniste sono cosa del popolo ebraico, nessun fattore esterno li può ridurre”. Di questa strategia la Siria resta il gioiello della Corona. Dopo la disfatta dell’Iraq, è lo Stato arabo più progredito, confina con la Palestina che della storia e dello spirito siriani è parte. Israele coltiva con successo le minoranze curda e drusa, fino al punto di renderle proprio mercenariato. Lusingandone aspettative premiali, territoriali e di risorse, li si utilizza come cuneo per minare unità e coesione nella comunità nazionale. Tattica analoga utilizzata contro l’Iran, in collaborazione con USA, UE e relative ONG, utilizzando la leva armata delle minoranze curde, sunnite e beluci.

Tutto questo viene articolato dal consigliere di Ariel Sharon, Oded Yinon, nel famoso documento operativo del 1982: “Una strategia per Israele negli anni ‘80”. Vi si definisce la nazione araba, suddivisa dal colonialismo in 29 Stati, una struttura artificiale che concilierebbe l’inconciliabile e che andrebbe smantellata riducendola alle sue componenti tribali non statuali. Seguono le guerre a Iraq, Siria, Libia, rivoluzioni colorate in Egitto, Tunisia, Algeria, lo sfacelo del Sudan iniziato con il distacco del Sudan del Sud.

Nel quadro geopolitico così perseguito avevano assunto importanza strategica gli Accordi di Abramo, che sono tutto tranne accordi a favore della pacificazione della regione. Si trattava di posizionare Israele come centro economico, tecnologico, militare e di sicurezza della regione. Il solito Smotrich da a questa visione di Israele il significato di perno del nuovo ordine regionale. Suo l’onere e l’onore della difesa dalle minacce di Iran, Hamas e alleati. Israele fornisce la forza e i vicini pagano il tributo. Ovviamente non si tratta di partneriato, ma di dominio. Non integrazione, bensì appropriazione colonialista della politica, dell’economia, della sovranità.

L’inviato di Trump in Medioriente, Steven Witkoff, colui che ha accusato Hamas di sabotare una tregua per aver chiesto la fine dell’aggressione e la liberazione di prigionieri catturati a casaccio e detenuti senza accuse e processi, dà il suo contributo: ”Se tutti questi paesi collaborassero , potrebbero diventare più grandi dell’Europa… Possono lavorare nei settori dell’Intelligenza Artificiale, della robotica, del Blockchain”, e, ça va sans dire, dello spionaggio: vedi il regime Meloni, l’israeliano Paragon e il suo software Graphite, infilato negli apparecchi degli italiani fastidiosi, o sospetti, meglio se giornalisti impenitenti. Ovviamente la voce è di Witkoff, ma la parola è di Trump. Ricordandone, a scopo di edificazione morale, i condizionamenti epsteiniani.

Errori di valutazione?

 

Ma funziona tutto questo? O c’è qualche errore di valutazione?  

E’ vero che per determinare una reazione di larga dimensione da parte di un po’ tutti, a partire dalla genuinità che va riconosciuta solo ai manifestanti filoplaestiniesi, ci sono voluti quasi 2 anni

di diluvio di esplosivi su tendopoli piene di famiglie le cui case erano ridotte in macerie, sotto cui erano soffocate decine di migliaia di persone;

di bambini incendiati col fosforo, di bambini abilmente mirati alla testa e al cuore, di persone colpite, a seconda del bersaglio assegnato quel giorno, alle gambe, o al capo, o ai genitali, a gara;

di totale distruzione della struttura sanitaria di Gaza, con medici e pazienti destinati a fosse comuni; di intelligenza artificiale che permette di colpire 239 giornalisti quando erano in casa con le famiglie;

di stupro e tortura di prigionieri presi a casaccio; di diffusione di video in cui si celebrano le proprie infamie inflitte a civili palestinesi;

di esperimenti su cavie palestinesi, con nuove armi da poi vendere perché “testate sul campo”;

di droni che volano di notte diffondendo lamenti di bambini per fare uscire dalle case le persone e sparargli; di fame finalizzata a estinguere una popolazione di 2,3 milioni di civili. Eccetera.

Ce n’è voluto. Ma quando le classi politico-mediatico-economiche, che hanno tenuto lo strascico a Israele e l’hanno passato sopra l’oceano di sangue su cui veleggia quel bastimento di pirati necrofili, si sono accorte di un certo tremolio della terra che ne sostiene il potere, cioè l’indispensabile consenso delle masse, hanno cambiato registro. Di colpo, tutti insieme, dal New York Times a Repubblica, dalla CNN a La7, dai mostri atlantosionisti come Obama o Meloni, alla bassa forza dei sicofanti nostrani. Qualcuno è arrivato a sibilare la parola G.

Gaza, prigionieri dell’IDF

Dato conto della lacerazione interna dello Stato degli ebrei, determinata non tanto dal rifiuto del genocidio, quanto dalla spietatezza del regime verso la sorte degli “ostaggi” (coloni) catturati il 7 ottobre, equivale a un piccolo ordigno nucleare sulla compattezza del giudaismo mondiale la lettera firmata da oltre 1000 rabbini nel mondo. Al governo viene chiesto, con riferimento sia a Gaza che alla Cisgiordania, di non utilizzare la fame come arma, porre fine alla guerra e allo sterminio di civili, liberare i coloni detenuti da Hamas e superare la profonda crisi morale dello Stato ebraico. Una quinta colonna che amplifica le isolate voci ebraiche espressesi finora tra mille difficoltà e rischi.

Da un lato, la robusta rete dei governanti occidentali, complici dei mentecatti di Tel Aviv, che per 80 anni ha dato copertura allo strisciante olocausto operato da presunte vittime definite tali a prescindere, subisce drammatiche lacerazioni, come attestano i rimbrotti per gli orrori di Gaza e la raffica di riconoscimenti dello Stato di Palestina. La rottura di rapporti diplomatici, ministri israeliani dichiarati persona non grata e, last but not least, il processo della Corte Penale Internazionale. Dall’altro, rischia di finire in vacca la costruzione, detta Accordi di Abramo, con cui i compari Bibì e Donald avevano pensato di dare al Medioriente un nuovo ordine sionista, politico e geografico, con incontestata egemonia israeliana.

In ogni caso, la sconfitta strategica è data da qualcosa che non ci si era mai sognata nel rapporto tra un Occidente per il quale lo Stato sionista era il figlio prediletto. Nel preciso momento in cui Israele rovescia il tavolo su cui giocava da 80 anni e proclama ufficialmente, con i suoi massimi organismi, che uno Stato palestinese non ci sarà mai, e lo dimostra facendo sparire il popolo di Gaza e annettendo la Cisgiordania, uno Stato amico e alleato dopo l’altro lo smentisce clamorosamente, riconoscendo lo Stato di Palestina. 150 Stati su 192 riconoscono lo Stato Palestinese- Equivale al disconoscimento dello Stato sionista, razzista, nazificato, dell’Apartheid.  La macchina sionista è finita contro un muro.

Dal massicidio al suicidio?

Difficilmente, di fronte a un vento che fa arrivare anche tra i popoli dei principotti del Golfo lo sdegno mondiale, il rifiuto del sionismo genocida, rifiuto quale opportunistico, quale sincero e, comunque, necessitato, quel progetto di normalizzazione colonialista avrà un futuro. Si tratta, gli sceicchi lo hanno ben presente, di clienti irrinunciabili, fornitori o compratori, garanzia del loro potere di aristocratici su masse senza nome, ma che già hanno dimostrato (Bahrein 2011, un emirato in fiamme per mesi) una certa irrequietezza. Del resto, assistendo, con tanto di brividi, al dilagare militare israeliano in Libano, Siria, Yemen, agli interventi, neanche più tanto mimetizzati, in Sudan, nel Caucaso, all’attacco all’Iran, per quanto malvisto dai regni sunniti, la domanda si pone inesorabile: ma dove vogliono arrivare?

Tutto questo, come il parossismo della malvagità raggiunto e superato a Gaza e in Cisgiordania, sta minando alla base una coesione, non solo della società civile israeliana, ma della forza sulla quale si regge tutto l’abnorme costrutto: l’IDF, il millenarismo, le pretese di diritto divino, l’apartheid come visione del mondo, l’indulgenza degli ignavi e la complicità dei sodali, assistita dall’immunità guadagnata grazie a olocausto e all’ “unica democrazia del Medioriente”.

Gaza, caduto israeliano

Metà dei riservisti richiamati non si presentano. 12.000 è il numero ufficiale dei riservisti che si sono rifiutati di servire a Gaza. Oltre il 12% di quelli che hanno partecipato alla guerra sono in cura per stress post-traumatico. Di almeno 19 suicidi di soldati dall’inizio dell’anno si sa. Pare che siano una cinquantina dal 7 ottobre. L’IDF ha dovuto attivare una linea di supporto psicologico attiva 24 ore su 24. 40 alti ufficiali dell’unità d’elite 8200, addetta a spionaggio, intelligenza artificiale e operazioni sporche, hanno annunciato il rifiuto di partecipare a operazioni “illegali”. E neanche la fabbricazione del 7 ottobre, non dissimile da quella dell’11 settembre e con analoghe finalità, per quanto ottusamente rilanciata e ricreduta a dispetto delle inchieste, riesce ad arginare l’isolamento. S’è mai visto uno Stato più paria di questo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e di molti dei governi? Come farà a sopravvivere? Continuando a menare colpi all’impazzata a destra e a manca?

 Soldatesse IDF

Per questo grande stravolgimento di quanto sembrava assestato e irriducibile andrebbe reso infinito merito, anche per il significato che ne discende all’intera umanità degli oppressi, perseguitati e discriminati, ai partigiani della Resistenza palestinese. Una resistenza, badate bene e non fatevi sviare dal rilievo che si prova a dare a collaborazionisti alla Abu Mazen, o a occasionali mercenari, sostenuta, a prezzo di indescrivibili sacrifici dal suo popolo.

Non solo vittime

 

Resistenza è una parola che i padroni conoscono bene e della quale hanno un terrore fottuto perché coincide con le sconfitte subite. Per questo si affannano a chiamarla terrorismo e a promuovere una cultura che vieta, a forza di intimidazioni, addirittura di nominarla. E così che all’opinione pubblica viene negata la conoscenza delle operazioni partigiane che hanno in grande misura contribuito a determinare la crisi militare e politica di Israele. Senza di loro, di Palestina, cioè di giustizia, diritti, libertà, non si parlerebbe più.

A vedere come è posizionato Israele oggi nel mondo, rispetto al “gigante morale” di appena due anni fa, si prospetta una fenomenologia nichilista non inusuale per dominatori e imperi. Una frenesia di morte così incontenibile da travolgere se stessa.

 

 

 

 

 

Nessun commento: