sabato 28 dicembre 2019

Erdogan: la Libia val bene un’Idlib siriana ----- NATO – ONU – FRATELLI MUSULMANI UNITI CONTRO LA LIBIA ----- Ma noi abbiamo Di Maio l’Africano!



Il Talleyrand di Pomigliano e il Sultano neottomano
Venendo alla Libia e al grandissimo casino che abbiamo contribuito a scatenare in quel paese, fino a ieri prospero, unito, giusto e felice, viene in questi giorni infausti anche da pensare a Luigino Di Maio ministro degli Esteri. Tipo Stenterello che si veste da Metternich. Dopo aver già dato prova di scarso senso delle proporzioni assommando in sé, in successione o contemporaneamente, gli incarichi di mezza dozzina di accademici, o tecnici del CNR, o politici a 24 carati, ora si occupa di quel pantagruelico pasto per avvoltoi che è la Libia. Resta il dato che, in ogni caso, Di Maio, pur rinnegando le premesse di politica estera dell’ottimo M5S d’antan, resta un mezzo visir tra i buffoni di corte che lo hanno preceduto su quello scranno.

Ci avessero mandato qualcuno che di mondo ne ha visto, come un Alessandro Di Battista, o di giusto e ingiusto capisse, come un Bonafede, o sapesse scrivere sulla lavagna i buoni e i cattivi, come un Fioramonti, o, ancora meglio, che sapesse di traffici mafiosi come un Morra… Ma spedire da quelle parti, o da qualunque parte, Luigi Di Maio, è come mandare il Pinocchio di legno a spegnere gli incendi della California (e mi viene in mente il burattino perché ho visto la bella trasposizione cinematografica di uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale).

 
Di Maio da Serraj


Sapete cosa si dovrebbe chiedere a un Di Maio ministro degli esteri, o a un Giuseppe Conte premier? Di fare l’Erdogan. Ve li immaginate? Eppure, ragionando in termini coloniali, a me ostici, ne avremmo avuto le migliori ragioni perché siamo i dirimpettai, le zampe sulla Libia le abbiamo messe noi, prima o meglio dei turchi, con i romani, con Giolitti e, infine, con Berlusconi che la bombardò e aiutò il premio Nobel per la Pace Obama e l’onesto Sarkozy, eletto grazie ai fondi libici, a raderla al suolo. Ora se ne occupano il Talleyrand di Pomigliano e il Coniglio Mannaro pugliese, fan di Padre Pio.


Dall’Italia alla Libia sono 355 km. Dalla Turchia 741, ma dopo le nuove Zone di Esclusione Economica (ZEE) proclamate dal sultano neo-ottomano e dal governatore di un Hotel di Tripoli, Serraj, Turchia e Libia sono praticamente appiccicate via mare e quanto a giacimenti di gas e petrolio, non ce n’è più per nessuno. Né per Creta, né per Cipro, né per Libano-Palestina, né per l’Egitto. Figuriamoci per l’Italia, che già ha ricevuto le bacchettate di Erdogan sulle mani, anzi, sulle navi, quando l’ENI s’è azzardata a pescare dalle parti di Cipro! Mentre il famigerato, ennesimo, gasdotto di merda con cui, dopo il TAP, assalire e devastare l’Italia, l’Eastmed Israele-Cipro-Creta-Grecia-Puglia, per la maggiore gioia dei motori e delle caldaie nordeuropee, viene messo in quarantena dalle cacciatorpediniere di Erdogan.


Quale governo legittimo?
Magari credendoci, il nostro ministro degli Esteri, fatto un po’ di spola tra Serraj e il generale Haftar, se ne esce col mantra di tutti gli ipocriti, tipo Chamberlain a Monaco, “La soluzione deve essere politica, non c’è soluzione militare, dialogo!” Intanto lui e tutta l’accolita atlanto-israeliana insistono ad accreditare una ONU-tappezzeria di Wall Street nel dare del premier libico a Serraj, sovrano golpista su alcuni quartieri di Tripoli, con associato il pozzo nero di nequizie razziste e stragiste che è Misurata. Dove, non per nulla, stazionano 500 militari italiani. E da cui magari sono partiti i droni italiani che Haftar è riuscito ad abbattere. Il Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Serraj non è né legittimo, né rappresenta un popolo che, con le sue tribù e il suo territorio, è invece schierato all’80% con Haftar. Nessuno, né, figurati, l’ONU, ricorda che fu un golpe dei Fratelli Musulmani, 2015, a prendere il potere a Tripoli e a costringere all’esilio a Tobruq l’ultimo parlamento regolarmente eletto. Unico parlamento democratico e legittimo, sia nel suo presidente, Aquila Saleh Issa, sia nel suo premier, Khalifa al-Ghweil, sia nel suo ministro della Difesa, Khalifa Haftar.



Gente che ha fatto a pezzi la Libia, pacifica e nemica di nessuno, se non dell’imperialismo, che ha linciato Gheddafi tra lo sghignazzo di Hillary Clinton e che, con i suoi capibastone e sguatteri, persegue i propri interessi riducendo alla fame e alla morte popoli interi a forza di bombe, terroristi e sanzioni. Gente che blatera da mane a sera di dialogo e soluzione politica, ma che da nessuna parte ha preferito il dialogo, o rinunciato a opzioni di forza quando se lo poteva permettere. C’è stata soluzione politica in Iraq nel 1991 e nel 2003? C’è stata soluzione politica col colpo di Stato narcofascista degli Usa in Honduras? E’ in corso una soluzione politica in Siria, o Afghanistan, mentre si inceneriscono villaggi e si difende con i marines l’oppio che serve a neutralizzare il sacrosanto odio dei dominati? Di cosa diavolo spapagalli, Di Maio? E’ solo la soluzione militare che, dopo averla fatta sopravvivere, ha avvicinato la Siria alla vittoria. Non le hanno lasciato scelta. Non lasciano mai scelta.

Giocare alla pari, stare a guardare, o andarsene?


Ho scandalizzato qualcuno quando ho detto che Di Maio o Conte, o chi per loro dovrebbero fare gli Erdogan? E’ un paradosso limitato alla situazione sul terreno e in mano a poteri che, in qualsiasi caso, sono criminali e perseguono l’assalto occidentale al Sud del mondo. Se questo è il gioco, Erdogan insegna che ti servono almeno due o tre carte, una russa, l’altra statunitense e la Nato, come un tempo a Cavour tra Francia, Austria e Inghilterra. Lo sta imparando perfino la Grecia, paese Nato come noi, ma che si schiera con il fronte libico di Tobruk. Noi le altre carte le abbiamo buttate settant’anni fa. Giochiamo con una sola. Cioè stiamo a vedere.

Questo se si vuole fare il gioco dei farabutti del colonialismo. Se invece si sta al giusto e al morale, noi occidentali non dovremmo avere altra scelta, altro imperativo storico, politico e morale, di scomparire dalla Libia per sempre. Con armi, bagagli multinazionali e Ong facilitatrici. Fino a quando non tornano a invitarci a prendere il tè. Significherebbe riprendersi un po’ di sovranità nel rapportarci al resto del mondo, da sotto il tappeto rosso che abbiamo steso sulle nostre teste e sotto ai piedi dei nostri “alleati”. Ubbie? Per ora ci accontentiamo di mandare bacini e incoraggiamenti ai “rivoluzionari” colorati che stanno lavorando ai regime change tentati dai nostri “alleati” in Iraq, Iran, Sudan e Algeria. Arabi che insistono a non marciare in riga.

Il pokerista ottomano

 
Zona di Esclusione Economica (ZEE)vantata da Erdogan


La Turchia che sta dall’altra parte del Mediterraneo, s’è impadronita di praticamente tutto il mare tra Istanbul e Tripoli. Alla faccia della Grecia (subito precipitatasi a fare fronte con Haftar e con tutti i nemici dei Fratelli musulmani) e delle sue isole, di Cipro, di Creta e, ovviamente, dell’Italia. Che non sta dall’altra parte, ma virtualmente a contatto di gomito con la Libia. Recep Tayyip Erdogan fa quello che vuole e che gli serve. Noi facciamo quello che vogliono gli altri e che non ci serve. Lui, padrone della sua politica, gioca tra i due giganti del pianeta, li mena per il naso, li blandisce, li ricatta, ci si allea, li contrasta, li serve. Ha in mano il pallino.

Tiene per il bavero gli Usa che senza le gigantesche basi militari in Turchia e il più forte esercito alleato Nato si troverebbero in braghe di tela di fronte alla Russia, alla Siria, all’Iran. Tiene al guinzaglio i russi, il cui gasdotto Turkish Stream resta uno dei pochi sbocchi energetici di Mosca verso Occidente e i cui interessi in Siria si devono contemperare con quelli turchi. Fino a quando non si consolidi una Libia amica della Russia e finchè l’Egitto traccheggia tra Usa, molto presente, e Russia, appena affacciatasi; finchè solo a Incirlik sostano gli aerei e i missili nucleari dell’Air Force e a Kurecik funziona il massimo radar Usa che copre Medioriente e Asia e finchè Ankara compensa l’antiaerea russa S-400 con gli F-35 americani, Erdogan può ricattare gli uni e gli altri.


E se facessimo come i greci?
Noi, Italia, saremmo in una posizione addirittura di maggiore forza. Sempre immaginando di giocare quella partita coloniale di ladroni di roba altrui. Molto più strategicamente centrali nel Mediterraneo, tra tre continenti segnati da risorse naturali e industriali e movimenti coatti di masse, ospitiamo, oltre ad Aviano, da dove abbiamo squartato la Serbia, non una, ma 90 Basi e presidi Usa, una novantina di bombe atomiche, ora in procinto di ulteriore potenziamento a B61-12, tutta la Sesta Flotta, Il MUOS che da Niscemi, oltre a irradiare la popolazione, governa operazioni militari in mezzo mondo.

Se ci fosse un ministro degli Esteri che, oltre a conoscere, facesse gli Esteri, nel senso di perseguire gli interessi italiani nel mondo, magari del popolo, più che della sola ENI (ma manco di quella), magari con un pizzico di morale, ora staremmo accanto ad Haftar, al popolo libico e al legittimo parlamento e governo di Tobruq. Haftar che, oltre ad aver recuperato la migliore e più onesta classe dirigente e di quadri mai vantata dalla Libia, quella della Jamahirija, ha il consenso della maggioranza della popolazione e sta per eliminare dalla ricattatoria scena allestita dal colonialismo il mercenariato jihadista di quest’ultimo. E gli americani? Gli diremmo, guardate che, senza di noi, nel Mediterraneo, ma anche nei Balcani e oltre, fareste poco.

 
Rosso, area controllata da Tobruk. Viola, area controllata da Tripoli. Verde Tuareg e tribù alleate di Tobruk.


Mamma, li turchi!
Quello dei jihadisti assoldati dai Fratelli Musulmani è un mercenariato ultimamente infoltito dall’afflusso di truppe turche, per le quali Erdogan dice di aver ricevuto richiesta dal fantoccio Serraj. Quali truppe turche? Le solite, dette proxies in inglese: quelle adoperate da Nato, Israele e Golfo contro l’Iraq e la Siria e vari paesi africani. Anche contro l’Egitto, liberatosi dai Fratelli musulmani e perciò punito con la sceneggiata Regeni. Arriva da Idlib l’abominio degli abomini Isis e Al Qaida-Al Nusra. Da Idlib, dove, tra le lacrime del “manifesto” sui “civili uccisi dai bombardamenti siro-russi”, sotto l’avanzare delle forze di Assad, stanno fuggendo a migliaia i terroristi della Jihad. Ora che Tripoli e il pozzo nero di Misurata rischiano di cadere, il trasferimento da Idlib dei tagliagole chiamate “truppe turche” viene ufficializzato nel nome del governo libico riconosciuto dall’ONU. In Libia, dove Tripoli già impone la Sharìa, si vorrebbe tornare alle crocifissioni, decapitazioni, scuoiamenti, ai “matrimoni a ore”, popolarissimi nelle parti di Siria e Iraq sotto controllo Isis. Le donne libiche si aspettino stupri a migliaia. Che hanno da dire le “Non una di meno”?

Per neutralizzare l’effetto poco simpatico che sull’opinione pubblica ha l’immagine di questi decapitatori, ecco che le spore nostrane dei tentacoli imperiali s’inventano la presenza, già ventilata in Siria, e poi dissoltasi al sole per totale mancanza di prove (ne avessero catturato uno!), di mercenari russi di una ditta privata, “Wagner”. Ditta ovviamente “vicina al Cremlino”, quando non guardia del corpo di un Putin minacciato, secondo il premurosissimo Yuri Colombo del “manifesto”, da una rivolta di popolo che sta incendiando tutta la Russia e che solo lui vede e lo Stato Profondo auspica.

Sapete qual è il colmo - uno dei tanti assegnabili al “manifesto” - in questa congiuntura? Che ieri Erdogan era il brutale assassino, mica dei siriani contro cui da nove anni scatena i suoi terroristi, no no, dei curdi, eterne vittime, femministi, ecologici, confederalmente democratici, anche se, ma chi se ne impippa, impegnati nella pulizia etnica di un terzo di Siria e nel fare da guardia, per i ladri USA, al bidone del petrolio siriano. Oggi Erdogan, che corre in aiuto al Fratello Musulmano sotto assedio a Tripoli, riconosciuto dalla “comunità internazionale”, mentre il “rinnegato generale, potenziale dittatore”, Haftar, sostenuto dai russi, sauditi, Emirati, francesi, bombarda – è fisiologico – donne e bambini, per i nostri progressisti, difensori dei diritti umani, risulta quasi umano.

Male che vada, ci sono sempre i Fratelli Musulmani (e Giulio Regeni)


Tanto più che il principale alleato di Haftar è Al Sisi, presidente egiziano. Già, quello di Regeni. Mica quello del cui popolo fanno quotidianamente strage in Sinai, e non solo, i Fratelli musulmani di Al Serraj, di Erdogan, di Morsi, del Satrapo al Thani del Qatar, di tutti i terrorismi dai colonialimperialisti affidati a vari agenti tipo Osama, Al Zarkawi, Al Baghdadi. Quei Fratelli Musulmani che, da circa cent’anni, servono il colonialismo occidentale nella guerra all’unità, all’intelligenza e all’emancipazione degli arabi.

Ma c’è un altro colmo dei colmi in cui, con il “manifesto”, sinistra mosca cocchiera, indulgono tutti gli altri sinistri, con tanto di padre spirituale in Vaticano. La giaculatoria da decenni fondata sui fatti, veri quanto quelli recitati nelle novene, è che i migranti tocca assolutamente accoglierli perché sopravvissuti alle condizioni atroci in cui verserebbero tra i diecimila e i cinquecentomila (a seconda di chi giacula), rinchiusi nei lager dell’orrore libici: torture, stupri, assassinii. Molti di questi campi sono sorvegliati da personale dell’ONU (UNHCR o OIM), che di conseguenza assisterebbe, non si sa cieco, sordo, o compiaciuto. Altri sono governativi, del regime Serraj, dunque in mano ai Fratelli Musulmani, braccio politico dell’Isis e affini, ma Serraj è uomo dell’ONU e nostro amico, quindi non contano. Altri ancora sarebbero in mano a milizie al limite del cannibalismo, sempre jiahidisti, cioè Fratelli musulmani, amici del “liberatore Erdogan”

Aisha Gheddafi, leader della Resistenza

Ora arriva, con i suoi soldati dell’Esercito Nazionale Libero (LNA), il generale Haftar, nemico di Serraj, nemico dei Fratelli musulmani, riabilitatore dei gheddafiani e, dunque, fortissimamente nemico e liquidatore militare dei bruti che gestiscono quei campi e vi compiono quelle cose orrende. Ci sarebbe da levarsi in massa in una standing ovation dalle Alpi alla Sirte: non più stupri, non più torture, non più omicidi, non più commercio di schiavi; viva, viva il nostro Generale! E tutte le Ong che estraggono le vittime dei carnefici dai lager libici, dovrebbero rendergli onori.

Avete sentito niente? E’ che, se Haftar libera i migranti, e magari una nuova Libia li fa pure lavorare, come al tempo di Gheddafi, le ONG e tutto il relativo codazzo dell’accoglienza, cosa ci starebbero a fare?

A proposito di Libia, Obama e Hillary Clinton, i fari di quanti nel mondo si dichiarano di sinistra, sono ancora a piede libero. Julian Assange, che ne ha rivelato al mondo i crimini, sta in galera e lentamente è fatto morire. Così va il mondo. Lo sapevi, Luigi Di Maio? Lo sapevi quando Beppe Grillo ti ha ordinato di metterti con il partito italiano di Obama e Hillary?












3 commenti:

Lanzo ha detto...

Non ho in simpatia Erdogan = che banalita' me ne rendo conto, ma il volpone lupo Erdogan con cojones Di Maio & Co se li pappa in un boccone

Lanzo ha detto...

Erdogan e' un super paraculo, mezza volpe mezzo lupo mannaro, uomo di potere, altro che Trump, Di Maio e tutti gli altri - se li mangerebbe a colazione.

cinciallegra ha detto...

Eccellente, come sempre.
L'Italia non esiste più nello scenario internazionale, se non come acquirente di bare volanti al chiosco del padrone d'oltreoceano. I militari italiani sono sparpagliati ovunque per il mondo nella scia degli interessi Usa, nell'assenza totale di un progetto geopolitico.
Ma in fondo, considerando che nella nostra storia abbiamo sempre e solo fatto o partecipato a guerre d'aggressione nella speranza di raccogliere le briciole delle rapine altrui, questo non esserci non è nemmeno un gran male.