Era ora, sospira una gran moltitudine dei 5Stelle, dopo
aver dovuto assistere, nell’impotenza della mancanza di proposte alternative
dichiarate, al precipitare nella quasi irrilevanza della più grande forza
politica e sociale del paese, anche l’unica morale nel quadro depravato delle
realtà partitiche dei tempi. Nel titolo esprimo impazienza per l’abbandono di
uno che valeva tutti, cui non ho risparmiato critiche dure fino allo sberleffo.
Sberleffo commisurato alla sua supponenza, alla spropositata ambizione, fonte
di irrimediabili cantonate, poi sofferte da tutto il Movimento.
Ritiro “tattico”, secondo il garante
Va però visto anche il pericolo, per il futuro del
movimento sopravvissuto alla cura Di Maio e sodali, che l’uscita di scena, per
quanto probabilmente strumentale e parziale (in vista, magari, di un richiamo
“per acclamazione” agli Stati Generali, o al Congresso), sia in questo momento,
nell’immediata imminenza delle elezioni in Emilia-Romagna e Calabria,
l’ennesima botta micidiale che l’improvvido capo politico infligge alla sua
gente. Che, già disorientata prima, ora, in pieno marasma elettorale, si trova
addirittura priva del riferimento a quel paparino-padroncino. La sua, da questo
punto di vista, è una fuga. Altro che dare la colpa a “chi critica in modo distruttivo
anziché costruttivo”. Distinzione falsa e tendenziosa di chi le critiche non
le vuole in alcun modo. Come s’è visto con Paragone, esempio di fedeltà
all’impegno. Dunque “costruttivo”.
Di Maio si scravatta a favore di telecamera, dopo aver
incravattato l’intero movimento, fino al quasi suo strangolamento. Un indumento,
quello col nodo, con cui l’uomo qualunque è tenuto ad assomigliare al padrone,
come la creatura a quattro zampe col collare deve corrispondere al dettato
di quella a due. Di Maio, uno che è divorato dall’ambizione senza averne i
presupposti culturali e di carisma. se ne va per tornare e sono convinto che si
tratta di ritiro tattico, partorito dall’idea diabolica dell’untore καλλίκομος
(dalla bella chioma) promotore della pestilenza Cinquestelle-PD-Italia Viva.
Non è stato Beppe Grillo, tra un vaffa e l’altro, a perseguire questo
sposalizio, prima solo morganatico, poi congiunturale, infine inciucio ad
eternum? Le stelle volessero che al rientro di Di Maio a Pomigliano d’Arco,
a fare, che so, un bravissimo sindaco (il ragazzo è capace e svelto)
corrispondesse anche il ritorno sulle scene, definitivo però, di questo
teatrante plautino dai mille travestimenti.
Di Maio, se ne va perché, ritrovandosi la faccia sfregiata
da un disastro elettorale dopo l’altro, fino a un sesto del patrimonio
elettorale offertogli nel 2018 dal fior fiore del nostro popolo, a metterci la
faccia anche alla reductio ad unum che gli riserva l’Emilia Romagna non
ci pensava proprio. Di Maio se ne va non perché è stato “accoltellato alla
schiena da traditori ingrati”, come ha lamentato, con la mancanza di gusto
che gli riconosciamo da quando, inseguendo il papeetista, si è fatto
sbaciucchiare dalla fidanzata a favore del peggiore fogliaccio scandalistico
del “giornalismo” italiano; da quando, lusingando i gennarielli napoletani, ha
baciato la teca del sangue del loro santo; da quando ha prestato la sua testa
al barbiere dei calciatori; da quando ha messo la cravatta per assomigliare a
Mario Draghi; da quando, ministro degli Esteri (non ci si crede!), appare al
mare in Sardegna con Virginia, mentre il Medioriente esplode come il vulcano
Krakatoa. Gesti spontanei, gesti di fede?
Non riesco a salvarmi dai miasmi che emanano da queste rozze
captationes benevolentiae (vuol dire ruffianeria. Scusate, ma con il latino
ci si esprime sempre meglio)
Il bene e il male a 5Stelle
Di Maio se ne va perché, agli occhi e al cuore dei
malamente detti “grillini”, risulta alla fine squilibrato al negativo il
rapporto tra cose buone e cose non buone. Ne cito alcune, prima le non buone. Intanto
l’incapacità, o la non volontà e la mancanza di rispetto per i seguaci, della
mancata organizzazione capillare sul territorio, per non intaccare la
degenerazione verticistica del capo. L’inversione a U sul rifiuto ontologico
all’alleanza con ognuno dei due peggiori arnesi della politica tradizionale
italiana. La disastrosa scelta, per il biumvirato Premier-Vicepremier nel Conte
1 e poi, ancora, del Premier per il Conte 2, di un finanzdemocristiano per ogni
stagione, mezzo Scilipoti e mezzo Forlani. Vero Jago, se Giggino si sentiva
Otello, e il MoVimento era Desdemona. La mancata rottura con Salvini sul TAV,
pilastro formale e sostanziale di tutta la politica 5Stelle su popolo,
sovranità, ambiente, economia.Ne sarebbe uscito un MoVimento da almeno il 40%.
Eppoi,TAV, TAP, MUOS, tutti no e dopo sì, UE ed Euro no, ma
dopo come no! Nato ni e dopo sì, missioni militari no e dopo sì, migranti no,
ma dopo sì, revoca concessioni no e ora boh, sanzioni Russia no, ma poi zitto.
Voto scandaloso per Ursula von der Leyen eurocommissaria, già la più austerista
e militarista ministra dell’imperial-regime Merkel. Corsa e ricorsa a rendersi
graditi agli strangolatori di Washington e Tel Aviv. Passione smodata, chissà
perchè, per le Forze dell’Ordine, per quanto si sappiano pretoriani del
sovrano. Ce ne sarebbe, ma chiudo con il terribilissimo voto pro MES
(Meccanismo Europeo di Stabilità) di cui tutti, da Draghi a von der Leyen a
Bergoglio a Mario Rossi sappiamo che serve esclusivamente a trasferire talleri
dalle tasche sbrindellate di noialtri, ai caveau dei banchieri, soprattutto
francesi e tedeschi e a fare di noi sudeuropei un’altra Graecia infelix
Cinque Stelle luminose
Quante alle buone cose, a dispetto dei rosiconi,
pidocchiosi dell’ideologia, livorosi odiatori (questi sì) sorosiani e
Bilderberghiani, alla Gruber o “manifesto”, ce ne sono state tante e grosse,
come non se n’erano mai viste, almeno dalla decennale insurrezione di studenti,
operai, intellettuali e sottoproletari, partita nel 1968. La tiritera da
ossessione compulsiva dei “dilettanti, incompetenti, impreparati” fa giustizia
di sé alla vista dei malavitosi, truffatori, ladri, inetti totali e servi delle
lobby, che la eruttano. Anche qui lo spazio mi costringe al braccetto corto. Su
tutto, il reddito di cittadinanza per i senzalavoro che ha tolto dalla miseria
metà dei miseri: 520 euro a ciascuno dei due milioni e mezzo. Ignobili agiati
lo schifano perché ai 520 euro non è seguito un lavoro e tra i beneficiati c’è
stato anche qualche furbetto del quartierino. Senza contare che il lavoro non
c’è perché UE e capitalisti hanno bisogno di un esercito di disoccupati di
riserva e quanto ai furbetti del quartierino, si pensi piuttosto alle varie
centinaia di costoro in Parlamento che beccano 15mila euro al mese a sbafo, o,
meglio, per far danno alla collettività.
E poi, il decreto spazzacorrotti, la galera agli evasori,
il decreto Dignità contro i torturatori di lavoratori, la prescrizione bloccata,
alla faccia di farabutti, frodatori e famelici azzeccagarbugli, per evitare che
dai 400mila ai 600mila processi all’anno vadano in fumo, ridandoci in giacca e
cravatta personcine ammodo come Andreotti o Berlusconi e grassatori e mariuoli
vari. Qualcuno minimizza, si mette a spidocchiare quasi fosse un cammelliere al
caravanserraglio, trova un limite là, un’imperfezione qua, una macchia d’olio
sulla copertina. Si tratta, vuoi di tutta quella canea arroventata d’odio
aristocratico, borghese, padronale, che s’è vista sbattere sul muso lo specchio
con il riflesso della sua pochezza, bruttezza, abiettezza, vuoi gli innamorati
delusi che non si sanno fare una ragione dell’arcadia sognata e svaporata.
Ci sarebbero anche provvedimenti che, per una parte, si
possono qualificare buone e, per l’altra, cattive. Un esempio sono i decreti
Sicurezza dai 5Stell condivisi. Sacrosanti per quanto riguarda il contrasto
agli infami speculatori sullo svuotamento dell’Africa e di altri paesi per
rifornire di schiavi il nostro padronato, ma sciagurati nella parte fascistoide
che punta a criminalizzare ogni dissenso, paralizzando con estremismi punitivi
ogni diritto a manifestare, a protestare contro gli abusi della repressione, a
usare i propri corpi contro i soprusi. Altro che “democrazia diretta”,
oligarchia feroce.
MoVimento senza visione, ma con un cuore
Ce ne sarebbero ancora parecchie di cose concrete delle
quali essere grati al MoVimento. A partire e a chiudere dall’avere, con la
parola d’ordine e la testimonianza dell’onestà, dimostrato che, dopo tutto, non
siamo un popolo di mafiosi, mafiosetti, mafizzati e cialtroni. Ma, su tutte,
albeggia la luce che si è accesa nelle menti e il calore che ha invaso i cuori
di milioni di esseri umani perbene, proiettati in un futuro migliore. Cittadini
stufi di essere sudditi e consapevoli che le cose si potevano prendere nelle
proprie mani, senza affidarsi a coloro che campano bene pretendendo di saper
fare meglio. Quelli con la cravatta e le tre carte. S’è visto che non c’era
organizzazione, che qualcuno andava esautorando quel movimento di protagonisti,
incominciando a togliere di mezzo elaborazioni collettive, come i Meet Up
(parolaccia inglese), convogliando tutto in un percorso digitale inadeguato e
opaco, sotto controllo di chi da nessuno era controllato, che nessuno
conosceva, nessuno aveva scelto. S’è sentita la mancanza di una casa, di un
corpo a corpo, faccia a faccia, parola a parola tra iscritti, militanti,
simpatizzanti, popolo, per contribuire alla tattica, alla strategia, alla
coscienza collettiva, per sapere scegliere consapevolmente e non a cazzo i
rappresentanti e non congelare ogni elaborazione in un ghiacciolo digitale
leccato solo dal Capo. Tutto vero.
Ideologia, postideologia, destra, sinistra?
S’è anche detto che al movimento mancava una “visione”, un
progetto compiuto di società e di mondo. Un’ideologia. E anche questo è vero. Però
si pensi cosa ne è stato del PCI, che di visione si vantava di averne una,
globale e precisissima. Ma l’ideologia resta in ogni caso imprescindibile.
L’ideologia e l’idea e il logos (la parola) con cui vedi il mondo. L’ideologia è
concezione e progetto, tipo “sto con chi vale, soffre, è giusto e onesto, o sto
con chi non vale, sta bene a spese di altri, è ingiusto e disonesto”. E’ la
distinzione tra sinistra e destra e, da che mondo e mondo, altre non ce ne
sono. E se si guarda a principi e azioni dei 5Stelle, su dove vada collocato
non rimane il minimo dubbio. Serve anche vedere come tutti i media italiani,
tutti indistintamente di destra, detestino e attacchino senza posa i 5Stelle,
che siano al governo o all’opposizione. Vorrà pur dire qualcosa, no? Capisco il
motto “né di destra, né di sinistra”, nasce spontaneo se si fa riferimento a
quanto di falso e turpe oggi rappresentano queste due posizioni, la sinistra
che è diventata destra e la destra che è diventata ancora più di destra.
Reazionarie entrambe. Ma questo non cambia il dato, né in filosofia, né in
ideologia, né in politica.
A chi tocca ora, secondo gli uni e secondo gli
altri
E ora tutti rimpiangono la dipartita, vera o farlocca che
sia, del bravissimo partner e onesto oppositore Giggino. Sono gli stessi, e con
lo stesso spirito e interesse, che celebrano l’arrivo delle Sardine. E si fanno
voti e pronostici sul, più o meno temporaneo successore. Tra quelli ventilati
non ce ne dovrebbe essere uno che si discosti dal luminoso modello Di Maio.
Intanto abbiamo un “reggente”, quasi fossimo in attesa del minorenne
Tutankamon. E’ Vito Crimi, personalità non troppo definita da poter diventare
Tutankamon lui stesso, ma gradita alla cerchia Casaleggio e, dunque, non a me. Cui,
peraltro, era graditissimo da responsabile per l’editoria quando doverosamente
voleva evitare, a vantaggio di giornali
locali, che ignari pagassero media che nessuno o pochi compravano e che,
perlopiù, disseminavano fake news: il manifesto, il Foglio, l’Avvenire dei
poverissimi vescovi, Radio Radicale con gli ululati, anche postumi, di
Pannella.
Gli altri cultori della civile convivenza PD-5Stelle vedono
bene Vincenzo Spadafora, specialista, con la Lombardi, di spazzatura rovesciata
sull’ottima Virginia Raggi; la Sardina Roberto Fico, resasi meritevole per
l’avallo all’operazione italo-britannica Regeni e per l’antisovranismo espresso
con la Festa della Repubblica dedicata a migranti e Rom; Chiara Appendino,
perché è cara al fuggiasco e non rompe più le palle sul Tav, Paola Taverna,
perché da controfigura di Alessandro Di Battista è passata a quella boiata,
ovviamente nominata dal capo, dei “facilitatori”.
Roba, questa, che coltiverà la guerra per bande e lacererà
ulteriormente la schiera dei parlamentari 5Stelle, tra poltronari, gente che
non sa come sia finita lì e cosa ci stia a fare, e i non pochi che non si sono
dimenticati per cosa sono stati eletti. Se ci possa essere un futuro per il MoVimento
dipende da questi ultimi. E soprattutto dalla maggiore e migliore parte del
MoVimento, che è anche la migliore parte del nostro popolo. Sanno come va il
mondo e come deve andare il mondo. O ne conoscete altri?
Vedete, c’è la foto di un pannello luminoso che decora
l’ingresso alla sede dei 5Stelle di Macerata. Ingranditela e leggete: c’è un
elenco di “cose fatte”. Poi accanto ce n’era un altro con le cose da fare. I
“grillini” maceratesi sono quelli che, anni fa, accolti e apprezzati ovunque,
mi hanno accompagnato per tutto il territorio terremotato in Centro Italia. Che
hanno spiegato, denunciato, lottato. Giorni fa, sono stato nella loro sede.
Sede voluta e creata da loro, senza aspettare un tardivissimo via dal vertice.
Come suole per un’organizzazione radicata tra la gente. C’era, convocata dai
consiglieri comunali del MoVimento, un’assemblea di una cinquantina di persone,
iscritti, attivisti, simpatizzanti, interessati e molti esperti appassionati
alla materia. Si discuteva di urbanistica, di cosa fare di una città rimasta
ferma nel tempo tra integrità storica e carenze strutturali. Si denunciava, si
proponeva, si dibatteva. Ci si preparava, con COMPETENZA, a fare di
questo pezzo del paese e del mondo, una cosa migliore.
Dice che i 5Stelle non hanno una visione, una strategia. Se
ci fosse stata dall’inizio sarebbe letteratura, o dogma. Questi miei amici sono
la materia che ci vuole per far nascere
la famosa visione strategica. Di questo c’è bisogno per sapere che fare e poi
leggere le “Lettere dal carcere”. Di Maio lascia un Movimento al minimo
storico, in crisi di identità, privo di organizzazione. Ma a Macerata non siamo
al minimo storico, non c’è crisi di identità, né mancanza di organizzazione. Il
terreno idea da dove far fiorire la “visione”. E così in tante parti d’Italia. Il MoVimento è
qui. E da qui e da nessun’altra parte, tocca ricominciare.
O preferite farvi, con Annunziata, Formigli, Gruber. Zoro, Repubblica, manifesto e tutti i megafoni del potere, Sardina al petrolio, come Santori? O
fondare un altro PaP del Sacro Ordine delle pippe? O lasciare la vostra vita in mano all’ossario
della triade Zingaretti-Renzi-Salvini?
1 commento:
Immagino i padroni del M5S che alla casaleggio e Associati preparavano la revolucion hahaha. Ma per piacere,va bene l'ingenuità ma qui ci si prende per i fondelli.
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