Per trovare, tra quelli che si definiscono “sinistra” (dato che agli altri interessa poco), una voce dissonante rispetto all’italianamente inevitabile marcia trionfale dell’Aida che accompagna il post mortem di Lidia Menapace, parlamentare ultimamente di Rifondazione Comunista e, da ragazzina, staffetta partigiana, bisogna sfrucugliare Facebook per trovarvi una rarissima nota critica. E’ dell’amico Stefano Zecchinelli e la trovate in fondo. Premetto ai distinguo che seguono un sincero dispiacere per coloro che della scomparsa di Lidia Menapace risentono con dolore e rimpianto.
Quando basta morire per diventare santi
Quella del “santo subito” è una degenerazione del carattere
nazionale. Probabilmente di origine, o accentuazione, cristiana quando, nei
primi secoli delle presunte persecuzioni, e come adesso, nel tempo del presunto
secolarismo, si trattava di elevare a modello di virtù, grandezza, sapienza,
tutti i propri morti, fossero martiri o eminenze. Lo scopo essendo
evidentemente propagandistico. tanto che, dopo Costantino e Teodosio, nulla del
genere onorò la scomparsa di martiri, o personalità del residuo mondo pagano.
Il “santo subito”, inoltre, serviva anche a porre uno scudo davanti a
personaggi o fatti, nel caso che qualche storico volesse approfondire….In quei
casi santo equivale a tabù.
Immacolata Concezione e Immacolata Contraddizione
Inconsapevole dell’evento, mi sono trovato davanti alla
porta sbarrata del lattaio, del panettiere, del tabaccaio per la ricarica, di
tutti gli altri negozi, perché qualcuno, burlandosi di noi, aveva proclamato la
“festa dell’immacolata concezione”. Celebrazione in onore di una bambina
palestinese (12 o 13 anni, secondo la leggenda) ingravidata da uno spirito
santo con il seme, si sospetta, di Dio Padre, dato che il nascituro si sarebbe
proclamato “figlio di dio”. Il dogma risale all’8 dicembre 1854, quando Pio IX,
fatti eseguire in Roma dal suo cardinale Antonelli le stragi della vendetta per
i crimini apostatici della Repubblica Romana, pensò di concedere al popolo,
così castigato, il sollievo e l’esempio di questa virginale e benevola figura,
unica, nell’universo intero, a non essere marchiata dal peccato originale. E se
fu Pio IX, simbolo della restaurazione dopo i grandi risvegli nel cuore del
secolo, a proclamare, a consolazione dei da lui afflitti, il dogma dell’Immacolata
Concezione, ecco che il nostro di secolo testimonia tutte le sue folgoranti passioni
per gli ossimori proclamando dal “manifesto”, la di Lidia Immacolata Contraddizione:
pacifista di guerra.
Grazie a una millenaria campagna di promozione della Chiesa, a partire dal decimo secolo, tempo di grandi innovazioni (ricordate la lotta per le “Investiture” e il Trattato di Worms che davano ai vescovi ogni potere sui beni, anche materiali, del mondo?) la puerpera bambina di Nazaret divenne un’icona universale, Tante ne fece nei secoli, di opere pie, e quando al marito, o co-genitore, e al suocero onnipotenti sfuggiva di mandare o tollerare qualche malanno al formicolio laggiù, sul granello Terra, ecco che Maria provvedeva alla consolazione e, spesso, alla salvazione. Ne sono testimoni le tonnellate di ex-voto che ornano muri e pareti luoghi sacri e profani.
Così la ragazzetta, onerata di tanto incarico e di tanto
prestigio, divenne la “donna” per eccellenza. Anzi, la “madonna”, cioè “mia
donna”, versatile al punto che ognuno se ne poteva appropriare. Irriguardosi
per natura, ma affettuosi, noi fiorentini la volemmo tanto vicina a noi, da
ritrovarcela nelle vesti, un po’ birichine, della “Madonna fiorentina” che
semina forcine per i prati delle Cascine (https://www.youtube.com/watch?v=PzmyI9kf-WY Sentite che voce!).
Il sacro e il profano del femminismo
Chi, nell’occasione della festa, è arrivato all’iperbole di individuare in Maria Vergine, nientemeno che la primadonna e il modello supremo del femminismo, è un giornalista bravo, peraltro equilibrato, colto e addirittura fuori dagli schemi dei pensieri unici, Francesco Borgonovo (quotidiano “La Verità”). Uno che ha il merito, ogni tanto, di far andare fuori dai gangheri, fino a cappottare, persino l’ambasciatrice di femminismo in Bilderberg, Lilli Gruber. Accade nei momenti apicali ed epocali in cui la femminista da establishment per eccellenza, l’equivalente rifatto di Fabio Fazio, scende a dar voce a chi del Bilderberg non è neppure compagno di merende. Non so se Borgonovo, facendo della Madonna l’espressione suprema del femminismo, avesse in mente anche le militanti del movimento che, secondo Gruber, avevano contribuito ad aprire alle donne le posizioni più elevate, tipo Killary Clinton, Madeleine Albright, Condoleezza Rice, Golda Meir e se permettete l’accostamento, Laura Boldrini, o i rincalzi Greta Thunberg e Carola Rackete. Di certo non ha pensato di accostarle Lidia Menapace, se le differenze politico-ideologiche contano ancora.
Da Menapace a menaguerra
Eppure avrebbe potuto, se fosse passato sopra l’aspetto
“chiacchiere e distintivo” che spesso distingue un’ideologia dall’altra. Se la
sarebbe trovata tanto lontana, quando, da pacifista integerrima, vessillo
svettante sui più radicali dei pacifismi, sostituì al Senato il rifondarolo
trotzkista Marco Ferrando, cacciato per aver esecrato la guerra all’Iraq,
condotta anche dai nostri militari di Nassiriya? Disponibilità a rimpiazzare il manigoldo
pacifista, quella di Lidia, evidentemente improntata all’etica, alla modestia e
al rifiuto della visibilità. Anche se un po’ di pacifisti, non da distintivo,
si trovarono parecchio spiazzati dal testacoda della loro icona.
Vicina alla destra dovette trovarsi Menapace anche quando quella destra affiancava questa “sinistra” nella corsa a chi fosse più russofobo e sinofobo e anche più anti-dittatore e proclamava la contrapposizione tra i “due imperialismi”. Si trattava dell’acuta combinazione di un imperialismo che le guerre non le faceva e che a Lidia avrebbe dovuto piacere, e dell’altro, che ne faceva a strafottere e che avrebbe dovuto trovare la pacifista sul lato opposto. Quello dell’aggredito. Ugualmente, se alla pacifista le bombe e i cannoni non piacevano, ancor meno le piacevano i talibani e così si finiva nel solito cul de sac.dei pacifisti sotto Nato. E chiaro che stando le cose nei termini di questa assoluta ambiguità e incoerenza, tutto il cucuzzaro atlanticista, del pacifismo, dei diritti umani impegnato nel transfert dei propri crimini sull’URSS, prima, e poi sulla Russia si è trovato rasserenato assai.
Quando con Lidia parlammo di Siria e di donne
Mi sono ritrovato insieme a Lidia Menapace su un palco in Romagna. Dopo aver presentato il mio documentario “Armageddon sulla via di Damasco”, in cui raccontavo cosa avevo visto in Siria, tra orde di importati scuoiatori, stupratori e torturatori con tanti dollari in tasca e combattenti siriani con in tasca poco più della foto del loro presidente e della fidanzata, capii che a Lidia non piacevo. Negli interventi a commento, volle rimediare allo sconcerto inflitto al pubblico dalle parole e dal sangue di un popolo aggredito, accusandomi di aver trascurato le pene delle donne siriane sotto la ferula del “dittatore”. Così ribadendo la sacra missione assegnata dall’Occidente civile ai pacifisti imperiali di riscattare donne, culture e civiltà dall’oscurità e dall’oppressione. Fosse anche a forza di bombe e terroristi che però, sotto quelle insegne, hanno il pregio di diventare pacifisti.
Frequentando la Siria fin dalla sua prima rivoluzione laica
negli anni ’60, mi chiedevo a quali donne Lidia si riferisse. Quelle prese in
matrimonio a ore dai jihadisti rastrellati dalla CIA e dai turchi e poi uccise?
Quelle finite con i loro figli sotto le macerie? Quelle nel
fango, nella canicola, nelle privazioni dei lager di rifugiati, pronti al
ricatto migratorio all’Europa? Quelle senza più marito, padre, figlio, grazie
ai diritti umani perseguiti dal “manifesto”? Quelle cadute combattendo
l’invasore? Pene di donne che, come quelle
irachene con Saddam, libiche con Gheddafi, afghane con il PC, prima degli
interventi occidentali, stavano alle donne liberate di paesi nostri alleati,
tipo Arabia Saudita o Emirati, come Cristina Belgioioso, nel Risorgimento, sta
a Lidia Menapace in Senato.
“Il manifesto”? Meglio esserne dimenticate
Con grandissima riserva per quello che questa donna ha fatto a ventanni, le cose che non condivido si potranno registrare nelle pagine finali di un libro della vita, in cui le prime avranno sicuramente più luce e rilevanza delle ultime. Ma ciò che infastidisce assai è la rovinosa cornice di ipocrisia in cui viene incastrata tutta l’attività di questa persona. Un’ipocrisia che zoppica malamente, appoggiandosi alle stampelle di un pacifismo e di un femminismo malandati, che sono anche le grucce del ricatto perenne che ci viene fatto dal buonista politicamente corretto, ma nemico di classe, cultura, nazione.
Il “manifesto” è foglio tenuto in piedi da multinazionali
della risma di ENI, ENEL, CDP, COOP, ogni sorta di Stato, parastato e
sottostato, nonché dai soldi abusivamente sottrattici. E’ il mattinale che, con
maggiore disciplina ed entusiasmo, si impegna su ogni ordine di servizio
emanato da chi dovrebbe figurare nemico mortale di tutto ciò che alla Menapace
si attribuisce come valori. Ci sono una dozzina di micro-partitini che si
dicono comunisti. Ne avessimo visto uno a lamentare che un giornale così non
può fregiarsi della testatina “quotidiano comunista”. Forse sono troppo
impegnati a gridare “al virus, al virus”!
Regeni sì, Assange boh
I quattro paginoni che il “manifesto” dedica alla memoria
di Lidia Menapace valgono per quello che vale questo giornale. Un mena-per-
i-fondelli stampato che da anni s’impegna alla morte per Giulio Regeni, persona
per il cui vero ruolo non ci sono i classici tre indizi, ma tanti quanti ne
servono per un’accusa inconfutabile, con cui, però, nessuno vuole compromettersi. E da anni
non si impegna per Julian Assange. Del quale, quelli del “manifesto”, forse si
sono dimenticati perchè ha smascherato più crimini dell’Impero lui, che il
manifesto “violazioni di diritti umani” in mezzo secolo. Gli amici di Killary
Clinton, formidabile femminista pacifista, lo stanno facendo morire in un
carcere della tortura a Londra. “Il manifesto” e i suoi compari nella FNSI, tutti elettori virtuali di Killary e, ora, dello zio Biden, tacciono, impegnati a versare le loro vesti stracciate sul Cairo. Alla faccia
di Lidia. Forse.
Da Stefano Zecchinelli
Umanamente
potrebbe anche dispiacermi per Lidia Menapace (non più di tanto, non la
conoscevo di persona), ma politicamente questa attivista ha contribuito a
diffondere una ideologia pestifera che ha distrutto la sinistra di classe: il
pacifismo socialdemocratico. Nel 2006, Marco Ferrando rivendicò il diritto alla
Resistenza armata da parte del popolo iracheno barbaramente sbudellato
dall'imperialismo americano-sionista; la Menapace fu garante dello Stato
profondo italo-statunitense, contribuendo a diffondere le tesi di Tony Negri su
d'un inesistente ''Impero'' e l'equivalenza Resistenza
terzomondista/terrorismo. Non c'è nulla di più anticomunista, mi dispiace, ma
ho pianto la morte di ben altri Compagni e persone a me care.
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