lunedì 20 gennaio 2025

GAZA O MORTE. Fatto.--- CISGIORDANIA O MORTE. Da fare. --- GRANDE ISRAELE O MORTE. Tempo al tempo.

 

 Ramallah, Primavera 2002. Marwan Barghuti, segretario di Fatah, leader della Seconda Intifada 2001-2005, con chi scrive.

 

Un mese dopo lo scatto di questa foto, Marwan Barghuti è stato arrestato a Ramallah dall’IDF, violando la sua immunità di deputato del parlamento palestinese. Nel 2004 è stato condannato a cinque ergastoli e ad ulteriori 40 anni di prigione, per colpe a lui attribuite: attacchi suicidi della Resistenza a obiettivi militari. Dato che in nessuna di queste azioni è stato direttamente coinvolto, è stato violato il principio giuridico fondamentale secondo cui la responsabilità penale è personale.



Oggi Barghuti ha 65 anni, è in carcere da 2004, non si è difeso in tribunale perchè non gli ha riconosciuto legittimità. In ogni sondaggio in vista delle prime elezioni da tenersi nei territori occupati dal 2006, vinte da Hamas, risulta primo nelle preferenze della popolazione palestinese. In tutte le liste di prigionieri che, nei vari scambi considerati nel corso dei negoziati tra il 2023 e oggi, Hamas ha collocato Barghuti al primo posto. All’atteggiamento di apertura e di laicismo e al rispetto per la volontà degli elettori, così manifestato da Hamas, il governo dello Stato sionista ha sistematicamente opposto un rifiuto netto.

 

Oggi, nelle fasi successive a quella della cessazione del fuoco e del primo scambio di prigionieri, fasi 2 e 3 già valutate improbabili dal regime di Tel Aviv, il quasi novantenne presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è candidato, ed è stato candidato dagli sponsor esterni della tregua, all’amministrazione, in congiunzione con altri paesi, della Striscia di Gaza “liberata” dalla presenza di Hamas e delle altre forze della Resistenza.

Per questo compito l’ANP che con Abbas, dalle ultime elezioni del 2006, vinte da Hamas, mantiene, grazie al consenso di Tel Aviv, il governo della Cisgiordania, avendo rifiutato da allora ogni ulteriore consultazione popolare, si è accreditata in vent’anni di collaborazionismo e, in particolare, con la recente aggressione dei propri pretoriani armati alle roccaforti della resistenza. Nel corso dell’intervento a Nablus, Jenin, Tulkarem e altri centri palestinesi, reparti della polizia dell’ANP, forte di circa 80.000 uomini grazie ai proventi in arrivo da Stati Uniti, Europa e imposizioni fiscali alla popolazione dei territori occupati, hanno usato armi e ruspe per uccidere, ferire e distruggere abitazioni e strutture pubbliche. Hanno perfezionato e completato quanto simultaneamente compiuto dall’esercito e dai coloni. Israeliani.

Quando chi scrive visitò nel 2002 i territori occupati, la leggenda di una soluzione equa della questione di un popolo senza terra, senza Stato e con un’amministrazione locale fortemente limitata dalla presenza e dall’interferenza della potenza occupante (le famigerate zone A, B e C), nelle organizzazioni della Resistenza si era già consolidata la consapevolezza di come gli accordi di Oslo fossero pura retorica e, più che corroborare la prospettiva di due popoli per due Stati, la stavano eliminando dall’orizzonte della Storia.

La prima Intifada, negli anni ’80, in cui il ventenne Barghuti, già reduce da ripetuti imprigionamenti, svolse il ruolo di dirigente (prima di essere arrestato nel 1987 ed espulso in Giordania), aveva gettato i semi per un’alterativa alle soluzioni illusorie concluse tra vinti, vincitori e i padrini internazionali di questi ultimi. La convinzione che la violenza dell’occupazione coloniale doveva essere contrastata con gli strumenti della forza della popolazione oppressa, come da Carta ONU, trasse persuasività dal fallimento di Oslo e provocò una netta, seppure all’esterno poco pubblicizzata, frattura nel mondo politico palestinese.



Yasser Arafat, storico Nelson Mandela della Palestina (cui si potrebbe contrapporre un Marwan Barghuti-Che Guevara), corresponsabile degli accordi di Oslo e il gruppo dirigente di Fatah, poi forza centrale di OLP e ANP, intrapresero la strada senza ritorno della convivenza con l’occupante, alla luce, sempre più fioca, della formula, sempre più stereotipo, dei “due popoli per due Stati”. Formula ridicolizzata dal costante aumento degli insediamenti e del numero di coloni, oggi arrivati a 800.000 e ininterrotti predatori di beni e terre palestinesi, quando non preferiscono incendiare e devastare.

L’Intifada, sotto la direzione di Barghuti, produsse una formazione di giovani resistenti, detta Tanzim, che lentamente radunò attorno a sé una nuova generazione di politici e combattenti palestinesi. Mentre la posizione rinunciataria e collaborazionista del vecchio gruppo dirigente, appeso alla popolarità di un Arafat in netto infiacchimento senile, conobbe un’emorragia di consensi, non frenata da evidenti fenomeni di corruzione e dai ricatti subiti dal padrone coloniale, crescevano l’autorevolezza e il sostegno popolare al gruppo di Barghuti.

Ebbi modo di constatare de visu il consenso della popolazione attraverso l’ininterrotta e crescente mobilitazione contro l’occupante, sia nella forma della sollevazione di massa nella cosiddetta “Intifada dei sassi”, sia attraverso il reclutamento nelle formazioni paramilitari impegnate nello scontro armato. Quanto all’obiettivo strategico, in una mia intervista, Barghuti disse con grande enfasi: “Noi non scacceremo chi è disposto a vivere in pace e amicizia con noi. Noi saremo su questa terra per sempre. E per sempre lo saranno anche gli ebrei”. I cinque ergastoli e il rifiuto israeliano di accettare lo scambio con Barghuti vanno riferiti alla prima parte di questa affermazione.

Ebbi l’occasione di assistere a un assai significativo convegno delle due anime di Fatah in un teatro di Ramallah. La contrapposizione era visibile nello schieramento sul palco. C’era, sul podio, il vecchio Arafat cui un suggeritore alle spalle correggeva il discorso e ne riempiva i vuoti di parola e di pensiero. Quando si perdeva, ripiegava sull’invocazione  “Pace in Terra Santa”. Intorno a lui, di poco più giovani, a spellarsi le mani, i burocrati della vecchia OLP e della nuova ANP. Al margine, attorno a Barghuti, il gruppo dei giovani capi dell’Intifada con le loro espressioni rispettose, ma perplesse.

Bisognava agire prima che il rapporto di forze tra giovane anima della Palestina e il suo vecchio corpo si risolvesse in senso non gradito ai colonizzatori di una Palestina che, secondo i piani pubblicati nel 1980 dall’analista geopolitico e consulente del governo israeliano Oded Yinon, prevedevano l’estensione su vasta scala in Medioriente, di tale colonizzazione. Lo strumento essendo quello della frammentazione degli Stati arabi unitari lungo linee etniche e confessionali. Così Barghuti viene arrestato mediante l’irruzione dell’esercito di Tel Aviv nella zona riservata al controllo palestinese.

 Mahmud Abbas e Mohammed Dahlan

Qualcuno sospetta che l’operazione sia stata agevolata da Mohammed Dahlan, allora capo dei servizi di sicurezza palestinesi e autore del fallito colpo di Stato dell’ANP a Gaza contro Hamas nel 2006. Dello stesso Dahlan si è mormorato anche in relazione ad avvelenamento e morte di Arafat nel 2004, due mesi dopo la condanna di Marwan Barghuti. La strada ne è risultata sgombrata.

Di Dahlan, che vive ad Abu Dhabi dove ha accumulato milioni di dollari e influenza sulle decisioni dell’emiro Mohammed bin Zayed Al Nahyan, si è tornati a parlare in vista del progettato ritorno dell’ANP di Abu Mazen a Gaza. Lo si pensa utile come appaltatore di ricostruzioni (ci saremo anche noi, hanno detto Tajani e Crosetto). Ma anche come  custode di un cimitero lungo una Striscia.

 

Tempo scaduto, sembrerebbe, usciti di scena i compagni di merende di Netaniahu, Biden e Blinken, anche per Abu Mazen e i suoi progetti di connivenza-convivenza. Ora c’è Trump, che vuole chiudere Gaza in un modo o nell’altro: troppo scandalo a livello mondiale. Eppoi quanti decenni ci vorranno già solo per sgomberare 40.000 tonnellate di macerie! Per cosa, poi? Per far fare soldi a quelli del Ponte sullo Stretto?

Concentriamoci sulla Cisgiordania, più ampia, più ricca, già bell’e colonizzata! Il futuro prossimo è quello. Erez Israel, la Grande Israele, comincia qui.

 

 

 

 

 

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