Santificare
Jimmy Carter, presidente degli USA dal 1977 al 1981, successore di Kennedy,
Johnson, Nixon e Ford e predecessore di una serie di presidenti felloni,
Reagan, Bush Sr, Clinton, Bush Jr, Obama, Trump con la catastrofe finale Biden,
tutti sostanzialmente neocon, ai quali proprio il compianto “sostenitore dei
diritti umani” ha dato l’abbrivio?
Con
Gerald Ford, un quoziente d’intelligenza dalle misure anoressiche aveva
impedito che la malvagità congenita e poi rampante dell’imperialismo dalla
vocazione globale e assolutista facesse eccessivi danni al resto dell’umanità.
E’ invece proprio con Carter che i soggetti e i meccanismi del vero potere
producono esecutori dalle spiccate doti dissimulatorie, grazie alle quali
l’intrinseca e necessaria nequizia e spietatezza del Sistema di dominio e
predazione si rappresenta in veste persuasiva.
Vi
sono figure che sembrerebbero fare eccezione alla regola delle “spiccate doti”,
poiché con ogni evidenza cretini. Il pensiero corre al Bush minore, o al tardo
Biden. Ma, nel primo caso, chi andrebbe preso in considerazione come operativo
e suonatore è piuttosto il vice, Dick Cheney, sostenuto da una specie di
presidenza collettiva della conventicola neocon; nel secondo, a confermare la
regola c’è un attivissimo sacerdote del culto della morte praticato ai vertici
USA, offuscato solo da una precoce senilità nella parte finale del suo mandato.
Di
Carter c’è un prima criminoso e criminogeno, come da prassi istituzionale di
mandato, e un dopo che prova a flautare note da crociata morale nel segno di un
catechistico penitenzialismo.
E’ in
questa fase, del terzo millennio, che Carter si dà il coraggio di parlare
dell’abominevole oppressione, persecuzione e segregazione dei palestinesi,
senza, peraltro mai, come è buon costume delle sedicenti sinistre, passare dal
compianto per le vittime alla condivisione della lotta per la liberazione. Bene
Abu Mazen, malissimo Sinwar.
Mentre
il Sistema fa poco caso alle sue novene sui diritti umani (peraltro riservate
ai dissidenti antisovietici in Europa Orientale) e alle sue filippiche contro
oligarchie e “corruzione politica illimitata” negli USA, Carter si guadagna un
certo consenso negli ambienti antimperialisti quando ha la temerarietà, con la
sua organizzazione di osservatori di processi elettorali, di rivendicare la
correttezza di risultati sgraditi al Sistema, come quelli che confermano
Chavez, Maduro o Assad.
Quanto
a interventi concreti sul piano di diritti civili e umani nel corso della sua
presidenza, molto, se non tutto, lo dobbiamo a Patricia Derian, sua assistente
Segretaria di Stato per le questioni
umanitarie, tipo il blocco di prestiti e di rifornimenti militari alla giunta
argentina al tempo della “sporca guerra” delle Maldive.
Il
meglio ai suoi mandanti e il peggio all’umanità, Carter lo ha offerto negli
anni alla Casa Bianca, quando un certo margine di scelta se lo poteva
permettere, entro i limiti stabiliti dall’assassinio dei Kennedy.
Per
il resto, quelli della presidenza sono stati anni di sciagurate guerre per
procura, il tradimento della causa palestinese, il consolidamento di punitive
politiche neoliberiste e la sua assoluta sottomissione al Big Business, da lui
in poi in travolgente espansione.
La
politica sociale del New Deal smantellata con deregolamentazioni e privatizzazioni
(un modello per Draghi) delle maggiori industrie: banche, compagnie aeree,
trasporti, telecomunicazioni, gas naturale e ferrovie. Il tutto condito da un
assalto alle tasche dell’americano comune attraverso l’uso della Federal
Reserve di Paul Volker e dei sui abnormi tassi d’interesse che ridussero sul
lastrico decine di milioni di persone e provocarono la più grave recessione dai
tempi della Grande Depressione.
Saccheggio
di un capitalismo sanguinario che da allora è conosciuto come neoliberismo e
cui il compagno di partito, Bill Clinton, avrebbe poi impresso la sua turboaccelerazione.
Fattosi
plagiare dal suo simil-Svengali consigliere della Sicurezza Nazionale,.Zbigniew
Brzezinski, tagliò corto con la strategia della distensione inaugurata dai
predecessori Nixon-Kissinger. Così spianò la strada a quel bellicisimo da
guerra fredda con cui Reagan avrebbe iniziato a fare dell’industria militare il
motore e primattore dell’economia e della geopolitica e del cui proliferare
tumorale viene fatto pagare oggi il costo al resto, cioè ai 90 centesimi,
dell’umanità.
Per
Brzezinsky la priorità delle priorità era un mondo in bianco e nero nel quale
il nero era concentrato nell’Unione Sovietica, con tracimazioni in tutti i
paesi o governi che ne fossero alleati o ideologicamente affini. Fu la fine del
SALT II (Trattato per la Limitazione delle Armi Strategiche), che poneva limiti
allo sviluppo di armi atomiche e scatentò un grande riarmo a spese di tutte le
autentiche priorità.
Degli
interventi specifici ai danni di popolazioni da sterminare per un motivo o per
l’altro, si ricordano quelli a sostegno del golpista fascista Suharto, in
Indonesia, con conseguente genocidio a East Timor, di incondizionato supporto
all’apartheid nel Sudafrica e a gruppi controrivoluzionari pre-ISIS, ma feroci
quanto questo, in Angola, Congo, nel Nicaragua sandinista, in lotta di
liberazione anticoloniale.
In
America Latina, monroeniano convinto, ignorò i disperati appelli
dell’assassinando vescovo Oscar Romero e rimpannucciò di armi la dittatura
genocida del Salvador. Nell’Iran sotto la più orrenda dittatura che il secolo
passato abbia conosciuto, sostenne fino all’ultimo giorno lo Shah Reza Pahlevi,
ne assicurò le cure mediche a New York, sanzionò il nuovo governo di Khomeini,
ne congelò i fondi, espulse 183 diplomatici. innescando quella presa di ostaggi
all’ambasciata USA che durò 444 giorni e ne decretò la fine politica.
Al
dittatore e stragista filippino Ferdinando Marcos, assicurò miliardi di aiuti
militari, armò la controrivoluzione integralista afghana contro il governo
laico e socialista di Najibullah e i suoi sostenitori sovietici, cosa che costò
3 miliardi al contribuente statunitense, provocò 1,5 milioni di vittime afghane
e inaugurò una guerra lunga oltre vent’anni.
Alla
luce di quanto ne è venuto in questi anni e giorni, il crimine supremo lo ha
compiuto ai danni della Palestina, con quella pace separata di Camp David nel
1979, tra Sadat, Egitto, e Begin, Israele, che intendeva pronunciare la
sentenza di morte sulle sacrosante aspirazioni di un popolo espropriato
dall’invasore, occupante senza titoli e illegittimo da tutti punti di vista
fino ad oggi. Sentenza da allora eseguita con metodo strisciante, grazie al concorso
decisivo USA, senza soluzione di continuità, fino all’apogeo di oggi.
Cosa
mettiamo come ciliegina in cima quest’opera di un presidente consegnato alla
nostra memoria come quanto di meglio la madre di tutte le democrazie ci ha
elargito? Alla luce di ciò che di quella sua iniziativa “di pace” è disceso,
direi che nulla supera, quanto a conseguenze infami e tragiche, non solo per la
vittima direttamente coinvolta, ma nelle onde maligne che se ne sono diffuse e
che hanno infettato l’umanità intera, il combinato di Camp David. Ha prodotto l’esclusione
dall’esistenza di un popolo, la passivizzazione di uno stato fratello di quel
popolo grazie al tradimento di un servo, mano libera incondizionata e
supportata ad eternum a un costrutto coloniale mostruoso, genocida,
pervertitore delle regole che all’umanità assicurano giustizia e sopravvivenza.
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