domenica 20 luglio 2025

Fulvio Grimaldi in “Spunti di Riflessione” di Paolo Arigotti--- Medioriente, dalla Via della Seta alla Via della Morte --- SIRIA, MA NON FINISCE QUI https://youtu.be/vj1vaL33BPc

 

Fulvio Grimaldi in “Spunti di Riflessione” di Paolo Arigotti

Medioriente, dalla Via della Seta alla Via della Morte

SIRIA, MA NON FINISCE QUI

https://youtu.be/vj1vaL33BPc

Siria, non finisce qui (con Fulvio Grimaldi @MondocaneVideo )

 

 

Qui una sintesi del video

E le stelle (d’Europa) stanno a guardare, mentre la fine si avvicina. Quella dei palestinesi? No, quella dello Stato sionista. Non ci vuole Dante per vedere come, nella Storia, ogni criminale corre verso il contrappasso.

Con l’intervento in Siria, che del resto, bombarda impunito da 14 anni, lo Stato nato e formato e vissuto nell’illegalità e nel sopruso, ha aperto un altro fronte dei sette su cui imperversa, 7 di 16 paesi arabi più Iran (di cui tre dei maggiori già neutralizzati). Uno Stato illegittimo di 9 milioni di immigrati e una popolazione espropriata e ostile di quasi pari entità (senza calcolare 5 milioni di profughi che contano di tornare a casa), utilizza la massima parte delle sue risorse (di cui nessuna naturale e tutte assegnate) per sterminare autoctoni e popoli vicini ed espandere la lebbra delle occupazioni coloniche.

In Siria, Israele ha azzannato un boccone che rischia di andargli di traverso. Improvvisamente lo Stato degli Ebrei di cui le minoranze arabe musulmane e cristiane non sono ovviamente cittadine a pieno titolo, appare isolato. Lo squartamento del paese vicino, un tempo democraticamente unito nelle sue confessioni ed etnie, socialmente equo, di una resilienza tale da aver resistito a 14 anni di assalti della triade turco-israelo-atlantici (oggi al potere) e del suo mercenariato terrorista, presenta una prospettiva di scontro plurimo e di difficile esaurimento.

Al centro della tavola c’è il piatto forte. Tre sono i commensali, in ordine di prevalenza al momento: i Turchi in rappresentanza della Fratellanza Musulmana, impegnati nell’espansione della stessa e del loro sostrato territoriale, tra Balcani, Asia e Africa (ma centri di spionaggio turco ci sono anche in Europa). Hanno il merito principale della frantumazione della Siria, data la loro gestione diretta dell’ISIS (o come altro si chiama) e, di conseguenza si sono impadroniti della capitale, delle città principali, del centro e delle ricchezze archeologiche sopravvissute alle barbarie dei tagliagole dell’attuale “presidente”.

Israele raccoglie il frutto del suo sostegno politico agli invasori, concretizzato dai numerosi bombardamenti e dalla cura dei feriti jihadisti nelle cliniche sul Golan. Gli USA, con base militare ad Al Tanf, affacciata su tutto il paese ed altra in Kurdistan (con tanto di Delta Force) controllano la parte più ricca di risorse, nel nordest: petrolio e agricoltura, e i confini con Turchia e Iraq. Ai curdi, lo strapuntino niente male: la loro zona quadruplicata, dall’Eufrate a Raqqa.

Mentre il feudo turco appare consolidato, grazie al gemellaggio storico con l’attuale governance di Damasco, quello israeliano è in rapida e travolgente espansione. Facendo ricorso – nel nome della protezione di minoranze discriminate – ai drusi siriani, fratelli di quelli israeliani, da sempre disposti a militare nella polizia e nell’esercito IDF (l’ho potuto constatare de visu), ha suscitato una vera carneficina.  Almeno mille morti dal 13 luglio a seguito dell’attacco dei drusi sciti ai sunniti, detti beduini, perché provenienti dal deserto e un tempo allevatori e pastori. Il conflitto si era fatto quadripartito, con l’intervento, a sostegno dei “beduini” sunniti, di quello che il terrorista presidente chiama “esercito siriano” e non è che l’accozzaglia di tagliateste di Al Qaida, Al Nusra, Isis, o Hayat Tahir al-Sham, tagliagole sunniti, a sostegno dei “beduini” sunniti.

Ennesimo bagno di sangue, perfezionato dai morti e feriti sotto i simultanei bombardamenti d’avvertimento israeliani sul palazzo presidenziale e sul Ministero della Difesa dell’ex-tagliateste divenuto presidente grazie alla cravatta e all’obbedienza.

Non puoi fare una guerra ogni due giorni”, ha dettato al collega, in questo caso remissivo, un seccato Trump (ogni tanto torna da Mr. Hyde a Dr. Jekill), imponendo alle parti in causa il cessate il fuoco. L’inesorabile fato lo dimostrerà volatile e non strategico, reso improbabile dai rapporti di forze che in campo si guardano in cagnesco e puntano alla stessa preda..

Credo che la risposta del premier guerrapatico, forte del suo retroterra nella comunità finanziaria internazionale, con relativo portavoce “Wall Street Journal”, possa essere stata, sommessa, ma tremenda: “Vogliamo vedere cosa hai combinato con il pedofilo Jeffrey Epstein?” Con tanto di illustrazione sul quotidiano sodale, raffigurante il messaggio di Donald all’amicone e complice di bagordi: una donnina nuda con pube firmato e saluti non citabili.

Anche qui c’è una questione di rapporti di forza, quelli tra Bibi e The Donald e, più generalmente, Washington e Tel Aviv. Sottomessi e padroni sembrano alternarsi, più di quanto succedesse col predecessore democratico Biden e gli eurovassalli che gli reggevano lo strascico, quando su Israele non era ammessa discussione.

Oggi tutti discutono, dalla Terra del Fuoco all’Aja, da Città del Capo a Brasilia, da Oslo a, ovviamente, Ankara. Da Pechino al Vaticano. Figuriamoci come appassionatamente, da Tehran ai frustrati della Via della Seta negata! Bisbigli perfino da Meloni (ah quella chiesetta sfondata).

Dunque, a questo punto, Netaniahu tiene Trump per i suoi apparati di riproduzione (proprio quelli dal sospetto uso nel lupanare di Epstein. Ma tutto questo non modifica lo status, strategicamente antagonista, della Turchia rispetto a Israele. Né il fuoco di fila di indignazione, rabbia e voltastomaco, provati dal mondo per Israele, anche fuori dai bailamme mediorientale. E non più solo per il genocidio dei palestinesi.

Chissà come andrà a finire. Certo è che, perduta la corazza del vittimismo, della moralità, della democrazia, la spada di Israele farà ancora male, ma si va spuntando ed arrugginendo. The end is nigh, la fine è vicina. Quanto? Dipende da molti fattori, anche da noi.

Nel video cito un ricordo personale che mi avvicina al giro Epstein. Quando ero alla BBC, Londra, mi mandarono a intervistare Robert Maxwell (dal cognome debraicizzato), allora un rampante editore britannico, con ottimi riferimenti ebraici e israeliani. A portarci il tè, fu l’avvenente figlia Ghislaine, poi spedita ed assurta a musa e complice dei turbinii sessuali a casa Epstein. Ebreo anche lui. Lui è stato assassinato in carcere. Lei è ancora là e fa una paura matta a Trump e a molti. Stia in guardia.

Il senso di tutto questo è che gli spassi allestiti da Epstein non si limitavano agli inquinamenti pedofili. Quello era con ogni probabilità un centro del Mossad che, con questa sua irresistibile attrazione per fornicazioni proibite, indirizzata ai potenti statunitensi (e non solo, vedi il principe Andrea), si riforniva di dati e conoscenze per eventuali ricatti. Necessari a tener sotto schiaffo tutta una comitiva di potenti avventori americani, a beneficio dell’immunità di Israele. Epstein l’hanno fatto fuori, unico rimedio sicuro. Ma qualcosa è rimasto e può sempre funzionare. Qualche lista di nomi circola sott’acqua. E Trump lo sa.

Per quello Stato in Medioriente, pure in progressiva decadenza e alienazione rispetto al mondo, è ancora una ciambella di salvataggio.

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