Fulvio
Grimaldi in “Spunti
di Riflessione” di Paolo Arigotti
Medioriente,
dalla Via della Seta alla Via della Morte
SIRIA,
MA NON FINISCE QUI
Siria, non finisce qui (con Fulvio Grimaldi @MondocaneVideo )
Qui
una sintesi del video
E
le stelle (d’Europa) stanno a guardare, mentre la fine si avvicina. Quella dei
palestinesi? No, quella dello Stato sionista. Non ci vuole Dante per vedere
come, nella Storia, ogni criminale corre verso il contrappasso.
Con
l’intervento in Siria, che del resto, bombarda impunito da 14 anni, lo Stato
nato e formato e vissuto nell’illegalità e nel sopruso, ha aperto un altro
fronte dei sette su cui imperversa, 7 di 16 paesi arabi più Iran (di cui tre
dei maggiori già neutralizzati). Uno Stato illegittimo di 9 milioni di
immigrati e una popolazione espropriata e ostile di quasi pari entità (senza
calcolare 5 milioni di profughi che contano di tornare a casa), utilizza la
massima parte delle sue risorse (di cui nessuna naturale e tutte assegnate) per
sterminare autoctoni e popoli vicini ed espandere la lebbra delle occupazioni
coloniche.
In
Siria, Israele ha azzannato un boccone che rischia di andargli di traverso.
Improvvisamente lo Stato degli Ebrei di cui le minoranze arabe musulmane e
cristiane non sono ovviamente cittadine a pieno titolo, appare isolato. Lo
squartamento del paese vicino, un tempo democraticamente unito nelle sue
confessioni ed etnie, socialmente equo, di una resilienza tale da aver
resistito a 14 anni di assalti della triade turco-israelo-atlantici (oggi al
potere) e del suo mercenariato terrorista, presenta una prospettiva di scontro
plurimo e di difficile esaurimento.
Al
centro della tavola c’è il piatto forte. Tre sono i commensali, in ordine di
prevalenza al momento: i Turchi in rappresentanza della Fratellanza Musulmana,
impegnati nell’espansione della stessa e del loro sostrato territoriale, tra
Balcani, Asia e Africa (ma centri di spionaggio turco ci sono anche in Europa).
Hanno il merito principale della frantumazione della Siria, data la loro
gestione diretta dell’ISIS (o come altro si chiama) e, di conseguenza si sono
impadroniti della capitale, delle città principali, del centro e delle
ricchezze archeologiche sopravvissute alle barbarie dei tagliagole dell’attuale
“presidente”.
Israele raccoglie il frutto del suo sostegno politico
agli invasori, concretizzato dai numerosi bombardamenti e dalla cura dei feriti
jihadisti nelle cliniche sul Golan. Gli USA, con base militare ad Al Tanf,
affacciata su tutto il paese ed altra in Kurdistan (con tanto di Delta Force)
controllano la parte più ricca di risorse, nel nordest: petrolio e agricoltura,
e i confini con Turchia e Iraq. Ai curdi, lo strapuntino niente male: la loro
zona quadruplicata, dall’Eufrate a Raqqa.
Mentre il feudo turco appare consolidato, grazie al
gemellaggio storico con l’attuale governance di Damasco, quello israeliano è in
rapida e travolgente espansione. Facendo ricorso – nel nome della protezione di
minoranze discriminate – ai drusi siriani, fratelli di quelli israeliani, da
sempre disposti a militare nella polizia e nell’esercito IDF (l’ho potuto
constatare de visu), ha suscitato una vera carneficina. Almeno mille morti dal 13 luglio a seguito
dell’attacco dei drusi sciti ai sunniti, detti beduini, perché provenienti dal
deserto e un tempo allevatori e pastori. Il conflitto si era fatto
quadripartito, con l’intervento, a sostegno dei “beduini” sunniti, di quello
che il terrorista presidente chiama “esercito siriano” e non è che
l’accozzaglia di tagliateste di Al Qaida, Al Nusra, Isis, o Hayat Tahir al-Sham,
tagliagole sunniti, a sostegno dei “beduini” sunniti.
Ennesimo bagno di sangue, perfezionato dai morti e
feriti sotto i simultanei bombardamenti d’avvertimento israeliani sul palazzo
presidenziale e sul Ministero della Difesa dell’ex-tagliateste divenuto
presidente grazie alla cravatta e all’obbedienza.
“Non puoi fare una guerra ogni due giorni”,
ha dettato al collega, in questo caso remissivo, un seccato Trump (ogni tanto
torna da Mr. Hyde a Dr. Jekill), imponendo alle parti in causa il cessate il
fuoco. L’inesorabile fato lo dimostrerà volatile e non strategico, reso
improbabile dai rapporti di forze che in campo si guardano in cagnesco e
puntano alla stessa preda..
Credo che la risposta del premier guerrapatico, forte
del suo retroterra nella comunità finanziaria internazionale, con relativo
portavoce “Wall Street Journal”, possa essere stata, sommessa, ma tremenda:
“Vogliamo vedere cosa hai combinato con il pedofilo Jeffrey Epstein?” Con tanto
di illustrazione sul quotidiano sodale, raffigurante il messaggio di Donald
all’amicone e complice di bagordi: una donnina nuda con pube firmato e saluti
non citabili.
Anche qui c’è una questione di rapporti di forza,
quelli tra Bibi e The Donald e, più generalmente, Washington e Tel Aviv. Sottomessi
e padroni sembrano alternarsi, più di quanto succedesse col predecessore
democratico Biden e gli eurovassalli che gli reggevano lo strascico, quando su
Israele non era ammessa discussione.
Oggi tutti discutono, dalla Terra del Fuoco all’Aja,
da Città del Capo a Brasilia, da Oslo a, ovviamente, Ankara. Da Pechino al
Vaticano. Figuriamoci come appassionatamente, da Tehran ai frustrati della Via
della Seta negata! Bisbigli perfino da Meloni (ah quella chiesetta sfondata).
Dunque, a questo punto, Netaniahu tiene Trump per i
suoi apparati di riproduzione (proprio quelli dal sospetto uso nel lupanare di
Epstein. Ma tutto questo non modifica lo status, strategicamente antagonista, della
Turchia rispetto a Israele. Né il fuoco di fila di indignazione, rabbia e
voltastomaco, provati dal mondo per Israele, anche fuori dai bailamme
mediorientale. E non più solo per il genocidio dei palestinesi.
Chissà come andrà a finire. Certo è che, perduta la
corazza del vittimismo, della moralità, della democrazia, la spada di Israele
farà ancora male, ma si va spuntando ed arrugginendo. The end is nigh, la
fine è vicina. Quanto? Dipende da molti fattori, anche da noi.
Nel video cito un ricordo personale che mi avvicina al
giro Epstein. Quando ero alla BBC, Londra, mi mandarono a intervistare Robert
Maxwell (dal cognome debraicizzato), allora un rampante editore britannico, con
ottimi riferimenti ebraici e israeliani. A portarci il tè, fu l’avvenente
figlia Ghislaine, poi spedita ed assurta a musa e complice dei turbinii
sessuali a casa Epstein. Ebreo anche lui. Lui è stato assassinato in carcere.
Lei è ancora là e fa una paura matta a Trump e a molti. Stia in guardia.
Il senso di tutto questo è che gli spassi allestiti da
Epstein non si limitavano agli inquinamenti pedofili. Quello era con ogni
probabilità un centro del Mossad che, con questa sua irresistibile attrazione per
fornicazioni proibite, indirizzata ai potenti statunitensi (e non solo, vedi il
principe Andrea), si riforniva di dati e conoscenze per eventuali ricatti.
Necessari a tener sotto schiaffo tutta una comitiva di potenti avventori
americani, a beneficio dell’immunità di Israele. Epstein l’hanno fatto fuori,
unico rimedio sicuro. Ma qualcosa è rimasto e può sempre funzionare. Qualche
lista di nomi circola sott’acqua. E Trump lo sa.
Per quello Stato in Medioriente, pure in progressiva
decadenza e alienazione rispetto al mondo, è ancora una ciambella di
salvataggio.
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