martedì 8 luglio 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico --- 7 luglio 1960-7 LUGLIO 2025, Morti di Reggio Emilia --- LA REPUBBLICA DELLE NOSTALGIE

 


 

…Di nuovo a Reggio Emilia

Di nuovo là in Sicilia

Sono morti dei compagni per mano dei fascisti

Di nuovo come un tempo

Sopra l’Italia intera

Fischia il vento e infuria la bufera…

Sono morti sui vent’anni

Per il nostro domani

Son morti come vecchi partigiani

 

Lunedì sera, 7 luglio, a Reggio Emilia, riuniti dalla Costituente contro la Guerra e il Riarmo, da tutte le realtà antifasciste e resistenziali, abbiamo ricordato quanto lo Stato, già allora di Polizia, aveva commesso in termini di violenza sulla vita e sulla coscienza civile democratica.

1960, 7 luglio, Reggio Emilia, 5 lavoratori, che manifestavano pacificamente, sono trucidati da forze dell’ordine, nei secoli fedeli al potere e, in questo caso al governo Tambroni, il primo dalla liberazione e dalla Costituzione antifascista che si regge grazie ai fascisti in maggioranza. Nessun potere atlantico lo disturba. Solo operai e contadini. Il Potere Atlantico interverrà solo per rimuovere Aldo Moro, uomo dell’unità nazionale. Per il resto, tutto a posto. Grazie a Gladio, Anello, P2, Servizi, mafie, governanti obbedienti e, ora, di nuovo fascisti.

1960, 5 luglio, Licata, le forze dell'ordine reprimono nel sangue una manifestazione unitaria di braccianti e operai, sparando contro il corteo guidato dal sindaco Dc Castelli. Ci sarà un morto, Vincenzo Napoli, la prima vittima del "luglio della memoria"

1968, 2 dicembre, Avola, Sicilia, due braccianti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, vengono uccisi durante uno sciopero di braccianti, e altri 48 rimangono feriti, in seguito  all’uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine 

1943. 28 dicembre, Reggio Emilia, i fratelli Cervi, 7, partigiani, fucilati dai repubblichini.

2025, 7 luglio. Reggio Emilia, ricorrenza di un eccidio che se ne tira dietro un altro, entrambi di stampo fascista. Presenti autorità dello Stato, consuetudine liturgica fissa alle cerimonie dei lutti nazionali? Nessuna.

2025, 1.luglio, Roma, la Corte di Cassazione condanna all’ergastolo per la strage P2-Stato-fascisti di Bologna, Paolo Bellini. Altri fascisti condannati all’ergastolo per lo stesso crimine, ma in parte in libera circolazione: Fioravanti, Mambro, Ciavardini, Cavallini. Stefano Delle Chiaie (MSI, Avanguardia Nazionale), spunta in varie stragi degli ultimi 50 anni, addirittura nelle più recenti, comprese quelle di Capaci e Via D’Amelio.

Per anni sono stati, su mandato CIA, le forze d’urto dei vari piduisti a capo dei Servizi, Miceli, Maletti, Santovito, Pelosi, Grassini, il micidiale Federico Umberto D’Amato. Il terreno dal quale sono germogliati questi strumenti della governance atlantica non ha mai perso il suo rigoglio. Lo conferma, con entusiastico vigore, a questo punto addirittura bellico, l’aria che tira oggi.

Visto che ci si deve armare contro nemici inventati e lungamente coltivati con tutti gli apparati di persuasione a disposizione, e visto che prospettive di guerre fondate sul trasferimento di denaro da esigenze sociali a missili e mine antiuomo, si scontrano con la riottosità del popolo, ecco che per il disciplinamento di queste masse riottose occorre quel personale lì. Il solito. Quello col busto di Mussolini sull’altarino. Quello che può star lì grazie a quanto, nell’ombra di Forte Braschi e, prima, a Langley, si decide per il bene degli USA e rispettivi ragazzi di bottega.

Ecco cosa c’entra l’ultima data sopra citata con quelle precedenti. Ci spiega la continuità di uno Stato che il colonialismo ha liberato dal fascismo storico per affidarlo al fascismo 2.0.

Torniamo a capo. Reggio Emilia diventa protagonista della Resistenza antifascista e antitedesca nascente. Protagonista ne è una famiglia di contadini. I Cervi ospitano nella loro cascina partigiani e combattenti di ogni nazionalità. I repubblichini della sede locale di Salò, riconoscono nel gruppo dei fratelli il primo vero nemico organizzato. I militi della Guardia Nazionale Repubblicana assediano l’abitazione in piena campagna reggiana e, incendiato il complesso di costruzioni, con donne e bambini, stalle e magazzini comprese, costringono alla resa il gruppo partigiano e i soldati alleati che vi si erano uniti. Un mese dopo l’esecuzione.

L’evento segnerà in profondità la storia del reggiano e la coscienza rivoluzionaria delle successive generazioni.

Nei tumulti successivi all’inserimento nella maggioranza di governo del DC Fernando Tambroni del partito neofascista (Movimento Sociale Italiano, segretario Giorgio Almirante, ministro repubblichino noto come “il fucilatore”), fino ad allora almeno formalmente tenuto fuori dall’”Arco Costituzionale”, l’anima resistenziale di Reggio Emilia si fa nuovamente protagonista.

In quei giorni il vostro cronista si trova a Genova, altra Medaglia d’Oro della Resistenza. Lì la sfida del regime verniciato di nero si manifesta con l’autorizzazione al MSI a tenere proprio lì il suo congresso nazionale, nella città martirizzata da fascisti e Wehrmacht. Ho ancora vivissime le immagini dei camalli, lavoratori del porto, che affrontano i caroselli della Celere a mani nude, tirano fuori i poliziotti dalle loro camionette e li buttano a prendere il fresco nella fontana di Piazza De Ferrari, al centro della città.

Oggi quei camalli, nella versione dei loro figli ed eredi, sono sotto denuncia per aver impedito, come i portuali di altre città mediterranee, l’imbarco, o l’avvio, di armi destinate a Israele. Continuità, i fronti restano gli stessi.

Rivediamo ciò che ai nostri assenteisti nella rievocazione della strage poliziesca di Reggio sembra sfuggire. La sera del 6 luglio la Camera del Lavoro proclama per l’indomani uno sciopero generale provinciale in seguito ai gravi fatti avvenuti in Sicilia e a Roma. La prefettura nega il comizio all’aperto in piazza della Libertà (oggi Piazza della Vittoria). Si forma comunque un corteo di 20.000 manifestanti e un gruppo di 300 operai presidia il monumento ai Caduti. Il tutto nella massima tranquillità

A freddo, alle 16.45, parte una carica di 350 poliziotti e un reparto di carabinieri. Sui manifestanti, presi in mezzo e senza vie di fuga, si rovesciano caroselli, lacrimogeni, getti d’acqua. Ci si prova a difendersi rifugiandosi nei vicoli e proteggendosi con sedie, assi di legno, tavolini dei bar. Le forze dell’”Ordine” rispondono aprendo il fuoco ad altezza d’uomo. L’aveva fatto il ministro degli Interni Scelba, nei primi anni ’50, lo rifà il ministro di Tambroni.

L’attuale ministro Piantedosi si è, per ora, limitato a rompere teste e arti a chi manifesta contro il genocidio in Palestina e contro le guerre d’aggressione alle quali l’Italia partecipa, in maniera più o meno visibile. Se poi 10.000 operai metalmeccanici a rischio di licenziamento occupano una tangenziale, il rinvio a processo è assicurato. E pure la condanna ad anni di carcere. Per ora non sparano.

Sotto il fuoco del primo governo con fascisti tornati al comando, cadono Lauro Farioli, operaio, 22 anni, Ovidio Franchi, operaio, 19 anni, Marino Serri, operaio, 41 anni, ex-partigiano, Afro Tondelli, operaio, 36 anni, ex-partigiano, Emilio Reverberi, operaio 39 anni ex-partigiano. Ai cinque assassinati, si aggiungono 21 feriti da arma da fuoco. Vengono sparati 182 colpi di mitra, 14 di fucile, 39 di pistola. Altri feriti non si presentano in ospedale, sicuri dell’arresto. Le retate non rispettano l’inviolabilità sancita dalle convenzioni.

E, a proposito di ininterrotta continuità, fu una cautela suggerita anche a me da un medico compagno, esperto di queste cose, ben 17 anni dopo, in piena “restaurazione democratica”, quando un candelotto lacrimogeno ad altezza d’uomo mi aveva ridotto il ginocchio a cocomero. A Roma un comizio per la conferma del divorzio, in Piazza Navona, viene attaccato dalla polizia e finsce in episodio di guerra civile che coinvolge mezzo centro storico e culmina con decine di feriti e l’uccisione di una diciassettenne, Giorgiana Masi, accanto a me sul Ponte Garibaldi. A sparare sono i “Falchi”, agenti travestiti da manifestanti, inventati dall’allora ministro, Francesco Cossiga.

La strage di Reggio Emilia fu documentata da un reperto prezioso. Una registrazione audio di 35 minuti che dava concretezza alla decisione di dare una lezione: spari, urla di rabbia e spavento, lamenti, sirene di ambulanze e camionette. Prova di una fredda carneficina.

Anche di questo evento vissi personalmente una ripetizione, a dimostrazione del consunto detto “tutto il mondo è paese”. Domenica di Sangue, Derry, Irlanda del Nord, 30 gennaio 1972, un battaglione di paracadutisti armati spara contro una folla di pacifici manifestanti per i diritti civili. 14 morti, un centinaio di feriti, mezz’ora di strage. Ho macchine fotografiche, ne ricavo immagini di morti e feriti. Ma chi gli ha sparato? Ho anche un registratore, che lavora ininterrottamente, dall’inizio alla fine: ogni singolo sparo proviene dallo stesso tipo di arma, carabina Sterling, in dotazione ai parà del Primo Battaglione. Prova alla base di qualche condanna di timide successive inchieste ufficiali. Continuità nel tempo, ma anche nello spazio.

Per la strage di Reggio Emilia vengono processati 61 dimostranti e due poliziotti, un vicequestore e un agente. La sentenza, tre anni dopo, scagiona tutti i manifestanti, ma assolve il vicequestore con formula piena e l’agente, fotografato mentre, inginocchiato, mira e spara, con formula dubitativa.

A Reggio, della verità resta la magnifica testimonianza del cantautore Fausto Amodei.

Per la continuità, oltre ai curricula degli assenti a Reggio Emilia lunedì scorso, da rintracciare non tanto negli atti parlamentari, quanto, diciamo, nel deep web di quanto si sa, risulta, ma non si dice. Ma che è implicito in tutto quello che combina questo manipolo di governo, nei suo linguaggio, nelle sue espressioni, nella cultura punitiva manifestata a ogni piè sospinto. Verticalizzazione del potere, insofferenza e ostilità ai contrappesi e controlli, disdegno di ogni correttezza istituzionale e costituzionale, occupazione sfrontata e capillare di ogni presidio del potere, dalla poltronissima allo sgabello.

Rivedetevi l’esibizione di Meloni, ad Atreiu, da menade fuori controllo e in preda a convulsioni violente, quando le capita di riferirsi a chi non da segni di conformità.

Epitome di tutto questo è il Decreto Sicurezza che, per aver scavalcato abusivamente il parlamento e contenere nefandezze legali e sociali di ogni genere e portata, ha dovuto subire l’affronto, non di un rifiuto di firma quirinalizia, figurati, ma di una condanna perentoria, senza attenuanti, implicitamente indignata, del nostro massimo tribunale.

Accanto alla repressione, da monarchia assoluta, di ogni gesto di opposizione e rivendicazione rispetto a un potere ”per grazia di dio” (e voto cavato agli elettori), coincidente con i residui barlumi di democrazia, alla luce di quanto ha segnato col crimine e col sangue la nostra storia repubblicana, va evidenziato un provvedimento.

Se il RearmEurope, come anche i traffici con Stati genocidi, che dei protetti dal lobbista Crosetto, dandogli l’incarico di fare guerre agli altri, fa la massima potenza finanziaria del paese, c’è nello Stato chi può, ora all’aperto e impunito, associarsi a mafie e terroristi per portare a termine la guerra a noi. Non più solo associarsi infiltrandosi, come è stata pratica costante della Repubblica a celebrazione del mai morto fascismo, ma organizzando e dirigendo. Così dice il Decreto, autorizzando i Servizi ad assumersi direttamente il comando di terrorismi e mafie.

Basta? Non basta. Nel tema rientra, con vigore e coerenza, il dispositivo che avvicina il potenziale dell’azione repressiva delle cosiddette Forze dell’Ordine a quello messo in atto in occasione dei fatti di Reggio Emilia. E non solo. Una forma evidente e robusta di immunità è garantita a poliziotti e carabinieri, già abbondantemente protetti dal reato di resistenza a pubblico ufficiale, ora diventata anche resistenza passiva, dalla non iscrizione nel registro degli indagati di agenti apparentemente colpevoli di abusi. Questo, per una settimana. Cosa che parrebbe voler offrire agli eventuali colpevoli ampie vie di fuga sotto forma di prove rimosse, testimoni subornati, colleghi coinvolti in versioni di comodo.

Basta come viaggio verso lo Stato di Polizia? Infiltrarsi sembra essere il mantra. Ovunque e sempre. Abbiamo appena deglutito a forza i cinque studenti appena matricole e già spie della polizia. Non basta ancora. E’ pronto il testo per l’ennesimo decreto da sparare sopra le teste dei parlamentari. Questa volta per la creazione di un nuovo servizio segreto. Non bastavano, per farci sentire addosso, ognuno di noi, in qualunque posizione o circostanza, lo sguardo e il fiato dello Stato AISE, AISI, NIC, GOM, Copasir, servizi militari, servizi della Finanza, consorterie spionistiche private. Tutta roba messa su, sotto lo sguardo benevolo del regime, da ex-agenti dei servizi, ex-poliziotti, ex-carabinieri, con tanto di software Graphite incistata nel cellulare su licenza israeliana Paragon.

Il nuovo Servizio Segreto opererà nelle carceri e sarà lo strumento operativo della Polizia Penitenziaria, oggi in grande spolvero, i cui uomini potranno fingersi detenuti ed infiltrarsi nelle celle per carpire ciò che conviene carpire, magari a beneficio delle trattative Stato-mafia, Stato-terrorismo. Ovviamente, come per gli altri operatori sotto copertura che vanno tracimando nell’attuale transizione democratica della Repubblica, ci sarà l’immunità Chi l’ha fatta, questa bella pensata? Ma è ovvio, il sottosegretario meloniano alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Chi sennò.

Tutto questo servirà ad alleviare le vessazioni da sovraffollamento e il primato di 91 suicidi nel solo 2024, 15 ogni 10mila detenuti (7,2 in Europa).

Spappolata l’Italia con l’Autonomia Differenziata e datala in mano ai fidati cacicchi locali, consolidato il verticismo totalitario della cricca cameratesca con l’imminente Premierato, ecco che s’è trovata la soluzione per una convergenza di criminalità organizzata e criminalità politica sotto l’attenta cura dei Servizi Segreti, arma fine democrazia e fine sovranità popolare.

Fine di tutto, se non ci muoviamo.

 

L’annuncio dell’evento di lunedì a Reggio Emilia era accompagnato da questo testo.

La Costituente contro la Guerra e il Riarmo presenta "7 LUGLIO 1960: GUERRA E LIBERTÀ". A partire dai tragici fatti del 7 luglio 1960 nella piazza di Reggio Emilia, pagati col prezzo della vita, mettiamo in prospettiva la repressione del dissenso, oggi tornata prepotentemente d'attualità con l'approvazione del ddl 1660, poi Decreto Sicurezza, nel contesto dei conflitti globali di oggi. Sessantacinque anni di storia intrecciati alle dinamiche di politica internazionale che parlano al presente con una terza guerra mondiale alle porte, se non già in corso a pezzi.
Lunedì 7 luglio ore 21 Centro sociale Tricolore (zona ex Reggiane) con l'adesione dei Comitati Emiliani Antifascisti, Multipopolare, Notti Rosse, Montagna Antifascista, Comitato Autonomo Mirabello, La Fionda, L'Indispensabile, Patria Socialista.
Introduce Alessandro Fontanesi.
Ingresso libero con offerta consapevole. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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