…Di
nuovo a Reggio Emilia
Di
nuovo là in Sicilia
Sono
morti dei compagni per mano dei fascisti
Di
nuovo come un tempo
Sopra
l’Italia intera
Fischia
il vento e infuria la bufera…
Sono
morti sui vent’anni
Per
il nostro domani
Son
morti come vecchi partigiani
Lunedì
sera, 7 luglio, a Reggio Emilia, riuniti dalla Costituente contro la Guerra e
il Riarmo, da tutte le realtà antifasciste e resistenziali, abbiamo ricordato
quanto lo Stato, già allora di Polizia, aveva commesso in termini di violenza sulla
vita e sulla coscienza civile democratica.
1960,
7 luglio, Reggio Emilia, 5 lavoratori, che manifestavano pacificamente, sono
trucidati da forze dell’ordine, nei secoli fedeli al potere e, in questo caso
al governo Tambroni, il primo dalla liberazione e dalla Costituzione
antifascista che si regge grazie ai fascisti in maggioranza. Nessun potere
atlantico lo disturba. Solo operai e contadini. Il Potere Atlantico interverrà
solo per rimuovere Aldo Moro, uomo dell’unità nazionale. Per il resto, tutto a
posto. Grazie a Gladio, Anello, P2, Servizi, mafie, governanti obbedienti e,
ora, di nuovo fascisti.
1960,
5 luglio, Licata, le forze dell'ordine reprimono nel sangue una manifestazione
unitaria di braccianti e operai, sparando contro il corteo guidato dal sindaco
Dc Castelli. Ci sarà un morto, Vincenzo Napoli, la prima vittima del
"luglio della memoria"
1968,
2 dicembre, Avola, Sicilia, due braccianti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, vengono
uccisi durante uno sciopero di braccianti, e altri 48 rimangono feriti, in
seguito all’uso delle armi da fuoco da
parte delle forze dell'ordine
1943.
28 dicembre, Reggio Emilia, i fratelli Cervi, 7, partigiani, fucilati dai
repubblichini.
2025,
7 luglio. Reggio Emilia, ricorrenza di un eccidio che se ne tira dietro un
altro, entrambi di stampo fascista. Presenti autorità dello Stato, consuetudine
liturgica fissa alle cerimonie dei lutti nazionali? Nessuna.
2025,
1.luglio, Roma, la Corte di Cassazione condanna all’ergastolo per la strage
P2-Stato-fascisti di Bologna, Paolo Bellini. Altri fascisti condannati
all’ergastolo per lo stesso crimine, ma in parte in libera circolazione:
Fioravanti, Mambro, Ciavardini, Cavallini. Stefano Delle Chiaie (MSI,
Avanguardia Nazionale), spunta in varie stragi degli ultimi 50 anni,
addirittura nelle più recenti, comprese quelle di Capaci e Via D’Amelio.
Per
anni sono stati, su mandato CIA, le forze d’urto dei vari piduisti a capo dei
Servizi, Miceli, Maletti, Santovito, Pelosi, Grassini, il micidiale Federico
Umberto D’Amato. Il terreno dal quale sono germogliati questi strumenti della
governance atlantica non ha mai perso il suo rigoglio. Lo conferma, con
entusiastico vigore, a questo punto addirittura bellico, l’aria che tira oggi.
Visto
che ci si deve armare contro nemici inventati e lungamente coltivati con tutti
gli apparati di persuasione a disposizione, e visto che prospettive di guerre
fondate sul trasferimento di denaro da esigenze sociali a missili e mine
antiuomo, si scontrano con la riottosità del popolo, ecco che per il
disciplinamento di queste masse riottose occorre quel personale lì. Il solito.
Quello col busto di Mussolini sull’altarino. Quello che può star lì grazie a
quanto, nell’ombra di Forte Braschi e, prima, a Langley, si decide per il bene
degli USA e rispettivi ragazzi di bottega.
Ecco
cosa c’entra l’ultima data sopra citata con quelle precedenti. Ci spiega la continuità
di uno Stato che il colonialismo ha liberato dal fascismo storico per affidarlo
al fascismo 2.0.
Torniamo
a capo. Reggio Emilia diventa protagonista della Resistenza antifascista e
antitedesca nascente. Protagonista ne è una famiglia di contadini. I Cervi
ospitano nella loro cascina partigiani e combattenti di ogni nazionalità. I
repubblichini della sede locale di Salò, riconoscono nel gruppo dei fratelli il
primo vero nemico organizzato. I militi della Guardia Nazionale Repubblicana
assediano l’abitazione in piena campagna reggiana e, incendiato il complesso di
costruzioni, con donne e bambini, stalle e magazzini comprese, costringono alla
resa il gruppo partigiano e i soldati alleati che vi si erano uniti. Un mese
dopo l’esecuzione.
L’evento
segnerà in profondità la storia del reggiano e la coscienza rivoluzionaria
delle successive generazioni.
Nei
tumulti successivi all’inserimento nella maggioranza di governo del DC Fernando
Tambroni del partito neofascista (Movimento Sociale Italiano, segretario
Giorgio Almirante, ministro repubblichino noto come “il fucilatore”), fino ad
allora almeno formalmente tenuto fuori dall’”Arco Costituzionale”, l’anima resistenziale
di Reggio Emilia si fa nuovamente protagonista.
In
quei giorni il vostro cronista si trova a Genova, altra Medaglia d’Oro della
Resistenza. Lì la sfida del regime verniciato di nero si manifesta con
l’autorizzazione al MSI a tenere proprio lì il suo congresso nazionale, nella
città martirizzata da fascisti e Wehrmacht. Ho ancora vivissime le immagini dei
camalli, lavoratori del porto, che affrontano i caroselli della Celere a mani
nude, tirano fuori i poliziotti dalle loro camionette e li buttano a prendere
il fresco nella fontana di Piazza De Ferrari, al centro della città.
Oggi
quei camalli, nella versione dei loro figli ed eredi, sono sotto denuncia per
aver impedito, come i portuali di altre città mediterranee, l’imbarco, o
l’avvio, di armi destinate a Israele. Continuità, i fronti restano gli stessi.
Rivediamo
ciò che ai nostri assenteisti nella rievocazione della strage poliziesca di
Reggio sembra sfuggire. La sera del 6 luglio la Camera del Lavoro proclama per
l’indomani uno sciopero generale provinciale in seguito ai gravi fatti avvenuti
in Sicilia e a Roma. La prefettura nega il comizio all’aperto in piazza della
Libertà (oggi Piazza della Vittoria). Si forma comunque un corteo di 20.000
manifestanti e un gruppo di 300 operai presidia il monumento ai Caduti. Il
tutto nella massima tranquillità
A
freddo, alle 16.45, parte una carica di 350 poliziotti e un reparto di
carabinieri. Sui manifestanti, presi in mezzo e senza vie di fuga, si
rovesciano caroselli, lacrimogeni, getti d’acqua. Ci si prova a difendersi
rifugiandosi nei vicoli e proteggendosi con sedie, assi di legno, tavolini dei
bar. Le forze dell’”Ordine” rispondono aprendo il fuoco ad altezza d’uomo.
L’aveva fatto il ministro degli Interni Scelba, nei primi anni ’50, lo rifà il
ministro di Tambroni.
L’attuale
ministro Piantedosi si è, per ora, limitato a rompere teste e arti a chi
manifesta contro il genocidio in Palestina e contro le guerre d’aggressione
alle quali l’Italia partecipa, in maniera più o meno visibile. Se poi 10.000
operai metalmeccanici a rischio di licenziamento occupano una tangenziale, il
rinvio a processo è assicurato. E pure la condanna ad anni di carcere. Per ora
non sparano.
Sotto
il fuoco del primo governo con fascisti tornati al comando, cadono Lauro
Farioli, operaio, 22 anni, Ovidio Franchi, operaio, 19 anni, Marino Serri,
operaio, 41 anni, ex-partigiano, Afro Tondelli, operaio, 36 anni,
ex-partigiano, Emilio Reverberi, operaio 39 anni ex-partigiano. Ai cinque
assassinati, si aggiungono 21 feriti da arma da fuoco. Vengono sparati 182
colpi di mitra, 14 di fucile, 39 di pistola. Altri feriti non si presentano in
ospedale, sicuri dell’arresto. Le retate non rispettano l’inviolabilità sancita
dalle convenzioni.
E,
a proposito di ininterrotta continuità, fu una cautela suggerita anche a me da
un medico compagno, esperto di queste cose, ben 17 anni dopo, in piena
“restaurazione democratica”, quando un candelotto lacrimogeno ad altezza d’uomo
mi aveva ridotto il ginocchio a cocomero. A Roma un comizio per la conferma del
divorzio, in Piazza Navona, viene attaccato dalla polizia e finsce in episodio
di guerra civile che coinvolge mezzo centro storico e culmina con decine di
feriti e l’uccisione di una diciassettenne, Giorgiana Masi, accanto a me sul
Ponte Garibaldi. A sparare sono i “Falchi”, agenti travestiti da manifestanti,
inventati dall’allora ministro, Francesco Cossiga.
La
strage di Reggio Emilia fu documentata da un reperto prezioso. Una
registrazione audio di 35 minuti che dava concretezza alla decisione di dare
una lezione: spari, urla di rabbia e spavento, lamenti, sirene di ambulanze e
camionette. Prova di una fredda carneficina.
Anche
di questo evento vissi personalmente una ripetizione, a dimostrazione del
consunto detto “tutto il mondo è paese”. Domenica di Sangue, Derry, Irlanda del
Nord, 30 gennaio 1972, un battaglione di paracadutisti armati spara contro una
folla di pacifici manifestanti per i diritti civili. 14 morti, un centinaio di
feriti, mezz’ora di strage. Ho macchine fotografiche, ne ricavo immagini di
morti e feriti. Ma chi gli ha sparato? Ho anche un registratore, che lavora
ininterrottamente, dall’inizio alla fine: ogni singolo sparo proviene dallo
stesso tipo di arma, carabina Sterling, in dotazione ai parà del Primo
Battaglione. Prova alla base di qualche condanna di timide successive inchieste
ufficiali. Continuità nel tempo, ma anche nello spazio.
Per
la strage di Reggio Emilia vengono processati 61 dimostranti e due poliziotti,
un vicequestore e un agente. La sentenza, tre anni dopo, scagiona tutti i
manifestanti, ma assolve il vicequestore con formula piena e l’agente,
fotografato mentre, inginocchiato, mira e spara, con formula dubitativa.
A
Reggio, della verità resta la magnifica testimonianza del cantautore Fausto
Amodei.
Per
la continuità, oltre ai curricula degli assenti a Reggio Emilia lunedì scorso,
da rintracciare non tanto negli atti parlamentari, quanto, diciamo, nel deep
web di quanto si sa, risulta, ma non si dice. Ma che è implicito in tutto
quello che combina questo manipolo di governo, nei suo linguaggio, nelle sue espressioni,
nella cultura punitiva manifestata a ogni piè sospinto. Verticalizzazione del
potere, insofferenza e ostilità ai contrappesi e controlli, disdegno di ogni
correttezza istituzionale e costituzionale, occupazione sfrontata e capillare
di ogni presidio del potere, dalla poltronissima allo sgabello.
Rivedetevi
l’esibizione di Meloni, ad Atreiu, da menade fuori controllo e in preda a
convulsioni violente, quando le capita di riferirsi a chi non da segni di
conformità.
Epitome
di tutto questo è il Decreto Sicurezza che, per aver scavalcato abusivamente il
parlamento e contenere nefandezze legali e sociali di ogni genere e portata, ha
dovuto subire l’affronto, non di un rifiuto di firma quirinalizia, figurati, ma
di una condanna perentoria, senza attenuanti, implicitamente indignata, del
nostro massimo tribunale.
Accanto
alla repressione, da monarchia assoluta, di ogni gesto di opposizione e
rivendicazione rispetto a un potere ”per grazia di dio” (e voto cavato agli
elettori), coincidente con i residui barlumi di democrazia, alla luce di quanto
ha segnato col crimine e col sangue la nostra storia repubblicana, va
evidenziato un provvedimento.
Se
il RearmEurope, come anche i traffici con Stati genocidi, che dei
protetti dal lobbista Crosetto, dandogli l’incarico di fare guerre agli altri,
fa la massima potenza finanziaria del paese, c’è nello Stato chi può, ora
all’aperto e impunito, associarsi a mafie e terroristi per portare a termine la
guerra a noi. Non più solo associarsi infiltrandosi, come è stata pratica
costante della Repubblica a celebrazione del mai morto fascismo, ma
organizzando e dirigendo. Così dice il Decreto, autorizzando i Servizi ad
assumersi direttamente il comando di terrorismi e mafie.
Basta?
Non basta. Nel tema rientra, con vigore e coerenza, il dispositivo che avvicina
il potenziale dell’azione repressiva delle cosiddette Forze dell’Ordine a
quello messo in atto in occasione dei fatti di Reggio Emilia. E non solo. Una
forma evidente e robusta di immunità è garantita a poliziotti e carabinieri,
già abbondantemente protetti dal reato di resistenza a pubblico ufficiale, ora
diventata anche resistenza passiva, dalla non iscrizione nel registro degli
indagati di agenti apparentemente colpevoli di abusi. Questo, per una
settimana. Cosa che parrebbe voler offrire agli eventuali colpevoli ampie vie
di fuga sotto forma di prove rimosse, testimoni subornati, colleghi coinvolti
in versioni di comodo.
Basta
come viaggio verso lo Stato di Polizia? Infiltrarsi sembra essere il mantra.
Ovunque e sempre. Abbiamo appena deglutito a forza i cinque studenti appena
matricole e già spie della polizia. Non basta ancora. E’ pronto il testo per
l’ennesimo decreto da sparare sopra le teste dei parlamentari. Questa volta per
la creazione di un nuovo servizio segreto. Non bastavano, per farci sentire
addosso, ognuno di noi, in qualunque posizione o circostanza, lo sguardo e il
fiato dello Stato AISE, AISI, NIC, GOM, Copasir, servizi militari, servizi
della Finanza, consorterie spionistiche private. Tutta roba messa su, sotto lo
sguardo benevolo del regime, da ex-agenti dei servizi, ex-poliziotti,
ex-carabinieri, con tanto di software Graphite incistata nel cellulare su
licenza israeliana Paragon.
Il
nuovo Servizio Segreto opererà nelle carceri e sarà lo strumento operativo
della Polizia Penitenziaria, oggi in grande spolvero, i cui uomini potranno
fingersi detenuti ed infiltrarsi nelle celle per carpire ciò che conviene
carpire, magari a beneficio delle trattative Stato-mafia, Stato-terrorismo.
Ovviamente, come per gli altri operatori sotto copertura che vanno tracimando
nell’attuale transizione democratica della Repubblica, ci sarà l’immunità Chi
l’ha fatta, questa bella pensata? Ma è ovvio, il sottosegretario meloniano alla
Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Chi sennò.
Tutto
questo servirà ad alleviare le vessazioni da sovraffollamento e il primato di
91 suicidi nel solo 2024, 15 ogni 10mila detenuti (7,2 in Europa).
Spappolata
l’Italia con l’Autonomia Differenziata e datala in mano ai fidati cacicchi
locali, consolidato il verticismo totalitario della cricca cameratesca con
l’imminente Premierato, ecco che s’è trovata la soluzione per una convergenza di
criminalità organizzata e criminalità politica sotto l’attenta cura dei Servizi
Segreti, arma fine democrazia e fine sovranità popolare.
Fine
di tutto, se non ci muoviamo.
L’annuncio
dell’evento di lunedì a Reggio Emilia era accompagnato da questo testo.
La
Costituente contro la Guerra e il Riarmo presenta "7 LUGLIO 1960: GUERRA E
LIBERTÀ". A partire dai tragici fatti del 7 luglio 1960 nella piazza di
Reggio Emilia, pagati col prezzo della vita, mettiamo in prospettiva la
repressione del dissenso, oggi tornata prepotentemente d'attualità con
l'approvazione del ddl 1660, poi Decreto Sicurezza, nel contesto dei conflitti
globali di oggi. Sessantacinque anni di storia intrecciati alle dinamiche di
politica internazionale che parlano al presente con una terza guerra mondiale
alle porte, se non già in corso a pezzi.
Lunedì 7 luglio ore 21 Centro sociale Tricolore (zona ex Reggiane) con
l'adesione dei Comitati Emiliani Antifascisti, Multipopolare, Notti Rosse,
Montagna Antifascista, Comitato Autonomo Mirabello, La Fionda,
L'Indispensabile, Patria Socialista.
Introduce Alessandro Fontanesi.
Ingresso libero con offerta consapevole.
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