Byoblu, intervista a Fulvio Grimaldi e Luca Marfè
sull’invasione dei palazzi del potere a Brasilia
https://www.byoblu.com/2023/01/09/a-chi-giovano-gli-scontri-in-brasile-fulvio-grimaldi-luca-marfe/
Si ripropone il quesito, esattamente come per l’irruzione a
Capitol Hill il 6 gennaio scorso, su chi l’abbia pensata, chi l’abbia
consentita, a chi avesse dovuto giovare e chi avesse tirato le fila di quella
che per alcuni sarebbe una formidabile False Flag intesa a rafforzare il
candidato uscito vincitore da un conteggio elettorale estremamente discutibile.
Anche se in Brasile non sono per ora apparse prove di
manipolazioni del voto, il margine quasi irrisorio, meno dell’1%, che ha diviso
il vincente Lula da Bolsonaro e, più rilevante, il grande vantaggio conseguito
nelle elezioni parlamentari, in contrasto netto con l’esito delle
presidenziali, dalle forze politiche che sostengono il presidente uscente,
riportano ai giorni in cui quasi metà dell’elettorato USA perse ogni fiducia
nel processo elettorale.
Tutto il mondo che si riconosce nel fronte capeggiato dagli
Stati Uniti e dall’Ordine costituito in Occidente, a partire da NATO e Unione
Europea, ha unanimemente espresso il suo plauso, cui hanno dato vigorosa voce i
media, a Lula e alla sua affermazione.
Dato che si presume che Ignazio Da Silva Lula rappresenti
gli interessi e le aspirazioni delle classi povere, lavoratrici, escluse,
risulta quanto meno straniante che al 77enne ex-sindacalista vada
l’entusiastico appoggio dei circoli con cuore e mente a Wall Street. Ambienti
che, più che ai Semterra, contadini senza terra del Brasile, o agli
indigeni Yanomani, sono abituati a guardare a Davos, dove ogni anno per il
“discorso alle nazioni”, del Forum Economico Mondiale, atterrano i circa 1.500
aerei privati del più grande concentrato di ricchezza mai visto sul Pianeta.
Il Brasile è spaccato nettamente in due, senza che i corifei
mediatici di un giornalismo che non è tale lo raffigurino come uno scontro tra
fascisti e democratici (sarebbe interessante vedere un paese di 220 milioni di
abitanti la cui metà fosse composta da nazisti e fascisti. Non succede, in tale
misura, neppure in Ucraina). Personalmente mi trovo in difficoltà a individuare
la palingenesi brasiliana in un presidente riemerso da una bufera di scandali
che ha travolto il partito, chi gli è succeduto e lui stesso, che ora si è
messo a fianco un vice della più bell’acqua wallstreetiana e ultraliberista.
Avranno gli operai di San Paolo, i contadini tuttora senza
terra, i derelitti del Nord Este, gli indigeni di cui per la verità non si era
troppo curato nemmeno nel primo, glorioso mandato (2003-2007), la forza per
tornare a fare imboccare a Lula la via della giustizia sociale, ma anche della
sovranità e dei liberi rapporti internazionali? Ha bene iniziato, il
neo-presidente, salutando Putin. La prossima prova saranno i rapporti con gli
uni o con gli altri dei paesi latinoamericani. A partire da Cuba e dal
Venezuela.
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