venerdì 20 dicembre 2024

Il contributo dei rinnegati di Ramallah--- --- ABU MAZEN IN CISGORDANIA COME NETANIAHU A GAZA E AL JOLANI IN SIRIA

 



Non solo palestinesi della diaspora a fianco dei terroristi neo-padroni di Damasco….

Il coordinamento logistico e strategico dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese, il mostriciattolo collaborazionista nato dagli accordi di Oslo), elaborato dal Segretario di Stato Blinken con il Comando Militare degli USA, fornitore di blindati, corazzati e armamenti, fiancheggia le operazioni sion-turco-USA a Gaza e in Siria con un assalto stragista a Jenin, coronamento di una campagna contro civili e Resistenza partita in concomitanza con il genocidio di Gaza. Si tratta del cosiddetto “Piano Fenzel”. Campagna che andrà allargandosi a Nablus, Tulkarem e Hebron.

L’operazione in atto dall’inizio di dicembre va a sostegno della campagna stragista dei coloni armati che da mesi invadono e danno alle fiamme centri abitati, sottraggono terreni ai legittimi proprietari, sradicano e distruggono coltivazioni. L’obiettivo dichiarato è di smantellare ogni forma di resistenza sviluppatasi in Cisgiordania a partire dall’assalto a Gaza e al Libano. Se, come diceva Mao, la Resistenza è nel popolo come i pesci sono nell’acqua, qui si tratta di eliminare l’acqua.

Le unità delle “Forze di Sicurezza dell’Autorità Palestinese” stanno intervenendo su vasta scala e a forza di uccisioni, ferimenti e arresti contro la propria popolazione civile, col pretesto di voler sopprimere militanti della Jihad Islamica, dichiarati equivalenti ai “jihadisti dell’ISIS sostenuti da forze esterne e dalla Fratellanza Musulmana” (paradossalmente gli stessi protagonisti dello squartamento della Siria, acclamati “liberatori, non solo dagli aggressori). Testimoni riferiscono di fuoco indirizzato contro minori disarmati.

L’offensiva dell’ANP è stata discussa e decisa in coordinamento con i comandi militari USA, qui rappresentati da Coordinatore Michael Fenzel, responsabile, insieme a colleghi canadesi, anche dell’addestramento degli sgherri di Abu Mazen, l’illegittimo presidente palestinese al suo ennesimo mandato dal 2006, ultime elezioni vinte da Hamas in tutti i territori occupati. I materiali forniti dagli USA all’ANP includono munizioni, elmetti, giubbotti antiproiettile, ricetrasmittenti, visori notturni, esplosivi, mezzi corazzati. Di armi leggere e pesanti sono dotati i coloni.

Ha preso il via anche la creazione, concordata tra le autorità di Stati Uniti, Israele, Giordania e ANP, di un nuovo reparto di “Forze Speciali di Sicurezza dell’Autorità Palestinese” che viene addestrato in Giordania da personale USA e sarà incaricato di mantenere il controllo militare e di intelligence sui territori occupati. Il risultato ambito è la radicale eliminazione di ogni forma di opposizione palestinese che agevoli ulteriori massicci insediamenti di cloni con l’obiettivo finale dell’annessione. La cornice è il terrorismo intimidatorio contro la popolazione civile.

Se, come diceva Mao, la Resistenza è nel popolo come i pesci sono nell’acqua, qui si tratta di eliminare l’acqua.

Ha denunciato il progetto, l’operazione in atto e il suo obiettivo finale, condiviso dall’ANP, una coalizione di gruppi della Resistenza, i “Comitati Popolari Palestinesi della Resistenza”.

Vogliamo sollecitare un parere a Yussef Salman? O a chi flirta con Al Jolani?

 

 

 


martedì 17 dicembre 2024

Finalmente uno Stato Islamico come si deve--- --- IL NOSTRO AGENTE A DAMASCO

 


La nomina del Segretario del Consiglio dei Ministri, su decisione del capo terrorista Ahmed Sharaa (già al Joliani), è avvenuta nell’Hotel Quattro Stagioni di proprietà del Qatar e in presenza delle di esso autorità diplomatiche festanti.

La Repubblica Araba Siriana aveva un sistema presidenziale che non prevedeva un Primo Ministro, titolo ora assegnato a Mohammed al Bashir. Lo vedete qui all’ombra della nuova bandiera siriana. Che è quella che i francesi imposero alla nazione (che  a suo tempo comprendeva Libano, Giordania, Siria e Palestina) quando era una propria colonia.

Mohammed al Bashir, alto dirigente della Fratellanza Musulmana, di cui sono membri il Qatar e la Turchia e che dalla sua fondazione è collegata al governo e ai Servizi britannici e, dunque, a quelli USA, condivideva con Al Jolani la direzione dell’organizzazione jihadista Hayat Tahrir al Sham (HTS) fin da quando, nel 2011, si chiamava Al Qaida e poi Al Nusra e, in altre aree, ISIS-Stato Islamico. La sua prima apparizione pubblica è avvenuta in una presentazione allestita dal MI6, il Servizio Segreto Regno Unito

Da autoproclamato governatore della provincia siriana di Idlib, strappata al controllo di Damasco grazie al soccorso dell’esercito turco, al Bashir aveva imposto ai 3 milioni di abitanti della provincia una dittatura jihadista. Si è trattato di un regime terrorista, brutale, vessatorio e che ha espropriato la popolazione e le sue autorità elette di ogni diritto e potere. Tutte le attività economiche della provincia venivano sequestrata dagli occupanti e gestite da miliziani jihadisti e soldati neo-ottomani nell’interesse loro e della Turchia. Chi si opponeva, anche solo allo stile di vita imposto dalla Sharìa, finiva in carcere sotto tortura, o veniva eliminato.

Costui è oggi, per grazia di Fratelli Musulmani, Israele, USA, UE e la nostra urlatrice invasata, la massima autorità di una Siria già a brandelli e contesa da una serie di sciacalli in rissa fra di loro. Siria che gli viene ulteriormente polverizzata e occupata dai propri sponsor e padroni, mentre le nuove “Forze dell’ordine” sono impegnate a proseguire pratiche e strumenti collaudati in 15 anni di terrore.

La nuova Siria, cara al mondo democratico, nasce dall’annientamento nei burka (che, diversamente da quelli afghani, sono ariosi, protettivi ed eleganti) delle donne che erano l’avanguardia emancipata di tutto il Medioriente. Burka, velo integrale, accompagnati dalla pulizia etnica di chi faceva il maestro, o l’impiegato comunale, o la ministra dell’economia, o la saltatrice con l’asta nello Stato dittatoriale che ora, invece, si va godendo la libertà.

Membri della Fratellanza Musulmana e tagliagole riabilitati sono molti ministri del nuovo gabinetto. A partire da Haitham Manna, tagliagole e ministro dell’Istruzione, l’ex capo serial killer al Jolani, ministro della “Difesa”, Faisal al Qasim, giornalista di Al Jazeera, proprietà privata di Tamin bin Hamad Al Thani, emiro del Qatar che si finge caritatevole nei confronti dei palestinesi, ministro dell’Informazione. Poi tutta una serie di Imam, virtuosi fautori del modo di intendere l’Islam come viene utilizzato dai poteri occidentali, tra Bataclan e Mosul, per esercitare colonialismo e tenere sotto tacco e scacco le proprie popolazioni.

Riferisco nell’interesse di coloro che ritengono di propinarci salvacondotti per Erdogan, diffamazioni postume dello Stato siriano e riabilitazione di assassini e torturatori perché trionfatori della causa dell’Occidente.

Democrazia all’occidentale: guerre, golpe, criminalità politica organizzata--- --- TERZO MILLENNIO, IL TERRORISMO AL POTERE

venerdì 13 dicembre 2024

Terrorismo, arma fine del mondo --- .--- DA PIAZZA FONTANA AL BATACLAN DAL BATACLAN A DAMASCO

 

Palmira dopo il passaggio di Abu Mohammed Al Jolani, nuovo leader di Siria

 

“Il ringhio del bassotto”. Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=dKsw54spxfw

https://youtu.be/dKsw54spxfw

 

Le foto che vedete qui sopra sono del sito archeologico più vasto e prezioso della Siria: i resti di Palmira, chiamata “La sposa del deserto”, capitale nel III secolo del Regno della Regina Zenobia. Nel 2013 coloro che ora ci vengono rifilati come reggitori della nuova Siria democratica, la rasero al suolo.

Nel corso delle scorribande necrofaghe dei mercenari jihadisti di Turchia, Israele e USA, il 18 agosto 2015 Khaled al Asaad, direttore degli scavi che non aveva voluto abbandonare i tesori da lui curati, fu ucciso sulla piazza di fronte al museo della città nuova di Palmira (poi Tadmur), e in seguito il suo corpo decapitato fu esposto al pubblico, appeso a una colonna. Una delle imprese vantate dall’attuale “liberatore” della Siria dalla “dittatura” di Assad, Ahmed al Sharaa (già Abu Mohammed al Jolani), tra mezzo milione di siriani uccisi in battaglia e civili trucidati, bruciati vivi, scuoiati, appesi a facciate e alberi, affogati chiusi in gabbie, stuprati, squartati, fatti circolare.

Atrocità tutte documentate da video diffusi dagli esecutori tra di loro, a glorificazione delle proprie imprese e tra la popolazione, a scopo di intimidazione e terrore. Sono state le stesse famiglie, a Homs e poi a Damasco, di molte delle vittime a mostrarmene le immagini ricevute sui cellulari. Salvo poi a ritrovarmi direttamente tra i frammenti umani e i rottami di un autobus o un edificio saltato.

La stessa mostruosità subumana, reclutata, armata, pagata e lanciata contro la Siria da coloro che oggi ne celebrano la “liberazione”, in pieno festino di uccisioni, saccheggi e devastazioni bombarole sioniste e statunitensi, ha poi perseguito in Iraq, a Mosul, la distruzione di una civiltà millennaria, laboriosamente e amorevolmente restaurata e custodita.

Lì le vittime, di cui potete ammirare la bellezza nei miei documentari sull’Iraq integro e poi aggredito, sono state le inenarrabili testimonianze della civiltà assira a Ninive, Nimrud, e nella stessa Mosul. Erano le gemme dei regni arabi di Sennacherib, Nabucodonosor, Assurbanipal, popoli dai quali ci fu poi regalata la conoscenza della civiltà greca, madre, oggi stuprata, della nostra anima.

I bombardamenti a tappeto USA affiancarono poi il lavoro commissionato allo Stato Islamico, o ISIS e oggi Hayat Tahrir al Sham, di annientamento delle identità nazionali, della consapevolezza di sé e della conseguente autostima dei portatori di questa ricchezza umana.

Mosul fu infine liberata e parzialmente salvata dagli stessi iracheni della Unità di Mobilitazione Popolare, combattenti contro l’occupazione, poi attivi anche in tutta la regione sottoposta al nazionicidio israelo-americano.

A Damasco sono ricicciati i famigerati Caschi Bianchi, ONG inventata dai servizi anglosassoni, impegnata nel corso del massacro jihadista, fino a che non vi pose fine l’intervento russo, a scovare e diffondere atrocità da attribuire al governo siriano. Se ne ricorda la scomparsa in seguito allo smascheramento delle loro operazioni, tipo quel salvataggio di bambini da sotto le macerie i cui video sfuggiti rivelarono come fossero stati sepolti dagli stessi Caschi Bianchi e ricoperti di polvere all’atto del recupero.

Stavolta hanno contribuito a scoprire le inevitabili e decisive fosse comuni, le stesse inevitabilmente “scoperte” (come, doverosamente, anche gli stupri) dopo la caduta di Gheddafi, Milosevic, Saddam, o di qualunque resistenza antimperialista. Sono quelle in cui si sarebbero accumulate le vittime degli stermini di migliaia di prigionieri nel carcere di Sednaja, l’invenzione, al culmine dell’aggressione, subito annientata dalla comparsa in vita dei presunti trucidati e da testimonianze di congiunti che ne dimostrarono la caduta in combattimento.

Altrettanto inevitabile la riscoperta dell’uso di armi chimiche da parte di Assad, nel ripetutamente resuscitato episodio di East Ghouta, dove i gas avrebbe fatto strage addirittura di bambini. Non è bastata l’esibizione delle foto, già circolate, di questi bambini, morti in un precedente bombardamento a Latakia, e poi definiti vittime delle armi chimiche siriane. Per mettere a tacere quanto ora viene rilanciato ci volle l’inchiesta dell’organismo ONU per le armi chimiche (OPCW) che ne smentì ogni uso a East Ghouta.

Tant’è- Ma non per i nostri media, mercenari corrotti oltre ogni misura, peggio dei nuovi governanti democratici di Damasco. Qui abbiamo quella sussidiarietà salvifica che, con la metempsicosi all’incontrario di quella di Kafka, da scarafaggio a finzione umana, deve far evolvere tagliagole psicopatici in partner di diritti umani all’occidentale. Missione assegnata: l’uccisione di una nazione bimillenaria di altissima civiltà.

Dopotutto la priorità deontologica e democratica è seppellire sotto quanto si va e si continuerà ad andar “scoprendo” dai liberatori della Siria, su precisa mappatura CIA e Mossad, qualcosa come i 14.000 bambini uccisi dalle bombe e dalla fame a Gaza, nominativamente identificati (denuncia Unicef), che si sommano ad almeno altrettanti scomparsi sotto le macerie e dunque ancora senza nome e a tanti di più programmati da Netaniahu all’estinzione tramite fucilate mirate, epidemie, ferite non curate, denutrizione.

Nascondimento che finisce nel grande buio dove già si trovano i milioni di vittime ucraine, arabe di varia nazionalità, di mezzo mondo per sanzioni dovute a mancata obbedienza, sottosviluppo coatto. 50 milioni, come qualcuno calcola, dal 1945 ad oggi.

Vi sembra improprio il titolo che ho dato a questo scritto?  Credete davvero che non ci siano familiarità, consociazione, comune padrinaggio, comune sponsorship e spesso comune manovalanza e sempre comune direzione artistica e regia, tra quanto e quanti hanno voluto tenere paesi e popoli sui binari e ai comportamenti assegnati?

In Siria, Libia, Iraq e tanti altri paesi, lo strumento sono stati e sono i terroristi islamici. Lo sono stati analogamente anche da noi, a Parigi, a Londra, a Mosca, a Monaco, a Boston (lì solo per convincerci che i padrini non sono loro e, comunque, una stretta ai diritti, giustificata dall’emergenza, serve anche lì).

I più bisognosi in Europa, data la posizione geopolitica, di riaggiustamenti post e neo-fascisti e post-Costituzione, siamo da sempre noi. Da noi dell’ISIS non c’era bisogno dato che abbondavano altre manovalanze, con coppola o fez. Più Servizi eufemisticamente detti “deviati”. Deviati quanto i governi che li gestivano. Terrorismo da noi e ovunque al potere appaltante e al regime appaltato servisse contenere conflitti sociali, insubordinazioni, imporre guerre contro la legge uguale per tutti, guerre sociali, culturali, farmacologiche. E guerre comandate esterne. Ovunque il Capitale esigesse un’accelerazione della marcia dell’oca verso il potere assoluto.

Damasco come Roma. Il terrorismo è tra noi. Ed è bipartisan. Ma anche tri e quadri.

 

 

.

martedì 10 dicembre 2024

Fratelli Musulmani, il nostro agente a Damasco--- --- LA PRESA ALLA GIUGULARE ARABA

 


Fratelli Musulmani, il nostro agente a Damasco

LA PRESA ALLA GIUGULARE ARABA

 

“CALEIDO, il mondo da angolazioni diverse”. Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=nD8CVPxnlHU

https://youtu.be/nD8CVPxnlHU

E su questo e altri temi QTV - https://www.quiradiolondra.tv/live/ e sul digitale terrestre 244, alle 20.00, martedì e venerdì.

 

Ha cominciato Goffredo da Buglione, nel 1099, prima crociata, col massacro dei musulmani a Gerusalemme. Ha proseguito Riccardo Cuor di Leone, nel 1189, Terza Crociata, con la strage di 3000 musulmani, uomini, donne, bambini (Saladino non aveva toccato capello alla popolazione cristiana). E poi, via via, altre crociate, fino a Lepanto, fino al Kosovo, alla Bosnia. Fino alla Palestina, al Libano, all’Iraq, alla Libia. Fino a Damasco.

Non so se l’Occidente cristiano abbia potuto avvalersi, nelle sue millenarie crociate, di una quinta colonna araba, accreditatasi tra gli eterni aggrediti grazie alla comune religione. Fede consistente, al pari di gran parte delle religioni,  in una paccottiglia di superstizioni finalizzate al potere, ai massacri di genti da eliminare e di terre e risorse da predare.

Stavolta, però, di una simile quinta colonna abbiamo l’evidenza addirittura autoproclamata e dagli aggressori riconosciuta e celebrata: i Fratelli Musulmani. Creata nel ventennio del secolo scorso a Londra, costruita la sua base nell’ Egitto, protettorato britannico, con l’intento del colonialismo in crisi di opporre una forza e una motivazione alla travolgente crescita della coscienza nazionale araba, quella già del Saladino, poi compressa da bizantini e ottomani, la Fratellanza Musulmana ha coronato il suo percorso con il trionfo in Siria.

Imponendo ai colonialisti in ritirata la propria costituzione in singole nazioni libere, sempre puntando lo sguardo all’ambita unità, dal Golfo Persico all’Atlantico, di popoli accomunati da visione, volontà, storia, lingua, religione, cultura, gli arabi erano riusciti a scippare all’ennesima “crociata” europea le spoglie dell’impero ottomano.

La quinta colonna, mimetizzata nella forma islamica più radicale per sedurre grazie a un più militante contrasto con il colonialismo degli “infedeli”, viene messa all’opera allora. Subisce una lunga serie di rovesci grazie all’affermazione, qui come in altre parti del mondo colonizzato, delle istanze nazionali e alla cacciata dei propri sponsor europei, poi atlantici, poi euroatlantici. Accende focolai eversivi da Bengasi in Libia, a Hama e Daraa in Siria, destabilizza o recupera al neocolonialismo regioni africane come il Sahel o la Nigeria, si afferma al potere in Sudan, però in versione anti-occidentale e, brevemente, in Egitto con Mohamed Morsi. Qui l’ormai consolidata coscienza laica lascia al presidente fratello musulmano appena 12 mesi di dittatura della Sharìa, accompagnata a una feroce repressione di lavoratori e della comunità cristiana copta.

Al suo successore, laico e votato al multipolarismo, frequentatore di Mosca e sostenitore del legittimo governo libico esiliato a Bengasi, hanno buttato tra i piedi una rivolta jihadista nel Sinai e, con riferimento all’ENI, il corpo di Giulio Regeni.

Abbiamo ben presente la Libia mandata al macero dall’aggressione NATO innescata dalla sollevazione di bande jihadiste nell’Est del paese e poi affidata allo stesso brigantaggio terrorista per la rapina delle risorse energetiche, la balcanizzazione del paese, il controllo, quanto meno, della capitale e la gestione di un’emigrazione, se non coatta, quanto meno indotta.

In Iraq questo mercenariato della riconquista coloniale, in presenza di interventi militari diretti (gli ultimi, ad oggi, in prima persona), si è limitato a svolgere la funzione della sussidiarietà. Ha assunto la forma del presunto nemico (lo Stato Islamico) contro cui intervenire per aver modo di bombardare a morte il paese, al tempo stesso sostenendo gli infiltrati dall’aria con rifornimenti di armi e mezzi.

Al termine del primo decennio di questo secolo, il conflitto tra l’Occidente della “remontada” colonialista e il resto del mondo trova i suoi spazi operativi nell’ eliminazione dei titolari delle risorse energetiche. Alla faccia dei giochi propagandistici, di distrazione di massa e di ingegneria sociale, attorno al cambiamento climatico e alle “rinnovabili”, si recidono i legami energetici, gasdotti ed oleodotti, tra Russia ed Europa. Legami oltretutto tali da consolidare, in negativo per l’Impero, i rapporti tra un nemico da disintegrare e un nemico da rendere innocuo sul piano geopolitico ed economico.

In Medioriente la quinta colonna della Fratellanza Musulmana è al potere con i tiranni reali della dinastia Al Thani (parto britannico) in Qatar e con Erdogan (massima – e leale - colonna Nato fuori dagli USA) in Turchia. Viene attivata nel momento dell’offensiva anti-russa e anti-europea in Ucraina. Offensiva che vede l’Europa dissanguarsi nell’inutile armamento all’Ucraina e perdere le fonti del suo benessere, sviluppo e ruolo, con l’esplosione CIA dei gasdotti nel Baltico.

A Sud, operando nella stessa direzione, i Fratelli Musulmani di Qatar e Turchia avevano attivato la pipelina dall’Azerbaijan attraverso Turchia e Grecia (Nato) al Salento in Puglia (TAP) e tentato di creare l’altra, dal Qatar via Siria, Turchia all’Europa e a Israele. La prima era stata imposta con gravi danni al territorio, tranquillamente tollerati visti i governi che ci ritroviamo a nostra insaputa, nonostante un’opposizione di anni delle popolazioni locali. La seconda, visto il governo che loro avevano, era stata esclusa da Damasco. Perché fare un favore a gente che ti fa le scarpe da tutti i punti di vista?

La Siria di Bashar el Assad aveva avuto l’improntitudine di opporre l’alternativa di un’altra pipeline, “antimperialista”: quella dall’Iran attraverso l’Iraq e la Siria, fino al Mediterraneo.

Nel primo caso il rubinetto sulle forniture agli europei stava in Azerbaijan e Turchia e, nel secondo, in Qatar e Turchia. La decisione su apertura o chiusura, con relativi effetti di ricatto e controllo, stava saldo in mani statunitensi, di Wall Street e delle compagnie lì accreditate. E in ogni caso restava obsoleta e geopoliticamente neutralizzata la “lifeline” energetica, indigesta solida base di buoni e reciprocamente proficui rapporti, tra Russia ed Europa.

Una “lifeline” alternativa tra Iran, Iraq, Siria ed Occidente, avrebbe pesantemente inciso sul progetto unipolare, ridando a europei e molti altri la facoltà di autodeterminarsi in materia economica e, quindi, politica. Cosa che, in tempi di BRICS, andava neutralizzata con le buone e con le cattive. Si è fatto ricorso alle cattive, dato che la Siria di Assad, diversamente dall’Europa di Meloni, Macron, Starmer e Scholz, non ci stava.

La neutralizzazione è stata affidata alla collaudata Fratellanza e al loro braccio armato che, per quanto terrorista, tagliagole, oscurantista, corrotto, tirannico, pronto a ogni nefandezza, ha dalla sua il consenso, il compiacimento e la disponibilità di soccorso in armi, denaro e rivestimenti democratici, dei loro pari con Stelle e Strisce e Stella di Davide.

 Dei quali ultimi la cronaca ci conferma l’assunto: Grande Israele: un passetto avanti in quella direzione approfittando del bailamme creato dai compari turchi, Jihadisti e curdi. In due giorni sono scesi dal Golan occupato e si sono presi un territorio vasto già come il doppio della Striscia di Gaza, fino a 40 km da Damasco. La travolgente avanzata dei terroristi democratici ci aveva fatto trascurare le incursioni di terra di Tsahal, ancora grondante sangue palestinese, e i 350 raid aerei su una Siria da desertificare, anche alla faccia dei subalterni della Fratellanza musulman-sionista di Al Qaida-Hayat Tahrir Al Sham, come di curdi, drusi, turchi e chi altro s’impiccia.

Chè poi alla Siria ci penseranno i coloni.

 

 

 

 

 

 

domenica 8 dicembre 2024

 

E’ la guerra dell’Occidente agli arabi… infedeli, mori, saraceni, pirati…

SIRIA COME LEPANTO

Qual è lo scambio, quale il guadagno, quale il costo

 

 

Cosa c’è dietro e cosa davanti al collasso e alla frantumazione del più importante Stato arabo. Chi vince, chi perde.

BYOBLU canale 262, questa sera, domenica 8 dicembre, alle 18.10 e alle 21.40 FULVIO GRIMALDI, inviato di guerra autore del docufilm ARMAGEDDON SULLA VIA DI DAMASCO

giovedì 5 dicembre 2024

Siria, Sudcorea, Georgia, Romania --- EST-OVEST-SUD-NORD, LA NATO SCRICCHIOLA --- Ma in Siria sono cent’anni di guerra agli arabi


 

“CALEIDO”, Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/live/WF2TLDBcIuw  

https://www.youtube.com/live/WF2TLDBcIuw?si=TYaaFgkW0SE4_r-_

https://youtu.be/WF2TLDBcIuw

 

ZEEV JABOTINSKY, fondatore del gruppo terrorista sionista Haganah: “L’unico scenario che ci da speranza è la disintegrazione della Siria. Dobbiamo prepararc a questo scenario, il resto è perdita di tempo.

DAVID BEN GURION, fondatore e primo presidente di Israele: “Dobbiamo prepararci all’attacco. Il nostro obiettivo è distruggere la Siria. La Siria deve finire nelle nostre mani”.

Quella che il Sionimperialismo, per interposti turchi, curdi e bande jihadiste, nella complicità con i petrotiranni, di fatto la NATO del Medioriente, sta conducendo contro la Siria, è il più recente episodio della guerra agli arabi in quanto nazione. Nazione collocata nel crocevia del pianeta e dotata della risorsa che da cent’anni continua a sostenere dell’Occidente politico il capitalismo e il colonialismo e ad esercitare dominio sul proprio come su gli altri popoli. Risorsa che non manca alla Russia, all’Africa e all’America Latina, oggi BRICS, con implicita fase epigonale del mondo come si era andato configurando sotto le “regole”.

I palestinesi decimati, il Libano ridotto in macerie, i grandi Stati arabi, Iraq, Egitto, Algeria, Libia, Sudan, fuorigioco per un motivo o per l’altro; le petromonarchie o complici, o voltate dall’altra parte e la Turchia Nato di Erdogan, con il suo sogno neo-ottomano, a disposizione in un ruolo non dissimile da quello dell’Ucraina di Zelensky… Per la resa dei conti con gli arabi l’occasione è promettente.

Il discorso sull’aggressione alla Siria, a nordovest con il mercenariato di Hayat Tahrir al Sham (già Al Qaida, Al Nusra e ISIS), fornito dai turchi e, a nordest, con quello dei boyscout curdi dell’occupante USA, andrebbe visto su questo sfondo. Quello a cui pose pennello, accendendo ceri sugli altari dei Crociati di Riccardo Cuor di Leone e Goffredo da Buglione, Londra, quando ha installato, sulla tomba dell’impero ottomano, il famigerato “focolare” per chi si prestava a tornare dove non era mai stato. Né lui, né i suoi vecchi.

Siamo, nel crocevia del pianeta, a quella che si vorrebbe la soluzione definitiva del problema arabo e dei suoi 450 milioni di esseri umani. Quelli che con Nasser, Gheddafi, Atassi e Assad, Ben Bella e Boumedienne, Nimeiri, Saddam, avevano fatto aggirarsi per questo ombelico del mondo lo spettro della Nazione Araba.

Con i palestinesi all’avanguardia, la Siria (che prima delle spartizioni coloniali era anche Libano, Giordania, Palestina) ne era, ne è, il cuore, il simbolo, la forza. Non per nulla sta lì, in piedi, dopo 14 anni di feroce aggressione, con il 17% del suo popolo sfollato e profugo, con le sue risorse o distrutte, o rapinate da incursori e occupanti, e a cui coloro che ci seguono dai cieli hanno aggiunto un terremoto devastante. E grazie ai russi, agli Hezbollah e a chi gli è venuto in soccorso avendo capito che razza di posta sia in gioco, lì e per l’umanità.

Come butterà? L’interpretazione di cosa sia avvenuto, e come, né di quale sia la situazione sul terreno, non è facile. Sì, a prima vista tutti concordano sull’interesse comune tra il Fuorilegge di Tel Aviv e il doppio- triplo- e quadri-giochista di Ankara (cui Putin aveva concesso quella superdifesa antiaerea degli S-400, negata a Tehran! E qualcosa significherà). Fallita la sottomissione e parziale occupazione di un Libano che, grazie ai suoi patrioti, resiste vincente da 44 anni, si prova a cambiare spartito. Del resto l’eliminazione dalla scena di una Siria irriducibile da sempre è ritenuto interesse condiviso da tutto l’Occidente politico per i motivi storici e attuali di cui sopra.

Occidente politico che, dopo aver inventato, rastrellato, addestrato, pagato (i sauditi), armato la teppa sanguinaria del jihadismo e averla impiegata nelle stragi terroristiche e ovunque occorresse promuovere guerre, destabilizzazioni, disciplinamenti sociali e occultarne, o giustificarne i mandanti, ora della sua riattivazione e della caduta di Assad pensa di potersene fare beneficiario una volta per tutte.

Per inciso, ci sarebbe da attendersi che cessasse la venerazione, da parte di certi “sinistri” nostrani, di una comunità curda di Siria, presunta democratica, femminista, ecologica, effettiva mercenaria della guerra statunitense, alla vista del suo parallelo attacco, vanamente smentito, a Deir Ezzor,

Sorprendente? Non per chi abbia visto sventolare, accanto alle bandiere curde, quelle americane e israeliane, nelle manifestazioni di giubilo dei curdi nei villaggi e territori arabi da loro occupati. Non coloro che hanno visto i reportage tv che raccontavano le visite di Netaniahu ai feriti dell’ISIS, curati negli ospedali israeliani sul Golan occupato. Erdogan è il cattivo che vuole fare fuori anche i curdi? Cosa che non ci consola del fatto che i curdi stanno facendo fuori i buoni.

Senza trovare opposizione, in queste ore la manovra pare arrivata a Hama, a due passi dall’altra grande città, Homs, e poi dalla capitale. Damasco smentisce e, indubbiamente i russi, con i bombardamenti sulle vie di rifornimento degli invasori, e l’esercito siriano, anche con gli amici in armi accorsi da Libano, Iraq, Yemen, hanno iniziato a reagire e, pare, a tener testa.

Può darsi anche che la teoria di certi analisti, secondo cui la mancata opposizione immediata al blitz dei tagliagole contro Aleppo, sia dovuto a un calcolo di Damasco. Ci sono 30.000 armati della Jihad, cacciati dalla Siria e spinti nel 2016 dall’esercito siriano nel governatorato di Idlib, al confine con la Turchia e sotto la sua protezione. Da allora hanno esercitato un dominio brutale sui 3 milioni di abitanti siriani, espropriandoli di tutto: funzioni amministrative, economia di sussistenza, commerci. Negli ultimi tempi si sono intensificate le ribellioni dei locali contro questo stato di cose.

Si ipotizza che Damasco, riducendo le difese all’aggressione, abbia calcolato che la penetrazione in profondità dei miliziani di Hayat Tahrir al Shams, possa aver sguarnito le loro posizioni in Idlib e offerto l’occasione ai siriani di occupare quella provincia, per poi accerchiare le unità penetrate in profondità nel paese.

L’alternativa rischia di essere il rovesciamento del governo di Bashar el Assad e la fine della Siria come la conosciamo e come ha resistito per 14 anni a un concorso di nemici che non hanno mai perdonato agli arabi di voler essere padroni a casa loro.

Nel video, poi, si guarda alla Corea del Sud cui un popolo in sofferenza e collera contro una sequela di dittature militari, finalizzate a mantenere il paese pronto alla programmata guerra contro il Nord e contro la Cina, nel quadro della Nato-di-fatto che comprende Giappone e gli anglosassoni del Pacifico.

Lì la buffonata, affidata da Washington al presidente Yoon Suk Yeol, degli 11.000 soldati nordcoreani arrivati in soccorso a Putin nel Kursk, sembra essere stata la goccia che ha fatto tracimare l’insofferenza della popolazione. Yeol, tra l’altro segnato da accuse di corruzione e malaffare che sembrano caratterizzare tutti i proconsoli dell’impero, ha provato a uscirne col colpo di Stato della Legge Marziale. Che ha retto 6 ore. I militari penetrati nel parlamento, ne sono stati cacciati a schiaffi e pedate dagli stessi deputati, mentre la folla tumultuava a favore di rapporti di fratellanza con la Corea del Nord. E così la NATO dell’Indopacifico s’è giocata una pedina cruciale.

Cosa che si direbbe che stia succedendo in Europa Orientale, Balcani e Caucaso, il baluardo avanzato contro il Putin che vuole arrivare a Lisbona. In Romania, fortilizio NATO con la sua più grande base europea, vince e va al ballottaggio tale Calin Georgescu, brava persona che vuole una Romania neutrale e che si faccia i cazzi suoi.

In Georgia, con il 54% contro il 34%, il partito Sogno Georgiano di Irakli Kobajidze, neutralista e amico di tutti, batte gli invasati di UE. Ora mandati a far casino europeista in piazza da una signora francese, nata a Parigi, tale Salomè Zurabishvili, che fa la presidente e dovrebbe ora cedere l’incarico e, invece, chiede nuove elezioni.

I crimini di Erakli? Ha visto cosa succede a un’Ucraina filo-UE e Nato e l’ha fatto vedere ai georgiani in tv, provocando una valanga di voti contro UE e Nato. Ha fatto di peggio: una legge che, come succede in tutti gli Stati democratici, che alle 25.000 ONG fatte arrivare dall’Occidente dal predecessore Saakashvili (quello della guerra dei 5 giorni con la Russia) impone di dichiarare quanto, dei finanziamenti esteri ricevuti (CIA, NED, USAID, Amnesty… ) supera il 20%. Peggio, il suo partito, la maggioranza, ha approvato una legge che inibisce di pubblicizzare e promuovere nelle scuole il gender, nel senso di GLBTQI+.

Ma è mai possibile?


martedì 3 dicembre 2024

ARRIVIAMOOOO

 



Questa sera, alle 20.00 e - finchè qualche bruto con tutto da nascondere e manipolare, allergico a realtà, verità, onestà, non riesce a spegnere la luce - da qui all’eternità.

QTV (https://www.quiradiolondra.tv/live/) resta in rete, ma stasera, martedì 3 dicembre, a las ocho de la tarde, entra trionfalmente sul digitale terrestre, Canale 244, da incidere a caratteri di fuoco negli spazi pregiati della vostra memoria e, magari, anche sulla base di materiale solido del vostro televisore.

Sarà tutt’un altro vedere dal divano nel salotto, rispetto al bilanciarsi appollaiati davanti al computer. Che pure, al bel vedere, nel caso di QTV, non era malaccio come punto di osservazione. E pensate al giubilo degli antinformatici e di chi, su quel picco, o nello sprofondo di quella valle, maledice la connessione maldisposta.

Incomincio io, col bassotto Ernesto, ogni martedì e ogni venerdì alle20.I bersagli sono tanti: ogni altotto, uno per uno, e tutti gli altotti insieme. Un po’ per volta li infilzeremo tutti. Qualcuno, magari, lo illuminiamo.

Che fate, non venite? Per poi restare nell’angustia a chiedersi: chissà cosa mi sono perso…?

Del resto, se sbagliamo ci correggerete. A dopo.

Fulvio

lunedì 2 dicembre 2024

Conflitto sociale contro guerre, guerre contro conflitto sociale--- --- “TUTTO IL MONDO STA ESPLODENDO…” C

 


Conflitto sociale contro guerre, guerre contro conflitto sociale

“TUTTO IL MONDO STA ESPLODENDO…”

Canale Youtube di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=YqyZn-bORJc

https://youtu.be/YqyZn-bORJc

 

Eve of Destruction” (Era della distruzione, 1965) di Barry McGuire, nella versione di Lotta Continua del 1970: “Tutto il mondo sta esplodendo”. https://youtu.be/qQ0VPHdtcHA

 

Ho sbraitato alcune frasi sconnesse, come suole, dal soundsystem mobile della Resistenza palestinese, sul quale alcuni compagni generosi avevano voluto issarmi. Per questo mi permetto di integrare e dare un po’ di senso a quanto da lissù mi è stato concesso l’onore di gridare.

La manifestazione dei 30.000 per la Palestina – e non solo -  sulla quale i soliti burloni da strapazzo del baraccone fascistoide hanno voluto inventarsi che sono stati inquinati da episodi di “cretini violenti” (copyright del solito cretino dei Trasporti), ha avuto un significato di una portata enorme. Non so in che misura tutti noi e chi ci ha osservato da vicino e ci ha sentito e letto da lontano, abbiamo saputo accorgercene. Vorrei darne una veloce lettura.

Ma prima voglio, pur nella felice leggerezza e nel ricco stimolo alla riflessione regalatici dal formidabile corteo, precisare una cosa. Mi aggiro dalle parti della Palestina da 60 anni. Ne ho conosciuto gli eroi e le vittime di un genocidio che dura dal 1947. Ne ho anche condiviso il combattimento. Ne ho osservato i pochi accondiscendenti allo stato delle cose imposto dai carnefici, chi si accomodava sullo strapuntino a reggere il moccolo per quelli in poltrona muniti di pallottole e bombe, e a spegnerlo per quelli rimasti fuori.

Ebbene, ve ne erano, all’insaputa dei più, bene manipolata, anche alcuni che su questa manifestazione di intrepidi e integri ha voluto mettere un suo berrettino. Poco male, Gaza, la Palestina, una storia di irriducibile vita all’insegna del giusto, del bene, del bello, sono diventati lo spicchio romano del cielo che si va allargando sul mondo, il sangue nelle sue arterie.

Ai miei tempi c’era chi ripeteva, fino a provare a sfinirci tutti, “Unità – unità – grande unità”. Magari non ci sfinì, perché eravamo molto lucidi allora, ma impedì che si sfinissero loro, quelli muniti di gendarmi e di false flag (anche se allora si chiamavano diversamente: terrorismo di Stato, nero o “rosso”). Noi rispondevamo: bella l’unità, forte l’unità, ma dipende con chi e per cosa. Quello è il criterio.

Nel corteo spiccavano le facce e i comportamenti, oltre a quelle dei fratelli palestinesi, di una rappresentanza di italiani, mai così folta, dei ceti aggrediti e calpestati, proprio come, in altro contesto e con altre modalità, vi sono e lottano altri aggrediti e calpestati Calpestati, stavolta, fino a essere schiacciati a morte, palestinesi, libanesi, siriani, yemeniti, iracheni, arabi in lotta.

Popoli proletari, voluti deboli e impotenti, qui rappresentati da ragazzi, donne, uomini voluti deboli e impotenti. Quelli della guerra fasciocapitalista ai proletari, sottoproletari, ceti medi impoveriti e minacciati in quanto gli resta (e gli è tolto) di benessere, democrazia, autodeterminazione, pace.

Contro la guerra, conflitto sociale. Anche nell’accostamento con lo sciopero generale del giorno prima, indetto da tutti, storici e di base, tranne da uno perennemente quinta colonna, e riempito di contenuti dai milioni che gli hanno dato corpo, finalmente, dopo trent’anni che i grandi sindacati erano, un po’ come certi collaborazionisti a cui sopra si è accennato, solo chiacchiere e distintivo.

Conflitto sociale contro la guerra, da ribaltare il paradigma, dettato dall’eterno nemico, della guerra contro il conflitto sociale.

Tutto era placido e ordinato, da noi nei primi decenni del dopoguerra. Poi partì una rivoluzione mondiale, simboleggiata dall’Algeria afro-araba e culminata con il Vietnam asiatico, con forti scossoni in America Latina. Ci mostrò che potevamo, anche noi, procedere da svegli e coscienti, a condizione di lottare, nelle piazze come loro nelle trincee. Dalle guerre di liberazione, dall’averle conosciute e sostenute, imparammo di affiancarvi il conflitto sociale. E fu in tutto il mondo il decennio ’68-’77. E ovunque le gerarchie cambiarono e chi era subalterno e rassegnato maturò una nuova consapevolezza di sé, degli altri e dei padroni.

Oggi succede la stessa cosa a fattori invertiti, ma il risultato promette di essere quello. Allora era la decolonizzazione e l’antimperialismo e l’anima si chiamava Vietnam. Oggi è la decolonizzazione e l’imperialismo e l’anima è la Palestina. La guerra dei padroni vorrebbe essere quella della rivincita, i popoli rispondono con la resistenza, noi con il conflitto sociale. Di classe. Di popolo.Tutto il mondo sta esplodendo.

Mi sembra che dalla magnifica giornata romana di sabato 30 novembre 2024 si possa trarre questa conclusione.

Grazie Palestina, libanesi, arabi in lotta. Ce n’est che le debut.

 

sabato 30 novembre 2024

Messico vince, Bolivia perde, Venezuela resiste, fascismo in Argentina --- AMERICA LATINA, L’ALTRO CONFRONTO

 

Messico vince, Bolivia perde, Venezuela resiste, fascismo in Argentina

AMERICA LATINA, L’ALTRO CONFRONTO


“Il ringhio del bassotto”, Paolo Arigotti  intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=WIiHA68hwQ8

https://youtu.be/WIiHA68hwQ8

 

Non solo Ucraina, Medioriente e Taiwan. L’impero sta al resto del mondo come i bizantini nel 1453 stavano agli ottomani. Con qualche mezzo militare, qualche vassallo e qualche potere manipolatorio in più.

In Latinoamerica, dopo gli episodi isolati di Cuba e del Nicaragua, si potrebbe dire che, a spanne, siamo alla Fase Tre. Abbiamo, nella seconda metà del secolo scorso, la fase dei primi fermenti di rivolta antimperialista con i movimenti guerriglieri alla Tupamaros, schiacciati nel sangue dalle dittature imposte con la kissingeriana Operazione Condor. Poi la fase della risposta rivoluzionaria partita dal Venezuela e diffusasi in quasi tutto il subcontinente. Oggi sembra si possa dire che siamo al terzo capitolo della guerra tra colonialismo ed emancipazione. In senso tennistico, come usa oggi, stiamo a tre set a due con i giocatori sul 3 a 3. La partita resta aperta.

In Perù un golpe propiziato dalla Generale Laura Richardson, Comandante SUD degli USA, ha messo al potere la parlamentare Dina Boluarte e ha chiuso in carcere il legittimo presidente progressista Pedro Castillo. In Ecuador, dopo il golpe contro Raffale Correa, si succedono presidenti che disfano quello che Correa aveva fatto in termini sociali e di liberazione dei ceppi yankee. In Argentina, con la demenziale elettrosega Javier Milei, siamo alla catastrofe sociale (58% di poveri assoluti) attraverso una privatizzazione di tutto, Banca Nazionale copmpresa, la coatta adozione delle ricette del FMI, una feroce repressione popolare, una stretta alleanza con Biden, Netaniahu e… Meloni.

Nell’ambiguità viaggiano i presidenti di Cile e Brasile. Il primo, Gabriel Boric, presidente dal 2022, devoto alla tradizione economica e antidemocratica dei predecessori post-Pinochet. Il secondo, il ripetente Lula, scampato alle imputazioni di corruzione, come la “successora” Russeff, fa la sua prima visita da neopresidente a Biden, omaggiandolo capo del primo partner di Brasilia, successivamente pone il veto alla partecipazione al vertice dei BRICS in Russia di due paesi antimperialisti e socialisti, Venezuela e Nicaragua e sul primo condivide la campagna USA di presunti brogli nelle ultime elezioni generali e presidenziali. Poco significa, in questo contesto, il formale sostegno ai palestinesi.

Note positive, invece vengono dallo stesso Venezuela, netto vincitore delle elezioni assicurate dal sistema elettorale più trasparente e preciso del Mondo (Centro Carter) e dall’enorme concorso di folla avversa alle ennesime mire golpiste dell’opposizione. Di grande risonanza a Caracas, anche il convegno mondiale antifascista.

Lo Stato sandinista di Daniel Ortega resiste agli incessanti tentativi di destabilizzazione e sovversione, con attori i soliti colorati filo-USA, rappresentanti dei residui ceti padronali e, con particolare accanimento, la Chiesa cattolica. Si avvicina il momento in cui il Nicaragua sarà attraversato da un nuovo canale tra Caraibi e Pacifico, con grave scorno del Panama e di chi né esercita il padrinaggio.

In Messico, con la recente elezione di Claudia Sheinbaum alla successione di AMLO, Andres Manuel Lopez Obrador, primo vero rinnovatore delle tradizioni rivoluzionarie e sovraniste di Juarez, Zapata, Villa, Cardenas. Con Obrador, il Messico ha iniziato la sua faticosa uscita dalla presa letale dei Narcotrafficanti, di cui i suoi predecessori e pezzi di magistratura, polizia ed esercito erano manifesti complici e benficiari.

Un compito che ora la sua compagna nel partito nazionalista e progressista “Sigamos Haciendo Historia”, Sheinbaum, vincitrice delle presidenziali con il 57% contro il 31%, va perseguendo. Adesione ai BRICS, ricupero delle risorse naturali (petrolio, litio) attraverso nazionalizzazioni, riconoscimento dello Stato di Palestina, netto rifiuto alla manomorta statunitense, le cui banche cessano di essere alimentate dal narcotraffico messicano, sono il segno della continuità antimperialista.

La situazione più drammatica e a rischio di ritorno ai tempi bui della successione di colpi di Stato e dittature, sotto sponsor USA, è quella di un faro della lotta di liberazione anticoloniale latinoamericana. La Bolivia, per la quale si è sacrificato il più grande eroe del Continente, Che Guevara, e che vent’anni fa era stata ricuperata al suo cammino di sovranità ed emancipazione economico-sociale da Evo Morales e dal suo Movimento al Socialismo (MAS), va rasentando da oltre un anno la guerra civile.

Evo Morales, subito nel 2019 un colpo di Stato reazionario dagli storici terratenientes di Santa Cruz, la parte meridionale e più arretrata del paese, era fuggito in Messico e aveva abbandonato il suo paese, e specialmente la componente indigena, sua base di forza, alla feroce repressione dei golpisti. Rientrato, dopo che un sollevamento popolare, espressosi poi anche nel voto del 2020, aveva sconfitto il disegno yankee e posto democraticamente alla presidenza il creolo Luis (Lucho) Arce, suo valido ministro dell’economia dal 2006 al 2017, Evo aveva voluto candidarsi, contro Arce, per il 2025, a un quarto mandato presidenziale, non ammesso dalla Costituzione.

L’improvvida iniziativa ha provocato una profonda lacerazione nel MAS, come nelle organizzazioni civili e nei sindacati, finendo con il contrapporre “luisisti” ed “evisti”, con episodi eversivi che vedono contrapposti i due fronti anche sul piano fisico. Evo, a partire dalla sua roccaforte di Cochabamba, terra dei cocaleros, organizza posti di blocco, marce nazionali sulla capitale La Paz, finge di aver subito attentati. Arce risponde con la mobilitazione delle istituzioni. Ora siamo allo sciopero della fame di Morales e alla sua invocazione di una mediazione dei governi amici: segno di debolezza.

La vicenda è tragica, visto il ruolo positivo che per due decenni questo paese ha svolto dal cuore del continente, a fianco di Cuba, Venezuela, Nicaragua, Honduras, Messico e altre nazioni sovrane del Cono Sud. Evo Morales sembra un leader sopravvissuto al suo tempo e che non si rassegna a un cambiament che a molti risulta fisiologico. Qualcuno ha l’occasione di pescare nel torbido.

Nel video il resto e la mia esperienza in Latinoamerica.

 

giovedì 28 novembre 2024

Bye bye Grande Israele LIBANO, INIZIO DELLA FINE PER CHI?

 


Bye bye Grande Israele

LIBANO, INIZIO DELLA FINE PER CHI?

 

Byoblu, Arianna Graziato intervista Fulvio Grimaldi

https://www.byoblu.com/2024/11/27/medio-oriente-arriva-la-tregua-ma-manca-la-pace-che-idea-ti-sei-fatto/

Avete presente quel pugile, Tyson, a 58 anni vecchio come il cucco, ma con una carriera di sfracelli alle spalle? Ci riprova, è chiuso all’angolo, mena colpi all’impazzata senza cogliere il bersaglio, barcolla, si aggrappa alle corde, crollerà. Qualcuno getta l’asciugamano, si chiama Amos Hochstein, israelo-americano dell’IDF.

E’ andata così a Beirut nei giorni scorsi, ma, a dispetto della complicità delle varie mafiosità predatrici dell’Occidente politico, neanche la tregua di 60 giorni salverà Israele dall’abominio universale con cui lo vede e tratta la parte migliore dell’umanità.

Contro il Libano, obiettivo da distruggere per far spazio alla Grande Israele, colpo fallito nel 2000 e nel 2006 col naso rotto da Hezbollah, Israele, che già non riesce a domare Hamas in una striscia di 60km x 10 bombardata e genocidata da 14 mesi, doveva:

-        mettere in sicurezza 150.000 esasperati cittadini cacciati dalle loro colonie nel Nord e nel Sud della Palestina occupata e che ora arrivano a prendere a pugni i propri soldati, in gran parte riservisti che non gliela fanno più.

-       Sollecitare al ritorno i 700.000 occupanti della Palestina che, a causa dei casini in corso, dentro Israele e tutt’intorno, hanno abbandonato Israele e da paese dell’immigrazione (indispensabile per contenere la prolificità palestinese) lo hanno ridotto a paese della gente in fuga.

-       Superare una crisi economica senza precedenti dovuta alla scomparsa degli investitori esteri e alle difficoltà delle imprese provocata dal trasferimento di impiegati, tecnici, operai e dirigenti nelle file dell’IDF. Tamir Hayman, già direttore della Divisione dell’Intelligence Militare sionista, dice che, dopo 2 anni, Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi contro Hamas e Hezbollah.

-       Pacificare con una vittoria finalmente netta le masse di suoi cittadini in rivolta per come il loro regime, per proteggerne il capo dai processi per le sue ruberie di Stato, prosegue una guerra infischiandosene dei loro congiunti in mano a Hamas e perlopiù uccisi dalle proprie bombe.

-       Creare in Libano il fatto compiuto, trampolino per l’assalto all’Iran, prima del cambio dell’amministrazione USA.

-       Provare all’opinione pubblica mondiale che i mandati d’arresto a Netaniahu e Gallant del Tribunale Penale ONU sono pura fuffa e Israele può permettersi tanti genocidi quanto gli pare.

Mi fermo qui, ma ci sarebbe dell’altro su questo piano. Completate voi il giro d’orizzonte. Vi porterà sull’orlo dell’abisso in cui, soprattutto a forza di implosioni e di perdita di status morale mondiale, questa creatura deforme sta per precipitare.

Così si è affidata ad Amos Hochstein, che l’acchiappasse per il colletto prima del precipizio. Chi è costui? Secondo la stampa del lecca lecca è un imparziale mediatore tra le parti in conflitto, o in sofferenza, della contesa libanese. Secondo chi guarda oltre è un ex-ufficiale dell’IDF sionista che, negli anni ‘90 reprimeva e uccideva i militanti delle Intifade palestinesi e chi altro capitava sotto tiro; poi un consulente per l’energia di Obama e Biden che fregò ai palestinesi di Gaza i diritti sui giacimenti di gas davanti alle loro coste. Dunque, l’ideale dell’imparziale negoziatore.

Di fronte a quanto sopra ho elencato circa le condizioni di salute dello Stato sionista, questo signore doveva trovare un coniglio nel cilindro. Ma ha trovato solo un pelouche da farci giocare tutti quelli che vogliono convincerci che a Israele è andata bene e agli arabi tutti molto male.

La tregua prevede che debba riattivarsi la risoluzione ONU 1706 del 2006, adottata dopo che Hezbollah, allora ancora in ciabatte, ci aveva messo un mese per cacciare le truppe israeliane dal Libano. C’ero alla battaglia decisiva di Bint Jbeil e ricordo con una certa soddisfazione come gli invasori, cacciati di casa in casa, dimostrassero una volta di più che Israele è micidiale a bombardare (visto che nessuno nei dintorni a una forza aerea, o anti-aerea), ma molto scarsa nello scontro sul terreno, dove le equazioni si impongono. Credo che più che di armamenti trattasi di motivazione.

Per farla breve, cosa si è concluso con questo accordo del cessate il fuoco? Prima nominalmente, poi nella sostanza.

Entrano in campo e nel sud libanese (i 30km tra confine e il fiume Litani) gli inutili, ma “indispensabili” Unifil e, insieme a questi, un esercito libanese che vale quanto quello dei soldatini di piombo che avete nella cameretta. E’ composto da una miriade di credenze, etnie, tribù, impostazioni politiche e culturali che ricorrentemente, per la soddisfazione di del Libano vuole disfarsi, si guardano in cagnesco. Dovrebbero questi, e Unifil, con addirittura la supervisione di “osservatori” francesi, tedeschi (come si sa nemici mortali e, dunque, fornitori di armi di Israele) e…americani, impedire a Hezbollah di esserci e agire.

 Venendo alla sostanza, quell’esercito libanese non ha niente di nazionale e quindi è debitore di motivazione e capacità a combattenti come Hezbollah che, da 40 anni, in politica e in armi, dimostrano di essere gli unici a difendere paese e nazione, per quanto frazionata. E perciò, e anche perché i sionisti, furbi, hanno bombardato, oltre a Hezbollah, tutto il Libano, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Perfino la loro ex-quinta colonna cristiano-maronita, perfino i quartieri residenziali e gli ospedali, comprese i patrimoni archeologici e turistici che facevano la ricchezza del paese. Hanno così creato, loro, una coscienza avversa nazionale, una resistenza collettiva.

E’ vero che Israele si è riservata il diritto di rispondere a eventuali minacce Che vuol dire tornare a invadere quel pezzetto sospirato di Grande Israele che sta tra la Linea Blu e il Litani. E nel tempo in cui le provocazioni, False Flag, sono lo strumento principale per le guerre coloniali e imperiali, un Hezbollah che tiri un mortaretto oltre quella linea lo si inventa facilmente. Basta rifilare qualche shekel al contadino del Sud in difficoltà di sopravvivenza per la sua famiglia nella casa disintegrata da quelli degli shekel…

Non saranno quell’esercito di cartone variopinto libanese a impedire a Hezbollah di ritornare nel Sud. Anche perché c’è già e c’è sempre stato: è popolo. L’IDF lo sa bene e, infatti, a tregua conclusa, ha subito cominciato a sparare sugli sfollati libanesi tornati a decine di migliaia nei loro villaggi e città del Sud. Mentre dei parallelamente sfollati dal Nord della Palestina occupata, non ne è rientrato nessuno.

Anzi, il sindaco della colonia di Metula, David Azoulay e quello del Consiglio Regionale di Merom, Amit Sofer, hanno rifiutato di far rientrare gli abitanti, dicendosi non convinti della sicurezza. E Azoulay ha aggiunto: “L’accordo favorisce Hezbollah ed è una vergogna!”. Chi ha vinto, chi ha perso?

Restano da vedere due cose su cui è forse presto trarre conclusioni. Hezbollah aveva iniziato la tempesta di missili su Israele il primo giorno dopo l’attacco a Gaza, in solidarietà e sostegno alla Resistenza palestinese. Gliela farà venir meno alla luce della tregua in Libano? E i militanti iracheni delle Forze di Mobilitazione Popolare che da mesi bersagliano obiettivi in Israele? E gli yemeniti? Tutti sospenderanno le azioni dell’Asse della Resistenza per via della tregua in Libano?  E lo faranno perché è credibile ciò che si ventila: una tregua anche a Gaza?

Per ora accontentiamoci che, per quanto manovrato a favore di Israele dal presunto mediatore Hochstein, con garanzie dei colonialisti USA e francesi, l’esito vede Hezbollah, sì danneggiato dai colpi alla sua dirigenza, ma assolutamente capace di reagire e oggi saldo sulle proprie posizioni militari e politiche, con dietro un paese che gli assicura un sostegno maggiore. Per contro, lo Stato sionista attraversa una crisi interna ed esterna senza precedenti e, in Libano come nel resto del mondo, gode di un’avversione senza precedenti. Alla luce delle sue caratteristiche psicopatiche procederà verso la propria rovina. Come minimo, merita un TSO.

 

Byoblu, Arianna Graziato intervista Fulvio Grimaldi

https://www.byoblu.com/2024/11/27/medio-oriente-arriva-la-tregua-ma-manca-la-pace-che-idea-ti-sei-fatto/

Avete presente quel pugile, Tyson, a 58 anni vecchio come il cucco, ma con una carriera di sfracelli alle spalle? Ci riprova, è chiuso all’angolo, mena colpi all’impazzata senza cogliere il bersaglio, barcolla, si aggrappa alle corde, crollerà. Qualcuno getta l’asciugamano, si chiama Amos Hochstein, israelo-americano dell’IDF.

E’ andata così a Beirut nei giorni scorsi, ma, a dispetto della complicità delle varie mafiosità predatrici dell’Occidente politico, neanche la tregua di 60 giorni salverà Israele dall’abominio universale con cui lo vede e tratta la parte migliore dell’umanità.

Contro il Libano, obiettivo da distruggere per far spazio alla Grande Israele, colpo fallito nel 2000 e nel 2006 col naso rotto da Hezbollah, Israele, che già non riesce a domare Hamas in una striscia di 60km x 10 bombardata e genocidata da 14 mesi, doveva:

-        mettere in sicurezza 150.000 esasperati cittadini cacciati dalle loro colonie nel Nord e nel Sud della Palestina occupata e che ora arrivano a prendere a pugni i propri soldati, in gran parte riservisti che non gliela fanno più.

-       Sollecitare al ritorno i 700.000 occupanti della Palestina che, a causa dei casini in corso, dentro Israele e tutt’intorno, hanno abbandonato Israele e da paese dell’immigrazione (indispensabile per contenere la prolificità palestinese) lo hanno ridotto a paese della gente in fuga.

-       Superare una crisi economica senza precedenti dovuta alla scomparsa degli investitori esteri e alle difficoltà delle imprese provocata dal trasferimento di impiegati, tecnici, operai e dirigenti nelle file dell’IDF. Tamir Hayman, già direttore della Divisione dell’Intelligence Militare sionista, dice che, dopo 2 anni, Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi contro Hamas e Hezbollah.

-       Pacificare con una vittoria finalmente netta le masse di suoi cittadini in rivolta per come il loro regime, per proteggerne il capo dai processi per le sue ruberie di Stato, prosegue una guerra infischiandosene dei loro congiunti in mano a Hamas e perlopiù uccisi dalle proprie bombe.

-       Creare in Libano il fatto compiuto, trampolino per l’assalto all’Iran, prima del cambio dell’amministrazione USA.

-       Provare all’opinione pubblica mondiale che i mandati d’arresto a Netaniahu e Gallant del Tribunale Penale ONU sono pura fuffa e Israele può permettersi tanti genocidi quanto gli pare.

Mi fermo qui, ma ci sarebbe dell’altro su questo piano. Completate voi il giro d’orizzonte. Vi porterà sull’orlo dell’abisso in cui, soprattutto a forza di implosioni e di perdita di status morale mondiale, questa creatura deforme sta per precipitare.

Così si è affidata ad Amos Hochstein, che l’acchiappasse per il colletto prima del precipizio. Chi è costui? Secondo la stampa del lecca lecca è un imparziale mediatore tra le parti in conflitto, o in sofferenza, della contesa libanese. Secondo chi guarda oltre è un ex-ufficiale dell’IDF sionista che, negli anni ‘90 reprimeva e uccideva i militanti delle Intifade palestinesi e chi altro capitava sotto tiro; poi un consulente per l’energia di Obama e Biden che fregò ai palestinesi di Gaza i diritti sui giacimenti di gas davanti alle loro coste. Dunque, l’ideale dell’imparziale negoziatore.

Di fronte a quanto sopra ho elencato circa le condizioni di salute dello Stato sionista, questo signore doveva trovare un coniglio nel cilindro. Ma ha trovato solo un pelouche da farci giocare tutti quelli che vogliono convincerci che a Israele è andata bene e agli arabi tutti molto male.

La tregua prevede che debba riattivarsi la risoluzione ONU 1706 del 2006, adottata dopo che Hezbollah, allora ancora in ciabatte, ci aveva messo un mese per cacciare le truppe israeliane dal Libano. C’ero alla battaglia decisiva di Bint Jbeil e ricordo con una certa soddisfazione come gli invasori, cacciati di casa in casa, dimostrassero una volta di più che Israele è micidiale a bombardare (visto che nessuno nei dintorni a una forza aerea, o anti-aerea), ma molto scarsa nello scontro sul terreno, dove le equazioni si impongono. Credo che più che di armamenti trattasi di motivazione.

Per farla breve, cosa si è concluso con questo accordo del cessate il fuoco? Prima nominalmente, poi nella sostanza.

Entrano in campo e nel sud libanese (i 30km tra confine e il fiume Litani) gli inutili, ma “indispensabili” Unifil e, insieme a questi, un esercito libanese che vale quanto quello dei soldatini di piombo che avete nella cameretta. E’ composto da una miriade di credenze, etnie, tribù, impostazioni politiche e culturali che ricorrentemente, per la soddisfazione di del Libano vuole disfarsi, si guardano in cagnesco. Dovrebbero questi, e Unifil, con addirittura la supervisione di “osservatori” francesi, tedeschi (come si sa nemici mortali e, dunque, fornitori di armi di Israele) e…americani, impedire a Hezbollah di esserci e agire.

 Venendo alla sostanza, quell’esercito libanese non ha niente di nazionale e quindi è debitore di motivazione e capacità a combattenti come Hezbollah che, da 40 anni, in politica e in armi, dimostrano di essere gli unici a difendere paese e nazione, per quanto frazionata. E perciò, e anche perché i sionisti, furbi, hanno bombardato, oltre a Hezbollah, tutto il Libano, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Perfino la loro ex-quinta colonna cristiano-maronita, perfino i quartieri residenziali e gli ospedali, comprese i patrimoni archeologici e turistici che facevano la ricchezza del paese. Hanno così creato, loro, una coscienza avversa nazionale, una resistenza collettiva.

E’ vero che Israele si è riservata il diritto di rispondere a eventuali minacce Che vuol dire tornare a invadere quel pezzetto sospirato di Grande Israele che sta tra la Linea Blu e il Litani. E nel tempo in cui le provocazioni, False Flag, sono lo strumento principale per le guerre coloniali e imperiali, un Hezbollah che tiri un mortaretto oltre quella linea lo si inventa facilmente. Basta rifilare qualche shekel al contadino del Sud in difficoltà di sopravvivenza per la sua famiglia nella casa disintegrata da quelli degli shekel…

Non saranno quell’esercito di cartone variopinto libanese a impedire a Hezbollah di ritornare nel Sud. Anche perché c’è già e c’è sempre stato: è popolo. L’IDF lo sa bene e, infatti, a tregua conclusa, ha subito cominciato a sparare sugli sfollati libanesi tornati a decine di migliaia nei loro villaggi e città del Sud. Mentre dei parallelamente sfollati dal Nord della Palestina occupata, non ne è rientrato nessuno.

Anzi, il sindaco della colonia di Metula, David Azoulay e quello del Consiglio Regionale di Merom, Amit Sofer, hanno rifiutato di far rientrare gli abitanti, dicendosi non convinti della sicurezza. E Azoulay ha aggiunto: “L’accordo favorisce Hezbollah ed è una vergogna!”. Chi ha vinto, chi ha perso?

Restano da vedere due cose su cui è forse presto trarre conclusioni. Hezbollah aveva iniziato la tempesta di missili su Israele il primo giorno dopo l’attacco a Gaza, in solidarietà e sostegno alla Resistenza palestinese. Gliela farà venir meno alla luce della tregua in Libano? E i militanti iracheni delle Forze di Mobilitazione Popolare che da mesi bersagliano obiettivi in Israele? E gli yemeniti? Tutti sospenderanno le azioni dell’Asse della Resistenza per via della tregua in Libano?  E lo faranno perché è credibile ciò che si ventila: una tregua anche a Gaza?

Per ora accontentiamoci che, per quanto manovrato a favore di Israele dal presunto mediatore Hochstein, con garanzie dei colonialisti USA e francesi, l’esito vede Hezbollah, sì danneggiato dai colpi alla sua dirigenza, ma assolutamente capace di reagire e oggi saldo sulle proprie posizioni militari e politiche, con dietro un paese che gli assicura un sostegno maggiore. Per contro, lo Stato sionista attraversa una crisi interna ed esterna senza precedenti e, in Libano come nel resto del mondo, gode di un’avversione senza precedenti. Alla luce delle sue caratteristiche psicopatiche procederà verso la propria rovina. Come minimo, merita un TSO.