“Quale paese potrà conservare la sua libertà se i governanti non vengono avvisati di tanto in tanto che il popolo mantiene lo spirito della resistenza. Lasciate che prenda le armi.”
Thomas Jefferson
(da noi si dovrebbe scrivere Resistenza con la R maiuscola. E ad Echelon mando a dire che qui si tratta di armi della critica e della piazza, non l'inverso auspicato da Kossiga)
Thomas Jefferson
(da noi si dovrebbe scrivere Resistenza con la R maiuscola. E ad Echelon mando a dire che qui si tratta di armi della critica e della piazza, non l'inverso auspicato da Kossiga)
Prendete le facce degli studenti di ogni età, grado e classe (e dei loro insegnanti e genitori) e confrontatele con quelle dei bonzi della classe dirigente con in testa il guitto-mannaro, il guitto-coniglio, il guitto-muselide. Avrete l’impressione di mettere a paragone un Botticelli con un Hyeronimus Bosch. Quanto all’intelligenza di ciò che dicono gli uni e gli altri è come ascoltare una sinfonia di Beethoven e poi la scorreggia di un ippopotamo. C’è chi si affanna a leggere, da “Repubblica” al “manifesto”, negli striscioni, cartelli, slogan, dichiarazioni dei ben selezionati, assolutamente niente di politico, tantomeno di ideologico, bruttissime cose, ma solo un’attenzione ai propri problemi specifici: tagli dei finanziamenti, maestro unico, niente ricerca, cinque in condotta, futuro affogato nella nebbia. Insomma bravi ragazzi pragmatici e senza ubbie rivoluzionarie per la testa, escludendo ovviamente i “facinorosi”. Eccelle a sinistra, come sempre, “il manifesto” che, gongolante, fa tracimare la sua cronaca di battute di studenti che “non è una questione politica… nessuna ideologia… il dissenso non è dettato da posizioni ideologiche … non è questione di destra o sinistra…” Come se un qualunque ordine di idee, di singoli o di milioni come oggi, non fosse politica, non fosse ideologia.
E i sindacati confederali? Custodi, come Napolitano, dell’ordine costituito da padroni, mafiosi e piduisti, di fronte ai 5000 esuberi, ai 250mila docenti licenziati in tre anni, alla strategia del neo-protocapitalismo totalitario per una massa di ignoranti rimbecilliti appesi al superenalotto, decretati in Senato il 29 ottobre, proclamano lo sciopero generale per il giorno dopo. Così pure il guru dei Disobbedienti e municipalisti antistato, Marco Revelli, per il quale era da cinquant’anni che non si vedeva una roba del genere. Cinquant’anni? Il 1958? Ma non sguazzavamo tutti, boomizzati in “Cinquecento”, nella palude DC-PCI? Revelli, un gufatore se ce n’è uno, che solo pochi giorni prima parlava degli italiani tutti come di una razza antropologicamente rovinata, si affretta anche a esorcizzare l’analogia ’68 – ‘2008. Pensate come se lo ricorda, il ’68: “uno scenario gioioso e giocoso” che si limitava a voler “mutare la cultura ossificata dell’istituzione scolastica”. Tutto qui. Ma quale ’68 mai ha visto questo Revelli? Quello iniziato con la rivolta di Valle Giulia e ammazzato con Francesco Lo Russo a Bologna e poi con il terrorismo di Stato fatto passare per “banda armata”? Quello che, da Berkeley a Tokio, attraversando Vietnam e Palestina, inalberando un’unica bandiera rossa, producendo un pensiero marxista per il cambiamento aggiornato dello stato di cose presente, vedeva e voleva la rivoluzione socialista dietro l’angolo? Tutti ancora tremanti al ricordo del rischio corso in quel rivolgimento epocale. Tutti esorcisti, tutti becchini, capo becchino Napolitano, di ciò che temono possa diventare il più grande movimento antagonista italiano da trent’anni a questa parte. Se solo riesce a durare oltre capodanno, a congiungersi e rianimare i movimenti sul territorio, No Dal Molin, No Tav in testa, e a svegliare un po’ di classe operaia.
E la sinistra, dal “manifesto” ai partiti con la falce e martello, eccola rianimarsi dopo il coccolone e rincorrere in affanno quanto non ha saputo né prevedere, né suscitare. E l’agonizzante verme in fase di cambio di pelle, guidato dal guitto-coniglio liftato e con panciera tirata, che si attizza, che raduna un po’ di popolo sognante (in parte risvegliabile: Veltroni s’è visto incenerito da manifesti col Che) per buttarlo tra i piedi di un movimento da pervertire a propria immagine e somiglianza. Un movimento che si vorrebbe esibire nella vetrina del proprio bingo, in concorrenza con quanto apparecchiano i biscazzieri della bisca accanto: zoccole, ruffiani e squadristi.
A questo proposito ci fa ghignare il dato del “manifesto” che ci dimostra come nei 73mila metri quadrati del Circo Massimo non ci stiano più di 300mila esseri umani, perlopiù compenetrati uno nell’altro in quattro per metro quadro. E senza carrozzine, carrozzelle o cani. E noialtri, l’11 ottobre delle bandiere rosse e il 17 dei sindacati di classe, eravamo altrettanti. Per ben due volte!.
Era andata così, più o meno, e ho il privilegio di averlo vissuto, anche nel 1968. Tutti sereni e tolleranti, compreso l'allora cantore di Berlinguer e attuale catafalco Eugenio Scalfari, finchè gli studenti se la prendevano con l’aumento del costo delle mense e degli alloggi universitari. Non hanno imparato nulla. Allora alla contestazione del prezzo della sbobba di mensa gli universitari arrivavano carichi di campagne spopolate e di ceti urbani su cui il boom era scivolato dopo aver spostato quei quattro soldi dal materasso nei depositi fantastilionici dei paperoni. Giovani che negli studi, sul lavoro, in famiglia, nel pensiero, erano dovuti passare sotto le forche caudine del consorzio DC-PCI, scaturito dall’annichilimento dei propositi della Resistenza e dalla restaurazione dell’architettura statale fascista, si portavano dietro e lanciarono, oltre le mense e le “Case degli studenti”, una rivoluzione anzitutto antiautoritaria e, poi, coerentemente, anticapitalista e antimperialista. Dalla consapevolezza della dittatura del pater familias a quella della gerarchia scolastica, del padrone, del prete, dello Stato borghese. Succede questo nei movimenti, meglio quando ci sia alle spalle una tradizione-nostalgia-volontà rivoluzionaria, un’elaborazione teorica ( Gramsci, Quaderni Rossi, Lotta Continua…), un modello rivoluzionario (Cuba, Vietnam, i fedayin) e, allora, addirittura un’egemonia culturale, certo non merito degli ossificati burocrati del PCI, terrorizzati compari di repressione della destra, ma piuttosto di intellettuali dal PCI maltollerati, quando non ostracizzati (Vittorini, Pasolini, Tronti, Panzeri, la Scuola di Francoforte, quelli del “manifesto”…), a prescindere dalla valutazione che se ne può dare oggi. Da dove è partito, secondo voi, l’impulso alla classe operaia che nel periodo 1968-1977 ha registrato la massima adesione al voto di sinistra dal 1948 ad oggi? E addesso, quand’è che la mitica classe operaia farà sul welfare, su Fondi Pensione, sul trattamento di fine lavoro, sui salari, sulla nocività, sul contratto nazionale lo stesso casino di scolari, studenti, docenti, bidelli, segretari, papà e mamma sulla scuola? Vuoi vedere cosa diranno i confederali, in coro con Veltrusconi e la Confindustria, non appena il primo “facinoroso”, magari targato Cossiga, lancerà un chinotto?
La bellezza estetica e morale di questa rivolta studenti-insegnanti-genitori, sfuggita alla normalizzazione berlusconide di “Caramba”, “Isola dei famosi”, “Amici”, come alla sterilizzazione politica del veltrusconismo-veltrinottismo e alla corruzione di conoscenza-coscienza operata dallo scandalistico “Repubblica” e dal fogliaccio Usraeliano diretto da Paolo Mieli, merita il concorso di quanto di correttamente ideologico finora ha potuto agitarsi nei sottoscala del Palazzo Sinistro. Irranciditi e screditati gli inquilini dei piani alti, è il momento dell’uscita dalle catacombe di quanto in questi anni e decenni s’è mantenuto vivo e integro. Per servire questo movimento, per aiutare a creare l’inevitabile tessuto connettivo e di crescita con tutte le realtà in piedi, dalla Val di Susa ai tanti Chiaiano e a tutti coloro cui non si è ancora annebbiata la vista su questo regime di piduisti-mafiosi-fascisti-imperialisti, No-Dalmolin in testa.
E la sinistra, dal “manifesto” ai partiti con la falce e martello, eccola rianimarsi dopo il coccolone e rincorrere in affanno quanto non ha saputo né prevedere, né suscitare. E l’agonizzante verme in fase di cambio di pelle, guidato dal guitto-coniglio liftato e con panciera tirata, che si attizza, che raduna un po’ di popolo sognante (in parte risvegliabile: Veltroni s’è visto incenerito da manifesti col Che) per buttarlo tra i piedi di un movimento da pervertire a propria immagine e somiglianza. Un movimento che si vorrebbe esibire nella vetrina del proprio bingo, in concorrenza con quanto apparecchiano i biscazzieri della bisca accanto: zoccole, ruffiani e squadristi.
A questo proposito ci fa ghignare il dato del “manifesto” che ci dimostra come nei 73mila metri quadrati del Circo Massimo non ci stiano più di 300mila esseri umani, perlopiù compenetrati uno nell’altro in quattro per metro quadro. E senza carrozzine, carrozzelle o cani. E noialtri, l’11 ottobre delle bandiere rosse e il 17 dei sindacati di classe, eravamo altrettanti. Per ben due volte!.
Era andata così, più o meno, e ho il privilegio di averlo vissuto, anche nel 1968. Tutti sereni e tolleranti, compreso l'allora cantore di Berlinguer e attuale catafalco Eugenio Scalfari, finchè gli studenti se la prendevano con l’aumento del costo delle mense e degli alloggi universitari. Non hanno imparato nulla. Allora alla contestazione del prezzo della sbobba di mensa gli universitari arrivavano carichi di campagne spopolate e di ceti urbani su cui il boom era scivolato dopo aver spostato quei quattro soldi dal materasso nei depositi fantastilionici dei paperoni. Giovani che negli studi, sul lavoro, in famiglia, nel pensiero, erano dovuti passare sotto le forche caudine del consorzio DC-PCI, scaturito dall’annichilimento dei propositi della Resistenza e dalla restaurazione dell’architettura statale fascista, si portavano dietro e lanciarono, oltre le mense e le “Case degli studenti”, una rivoluzione anzitutto antiautoritaria e, poi, coerentemente, anticapitalista e antimperialista. Dalla consapevolezza della dittatura del pater familias a quella della gerarchia scolastica, del padrone, del prete, dello Stato borghese. Succede questo nei movimenti, meglio quando ci sia alle spalle una tradizione-nostalgia-volontà rivoluzionaria, un’elaborazione teorica ( Gramsci, Quaderni Rossi, Lotta Continua…), un modello rivoluzionario (Cuba, Vietnam, i fedayin) e, allora, addirittura un’egemonia culturale, certo non merito degli ossificati burocrati del PCI, terrorizzati compari di repressione della destra, ma piuttosto di intellettuali dal PCI maltollerati, quando non ostracizzati (Vittorini, Pasolini, Tronti, Panzeri, la Scuola di Francoforte, quelli del “manifesto”…), a prescindere dalla valutazione che se ne può dare oggi. Da dove è partito, secondo voi, l’impulso alla classe operaia che nel periodo 1968-1977 ha registrato la massima adesione al voto di sinistra dal 1948 ad oggi? E addesso, quand’è che la mitica classe operaia farà sul welfare, su Fondi Pensione, sul trattamento di fine lavoro, sui salari, sulla nocività, sul contratto nazionale lo stesso casino di scolari, studenti, docenti, bidelli, segretari, papà e mamma sulla scuola? Vuoi vedere cosa diranno i confederali, in coro con Veltrusconi e la Confindustria, non appena il primo “facinoroso”, magari targato Cossiga, lancerà un chinotto?
La bellezza estetica e morale di questa rivolta studenti-insegnanti-genitori, sfuggita alla normalizzazione berlusconide di “Caramba”, “Isola dei famosi”, “Amici”, come alla sterilizzazione politica del veltrusconismo-veltrinottismo e alla corruzione di conoscenza-coscienza operata dallo scandalistico “Repubblica” e dal fogliaccio Usraeliano diretto da Paolo Mieli, merita il concorso di quanto di correttamente ideologico finora ha potuto agitarsi nei sottoscala del Palazzo Sinistro. Irranciditi e screditati gli inquilini dei piani alti, è il momento dell’uscita dalle catacombe di quanto in questi anni e decenni s’è mantenuto vivo e integro. Per servire questo movimento, per aiutare a creare l’inevitabile tessuto connettivo e di crescita con tutte le realtà in piedi, dalla Val di Susa ai tanti Chiaiano e a tutti coloro cui non si è ancora annebbiata la vista su questo regime di piduisti-mafiosi-fascisti-imperialisti, No-Dalmolin in testa.
L’antimperialismo e la lotta antiguerra, ahinoi, ha trovato scarsissima rappresentanza sia nei cortei d’ottobre, sia, ovviamente, nell’adunata, magari generosa in tanti, ma contaminata dalla strategia conciliativa e inciucista, della banda veltrusconiana. Il carburante ideologico ed emotivo che fornirono all’insurrezione mondiale, di classe e dei popoli anticolonialisti, le resistenze di Vietnam e Palestina, gli Ho Ci Min, Arafat (quello d’antan), Malcolm X e le Pantere Nere, dovrebbe farci capire che senza i collegamenti internazionali a Cuba, al Venezuela e agli altri paesi latinoamericani in marcia, ai partigiani iracheni, ai resistenti afghani, palestinesi, somali, africani, si resterebbe frenati dai tossici stereotipi del “terrorismo islamico”, dei “diritti umani”, della “democrazia”. Far saltare queste aporie dell’intossicazione intellettuale e del dominio criminale dovrebbe costituire le munizioni che l’autonomia e l’antagonismo di classe offrono alla battaglia dei nuovi movimenti. A partire dal disvelamento del carcinoma dell’ 11 settembre e delle sue metastasi planetarie.
Intanto credo che questi ragazzi e popolo collegato abbiano già profondamente percepito e sofferto il degrado politico sociale e culturale di questo e del precedente governo. Matureranno certamente un’alternativa che, per necessità oggettiva scientifica, non si allontanerà di molto dalla prospettiva che nutriamo noi rivoluzionari vegliardi. Sanno benissimo che, insieme alla loro istruzione, andrà a puttane l’intero pianeta e ne trarranno salutari conclusioni. Che non saranno certo quelle che a gente già assai più avanti il Verltrusconi ha proposto: un’azione parlamentare napolitanamente “dialogante”, cioè arresa in partenza, che smorzi e poi elimini le energie scatenatesi in aule, piazze, atenei. A vedere le lezioni universitarie o liceali sulle scalinate pubbliche, mi si affacciava il ricordo delle assemblee e scuole quadri in piazza, sotto i monumenti di Buenos Aires, con cui piqueteros argentini preparavano la presa operaia delle fabbriche, l’epurazione delle forze armate fasciste, la bonifica delle università. Dialogo? Ma quale dialogo con chi, schiumando vaticini fascisti, ti massacra di botte quando stai a mani alzate e chi, dallo scranno più alto della Nazione su cui aveva imperversato, sollecita un Bava Beccaris.
Ero su quel Ponte Garibaldi a Roma quando un’iniziativa per il divorzio del Partito radicale, allargata dal movimento a ogni altra lotta, il 12 maggio 1977, aprì la strada a un delinquente-capo per coronare la sua carriera al servizio di massoneria e imperialismo con l’assassinio di Giorgiana Masi, poi seguito dal pogrom di Bologna e dall’uccisione di Francesco Lorusso. Quel delitto, si ricordi, fu anticipato da un’altra infamia: lo sfacelo di Lotta Continua, spina dorsale della rivolta ed elaboratrice di paradigmi rivoluzionari che superavano l’ambito della “classe operaia soggetto rivoluzionario”, in buona parte isterilito dal PCI, per coprire i nuovi terreni delle presenze e dei bisogni proletari. Sfacelo deciso dal suo stesso “carismatico leader”, Adriano Sofri, forse convertito, forse ricattato, forse infiltrato, che puntualmente, un anno prima, abbandonata allo smarrimento e alla disperazione e manipolazione armata una generazione che aveva mobilitato al sacrificio di ogni cosa, convolò a nuove nozze con i sovrani radical-craxisti del riflusso e della restaurazione borghese, fino a farsi sicofante delle guerre di sterminio euro-israelo-statunitensi. Sempre più sotto il segno, propedeutico del nuovo fascismo, della corruzione culturale e costituzionale.
Quel delinquente, un terrorista di Stato che tiene sul comodino i ritratti con ceri di Pinochet e Videla, ormai probabilmente preda di senili deliri sanguinari, diventato “padre della patria” si è ripetuto. Il sangue versato dalla sua vandea revanscista negli anni della strategia della tensione, Moro compreso, non basta al vecchio licantropo. E pour cause: quanti meriti accumularono i suoi “infiltrati” e sicari in quella stagione di una “lotta armata” che puzzava più di Mossad e Cia di quanto non profumasse di rivoluzione. Vale la pena, per chi avesse trascurato altre fonti, ritrascrivere quanto questo castigamatti seriale ha dedicato alla lotta di popolo in corso nelle piazze, scuole, città, valli d’Italia. “…Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto (tipo i “Falchi” cossighiani che spararono alla minorenne Giorgiana), e lasciare che per una decina di giorni manifestanti (?) devastino negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città (vista la buona prova del Black Block a Genova). Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì… questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”.
L’ingordigia di sofferenze altrui del vecchio sadico dalle irrisolte pulsioni, è irrefrenabile. Eccone uno che si presta come protagonista di quell’ idiotico serial “Perché gli uomini uccidono le donne”, con cui l’anticomunista Sansonetti e le sue ginocrate in carriera tempo fa depistarono dalla degenerazione bertinottiana e ci per mesi su “Liberazione”. Speriamo che l’avvedutezza di questa “fiamma”, riaccesa dalla brace del ’68-77, faccia divampare un incendio che saprei io a quale parte anatomica dell’infiltratore-picchiatore appiccherei. Intanto Ferrero, o qualunque magistrato, o anche cittadino, appena occhiuto, perché non denunciano questa variabile lucidamente impazzita per una catena di reati, a cominciare dall’istigazione a delinquere, dall’apologia di reato, dalla diffusione di notizie false e tendenziose, dalla violazione della Costituzione, dall’ incitazione alla violenza?
A dar retta ai “facinorosi” c’erano, l’altra sera, cinque milioni di cittadini davanti agli schermi di “Anno Zero”, delle sue citazioni cossighiane e dei suoi studenti e maestri. Una metà degli italiani condivide la protesta delle vittime della Gelmini. A noialtri, quarant’anni fa, non ha detto altrettanto bene. Ora si susseguono le fasi dell’eterno piano totalitario: minimizzare una contestazione, rivolta, guerriglia che sia; non riuscendoci, ridicolizzarla come ottusa, ingrata, strumentalizzata, eversiva. Indi affrontarla con la menzogna, le blandizie e, facendo leva sulla componente retriva, timorosa, corrotta, la “maggioranza (?) silenziosa”, dividere il movimento in “buoni” e “cattivi”. I buoni già trascorrono e spariscono all’orizzonte, inghiottiti da uno scambio di ruoli non riuscito e dalla gioiosa sodomizzazione da parte della contro(?)parte. Sono, oltre ai tanti moderati ed educati, che confluiranno in qualche scuola dei Saveriani, quella frangia d’estrema destra (ottimi infiltrati) di cui qualche naive ha esaltato l’unità con gli studenti “di sinistra”. Come se fosse ontologicamente possibile unire sgherri dei carnefici a coloro che ne sono le vittime. Ci avevano provato anche allora, ricordate i nazimaosti o simili? Dura minga. Quanto ai "cattivi", inconcepibile pensare che Kossiga possa fotterli un'altra volta. Ci dovrà pensare Franti.
Dopo quelle citate e non risultate sufficienti, partono le fasi così elegantente e democraticamente insegnate da Cossinochet. E lì bisogna saperci muovere, bisogna pensare a come, in Bolivia e non solo, una massa compatta e durevole ha occupato il paese e i palazzi del potere paralizzando il funzionamento di ogni cosa. Quattro presidenti felloni in successione si sono dovuti dare alla fuga, si è tentato di iniziare una rivoluzione. Vabbè che i minatori, servizio d’ordine del movimento, avevano i candelotti ma, tutto sommato, il divario tecnologico tra studenti, indios, intellettuali e cocaleros, da un lato, e, dall’altro, il regime, pur se a livelli inferiori, non era molto diverso da quello che abbiamo oggi tra Nocs e tutti. Allora avevamo qualche luce sull’impervio sentiero: il generale Giap, Rudi Dutschke, i protagonisti del Maggio francese (poi sodali del sofrismo), George Habash, i Tupamaros e Monteneros, Fidel, il Che. Roba forte. Oggi chi c’è? Visto che ha vinto, seppure con qualche decennio di ritardo, ancora c’è e vale per tutti il Che Guevara. Tanto che è stato sbattuto addirittura sul grugno da batrace del Pidiista sul palco, il 25 ottobre al Circo Massimo. Non è poco. E’ tra coloro che hanno dato il bacio alla bella narcotizzata nel bosco. E continuerà a baciarne quante ne trova addormentate. Quanto a noi, bizzarri giurassici, sarà già qualcosa se riusciremo ad attivare memorie negate o deturpate. Se, sulla lavagna di Maria Montessori, aiuteremo a collegare con la matita i puntini che formano il disegno.
P.S. Al “manifesto” si è intrufolato un burlone che, preso possesso di uno spazio da trafiletto in prima, abusivamente ha chiesto ai lettori un superabbonamento triennale per €… 1000 (mille).
Qualcuno ha pensato chiamiamo i sanitari. Qualcuno lì per lì ha abboccato, "è per un'informazione onesta", ma si è ricreduto quando poi ha letto sull’inserto “Fuori Luogo” tale antiproibizionista Maurizio Veglio: “Come è noto (a lui, a La Russa e a Bush) la guerriglia talebana è legata a doppio filo al narcotraffico che garantirebbe agli studenti di Allah tra i 60 e 80 milioni di dollari annui e sembra dunque che si voglia ricorrere alle maniere forti, dopo anni di indifferenza…” E vai con il napalm e con il glisofato su contadini, villaggi e piantagioni. Piantagioni sfuggite agli occupanti e ai loro fantocci (il fratello del quisling Karzai è incriminato per traffico di droga) che, assieme ai signori della guerra alleati, gestiscono dal giorno dell’occupazione un crescendo di produzione di oppio (il 90% dell’eroina nel mondo), fino all’attuale primato storico di 8000 tonnellate annue. In massima parte esportate da Karachi, porto sotto totale controllo Usa-Pakistan, o attraverso rotte compiacenti iraniane, kurdo-irachene e poi kosovare. E pensare che furono i taliban al potere a sradicare tutto l'oppio afghano! Grave mancanza: chè, la Citiybank e i suoi finanziati vogliono forse rinunciare a un gruzzoletto da un trilione e mezzo all'anno, acquisiti con la droga? In tempi di default, poi! Fa il paio, il Veglio, con gli analisti latinoamericani che su quel giornale si affannano a spostare il lurido peso dell’assassinio di massa tramite stupefacenti dal regime di Uribe e dei suoi scagnozzi paramilitari, controllati dalla Cia, alle FARC. Chiude l’articolessa una convalida del "contesto normativo per cui l’iniziativa bellica della Nato contro i talebani trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 5 del Patto Atlantico che, in caso di attacco (?) obbliga alla reciproca assistenza, anche militare, tutti i paesi dell’Alleanza". Ah, beh, se c’è il fondamento giuridico…
“Libero” non avrebbe potuto fare di meglio. Eppoi piangete miseria!
Ero su quel Ponte Garibaldi a Roma quando un’iniziativa per il divorzio del Partito radicale, allargata dal movimento a ogni altra lotta, il 12 maggio 1977, aprì la strada a un delinquente-capo per coronare la sua carriera al servizio di massoneria e imperialismo con l’assassinio di Giorgiana Masi, poi seguito dal pogrom di Bologna e dall’uccisione di Francesco Lorusso. Quel delitto, si ricordi, fu anticipato da un’altra infamia: lo sfacelo di Lotta Continua, spina dorsale della rivolta ed elaboratrice di paradigmi rivoluzionari che superavano l’ambito della “classe operaia soggetto rivoluzionario”, in buona parte isterilito dal PCI, per coprire i nuovi terreni delle presenze e dei bisogni proletari. Sfacelo deciso dal suo stesso “carismatico leader”, Adriano Sofri, forse convertito, forse ricattato, forse infiltrato, che puntualmente, un anno prima, abbandonata allo smarrimento e alla disperazione e manipolazione armata una generazione che aveva mobilitato al sacrificio di ogni cosa, convolò a nuove nozze con i sovrani radical-craxisti del riflusso e della restaurazione borghese, fino a farsi sicofante delle guerre di sterminio euro-israelo-statunitensi. Sempre più sotto il segno, propedeutico del nuovo fascismo, della corruzione culturale e costituzionale.
Quel delinquente, un terrorista di Stato che tiene sul comodino i ritratti con ceri di Pinochet e Videla, ormai probabilmente preda di senili deliri sanguinari, diventato “padre della patria” si è ripetuto. Il sangue versato dalla sua vandea revanscista negli anni della strategia della tensione, Moro compreso, non basta al vecchio licantropo. E pour cause: quanti meriti accumularono i suoi “infiltrati” e sicari in quella stagione di una “lotta armata” che puzzava più di Mossad e Cia di quanto non profumasse di rivoluzione. Vale la pena, per chi avesse trascurato altre fonti, ritrascrivere quanto questo castigamatti seriale ha dedicato alla lotta di popolo in corso nelle piazze, scuole, città, valli d’Italia. “…Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto (tipo i “Falchi” cossighiani che spararono alla minorenne Giorgiana), e lasciare che per una decina di giorni manifestanti (?) devastino negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città (vista la buona prova del Black Block a Genova). Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì… questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”.
L’ingordigia di sofferenze altrui del vecchio sadico dalle irrisolte pulsioni, è irrefrenabile. Eccone uno che si presta come protagonista di quell’ idiotico serial “Perché gli uomini uccidono le donne”, con cui l’anticomunista Sansonetti e le sue ginocrate in carriera tempo fa depistarono dalla degenerazione bertinottiana e ci per mesi su “Liberazione”. Speriamo che l’avvedutezza di questa “fiamma”, riaccesa dalla brace del ’68-77, faccia divampare un incendio che saprei io a quale parte anatomica dell’infiltratore-picchiatore appiccherei. Intanto Ferrero, o qualunque magistrato, o anche cittadino, appena occhiuto, perché non denunciano questa variabile lucidamente impazzita per una catena di reati, a cominciare dall’istigazione a delinquere, dall’apologia di reato, dalla diffusione di notizie false e tendenziose, dalla violazione della Costituzione, dall’ incitazione alla violenza?
A dar retta ai “facinorosi” c’erano, l’altra sera, cinque milioni di cittadini davanti agli schermi di “Anno Zero”, delle sue citazioni cossighiane e dei suoi studenti e maestri. Una metà degli italiani condivide la protesta delle vittime della Gelmini. A noialtri, quarant’anni fa, non ha detto altrettanto bene. Ora si susseguono le fasi dell’eterno piano totalitario: minimizzare una contestazione, rivolta, guerriglia che sia; non riuscendoci, ridicolizzarla come ottusa, ingrata, strumentalizzata, eversiva. Indi affrontarla con la menzogna, le blandizie e, facendo leva sulla componente retriva, timorosa, corrotta, la “maggioranza (?) silenziosa”, dividere il movimento in “buoni” e “cattivi”. I buoni già trascorrono e spariscono all’orizzonte, inghiottiti da uno scambio di ruoli non riuscito e dalla gioiosa sodomizzazione da parte della contro(?)parte. Sono, oltre ai tanti moderati ed educati, che confluiranno in qualche scuola dei Saveriani, quella frangia d’estrema destra (ottimi infiltrati) di cui qualche naive ha esaltato l’unità con gli studenti “di sinistra”. Come se fosse ontologicamente possibile unire sgherri dei carnefici a coloro che ne sono le vittime. Ci avevano provato anche allora, ricordate i nazimaosti o simili? Dura minga. Quanto ai "cattivi", inconcepibile pensare che Kossiga possa fotterli un'altra volta. Ci dovrà pensare Franti.
Dopo quelle citate e non risultate sufficienti, partono le fasi così elegantente e democraticamente insegnate da Cossinochet. E lì bisogna saperci muovere, bisogna pensare a come, in Bolivia e non solo, una massa compatta e durevole ha occupato il paese e i palazzi del potere paralizzando il funzionamento di ogni cosa. Quattro presidenti felloni in successione si sono dovuti dare alla fuga, si è tentato di iniziare una rivoluzione. Vabbè che i minatori, servizio d’ordine del movimento, avevano i candelotti ma, tutto sommato, il divario tecnologico tra studenti, indios, intellettuali e cocaleros, da un lato, e, dall’altro, il regime, pur se a livelli inferiori, non era molto diverso da quello che abbiamo oggi tra Nocs e tutti. Allora avevamo qualche luce sull’impervio sentiero: il generale Giap, Rudi Dutschke, i protagonisti del Maggio francese (poi sodali del sofrismo), George Habash, i Tupamaros e Monteneros, Fidel, il Che. Roba forte. Oggi chi c’è? Visto che ha vinto, seppure con qualche decennio di ritardo, ancora c’è e vale per tutti il Che Guevara. Tanto che è stato sbattuto addirittura sul grugno da batrace del Pidiista sul palco, il 25 ottobre al Circo Massimo. Non è poco. E’ tra coloro che hanno dato il bacio alla bella narcotizzata nel bosco. E continuerà a baciarne quante ne trova addormentate. Quanto a noi, bizzarri giurassici, sarà già qualcosa se riusciremo ad attivare memorie negate o deturpate. Se, sulla lavagna di Maria Montessori, aiuteremo a collegare con la matita i puntini che formano il disegno.
P.S. Al “manifesto” si è intrufolato un burlone che, preso possesso di uno spazio da trafiletto in prima, abusivamente ha chiesto ai lettori un superabbonamento triennale per €… 1000 (mille).
Qualcuno ha pensato chiamiamo i sanitari. Qualcuno lì per lì ha abboccato, "è per un'informazione onesta", ma si è ricreduto quando poi ha letto sull’inserto “Fuori Luogo” tale antiproibizionista Maurizio Veglio: “Come è noto (a lui, a La Russa e a Bush) la guerriglia talebana è legata a doppio filo al narcotraffico che garantirebbe agli studenti di Allah tra i 60 e 80 milioni di dollari annui e sembra dunque che si voglia ricorrere alle maniere forti, dopo anni di indifferenza…” E vai con il napalm e con il glisofato su contadini, villaggi e piantagioni. Piantagioni sfuggite agli occupanti e ai loro fantocci (il fratello del quisling Karzai è incriminato per traffico di droga) che, assieme ai signori della guerra alleati, gestiscono dal giorno dell’occupazione un crescendo di produzione di oppio (il 90% dell’eroina nel mondo), fino all’attuale primato storico di 8000 tonnellate annue. In massima parte esportate da Karachi, porto sotto totale controllo Usa-Pakistan, o attraverso rotte compiacenti iraniane, kurdo-irachene e poi kosovare. E pensare che furono i taliban al potere a sradicare tutto l'oppio afghano! Grave mancanza: chè, la Citiybank e i suoi finanziati vogliono forse rinunciare a un gruzzoletto da un trilione e mezzo all'anno, acquisiti con la droga? In tempi di default, poi! Fa il paio, il Veglio, con gli analisti latinoamericani che su quel giornale si affannano a spostare il lurido peso dell’assassinio di massa tramite stupefacenti dal regime di Uribe e dei suoi scagnozzi paramilitari, controllati dalla Cia, alle FARC. Chiude l’articolessa una convalida del "contesto normativo per cui l’iniziativa bellica della Nato contro i talebani trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 5 del Patto Atlantico che, in caso di attacco (?) obbliga alla reciproca assistenza, anche militare, tutti i paesi dell’Alleanza". Ah, beh, se c’è il fondamento giuridico…
“Libero” non avrebbe potuto fare di meglio. Eppoi piangete miseria!