Mentra
Zanotelli e Save the Children avvelenano i pozzi
Paolo
Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
Di
quest’ultima bastano gli spot di vera pornografia della carità dai quali
vengono mitragliati ricatti allo spettatore tramite raccapriccianti esibizioni
di bambini africani ammalati, agonizzanti, imploranti, per estrargli l’obolo del
senso di colpa.
STC
è quella ONG dei veleni guerrafondai che si fece onore NATO quando, a
promozione del massacro della Libia, affermò che Gheddafi distribuiva Viagra ai
suoi soldati perché stuprassero con maggiore vigore le donne e i bambini del
proprio popolo. Evidentemente c’è da fidarsene, come quando ti aggredisce con
bimbetti morenti.
Il
comboniano Zanotelli ha recentemente indirizzato l’ennesima lettera-appello
spaccacuore “alla stampa italiana” perché questa rompa un silenzio complice e si
schieri finalmente accanto a chi si preoccupa di salvare l’Africa dai suoi
feroci.dittatori, dalle sanguinose e insensate guerre civili, insomma dall’
endemica condizione di regressione alla barbarie del continente. Sembra di
leggere Rudyard Kipling quando, a proposito delle colonie, lamentava “il
fardello civilizzatore dell’uomo bianco”.-
Invano
aspettarsi da questo missionario, al di là di invettive e lamentazioni,
indicazioni su chi fomenta cosiddette guerre civili (esempio: in Somalia, lotta
di liberazione di un popolo contro fantocci USA sostenuti da bombardamenti
USA), o perché un governante debba essere definito “spietato dittatore”
(esempio: il governo eritreo che si rifiuta di condannare “l’invasione” russa
dell’Ucraina e di votare per le sanzioni a Mosca).
Chi
di questi tempi si vede sottrarre controllo, dominio, predazione, sterminio, di
africani e delle loro risorse, trova consolazione nei depistaggi del frate e
delle ONG su un’Africa che si farà a pezzi da sola, ora che i civilizzatori
sono costretti alla fuga da folle inferocite, o vengono emarginati da chi
all’Africa si propone come partner rispettoso e mutualmente benefico.
Disintegrata
l’Africa, nella seconda metà del secolo scorso, dal Congresso di Berlino del
1984-85, in cui gli europei si erano spartiti la torta africana (tutte le
materie prime necessarie alla costruzione del capitalismo e relative guerre), nella
seconda metà del ‘900 i popoli africani hanno conseguito liberazione e
indipendenza da poteri costruiti sul genocidio. E fu l’epopea della
decolonizzazione conseguita con la lotta armata e indicibili sacrifici, lutti,
sofferenze, Ricordiamoci la martirizzata Algeria.
Vennero
il neocolonialismo, il revanscismo, il recupero delle ricchezze perse.
Primavere arabe, AFRICOM, il comando Sud di USA e NATO, l’emigrazione indotta,
quando non forzata, la presa multinazionale di controllo delle risorse tramite
regimi corrotti e il pretesto di una lotta al jihadismo, fomentato, armato,
addestrato da chi pretendeva di combatterla. E si ristabilì la manomorta
francese sul Sahel: oro e uranio a garanzia della grandeur militare,
geopolitica ed energetica.
Oggi
gli africani stanno felicemente assistendo al secondo tempo di una partita in
cui si trovano costantemente in area di rigore avversaria. Dopo la
decolonizzazione, la de-neocolonizzazione. Esempio clamoroso, il Sahel, la
fascia di paesi subsahariani nella quale un paese dopo l’altro si libera
dall’occupante, a forza di sollevazione delle masse, interpretata dalle forze
armate nazionali e la cacciata dei fantocci allevati da Parigi. Nel resto del
Continente, poi, la liberazione cammina sui nuovi rapporti militari ed
economici con Russai e Cina, sostitutivi di quelli della rapina e predazione.
Prima la Repubblica Centrafricana, poi il Mali, poi il Burkina Faso, ora il
pezzo forte della presa militare francese
(con partecipazione di circa 500 militari italiani in “missione di pace”), il
Niger.
Sono
paesi, soprattutto Niger e Mali, che oltra a garantire a Parigi cruciali
posizioni strategiche e risorse energetiche e minerarie fondamentali, svolgono
un ruolo cruciale nel controllo, o piuttosto, nella promozione dei flussi
migratori dall’Africa subsahariana. Sono i canali lungo i quali le forze
promotrici dello sradicamento di giovani generazioni produttrici e
riproduttrici e dello svuotamento di territori da depredare (ONG e altre),
offrono alle classi dirigente del Sud Europa manodopera che deprima i salari
degli autoctoni e contribuisca al meticciato indistinto universale, caro al
Grande Reset.
Veniamo
alle ultime. Nel Sahel sventolano bandiere tricolori russe su slogan
antifrancesi di masse impegnate e promuovere cambi di governo tramite le forze
militari nazionali. In tutta l’Africa, la Cina, con gli investimenti nelle
infrastrutture (ma anche in progetti culturali, umanitari, sanitari) e la
Russia, con l’intervento in agricoltura e industria alimentare, tecnologie,
cereali, fertilizzanti, miniere, entrambe con una politica dei prestiti che
prescinde dalle condizioni capestro degli organismi sovranazionali, si vanno
sostituendo a una presenza euro-atlantica percepita sempre più chiaramente come
predatoria.
Ne
sono indicatori il dimezzamento degli scambi USA col continente negli ultimi 15
anni (da 120 a 60 miliardi di dollari), mentre già nel 2021 la Cina aveva
raddoppiato il fatturato commerciale (254 miliardi di dollari, il doppio
rispetto a un decennio prima). Ma non è che un’egemonia di controllo si
sostituisca all’altra. Scambi e rapporti con le due grandi potenze dell’Eurasia
sono tali, dopo secoli di sbilanciamenti a totale favore dei colonizzatori
occidentali e a totale detrimento della popolazione africane, da garantire
anche sovranità e autodeterminazione.
,
L’
ECOWAS, organizzazione degli Stati dell’Africa Occidentale e l’Unione Africana,
entrambe allineate ai vecchi dispositivi neocoloniali, hanno intimato alla
giunta che ha defenestrato l’amico di Macron, Mohamed Bazoum, un ultimatum di
rispettivamente sette e 15 giorni, pena un ventilato intervento militare,
ribadito poi anche da Macron (che dovrebbe ricordarsi della Quinta Colonna
maghrebina che ha in casa).
L’Algeria,
sovrana e autodeterminata come sempre, dai tempi del rifiuto di partecipare
alle aggressioni a Iraq, Libia e Siria, alla recente vittoria su una prolungata
rivoluzione colorata, ha offerto il proprio sostegno al generale Abdelrahman
Tchiani, nuovo capo del governo. Un intervento militare diretto dei francesi, o
per interposti residui sujbalterni africani, magari con concorso di AFRICOM,
incendierebbe non solo il Sahel.
A
dispetto del tentativo dei media di servizio di sminuire la portata del vertice
Afro-russo a S. Pietroburgo, 50 Stati africani su 54 hanno confermato e
potenziato la propria collaborazione con Mosca. 43 hanno concluso accordi con
Rosoboronexport, l’ente russo per l’export militare. Ricavandone protezione
militare (Wagner), là dove richiesta, forniture gratuite di cereali e,
soprattutto, una remissione di debiti che dall’FMI gli africani si possono
sognare.
Il
futuro del continente sembra segnato. E in questo futuro, le quote di sabbia
concesse da Biden alla Melonsky in Nordafrica, nella recente occasione del
bacio della pantofola a stelle e strisce, a sostituzione di quelle di seta
cinese le sono state tagliate, non modificano in nulla il ruolo di servo
sciocco attribuito storicamente all’Italia dal nostro maggiore alleato. Sempre
agli “scatoloni di sabbia” restiamo.