I
nostri in Occidente sono, da secoli, governanti ad alto tasso malavitoso, in
quanto alle dipendenze di poteri criminali organizzati, economici, militari,
religiosi, di intelligence, sia formalmente “legali”, sia massonico-mafiosi. Il
quadro politico, economico e sociale che si vorrebbe produrre dall’attuale
congiuntura, corrisponde a un disegno che annovera precedenti in tutte le fasi
storiche in cui i popoli si sono fatti sottomettere e hanno condiviso la
visione delle élite.
Verso
il tecnofeudalesimo e il bioassolutismo
Alla
fine di questa gigantesca operazione di riordinamento dell’Occidente in chiave
di tecnofeudalesimo e bioassolutismo, ci saranno inevitabilmente conseguenze
economiche rispetto alle quali altre crisi epocali, come quella del dopoguerra
1918 e del ’29, parranno, appunto, una lieve influenza. Da bischero toscano o,
se volete, da nescio genovese, di economia so solo, per grandi linee, ciò di
cui i veri saputi mi hanno beneficiato. E non è difficile condividere con loro,
già solo su basi storiche e logiche (il famoso cui prodest), la visione
di una società in cui le conseguenze, non del virus, ma dei provvedimenti
presi, più o meno stoltamente e strumentalmente, da decisori (ir)responsabili,
assomiglierà sul piano sociale a quella del tanto paventato day after
nucleare.
In un
futuro prossimo, per quanto reso nebbioso dalla totale mancanza di trasparenza
dei provvedimenti e propositi dei vari regimi, già si possono intravvedere
esiti catastrofici per vaste categorie di esseri umani. Nell’immediato abbiamo,
nel popolo imprigionato e privato di tutti i diritti sanciti dalla sua
costituzione, addirittura per decreti, senza intervento del parlamento, persone
che non possono ricorrere a emergenze sanitarie. Negati i trattamenti
ambulatoriali per patologie croniche, esami clinici, coronarografie, urgenze
dentistiche, cure fisioterapiche, psichiatriche, neoplastiche, podologiche,
cardiocircolatorie, dermatologiche, di riabilitazione, di terapia del dolore,
otorinolaringoiatriche e tutto il resto che non sia Pronto Soccorso o, appunto,
un vero o presunto virus influenzale, stavolta con in testa il cappello del
coronavirus. E scendendo nel più banale e ricorrente quotidiano domestico: se
si rompe una tubatura del bagno e la casa vi si allaga, rovinandola, se la
tramontana vi porta via un pezzo di tetto e vi piove in casa, dove sono
l’idraulico e il muratore che vi soccorrono, rischiando fino a 5 anni di
prigione e 5000 euro di ammenda?
Monetizzare
il sociocidio
Possiamo
immaginare cose ne consegue, dopo settimane, forse mesi, di blocco in casa in
un paese che già lamenta i più lunghi tempi d’attesa d’Europa, addirittura per
trattamenti salvavita, grazie alla riduzione alla lisca di pesce del servizio
sanitario pubblico. Una devastazione a favore di indecenti regalie al privato
da parte di quella stessa classe dirigente politico-economica, che ora pretende
di risanarci dalla cosiddetta pandemia con provvedimenti che farebbero
arrossire Mussolini. Una devastazione che cadrà sulle spalle dei soliti noti,
cioè di una popolazione di sudditi le cui problematiche sanitarie psicofisiche
saranno state ingigantite dal prolungamento della reclusione senza aria, senza
sole, senza movimento e socialità. Tutto questo si assommerà al sociocidio di
categorie di piccole e medie imprese della produzione e del commercio, con il
loro seguito di partite Iva, precari, part time, disoccupati, semioccupati,
artigiani. Un’ecatombe alla quale si provvede in questi giorni di lockout,
monetizzando la reclusione e i danni conseguenti con lo spargimento scriteriato
e propagandistico di elemosine una tantum.
Chi
perde e chi vince
Un
recupero, se mai possibile, di una sopravvivenza collettiva, dopo il blocco e
il conseguente smantellamento di tante realtà produttrici e distributrici,
vedrà di certo una nuova, cioè antica, gerarchia di classe, con una spaventosa
concentrazione della ricchezza in alto e un ancora più spaventoso allargamento
della povertà assoluta e di quella al limite della sopravvivenza. Oggi sui 17
milioni, domani chissà. Chi ci avrà guadagnato in termini economici e politici
sono sempre gli stessi: quelli che gestiscono il denaro e sanno speculare e
volgere le crisi in guerre; coloro che, occupandosi della salute, cioè della
vita, si sono eretti, vieppiù, a domini del destino terreno degli umani; e
quelli che, offrendo, con provata esperienza, la risposta metafisica alle
sofferenze e speranze terrene e ultraterrene dei credenti.
Quando
ciai le madonne
Al
quale proposito notiamo, con raccapriccio, l’esultante nota di “Vaticano. Com”
che ci informa come nel cielo, improvvisamente radioso e dal quale fino a un
attimo prima scrosciava la pioggia su un papa in bianco e nella piazza, sia
apparsa…. la Madonna, vista, fotografata e filmata dai fedeli. Il miracoloso
evento sarebbe coinciso con le parole del pontefice: “Perché temete? Non
avete fede?” E, zac, ecco la Madonna a suggerire la risposta dall’alto dei
cieli. E noi che ci saremmo accontentati di una madonnina di gesso che piangesse
lacrime di sangue a sconfitta del virus! A questo punto, anche Bergoglio si è
garantito la santificazione. Grande questo virus!
Di
rivoluzione in rivoluzione. Sempre le loro
Lasciamo
le facezie, per quanto terrificantemente regressive. Come, al volgere dal XVII
al XVIII secolo passammo dai campi, artigianato e meccanica alle fabbriche, al
vapore e all’elettricità, parrebbe che ora si stia transitando da quella
rivoluzione industriale, la prima delle
macchine e la seconda tecnologica, se si vuole, alla “civiltà” delle distanze
globalizzate via elettronica e telematica. Quanto a chi ne eserciterà il
controllo e a vantaggio di chi, al momento non sono alle viste né un ’89, né un
’17, ma solo imperi e sovrani. E manager e banche. Comunque, non si sa mai. La
Storia fa scherzi imprevisti.
Occasione
creata o sfruttata?
Precisiamo
subito che qui non si parlerà di quanto è fondatamente il tema di altre
argomentazioni: l’analisi di un complotto dei pochi ai danni dei tanti, che poi
- dateci mille volte dei complottisti - Storia e cronaca dimostrano essere il
metodo, dai tempi dei tempi, abituale e irrinunciabile, per esercitare potere e
accumulare ricchezze da parte di una minoranza di parassiti. E non ci è voluto
Marx a dimostrarcelo, anche se lo ha fatto meglio di altri.
La
stessa espansione del Coronavirus negli Stati Uniti che, nel momento in cui
scrivo, stanno superando l’Italia come epicentro dell’infezione, potrebbe
mettere in dubbio alcune ipotesi avanzate da investigatori con, peraltro, una
buona esperienza di smascheramento. Ma non ci interessa qui, anche se tre e più
indizi farebbero una gran bella prova, di dimostrare che il Coronavirus del
2020 è stato tirato fuori da un laboratorio della ricerca per le guerre
biologiche e sparato contro paesi sgraditi e poi, magari, sfuggito al controllo
e rientrato a casa. Oltre agli indizi, ci sarebbero i precedenti: gli
esperimenti chimico-farmaceutico-psichici sulla propria gente fatti dalla CIA
del famigerato Allen Dulles nei metrò e per le strade delle grandi città
statunitensi, i farmaci sterilizzanti distribuiti alle donne ignare del Sud del
mondo, l’uranio sparso a pieni bombardieri su interi paesi, dall’Iraq alla
Serbia, il fosforo fatto scrociare sugli inermi abitanti di Fallujah e di Gaza,
la diossina dell’Agente Orange (Monsanto, quelli del veleno agricolo universale
Roundup) che in Vietnam ha contribuito ai tre milioni di civili uccisi.
La
conquista dell’Heartland
Lascio
ad altri di approfondire. Il complotto che conta, la cospirazione vera, provata
e impudicamente esibita e rivendicata, è l’uso che si è fatto dell’occasione. Su
quello attinente ai rapporti di forza tra gruppi di élite e masse indebolite
fisicamente e psicologicamente da un ambiente avvelenato, o distrutto con una
manipolazione sistematica delle menti e dei sentimenti, ci dilunghiamo nei
capitoli di questo volume. Qui interessa l’altro corno, non del dilemma, ma
della strategia a cui ha dato adito questa pandemia, spontanea, casuale,
accidentale, o provocata. Il modo in cui si è pensato di trarne beneficio in
una fase di stallo del confronto tra chi si propone, per la conquista del
mondo, lo smantellamento e la sottomissione del blocco continentale
eurasiatico, l’Heartland, il “cuore del mondo”, a cui ambivano le mene
diplomatico-belliche di Zbigniew Brzezinski,
e quel blocco che gli resiste.
Il tentativo di Washington di contenere, con dazi,
provocazioni ai vicini coreani, accanimento propagandistico, l’ormai evidente
superamento della sua egemonia economica mondiale da parte del colosso
demografico, tecnologico e manufatturiero cinese, si è ritorto contro gli
stessi Stati Uniti e non è stato seguito con entusiasmo, né dalle industrie
statunitensi dislocate in Cina, nè dai satelliti europei. L’Organizzazione per
la Cooperazione di Shanghai, le banche per lo sviluppo eurasiatico, la stessa
Via della Seta, “Road and Belt”, gli accordi di Difesa comune sono tutte
work in progress che rinsaldano l’unità strategica di Cina e Russia e coinvolgono
la maggior parte dei paesi dell’area e perfino dell’Africa. E a esso gli Usa
non sono in grado di opporre, sul piano globale, niente di simile, non in
America Latina, dove sono costretti a squalificanti colpi di Stato per
ricuperare una presenza che sarà sicuramente transitoria, dati i risentimenti
che le depredazioni neoliberiste e i suoi caudilli suscitano nelle masse del
subcontinente. Tanto più che alle opinioni pubbliche di quei paesi si vanno
evidenziano sempre più i vantaggi della collaborazione finanziario-industriale
con Russia e Cina in vertiginosa crescita.
Ma neppure in Europa, dove la creatura amerikana dell’UE,
già in indebolimento per la Brexit, nel corso del Covid-19 è stata minata alla
base da inefficienza e perdita di credibilità, proprio per la sua dimostrazione
di impotenza, accoppiata a tracotanza autoreferenziale, dei suoi organi e della
sua padrona tedesca rappresentata a Bruxelles da Ursula von der Leyen.
La guerra come ultimo rimedio
Nell’altro continente, l’Africa, che per buona parte le è
conteso dalla Francia neocolonialista, gli Usa si avvalgono dello strumento
militare AFRICOM: presidi, basi, forze speciali, contingenti per
l’addestramento degli eserciti locali e, come in Medioriente, terrorismo
jihadista importato per giustificare interventi a difesa delle proprie
multinazionali. A fronte di queste forme tradizionali di colonialismo, ben
conosciute da quei popoli, che se ne liberarono neanche molti decenni fa, ci
sono gli investimenti e le opere infrastrutturali, del tutto prive di elementi
militari, con cui cinesi e russi intervengono in tutto il continente. Quale
approccio nel lungo termine possa avere il maggiore consenso da parte delle
popolazioni, a dispetto di governi venduti e classi dirigenti corrotte, non è
difficile immaginarlo.
Tutto questo i vertici degli Usa lo sanno e ne
rabbrividiscono. Si direbbe che sul piano globale, a dispetto delle 900 e passa
basi militari americane che costellano il globo e assediano Russia e Cina, le
cose volgano a vantaggio strategico, geopolitico e geoeconomico, del blocco
eurasiatico. Per dirla nei termini del passato, l’equilibrio pare spostarsi
dalla potenza marittima dell’Occidente atlantico, Oceania, come Orwell chiama
la realtà anglosassone, a quella del massimo blocco terrestre, geografico e
demografico, l’Eurasia, dove risorse, mercati e tecnologia risultano impegnate
nella creazione di una vasta area mondiale di pace, scambi e sviluppo.
Eurasiatici o euroamericani?
L’attrazione che questo centro di gravità economico, ma
anche culturale, esercita nei confronti dell’Europa è irreversibile, se non
nell’immediato, nel medio e lungo periodo, e dunque, percepita da Washington
come l’eventualità da evitare costi quel che costi. E tale è riconosciuta, se
non dai governanti UE, che devono il proprio ruolo alla Nato e alla
subalternità agli Usa, sicuramente dai protagonisti dell’economia finanziaria,
produttrice e investitrice europea, con inevitabili ricadute sulle opinioni
pubbliche, come s’è visto, per esempio, in Italia con l’avversione di
esportatori, settori politici come M5S e Lega e anche della maggioranza delle
persone, alle sanzioni contro la Russia.
Rimarrebbero, in un simile quadro, gli sforzi
propagandistici di un sistema mediatico consunto e in crollo di credibilità,
ancorato a editori e giornalisti che devono il proprio mandato alle cupole
massonico-mafiose come si esprimono con Bilderberg, la Trilateral, il Forum
Economico Mondiale di Davos. Ogni cambio di paradigma geopolitico, come quello
che sembra prospettarsi, li vedrà sempre più ringhiosi e virulenti diffamatori
di ogni cosa russa o cinese.
Negli Stati Uniti, al di là degli ondeggiamenti del
presidente Trump, sempre condizionato da varie angolazioni del Potere, chi
manovra la politica estera, nell’un campo politico come nell’altro, con forte
prevalenza Democratica, è il partito della guerra, identificato con i neocon di
matrice bushiana e cheneyana, oggi operanti nell’ambito di quello che viene
chiamato il “governo parallelo” o “Deep State”Ne sono protagonisti il Pentagono
e relativa industria, le grandi industrie del petrolio e della chimica-farmaceutica,
Wall Street, l’Intelligence.
Tempo di guerra?
Le pesti, le recessioni, le tensioni sociali, che fisiologicamente
si succedono a cascata, portano frequentemente gruppi di potere che sappiano
approfittarsene, al diversivo della guerra. Quella che negli ambienti di quei
poteri si vaticina e persegue dai tempi del dopoguerra, della guerra fredda e,
con particolare vigore, oggi, con la nascita della nuova guerra fredda. L’uso
propagandistico che si è fatto del più o meno normale virus influenzale da
tutto lo schieramento intorno alla superpotenza Usa, nominandolo ossessivamente
“cinese”; l’inarrestabile, neanche con un’epidemia, sviluppo cinese, a fronte
degli Stati Uniti in pieno collasso infrastrutturale e devastati da una povertà
che infetta settori sempre più vasti della società; la consapevolezza della
crescente forza militare e geopolitica della Russia, vincitrice netta nello
scacchiere arabo, stabiliscono i parametri di un’egemonia in corso di rapido
cambiamento. E richiedono, come unica soluzione, una guerra in tempi
ravvicinati.
Europa, non un continente, un’appendice
Quanto alle nazioni europee, finora soggetti paralizzati
nella loro libertà di manovra da un’obbedienza cieca e assoluta agli Usa dei
loro circoli dirigenti, sarebbe anche ora che finisca questo rapporto
innaturale, militare, economico e culturale. Rapporto di subordinazione imposto
con la seconda guerra mondiale militare, ma spesso messo in discussione dalle
masse. Un artificio, quello atlantico, grazie alla quale gli Usa si
assicurarono il controllo e il dominio su un’Europa distante 8000 chilometri di
oceano, a detrimento di una connessione con il mondo asiatico, a tutti i
livelli e con tutti i benefici di scambi sinergici e della comunicazione via
terra. Fin dai tempi di Alessandro Magno e poi di Roma e di Venezia.
Noi, che ci troviamo nella posizione di una nazione a cui, con
provvedimenti restrittivi anticostituzionali, e dunque illegali, è stato negato
il diritto di essere tale in libertà e autodeterminazione, abbiamo poca voce in
capitolo. Possiamo solo augurarci che chj s’è giocato la carta del virus perda
tutta la posta.