La misura della menzogna è il fattore decisivo per farla credere, poichè le grandi masse di una nazione sono, nel profondo del cuore, più facilmente ingannate, piuttosto che consapevolmente e intenzionalmente cattive. La primitiva semplicità delle loro menti le rende facile preda di una bugia grande, anzichè di una piccola, anche perchè esse stesse spesso raccontano piccole bugie, ma si vergognerebbero di raccontare grandi bugie.
(Adolf Hitler, Mein Kampf)
Basta ripetere molte volte una menzogna per farla diventare una verità.
(Joseph Goebbels, ministro del Reich)
Cari amici, alle tante obiezioni, dubbi, contestazioni anche feroci, e alle richieste di ulteriori chiarimenti nei commenti al mio post in cui si negava la versione ufficiale del massacro di Katyn, attribuito ai russi (con l'avallo del pizzaiolo Gorbaciov, nientemeno, distruttore e venditore del popolo russo, più che del socialismo detto reale, quindi assai credibile!), anzichè ai tedeschi, rispondo con questo documento.
Si pensi anche a tutti quelli che sono caduti nella trappola foibe e ci si ricordi delle abitudini dei nazisti come esplicitate, per esempio, alle Fosse Ardeatine.
Aggiungo che qualcuno si è lamentato di una mia censura del suo commento. Ripeto che nei commenti va di tutto, salvo ingiurie, provocazioni e infiltrati.
IL MASSACRO DI KATYN
di Ella Rule, Londra
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, il
confine tra Russia e Polonia fu stabilito
lungo una linea che diventò nota come linea Curzon,
dal nome di Lord Curzon, lo statista britannico che
l’aveva proposta.
Questa linea di demarcazione non fu gradita ai
polacchi che subito entrarono in guerra con l’Unione
Sovietica al fine di spingere i confini più ad est.
L’Unione Sovietica contrattaccò e fu pronta non solo
a difendersi ma, contro il parere di Stalin, a liberare
l’intera Polonia. Stalin riteneva che un tale obiettivo
fosse destinato al fallimento perché, disse, il
nazionalismo polacco non aveva ancora compiuto il
suo corso: i polacchi erano decisi a NON farsi
liberare, e quindi non era il caso di tentare. I polacchi
opposero una feroce resistenza all’avanzata sovietica.
Alla fine l’Unione Sovietica fu costretta a ritirarsi e
perfino a cedere alla Polonia alcuni territori ad est
della linea Curzon: le aree in questione erano la
Bielorussia occidentale e l’Ucraina occidentale – aree
popolate in prevalenza rispettivamente da bielorussi e
da ucraini più che da polacchi. L’intera vicenda non
poté non esacerbare la reciproca avversione dei
polacchi e dei russi.
Il 1° settembre 1939 la Germania nazista invase
la Polonia. Il 17 settembre l’Unione Sovietica si
mosse per rioccupare quelle parti della Polonia che
erano situate a est della linea Curzon. Preso il
controllo di quelle aree, l’Unione Sovietica si accinse
a distribuire la terra ai contadini e ad attuare quelle
riforme democratiche che erano così popolari tra la
popolazione e così impopolari tra gli sfruttatori.
Durante la battaglia per riprendere le aree ad est della
linea Curzon, l’Unione sovietica catturò circa 10.000
ufficiali polacchi, che divennero prigionieri di guerra.
Questi prigionieri furono allora tenuti in alcuni campi
situati nelle aree contestate, e messi al lavoro nella
costruzione di strade e attività simili.
Due anni dopo, il 22 giugno del 1941, la Germania
nazista attaccò di sorpresa l’Unione Sovietica.
L’Armata Rossa fu costretta a ritirarsi in fretta e
l’Ucraina fu occupata dai tedeschi. Durante questa
frettolosa ritirata non fu possibile evacuare
nell’interno dell’Unione Sovietica i prigionieri di
guerra polacchi. Il comandante del campo n°1,
maggiore Vetoshnikov, fornì le prove che si era rivolto
al capo del traffico della sezione di Smolensk delle
Ferrovie Occidentali affinché gli fossero fornite delle
vetture ferroviarie per l’evacuazione dei prigionieri
polacchi, ma gli fu detto che questa possibilità era
molto improbabile. L’ ingegnere Ivanov, che all’epoca
era stato a capo del traffico nella regione, confermò
che non c’erano state vetture ferroviarie disponibili.
“Inoltre”, disse, “non potevamo mandare delle vetture
alla linea Gussino, dove si trovava la maggioranza
dei prigionieri polacchi, perché quella linea era già
sotto il fuoco”. Il risultato fu che, in conseguenza del
ritiro sovietico dalla zona, i prigionieri polacchi
divennero prigionieri dei tedeschi.
Nell’aprile del 1943 gli hitleriani annunciarono
che i tedeschi avevano trovato diverse fosse comuni
nella foresta di Katin vicino a Smolensk, contenenti i
corpi di migliaia di ufficiali polacchi uccisi, al dire dei
tedeschi, dai russi.
Questo annuncio mirava a indebolire ancor più
gli sforzi di collaborazione dei polacchi e dei sovietici
per sconfiggere i tedeschi. L’alleanza russo-polacca fu
sempre difficile, perché il governo polacco in esilio,
stabilitosi a Londra, era ovviamente un governo delle
classi sfruttatrici, che doveva opporsi ai tedeschi
perché questi - nella ricerca di quel che chiamavano il
lebensraum (lo «spazio vitale») - si erano impadroniti
cinicamente della Polonia. L’Unione Sovietica
sosteneva che, fin quando essa poteva mantenere il
territorio a est della linea Curzon, non aveva alcun
problema per la ricostituzione di un governo borghese
in Polonia. Ma l’alleanza era già in difficoltà perché il
governo polacco in esilio, guidato dal generale
Sikorski, con sede a Londra, non acconsentiva alla
restituzione di quel territorio, nonostante il fatto che
nel 1941, dopo che Hitler aveva invaso la Polonia,
l’Unione Sovietica e il governo polacco in esilio
avessero non solo stabilito relazioni diplomatiche, ma
avessero anche stabilito di comune accordo che
l’Unione Sovietica avrebbe finanziato la formazione
di un esercito polacco “sotto gli ordini di un
comandante nominato dal governo polacco in esilio,
ma approvato dal governo sovietico: questo
comandante fu, per l’occasione, un generale
nettamente antisovietico, il generale Anders
(prigioniero dei sovietici dal 1939). Alla data del 25
ottobre 1941 questo esercito aveva 41.000 uomini,
IL MASSACRO DI KATIN
di Ella Rule
Questa circostanziata ricostruzione dei tragici eccidi della foresta di Katyn è stata pubblicata a Londra
nel 2002 dalla «Stalin Society», associazione nata nel 1991 per difendere Stalin e la sua opera e respingere
la propaganda anticomunista di borghesi, revisionisti, opportunisti e trotzkisti. La traduzione dall’inglese
è della nostra redazione.
compresi 2630 ufficiali. Ma, alla fine, il generale
Anders rifiutò di combattere sul fronte sovieticotedesco
a causa della disputa di confine tra l’Unione
Sovietica e la Polonia, e l’esercito polacco dovette
essere inviato a combattere altrove - cioè in Iran.
Tuttavia, nonostante l’ostilità del governo
polacco in esilio, c’era una parte significativa settore
di polacchi residenti nell’Unione Sovietica che non
erano antisovietici e accettavano la rivendicazione dei
territori a est della linea Curzon da parte dell’Unione
Sovietica. Molti di loro erano ebrei e fondarono
l’Unione dei Patrioti Polacchi che costituì la spina
dorsale di un governo polacco alternativo in esilio.
La propaganda nazista a proposito dei massacri
di Katyn tendeva a rendere del tutto impossibili i
rapporti fra i sovietici e i polacchi. Il generale Sikorski
fece propria e spinse all’estremo la propaganda
nazista, dichiarando a Churchill di avere in mano
un’“abbondanza di prove”. Non è chiaro come avesse
ottenuto queste “prove” contemporaneamente
all’annuncio tedesco di quelle presunte atrocità
sovietiche, anche se si parla chiaramente di una
collaborazione segreta fra Sikorski e i nazisti. I
tedeschi avevano reso pubblica la loro accusa senza
prove il 13 aprile. Il 16 aprile il governo sovietico
emise un comunicato ufficiale che negava
“l’ingiuriosa falsificazione sulle presunte fucilazioni
di massa da parte di organismi sovietici nell’area di
Smolensk nella primavera del 1940”. E aggiunse:
“La dichiarazione tedesca non lascia alcun
dubbio sul tragico destino degli ex prigionieri di
guerra polacchi che, nel 1941, erano impegnati in
attività lavorative nelle aree ad ovest di Smolensk e
che, insieme a molti sovietici, caddero nelle mani dei
carnefici tedeschi dopo il ritiro delle truppe
sovietiche”.
Nell’architettare questa storia, i tedeschi
avevano deciso di abbellirla con un tocco di
antisemitismo asserendo di essere in grado di indicare
i nomi degli ufficiali sovietici responsabili del
massacro, i quali avevano tutti nomi ebraici. Il 19
aprile la Pravda replicò:
“Sentendo l’indignazione di tutta l’umanità
progressista sui loro massacri di cittadini pacifici e
particolarmente di ebrei, i tedeschi stanno ora
cercando di istigare l’ira dei creduloni contro gli
ebrei. Per questo motivo hanno inventato un’intera
collezione di ‘commissari ebrei’ che, dicono, hanno
preso parte all’assassinio dei 10.000 ufficiali
polacchi. Per questi patentati falsificatori non è stato
difficile inventarsi alcuni nomi di persone che non
sono mai esistite – Lev Rybak, Avraam Brodninsky,
Chaim Fineberg. Nessuna di queste persone è mai
esistita nella ‘Sezione Smolensk dell’OGPU’ o in
qualsiasi altro reparto del NLVD…”
L’insistenza di Sikorski nell’avallare la
propaganda tedesca portò alla completa rottura delle
relazioni tra il governo polacco in esilio a Londra e il
governo sovietico – che Goebbels così commentò nel
suo diario:
“Questa rottura rappresenta una vittoria al
cento per cento per la propaganda tedesca, e in
particolare per me personalmente …. Siamo riusciti a
trasformare i fatti di Katyn in un problema altamente
politico.”
All’epoca la stampa britannica condannò
Sikorski per la sua intransigenza. Il «Times» del 28
aprile 1943 scrisse: “Sorpresa e rincrescimento
proveranno tutti coloro che hanno avuto sufficienti
motivi per comprendere la perfidia e l’abilità
inventiva della macchina propagandistica di
Goebbels e sono caduti essi stessi nella trappola che
è stata loro tesa. I polacchi difficilmente avranno
dimenticato un libro ampiamente diffuso nel primo
inverno di guerra, che descriveva con ogni dettaglio
di prove circostanziate, inclusa quella fotografica, le
presunte atrocità dei polacchi contro i pacifici
abitanti tedeschi della Polonia”.
Alla base dell’insistente affermazione di
Sikorski che il massacro era stato effettuato dai
sovietici anziché dai tedeschi c’era la disputa sul
territorio a est della linea Curzon. Sikorski cercava di
utilizzare la propaganda tedesca per mobilitare
l’imperialismo occidentale in appoggio alla
rivendicazione di quel territorio da parte della
Polonia, e costringere gli occidentali ad abbandonare
quella che lui riteneva fosse una posizione di sostegno
all’Unione Sovietica sulla disputa di confine.
Se si leggono le odierne fonti borghesi, si
constata che tutte asseriscono che l’Unione Sovietica
fu responsabile del massacro di Katyn, e lo fanno con
tale certezza e coerenza che chi cerca di sostenere il
contrario ha l’impressione di essere un revisionista
storico nazista che cerca di negare il massacro degli
ebrei da parte di Hitler. Dopo il collasso dell’Unione
Sovietica, perfino Gorbaciov fu arruolato in questa
campagna di disinformazione e fornì materiale, tratto
presumibilmente dagli archivi sovietici, che
“dimostrava” che i sovietici perpetrarono le atrocità e
lo fecero, naturalmente, su ordine di Stalin. Ora,
sappiamo l’interesse che i vari Gorbaciov del mondo
hanno nel demonizzare Stalin. Il loro obiettivo non è
tanto Stalin, quanto il socialismo. Il loro scopo, nel
denigrare il socialismo, è di restaurare il capitalismo e
di condurre, con i loro seguaci, una vita da parassiti a
spese di grandi sofferenze dei popoli sovietici. Il loro
cinismo eguaglia quello dei nazisti tedeschi, e non
sorprende affatto trovarli a cantare gli stessi inni.
Le fonti borghesi asseriscono avventatamente
che le prove sovietiche a sostegno della responsabilità
dei tedeschi per le atrocità erano o del tutto assenti o
basate semplicemente su dicerie di abitanti della
regione terrorizzati. Non fanno menzione di una prova
che lo stesso Goebbels dovette ammettere essere
disastrosa dal suo punto di vista. Egli scrisse nel suo
diario l’8 maggio 1943: “Sfortunatamente, munizioni
tedesche sono state trovate nelle fosse di Katyn … E’
essenziale che questa circostanza rimanga
segretissima. Se dovesse venire a conoscenza del
nemico, l’intero affare di Katyn dovrebbe essere
lasciato cadere.”
Nel 1971 il «Times» pubblicò delle lettere le
quali sostenevano che i massacri di Katyn non
potevano essere stati effettuati dai tedeschi, in quanto
essi usavano mitragliatrici e camere a gas anziché
eliminare i prigionieri nel modo in cui le vittime di
Katyn erano state uccise, cioè con un colpo alla nuca.
Un ex soldato tedesco che all’epoca viveva a
Godalming, nel Surrey, intervenne con una sua lettera:
“Come soldato tedesco, all’epoca convinto
della giustezza della nostra causa, ho preso parte a
molte battaglie e azioni durante la campagna di
Russia. Non sono stato a Katyn né nella vicina
foresta. Ma ricordo bene il clamore che sorse quando
nel 1943 fu data notizia della scoperta dell’orrenda
fossa comune vicino a Katyn, la cui area era allora
minacciata dall’Armata Rossa.
“Josef Goebbels, come dimostrano i documenti
storici, ha ingannato molte persone. Dopo tutto,
questo era il suo lavoro e in pochi metterebbero in
dubbio la sua completa padronanza di questa attività.
Ciò che sorprende, tuttavia, è che ne abbiamo la
dimostrazione nelle pagine del «Times» a distanza di
più di trent’anni. Scrivendo per esperienza, io non
credo che - in quel momento avanzato della guerra -
Goebbels sia riuscito a ingannare molti soldati
tedeschi in Russia sulla questione di Katyn … I soldati
tedeschi sapevano benissimo sparare alla nuca …
Noi soldati tedeschi sapevamo che gli ufficiali
polacchi erano stati mandati all’altro mondo da noi
stessi e da nessun altro”.
Inoltre, molti testimoni si fecero avanti per
attestare la presenza di prigionieri polacchi nella
regione dopo che i tedeschi ne avevano preso il
controllo.
Maria Alexandrovna Sashneva, insegnante in
una elementare del posto, rese una testimonianza a
una commissione speciale insediata dall’Unione
Sovietica nel settembre del 1943, subito dopo la
liberazione dell’area dai tedeschi: nell’agosto del
1941, due mesi dopo il ritiro dei sovietici, essa aveva
nascosto un prigioniero di guerra polacco a casa sua.
Il suo nome era Juzeph Lock e le aveva parlato di
maltrattamenti subiti dai prigionieri polacchi da parte
dei tedeschi:
“Quando arrivarono, i tedeschi si impadronirono del
campo polacco e vi instaurarono un regime severo. I
tedeschi non consideravano i polacchi come esseri
umani, li oppressero e li maltrattarono in ogni modo.
In alcuni casi i polacchi furono fucilati senza alcun
motivo. Egli decise di fuggire …”
Molti altri testimoni fornirono prove di aver visto nei
mesi di agosto e settembre 1941 i polacchi che
lavoravano sulle strade.
Inoltre, testimoni parlarono di retate di prigionieri
polacchi fuggiti, compiute dai tedeschi nell’autunno
del 1941. Danilenko, un contadino del luogo, era uno
dei testimoni che lo dichiararono.
“Retate speciali furono fatte nella nostra località per
catturare prigionieri di guerra polacchi che erano
fuggiti. Alcune perquisizioni furono fatte a casa mia
due o tre volte. Dopo una di queste perquisizioni io
chiesi al capo … chi stavano cercando nel nostro
villaggio. Egli disse che era stato impartito un ordine
dal comando tedesco secondo il quale si dovevano
fare perquisizioni in tutte le case senza eccezioni,
perché prigionieri di guerra polacchi fuggiti dal
campo si nascondevano nel nostro villaggio.”
Ovviamente i tedeschi non spararono ai polacchi
sotto gli occhi di testimoni locali, ma esistono tuttavia
testimonianze significative da parte di persone del
luogo su quello che stava succedendo. Una testimone
era Alexeyeva, che era stata incaricata dal capo del
suo villaggio di servire il personale tedesco in una
casa di campagna nel settore della foresta di Katyn
noto come Kozy Gory. Questa casa, che era stata la
casa di riposo dell’amministrazione del
Commissariato del Popolo degli Affari Interni di
Smolensk, era situata a circa 700 metri dal luogo in
cui furono trovate le fosse comuni. Alexeyeva disse:
“Verso la fine di agosto e durante la maggior parte
del mese di settembre del 1941 parecchi autocarri
arrivavano praticamente ogni giorno alla casa di
campagna di Kozy Gory. All’inizio non vi feci
attenzione, ma successivamente notai che ogni volta
che questi autocarri arrivavano sui terreni intorno
alla casa, si fermavano per mezz’ora e a volte per
un’ora intera, da qualche parte sulla strada di
campagna che collegava la casa alla strada maestra.
Trassi questa conclusione perché a volte, e dopo che
questi autocarri erano arrivati nei terreni intorno alla
casa, il rumore che facevano cessava.
“Simultaneamente alla cessazione del rumore si
sentivano singoli colpi di arma da fuoco che si
susseguivano l’uno all’altro a brevi ma
approssimativamente regolari intervalli. Poi gli spari
cessavano e gli autocarri si dirigevano in direzione
della casa. Dagli autocarri uscivano soldati e
sottufficiali tedeschi che parlando ad alta voce
andavano a lavarsi nel bagno, dopo di che si
abbandonavano ad orge di bevute.
“Nei giorni in cui arrivavano gli autocarri
arrivavano alla casa anche altri soldati provenienti
da unità militari tedesche. Per loro venivano
preparati letti speciali. Poco prima che gli autocarri
arrivassero alla casa, dei soldati armati andarono
nella foresta, evidentemente sul luogo dove gli
autocarri si fermavano, perché mezz’ora dopo
ritornarono in quegli autocarri insieme ai soldati che
vivevano in permanenza nella casa.
“ … In varie occasioni notai delle macchie di sangue
fresco sui vestiti di due soldati scelti. Da tutto questo
dedussi che i tedeschi portavano in autocarro delle
persone alla casa e le uccidevano a colpi di arma da
fuoco. ”
Alexeyeva scoprì anche che le persone che venivano
uccise erano prigionieri polacchi.
“Una volta mi sono fermata in quella casa un po’ più
del solito… Prima di aver finito il lavoro che mi
impegnava lì, un soldato entrò improvvisamente e mi
disse che potevo andare. Egli …mi accompagnò fino
alla strada maestra.
Dalla strada maestra, a 150 o 200 metri dal punto in
cui c’è la deviazione verso la casa, vidi un gruppo di
circa 30 prigionieri di guerra polacchi che
marciavano lungo la strada maestra sotto una forte
scorta tedesca … Mi fermai vicino al lato della strada
per vedere dove venivano portati, e vidi che voltavano
vero la nostra casa di Kozy Gory.
“Poiché avevo ormai cominciato ad osservare
attentamente tutto quello che succedeva nella casa, il
mio interesse si acuì. Tornai a una certa distanza
dalla strada maestra, mi nascosi tra i cespugli vicino
al lato della strada e aspettai. Nel giro di 20 o 30
minuti udii quei singoli spari che mi erano familiari”.
Le altre due cameriere che lavoravano nella casa di
campagna, Mikhailova e Konakhovshaya, hanno
fornito altre testimonianze. Altri residenti nella zona
hanno fornito prove analoghe.
Basilevsky, direttore dell’osservatorio di
Smolensk, fu nominato vice borgomastro di
Menshagin, collaborazionista nazista. Basilevsky
stava cercando di far liberare un insegnante,
Zhiglinsky, dalla prigione tedesca, e persuase
Menshagin a parlare della cosa al comandante tedesco
della regione, Von Schwetz. Menshagin lo fece, ma
poi riferì che era impossibile assicurare questa
liberazione perché “erano state ricevute istruzioni da
Berlino che prescrivevano il mantenimento del più
severo regime.”
Basilevsky riferì poi la sua conversazione con
Menshagin:
“Involontariamente replicai ‘Ci può essere qualcosa
di più severo del regime esistente nel campo?’
Menshagin mi guardò in modo strano e,
avvicinandosi al mio orecchio, rispose a bassa voce:
sì, ci può essere! I russi possono essere lasciati
morire, ma, per quanto riguarda i prigionieri di
guerra polacchi, gli ordini dicono che devono essere
semplicemente sterminati.”
Dopo la liberazione fu ritrovato il taccuino di
Menshagin scritto a mano con calligrafia confermata
da esperti grafologi. La pagina 10, datata 15 agosto
1941, contiene questa annotazione:
“Tutti i prigionieri di guerra fuggiaschi devono essere
detenuti e consegnati all’ufficio del comandante.”
Questo di per sé dimostra che i prigionieri polacchi
erano ancora vivi a quell’epoca. A pagina 15, che è
senza data, c’è questa annotazione: “Corrono voci tra
la popolazione sull’uccisione di prigionieri di guerra
polacchi a Kozy Gory (per Umnov)” (Umnov era il
capo della polizia russa).
Molti testimoni fornirono la prova di essere
stati indotti dai tedeschi nel 1942-43 a fornire false
testimonianze sull’uccisione dei polacchi da parte dei
russi. Parferm Gavrilovich Kisselev, residente nel
villaggio più vicino a Kozy Gory, testimoniò di essere
stato convocato dalla Gestapo nell’autunno del 1942 e
interrogato da un ufficiale tedesco:
“L’ufficiale affermò che, secondo informazioni in
possesso della Gestapo, nel 1940, nella zona di Kozy
Gory nella foresta di Katyn, funzionari del
Commissariato del Popolo per gli Affari Interni
avevano ucciso ufficiali polacchi, e mi chiese quale
testimonianza potevo fornire su questo fatto. Risposi
che non avevo mai sentito parlare del Commissariato
del Popolo per gli Affari Interni che uccideva persone
a Kozy Gory, e che comunque la cosa era
impossibile, spiegai all’ufficiale, in quanto Kozy Gory
è un luogo del tutto aperto e molto frequentato, e se ci
fossero stati degli spari l’intera popolazione dei
villaggi vicini lo avrebbe saputo ….
“ … L’interprete tuttavia non mi ascoltava; prese un
documento manoscritto dalla scrivania e me lo lesse.
Diceva che io, Kisselev, residente in un piccolo
villaggio nella zona di Kozy Gory, attestavo
l’uccisione di ufficiali polacchi da parte di funzionari
del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni
nel 1940.
“Letto il documento, l’interprete mi disse di firmarlo.
Io rifiutai… Alla fine urlò: ‘O lo firmi subito o ti
distruggeremo. Fai la tua scelta.’
“Spaventato da queste minacce, firmai il documento e
pensai che la cosa sarebbe finita lì.”
Ma la cosa non finì lì perché i tedeschi
pretendevano che Kisselev desse testimonianza
verbale di quello che aveva “visto” a gruppi di
‘delegati’ invitati dai tedeschi a venire nella zona per
verificare la prova delle presunte atrocità sovietiche.
Subito dopo che le autorità tedesche avevano
annunciato al mondo nell’aprile del 1943 l’esistenza
di fosse comuni “l’interprete della Gestapo venne a
casa mia e mi portò nella foresta nella zona di Kozy
Gory.
“Quando eravamo usciti da casa ed eravamo soli
insieme, l’interprete mi avvertì che dovevo dire alla
persone presenti nella foresta esattamente tutto quello
che avevo scritto nel documento che avevo firmato
alla Gestapo.
“Quando arrivai alla foresta vidi le fosse aperte e un
gruppo di sconosciuti. L’interprete mi disse che erano
delegati polacchi arrivati per ispezionare le fosse.
Quando ci avvicinammo alle fosse i delegati
cominciarono a farmi varie domande in russo a
proposito dell’uccisione dei polacchi, ma poiché era
passato più di un mese da quando ero stato convocato
dalla Gestapo, avevo dimenticato tutto quello che
c’era nel documento che avevo firmato, mi confusi e
dissi che non sapevo niente sull’uccisione degli
ufficiali polacchi.
“L’ufficiale tedesco si arrabbiò molto. L’interprete mi
staccò via rudemente dalla ‘delegazione’ e mi
scacciò. L’indomani mattina una macchina con un
ufficiale della Gestapo arrivò a casa mia. Mi trovò in
giardino, mi disse che ero agli arresti, mi mise in
macchina e mi portò alla prigione di Smolensk …
“Dopo il mio arresto fui interrogato molte volte ma mi
picchiarono più di quanto mi interrogassero. La
prima volta che mi convocarono mi picchiarono
pesantemente e mi insultarono, lamentandosi che li
avevo traditi e poi mi rimandarono in cella. Durante
le successive convocazioni mi dissero che dovevo
dichiarare pubblicamente che era stato testimone
dell’uccisione degli ufficiali polacchi da parte dei
bolscevichi, e che fino a quando la Gestapo non fosse
stata soddisfatta che lo avrei fatto in buona fede, non
sarei stato liberato dalla prigione. Dissi all’ufficiale
che avrei preferito restare in prigione piuttosto che
raccontare menzogne alla gente. Dopo questo fui
picchiato duramente.
“Di questi interrogatori con percosse ce ne furono
molti, e il risultato fu che perdetti tutta la mia forza,
l’udito s’indebolì e non potevo muovere il braccio
destro. Dopo circa un mese dal mio arresto, un
ufficiale tedesco mi convocò e mi disse: ‘Vedi le
conseguenze della tua ostinazione, Kisselev. Abbiamo
deciso di giustiziarti. In mattinata ti porteremo nella
foresta di Katyn e ti impiccheremo.’ Chiesi
all’ufficiale di non farlo e cominciai ad implorarli
dicendo che non ero adatto per la parte del ‘testimone
oculare’ dell’uccisione perché non sapevo dire bugie
e pertanto avrei fatto nuovamente confusione.
“L’ufficiale continuò ad insistere. Parecchi minuti
dopo dei soldati entrarono nella mia stanza e
cominciarono a picchiarmi con dei bastoni di gomma.
Non riuscendo a sopportare le botte e la tortura,
accettai di apparire in pubblico e riferire falsità
sull’uccisione di polacchi da parte dei bolscevichi.
Dopo di che fui liberato dalla prigione a condizione
che, alla prima richiesta dei tedeschi, avrei parlato
davanti alle ‘delegazioni’ nella foresta di Katyn …
“Ogni volta, prima di portarmi alle fosse nella
foresta, l’interprete veniva a casa mia, mi portava nel
giardino, mi chiamava da parte per essere sicuro che
nessuno ascoltasse e per mezz’ora mi faceva imparare
a memoria tutto quello che avrei dovuto dire sulla
presunta uccisione di ufficiali polacchi da parte del
Commissariato del Popolo per gli Affari Interni nel
1940.
“Ricordo che l’interprete mi disse qualcosa del
genere: ‘Abito in una casetta di campagna nella zona
di ‘Kozy Gory’ non lontano dalla sede del
Commissariato del Popolo per gli Affari Interni. Nella
primavera del 1940 ho visto, per varie notti, polacchi
che venivano portati nella foresta e uccisi.’ E poi era
obbligatorio che io dicessi che ‘questo era opera del
Commissariato del Popolo per gli Affari Interni.’
Dopo aver memorizzato quello che lui aveva detto,
l’interprete mi portava alle fosse comuni nella foresta
e mi costringeva a ripetere tutto alla presenza delle
‘delegazioni’ che venivano lì.
“Le mie affermazioni erano rigorosamente
supervisionate e dirette dall’interprete della Gestapo.
Una volta che parlai davanti a una certa
‘delegazione, mi fu fatta questa domanda: ‘Hai visto
questi polacchi personalmente prima che fossero
uccisi dai bolscevichi?’ Non ero preparato a una tale
domanda e risposi come stavano le cose di fatto, e
cioè che avevo visto prigionieri di guerra polacchi
prima della guerra, mentre camminavano lungo le
strade. Allora l’interprete mi trascinò violentemente
da parte e mi portò a casa.
“Vi prego di credermi quando dico che sento rimorsi
di coscienz,a perché sapevo che in realtà gli ufficiali
polacchi erano stati uccisi dai tedeschi nel 1941. Non
avevo altra scelta in quanto ero costantemente
minacciato con la replica dell’arresto e della
tortura.”
Numerose persone confermarono la
testimonianza di Kisselev e un esame medico
avvalorò le sue affermazioni di essere stato torturato
dai tedeschi.
Furono fatte pressioni anche su Ivanov, impiegato
presso la locale stazione ferroviaria (Gnezdovo),
perché fornisse una falsa testimonianza:
“L’ufficiale chiese se ero a conoscenza che nell’aprile
del 1940 grandi gruppi di ufficiali polacchi catturati
erano arrivati alla stazione di Gnezdovo con parecchi
treni. Dissi che lo sapevo. Allora l’ufficiale mi chiese
se sapevo che nella stessa primavera del 1940, subito
dopo l’arrivo degli ufficiali polacchi, i bolscevichi
avevano ucciso tutti nella foresta di Katyn. .Risposi
che non ne sapevo niente e che non poteva essere
vero, perché nel corso del 1940-41 fino
all’occupazione di Smolensk da parte dei tedeschi,
avevo incontrato ufficiali polacchi catturati che erano
arrivati nella primavera del 1940 alla stazione di
Gnezdovo e che erano impiegati nella costruzione di
strade.
“L’ufficiale mi disse che, se un ufficiale desco diceva
che i polacchi erano stati uccisi dai bolscevichi,
voleva dire che questo era un fatto. ‘Perciò’,
l’ufficiale continuò, ‘non devi aver paura di niente e
puoi firmare in piena coscienza un documento in cui
si dice che gli ufficiali polacchi catturati sono stati
uccisi dai bolscevichi e che tu ne sei stato testimone.’
“Replicai che ero ormai vecchio, avevo 61 anni, e non
volevo fare peccato, alla mia vecchia età. Potevo solo
testimoniare che i polacchi catturati arrivarono in
realtà alla stazione di Gnezdovo nella primavera del
1940. L’ufficiale tedesco cominciò a convincermi a
fornire la testimonianza richiesta, promettendo che,
se fossi stato d’accordo, mi avrebbe promosso dalla
posizione di sorvegliante di passaggio a livello a
quella di capostazione della stazione di Gnezdovo,
posizione che avevo sotto il governo sovietico, e
avrebbe provveduto anche ai miei bisogni materiali.
“L’interprete osservò che la mia testimonianza come
ex impiegato della ferrovia alla stazione di Gnezdovo,
la stazione più vicina alla foresta di Katyn, era
estremamente importante per il Comando tedesco, e
che non mi sarei pentito se avessi fatto questa
testimonianza. Compresi che mi ero messo in una
situazione molto difficile e che mi aspettava un triste
destino. Tuttavia rifiutai nuovamente di fornire la
falsa testimonianza all’ufficiale tedesco,il quale
cominciò a sgridarmi, minacciò di bastonarmi e
uccidermi, e disse che non capivo quello che era il
mio interesse. Eppure rimasi sulle pie posizioni.Allora
l’interprete compilò un breve documento di una
pagina in tedesco e mi diede una libera traduzione del
suo contenuto. Questo documento registrava, come mi
disse l’interprete, soltanto il fatto dell’arrivo dei
prigionieri di guerra polacchi alla stazione di
Gnezdovo. Quando chiesi che la mia testimonianza
foswe registrata non solo in tedesco ma anche in
polacco, l’ufficiale alla fine andò su tutte le furie , mi
bastonò con un randello di gomma e mi portò via
dall’edificio…”.
Savvateyev fu un’altra persona sulla quale i tedeschi
fecero pressioni per fornire falsa testimonianza. Alla
Commissione di Indagine Sovietica egli disse:
Alla Gestapo testimoniai che nella primavera del
1940 prigionieri di guerra polacchi arrivarono alla
stazione di Gnezdovo in parecchi treni e proseguirono
in autocarri, e non sapevo dove andavano. Aggiunsi
anche che successivamente incontrai più volte quei
polacchi sulla strada maestra Mosca-Minsk, dove
lavoravano a fare riparazioni in piccoli gruppi.
L’ufficiale mi disse che stavo confondendo le cose,
che non avevo potuto incontrare i polacchi sulla
strada maestra in quanto erano stati uccisi dai
bolscevichi, e mi chiese di testimoniare questo fatto.
“Rifiutai. Dopo avermi a lungo minacciato e allettato
con lusinghe, l’ufficiale si consultò con l’interprete in
tedesco e poi l’interprete scrisse un breve documento
e me lo diede per firmarlo. Spiegò che era la
registrazione della mia testimonianza. Chiesi
all’interprete di farmi leggere il documento ma mi
interruppe con insulti ordinandomi di firmarlo
immediatamente e andar via. Esitai un minuto.
L’interprete prese un bastone di gomma appeso alla
parete per colpirmi. Dopo di che firmai il documento
presentatomi. L’interprete mi disse di andare a casa
e di non parlarne con nessuno, o altrimenti sarei stato
ucciso…”Altri fornirono testimonianze simili. Furono
fornite anche prove di come i tedeschi ‘curarono’ le
tombe delle vittime per cercare di eliminare le prove
che i massacri non avvennero nell’autunno del 1941
ma nella primavera del 1940 poco dopo che i polacchi
erano arrivati nella zona. Alexandra Mikhailovna
aveva lavorato durante l’occupazione tedesca nella
cucina di una unità militare tedesca. Nel marzo del
1943 trovò un prigioniero di guerra russo che si
nascondeva nel suo capannone:
“Conversando con lui appresi che si chiamava
Nikolai Yegorov, nativo di Leningrado. Dalla fine del
1941 era stato nel campo tedesco n°126 per
prigionieri di guerra nella città di Smolensk.
All’inizio del marzo 1943 fu mandato con una
colonna di varie centinaia di prigionieri di guerra dal
campo alla foresta di Katyn. Questi prigionieri,
compreso Yegorov, furono costretti ad aprire le fosse
contenenti corpi di ufficiali polacchi in uniforme,
tirar fuori questi corpi dalle fosse e prendere dalle
loro tasche documenti, lettere, fotografie e tutti gli
altri oggetti.
“I tedeschi diedero ordini severi affinché niente fosse
lasciato nelle tasche dei cadaveri.Due prigionieri di
guerra furono uccisi perché dopo aver ispezionato
alcuni cadaveri, un ufficiale tedesco vi scoprì alcune
carte. Gli oggetti, i documenti e le lettere estratti dagli
indumenti dei cadaveri furono esaminati dagli
ufficiali tedeschi, che poi costrinsero i prigionieri a
rimettere parte delle carte nelle tasche dei cadaveri,
mentre le altre cose furono buttate in un mucchio di
oggetti e documenti che avevano estratto e poi
bruciate.
“Oltre a questo, i tedeschi fecero mettere dai
prigionieri nelle tasche degli ufficiali polacchi alcune
carte che tirarono fuori da certe borse o valigie (non
ricordo) esattamente) che avevano portato con loro.
Tutti i prigionieri di guerra vivevano nella foresta di
Katyn in condizioni spaventose a cielo aperto ed
erano sorvegliati molto severamente….All’inizio
dell’aprile del 1943 tutto il lavoro programmato dai
tedeschi era evidentemente completato, in quanto per
tre giorni nessuno dei prigionieri di guerra ebbe del
lavoro da fare….
“Improvvisamente di notte tutti senza eccezione
furono svegliati e portati da qualche parte. La
sorveglianza fu rafforzata. Yegorov intuì che qualcosa
non andava e cominciò ad osservare molto
attentamente tutto quello che succedeva. Marciarono
per tre o quattro ore verso una direzione sconosciuta.
Si fermarono nella foresta presso una fossa in una
radura. Vide che alcuni prigionieri di guerra
venivano separati dal resto, portati verso la fossa e
uccisi. I prigionieri di guerra cominciarono ad
agitarsi e a diventare inquieti e turbolenti. A poca
distanza da Yegorov molti prigionieri di guerra
attaccarono le guardie. Sul posto arrivarono di corsa
altre guardie. Yegorov approfittò della confusione e
fuggì nella foresta oscura mentre sentiva grida e
spari.
“Dopo aver ascoltato questa terribile storia, che
rimarrà impressa nella mia memoria per il resto della
mia vita, fui molto addolorato per Yegorov e gli dissi
di venire nella mia stanza per riscaldarsi e
nascondersi fino a che avesse recuperato le forze. Ma
Yegorov rifiutò … Disse che comunque sarebbe
andato via quella stessa notte, con l’intenzione di
attraversare la linea del fronte verso l’Armata Rossa.
La mattina, quando andai ad assicurarmi che fosse
andato via, Yegorov era ancora nel capannone. Pare
che durante la notte avesse tentato di avviarsi, ma,
dopo aver fatto solo una cinquantina di passi, si sentì
così debole che fu costretto a tornare indietro..Questo
esaurimento era causato dalla lunga prigionia nel
campo e dalla mancanza di cibo negli ultimi giorni.
Decidemmo che doveva restare da me parecchi giorni
per recuperare le forze. Dopo avergli dato da
mangiare andai al lavoro.Quando la sera tornai a
casa le mie vicine Branova, Mariy Ivanovna,
Kabanovskaya ,Yekaterina Viktorovna mi dissero che
nel pomeriggio durante una perlustrazione della
polizia tedesca, il prigioniero di guerra dell’Armata
Rossa era stato scoperto e portato via.”
Un ulteriore conferma fu data da un ingegnere
meccanico chiamato Sukhachev che aveva lavorato
sotto i tedeschi in qualità di meccanico nella fabbrica
della città di Smolensk:
“Lavoravo nella fabbrica nella seconda metà del
marzo 1943. Parlai con un autista che parlava un po’
di russo e poiché portava farina per le truppe al
villaggio di Savenki e l’indomani tornava a Smolensk,
gli chiesi di portarmi con lui e così avrei potuto
comprare un po’ di grassi al villaggio. La mia idea
era che fare il viaggio in un camion tedesco mi
avrebbe evitato il rischio di essere trattenuto alle
stazioni di controllo. Il tedesco acconsentì a portarmi,
a pagamento.
“Lo stesso giorno alle dieci di sera eravamo sulla
strada Smolensk-Vitebsk, io e il mio autista tedesco
nell’autocarro. La notte era chiara e solo un po’ di
nebbiolina sulla strada riduceva la visibilità. A circa
22- 23 km da Smolensk presso un ponte demolito sulla
strada c’è un ripido pendio sulla tangenziale.
Cominciammo a scendere dalla strada quando
improvvisamente dalla nebbia apparve un autocarro
che veniva verso di noi. . O perché i nostri freni non
funzionavano o perché l’autista non aveva esperienza,
non riuscimmo a fermare il nostro autocarro e poiché
lo spazio era molto stretto andammo a sbattere contro
l’autocarro che veniva verso di noi. L’impatto non fu
molto violento in quanto l’autista dell’altro autocarro
sbandò su un lato, con il risultato che gli autocarri si
urtarono e scivolarono affiancandosi.
“Tuttavia, la ruota destra dell’altro autocarro finì nel
fossato e l’autocarro si piegò sul pendio. Il nostro
autocarro rimase eretto. Io e l’autista saltammo
immediatamente dalla cabina e corremmo verso
l’autocarro che era precipitato. Fummo inondati da
un forte fetore di carne in putrefazione che
evidentemente proveniva dall’autocarro.
“Avvicinandomi vidi che l’autocarro portava un
carico coperto con un telone e legato con delle funi
che all’impatto si erano spezzate e parte del carico
era caduto sul pendio.Era un carico orribile –corpi
umani vestiti in uniformi militari. Per quanto ricordo
c’erano cinque o sei uomini vicino l’autocarro: un
autista tedesco, due tedeschi armati di mitra – gli altri
erano prigionieri di guerra russi in quanto parlavano
russo e avevano un abbigliamento corrispondente.
“I tedeschi cominciarono ad insultare il mio autista e
poi fecero dei tentativi di rialzare l’autocarro. Nel
tempo di circa due minuti altri due autocarri si
avvicinarono al luogo dell’incidente e si fermarono.
Un gruppo di tedeschi e di prigionieri di guerra russi,
circa dieci uomini in tutto, vennero da questi
autocarri verso di noi. …Con sforzi congiunti
cominciammo a sollevare l’autocarro. Approfittando
di un momento opportuno, chiesi a bassa vocene ad
uno dei prigionieri di guerra russi: ‘Cosa c’è?’
Rispose molto piano: ‘Già da molte notti stiamo
trasportando cadaveri nella foresta di Katyn’.
“Prima che l’autocarro rovesciato fosse rialzato un
sottoufficiale tedesco si avvicinò a me e al mio autista
e ci ordinò di procedere immediatamente.Poiché il
nostro autocarro non aveva subito danni seri l’autista
lo sterzò verso un lato, si diresse verso la strada
maestra e proseguimmo. Quando stavamo
oltrepasando i due autocarri coperti che erano
arrivati dopo, sentii di nuovo l’orribile fetore di
cadaveri”.
Anche molte altre persone fornirono testimonianza di
aver visto gli autocarri carichi di cadaveri.
Fornì una testimonianza anche un certo Zhukhov,
patologo che visitò realmente le fosse nell’aprile del
1943 su invito dei tedeschi:
“Gli indumenti dei cadaveri, in particolar modo
cappotti, stivali e cinture erano in buono stato di
conservazione. Le parti metalliche degli indumenti
–fibbie delle cinture, ganci dei bottoni e chiodi sulle
suole delle scarpe, etc.- non erano molto arrugginite
e in alcuni casi il metallo conservava ancora la sua
lucentezza. Settori della pelle dei corpi che si
vedevano - facce, colli, braccia - erano
principalmente di un colore verde sporco, e in alcuni
casi marrone sporco, ma non c’era completa
disintegrazione del tessuto e non c’era putrefazione.
In alcuni casi si vedevano tendini scoperti di colore
biancastro e parti di muscoli.
“Mentre ero nelle fosse, delle persone erano al lavoro
selezionando ed estraendo i corpi nel fondo di una
grande buca. A questo scopo usavano vanghe ed altri
attrezzi e prendevano i corpi anche con le mani e li
trascinavano da una parte all’altra, tirandoli per le
braccia,le gambe o i vestiti. Non vidi un solo caso di
corpi che si disintegravano o di membra che si
laceravano.
“Riflettendo su tutto questo, arrivai alla conclusione
che i cadaveri erano rimasti nella terra non tre anni,
come affermavano i tedeschi, ma molto meno.
Sapendo che nelle fosse comuni, specialmente in
assenza di bare, la putrefazione dei corpi avanza
molto più rapidamente che non nelle tombe singole,
arrivai alla conclusione che l’uccisione in massa dei
polacchi era avvenuta un anno e mezzo prima, e
poteva essere avvenuta nell’autunno del 1941 o nella
primavera del 1942. In conseguenza della mia visita
sul posto degli scavi mi convinsi fermamente che i
tedeschi avevano commesso un crimine mostruoso.”
Molte altre persone che all’epoca visitarono
le fosse fornirono testimonianze simili.
Inoltre, i patologi che esaminarono i cadaveri nel 1943
conclusero che non potevano essere morti da più di
due anni. In aggiunta, furono trovati dei documenti su
alcuni cadaveri che ovviamente erano sfuggiti ai
tedeschi quando falsificarono le prove. Tra questi
documenti c’erano una lettera datata settembre 1940,
una cartolina datata 12 novembre 1940, una ricevuta
di pegno del 14 marzo 1941 e un’altra del 25 marzo
1941, ricevute datate 6 aprile 1941, 5 maggio 1941,
15 maggio 1941, e un cartolina in polacco non spedita
datata 20 giugno 1941. Quantunque tutte queste date
siano antecedenti al ritiro sovietico, tutte sono
successive all’epoca del presunto massacro dei
prigionieri da parte delle autorità sovietiche nella
primavera del 1940, epoca indicata come data del
presunto massacro da parte di tutti coloro che i
tedeschi riuscirono a costringere a fornire false
testimonianze. Se, come è asserito dalla propaganda
borghese, questi documenti sono delle falsificazioni,
sarebbe stato più semplice falsificare documenti con
date successive alla partenza sovietica, ma questo non
fu fatto – e non fu fatto perché i documenti trovati
erano indubbiamente autentici.