Dare voce agli oppressi è possibile. Riflessioni fuori
dal coro con Fulvio Grimaldi
di Hamza Biondo
Raccontare la realtà è
il suo mestiere, lo fa da quando aveva vent’anni, ha iniziato scrivendo sul
taccuino con la biro, adesso usa la cinepresa e il computer, ma la passione è
la stessa. Fulvio Grimaldi ha girato il mondo, presente nei luoghi e momenti cruciali,
per documentare le crisi e raccontare storie di uomini, ingiustizie, speranze.
Il mestiere di reporter imparato sul campo, lontano dai comodi alberghi per
giornalisti embedded e senza dipendere troppo dai comodi escamotages offerti
dalla tecnica. Una professione maledetta, in via di estinzione, Grimaldi ha
difeso la necessità morale di “andare sul posto”. Un abitudine condivisa con
celebri scrittori che, in veste di reporter, avevano come lui il vizio di
frequentare i campi di battaglia, descriverli e tornare poi ai loro romanzi. I
paesi che ha visitato sono tanti, è una lista che ricorda gli atlanti di un
tempo, quando a scuola si studiava la geografia e le mappe evidenziavano gli
stati con vivaci colori. Inviato stampa in Irlanda nel Nord nel 1972, testimone
a Derry il giorno della Bloody Sunday, in Palestina per la Guerra dei sei
giorni, poi negli anni lo troviamo in Yemen, Eritrea, Yugoslavia, Iraq. In
mezzo tanta Africa e Centroamerica. Avesse avuto la possibilità, lo
avremmo visto a Little Big Horn, per raccogliere la versione dei
pellerossa e….anche quella di Custer. Ha collaborato con molteplici testate
televisive e della carta stampata, fra le quali BBC, Rai, Nouvel Obersever,
Abc, Panorama, Paese sera, Liberazione. Rapporti di lavoro e impegno politico
che spesso si intrecciavano e a volte entravano in conflitto, perché
documentare la realtà ha un prezzo e certe redazioni giornalistiche subivano
quello che lui chiama “il tradimento dei chierici”. Allergico agli entrismi e
ai golfini di cachemire della gauche caviar, Grimaldi ha bazzicato anche altri
arti e mestieri. Documenta reati ambientali, scrive libri, qualche esperienza
teatrale e un piccolo cameo in una pellicola che lo scrivente considera cult,
“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri.
Se
ancora non lo avete capito, avremmo voluto parlare con lui di tante cose. Ci
siamo accontentati per adesso di porgli alcune domande.
Alexis de Tocqueville soleva dire : “La democrazia è il potere di un popoloinformato”. Qual’è
la realtà italiana ?
Il popolo italiano vive, come un pesce rosso, in una bolla di
nulla contenuta in una boccia di menzogne. Ogni tanto, su questioni minori,
compatibili con gli assetti del potere (sempre eterodeterminato), gli si fanno
conoscere innocue verità, qualche difettuccio dell’oligarchia regnante, qualche
errore. Appena si entra nella realtà geopolitica, che è quella che conta, la
boccia diventa uno specchio deformante.
Assistiamo ad una rivoluzione del linguaggio, se prima la
narrazione video si imponeva sul testo scritto, adesso è il momento
della comunicazione digitale che accorcia le distanze e la sintassi. Ma una
conferenza stampa puo essere sostituita da un tweet ? il mondo può essere
raccontato con un hastagh ?
L’élite si serve delle nuove tecnologie, non solo per
condizionare, sorvegliare, controllare, manipolare. E’ necessario distruggere
il linguaggio, le sue articolazioni, la sua complessità. Lo si fa
contaminandolo con espressioni straniere, perlopiù inglesi, perlopiù incomprese
perché scisse dal contesto sintattico, ma soprattutto con la riduzione della
comunicazione alla più elementare semplificazione. Appunto il tweet, l’sms, il
chat. Più semplice ed elementare è il linguaggio, più semplice ed elementare, e
dunque inerme e manipolabile, è il pensiero.
La falsificazione della Storia si costruisce gradualmente,
utilizzando anche disinformazione e censura. Settanta anni dopo la “Nakba”,
parola che indica l’inizio del genocidio dei palestinesi, l’opinione
comune ormai ignora le responsabilità storiche e confonde tra carnefici e
vittime….
L’opinione pubblica,
fortunatamente non tutta, è narcotizzata dal messaggio, pubblicitario come
politico e storico. Il potere lo sa e pratica il martellamento del pensiero
unico, della versione unica, da un paio di millenni. L’opinione pubblica è
vittima del collasso di un pensiero e di una comunicazione alternativi,
antagonisti. L’unificazione dell’informazione, dopo l’esperienza del Vietnam,
dove la pluralità di notizie e versioni ha contribuito a determinare il
fallimento dell’impresa colonialista francese e statunitense, la scomparsa
dell’editore puro e la concentrazione dei media in mani di detentori di
interessi e potere economico, militare, culturale, ha determinato questa
situazione. Che ora viene perfezionata con la caccia alle cosiddette fake news,
che non sono in essenza altro che informazione sgradita all’establishment. Per
lo specifico della Nakba, la tragedia e il genocidio dei palestinesi per mano
degli usurpatori e dei loro padrini sono stati efficacemente oscurati da due
grandi operazioni pubblicitarie: la perenne riproposizione della Shoah,
presentata antistoricamente come crimine unico e massimo, la minaccia
dell’antisemitismo che spesso viene associato al terrorismo.
Con bombardamenti su popoli indifesi hanno devastato Siria ,
Libia, Iraq. Con le occupazioni militari hanno sconvolto società e modelli di
convivenza antichissimi, distrutto mondi che non risorgeranno più. Chi sarà la
prossima vittima ? Quali responsabilità ha il sistema politico europeo ?
Dall’ininterrotta
demonizzazione propagandistica di arabi, Islam, Iran e Russia, non appare
difficile dedurre su quali obiettivi propone di lanciarsi il bellicismo
imperialista. Ce ne saranno altri, un po’ per volta, in Africa e America Latina.
E’ la marcia della mondializzazione, la strategia per un unico, totalitario
dominio sul mondo del capitale finanz-militarista occidentale. L’Unione Europea
è nata per svolgere un ruolo ancillare in questo progetto. E’ sottoposta a un
ininterrotto ricatto economico, militare, propagandistico per evitare che si
stacchi da questa cospirazione occidentale e si renda conto che i propri
interessi e la capacità dei propri popoli di scegliere autonomamente la propria
via collocherebbe il continente in altro contesto geopolitico.
Proviamo ad analizzare il fenomeno emigrazione fuori dal
politicamente corretto e da strumentalizzazioni
Di questo fenomeno, di
portata epocale, mi sono occupato on particolare impegno alla luce dell’enorme
carico di mistificazione, nel segno ipocrita del buonismo e della solidarietà,
che ce ne dovrebbe occultare i veri obiettivi. Basta pensare che un milione
giovani siriani sono stati sottratti alla difesa e allo sviluppo del loro paese
per fornire manodopera a basso costo per l’export tedesco, un paese complice
della distruzione della Siria. Basta pensare ai 60mila contadini che vivevano
in Etiopia lungo il fiume Omo, che ne garantiva coltivazioni, produzioni e vita
e che da una megadiga italiana sono stati privati del loro fiume e quindi del
loro futuro. Dove pensiamo che siano emigrati? Coloro che perorano
ossessivamente l’accoglienza senza se e senza ma, parlando di fuga da
dittature, fame, disastri climatici, trascurano di menzionarne i responsabili.
Ma soprattutto cercano di non farci capire che le migrazioni sono un fenomeno
manovrato dalle stesse potenze che hanno distrutto tanti paesi. Il primo
passaggio della filiera dell’emigrazione, in coda alla quale ci sono le Ong
finanziate dalle stesse forze del mondialismo, è la rovina dei paesi di
emigrazione con gli strumenti della guerra e del saccheggio per mano delle
multinazionali. Rovina che costringe a lasciare la propria comunità, le proprie
radici, la propria cultura, il proprio futuro. Quasi sempre per incontrare una
sorte peggiore di quella lasciata alle spalle. Nei paesi d’origine ci sono poi
strutture di cosiddetta solidarietà, Ong, associazioni,organismi legati al
colonialismo, che prospettano ai giovani false opportunità di lavoro e
benessere in Europa. Le si reincontrano poi in mare, sulla via per la Sicilia. All’imperialismo-colonialismo servono paesi
da depredare e, quindi,svuotati delle giovani generazioni e di cui si disperde
la civiltà e l’identità. Gli serve poi che una forza lavoro dalle infime
esigenze abbassi il costo del lavoro nei paesi avanzati e vi provochi
destabilizzazione. Credo che integrazione e assimilazione siano concetti
colonialisti che sottintendono presupposti di superiorità razziale e culturale.
Qualcuno diceva a proposito della vita “o la vivi, o la scrivi“. Lei da anni è un
professionista dell’informazione, viaggia e scrive molto, sembra contraddire
questa affermazione….
Cosa posso dire. Da quando ho pensato di fare questo mestiere,
intorno ai dieci anni, l’ho pensato come contenuto e significato della mia vita
posti a confronto con i contenuti e significati offerti dalla realtà. Presto ho
intravvisto la potenza di fuoco dei mistificatori della comunicazione. E
presto, a partire dalla Guerra dei Sei Giorni in Palestina, dove sono stato
inviato, ho capito chi manovrava e a cosa servivano questi mistificatori. Ma ho
anche sperimentato la possibilità di mettergli i bastoni tra le ruote. Il seme
della verità, che è quello che ci offrono i popoli oppressi, perseguitati,
sofferenti, resistenti, spesso viene schiacciato e disperso, ma quelle volte
che cade su terreno fertile esplode in una fioritura che cambia il paesaggio.
Il giornalista deve provare a fare da
polline, sole e pioggia.
L’intervista è stata pubblicata su http://islamshia.org/dare-voce-agli-oppressi-e-possibile-riflessioni-fuori-dal-coro-con-fulvio-grimaldi-di-hamza-biondo/