Una frittata di uova marce
Il paniere conteneva un bel mucchio di uova, belle
lucide, grosse, di gallina, tacchino, oca, perfino alcune di struzzo color
rosso cardinalizio. Uova che da tempi immemorabili occupano e colmano il
cestino tutte insieme, in perfetta intesa, senza lasciare neanche un angolino
ad altri, pronti a evolversi in pulcini che perpetuino le stesse specie. C’è
piombato sopra il destino e ha fatto la frittata. Quando qualcuno è andato a
rovistare tra i gusci, ha dovuto mettersi la maschera antigas per il gran
fetore: erano tutte marce. Il destino, nel caso delle uova colorate di
importazione, si chiamava scandali e sfracelli della più corrotta e assolutista
istituzione del mondo, con il suo capo costretto alla fuga da rivali e da
minacce di morte. Sconvolgente vedere come tante persone comuni, bipedi umani
autentici, cercassero, piangendo e rimpiangendo, di incollare i cocci di quei
gusci rosso cardinalizio. Che, per quanto striati di muffa tossica, dal colto e
dall’inclita venivano elogiati come il migliore papa che ci si sarebbe potuti
augurare, il grande teologo che prosegue la lunga linea di dottori della
Chiesa, virtuosi della decorazione del nulla. Bravi preti come l’ottimo Don
Gallo, il quale ancora non ha capito di essere agnello nella tana delle volpi,
invocano il ritorno alla “Chiesa delle origini”. Come se, passando da una setta
esoterica in rivolta contro Roma, al sanguinario e famelico saccheggio
dell’impero da parte dei vescovi a partire da Costantino, una “Chiesa delle
origini” diversa dall’orrido carcinoma presente ci fosse mai stata.