Monaco
1938-2016
La sciarada è in enigmistica lo schema per
cui unendo due parole se ne forma una terza: X+Y = XY. Capirai che impresa. Di
conseguenza è anche il modo per dire di una chiacchierata che non porta a
niente, si arrotola su se stessa. E quello che abbiamo visto a Ginevra, poi a
Vienna, poi di nuovo a Ginevra e, ora, a Monaco. Con i gufi che già strillavano
alla Monaco della resa, rianimando il patto di Monaco del 1939 con Chamberlain
che avrebbe ceduto a Hitler, con le conseguenze immaginabili. A parte il fatto
che gli anglosassoni, allora e fino a qualche anno dopo, speravano che la
Germania di Hitler costituisse un baluardo contro l’assai più temuta URSS, e le
si avventarono addosso solo quando divenne manifesto che quel baluardo si
sbriciolava (e anche perché i tedeschi rompevano ai colonialisti inglesi in
Africa), la Monaco dell’altro giorno rappresenta, come i negoziati precedenti, una
sciarada. La chiacchierata finisce con un OK, vocabolo nuovo, ma con dentro le
stesse parole di prima.
I siro-irano-russi che avanzano e vanificano l’intero
disegno del Nuovo Medioriente, gli statunitensi (con Israele sulla spalla
destra) che non se la sentono di finire nel pantano in fase pre-elettorale, i
francesi che non ce la farebbero mai da soli, i turco-sauditi che se la vedono
proprio male, anche internamente, se tutto quanto hanno combinato in 5 anni,
mettendo in piedi lo sfracello Nusra-Isis e appendici terroristiche, non
portasse alla cancellazione perlomeno della Siria. Sono questi ultimi a
spingere per l’intervento di terra. Ridicolo quello delle armate raccogliticce
di Riyad, svaporerebbero al primo impatto con i ben altrimenti motivati
combattenti patriottici. Lo si è visto in Yemen, dove, dopo un anno di
bombardamenti a tappeto e di blocco genocida,
stanno sempre lì e subiscono i contrattacchi Huthi sul proprio
territorio. Più credibile quello turco, seconda forza Nato dopo quella Usa, ma
anche lì c’è da aver dubbi sulle motivazioni di soldati che vedono la propria
gente a casa massacrata da uno pseudo sultano pazzo.
Così X dice basta bombardamenti, Y replica
basta terroristi e XY resta a vedere cosa capita sul terreno. Con curdi, o
divisi, o paraculi, un po’ con gli Usa, un po’ con Mosca e in ogni caso in fase
di espansione su territori arabi; terroristi all’orecchio di Ankara e del Golfo
che, scappando, gridano “prima via Assad”, Assad che, sacrosantamente, dice
prima va liberata tutta la Siria, “ribelli moderati” che nessuno sa dove si
trovino, ma figurano al primo posto nell’agenda occidentale. Intanto Aleppo e
le vie del Nord e del Sud venngono sgomberate dalla feccia mercenaria e, al
momento, ai colpevoli di tutta la tragedia non resta che attivare gli sguatteri
mediatici perché frappongono ai giusti la muraglia dei "milioni di profughi
siriani bombardati dai russi". Stiamo a vedere.
L’altra
faccia della medaglia canaglia: assalto all’Egitto
Alla testa della falange macedone lanciata
contro l’Egitto e contro i rapporti Italia-Egitto stanno i tre giornalon La Repubblica,
La Stampa, il Corriere della Sera, voci del padrone euro-sion-atlantico. Ma davanti a loro,
brandendo il vessillo della guerra al “dittatore
sanguinario”, già serbo poi ripetutamente arabo, zampetta impettito il “manifesto”.
Mentre, di fronte alla manifesta assurdità delle teorizzazioni sulla morte di
Giulio Regeni, i giornaloni stanno abbassando gradualmente i toni, magari
spostandosi sull’altro versante Cia-Mossad anti-arabo, quello di Aleppo e dei “bombardamenti
russi sui civili”, il “quotidiano comunista” li innalza al diapason. Un
articoletto arrivato in redazione a metà gennaio, viene riesumato, contro la
volontà della famiglia (che ha la dignità di non prestarsi a basse manovre) e
pubblicato il giorno dopo il ritrovamento del corpo. Tanto per ribadire che
Regeni bazzicava con chi non era simpatico al regime e perciò dal regime è
stato tolto di mezzo.
In
queste cose Soros è una garanzia
E’ un enorme castello di sabbia che le più agguerrite
firme del giornale vanno costruendo, con per punta di diamante il Fratello
Musulmano Giuseppe Acconcia, anche lui, come Regeni, con retroterra “American University”, ma anche “Opendemocracy” del bandito George Soros, nientmeno (e si
capisce tutto). E se qualcuno va sospettando che l’accademico friulano di
formazione anglo-americana possa essere stato una spia, un padrino come
Acconcia non è figura da attenuare tali sospetti. Fondamenta dell’edificio di
sabbia, muri portanti e architravi, sono composti da capisaldi lessicali della
giurisprudenza come “potrebbe”, “sarebbe”, “probabilmente”, “forse”, “secondo
testimoni”, “sembrerebbe”. Misero brecciolino che la prima onda pulita si porta
via.
George Soros
Mentre si arrampica sugli specchi della
totale mancanza di prove per le sue accuse al presidente egiziano Al Sisi, il
forsennato colpevolista a tutti i costi, con un calcolo delle probabilità tutto
virtuale, finisce col trarre sostegno alla sua tesi preconfezionata dell’”assassinio
dell’oppositore” dalla “provata dimensione orripilante della repressione di
regime”. Se non è stato Al Sisi in persona a strappare le unghie a Regeni,
saranno stati i suoi sgherri, o i suoi corpi separati. Massimo impegno, nella costruzione
dell’eroe e martire sbranato dal mostro golpista, viene dato alla
caratterizzazione della vittima come militante di sinistra, temerario
oppositore che doveva celare la paternità dei suoi articoli (cosa che in Egitto
nessuno dei pur virulenti critici del governo fa), era costantemente
preoccupato, che si trovava tra tanti oppositori diretto alla celebrazione dell’anniversario
della rivoluzione e fu vittima di una retata….
Tutto falso, smentito dai
genitori e frettolosamente rivisto inventando una serata che avrebbe dovuto
trascorrere con il suo tutor dell’American University per discutere del dottorato
sui sindacati. Ma anche questo puntello al castelluccio di sabbia si
sgretola perché il giovane, quando è
stato rapito, stava andando semplicemente a una festa. Si ripiega sulla sua
militanza, del tutto presunta, con i sindacati “indipendenti” (islamici), dove,
forse, qualcuno l’avrebbe fotografato. Embè, se qualcuno l’ha fotografato alla
riunione dei sindacati, non si scappa: Al Sisi lo voleva morto e torturato.
Elementare, Watson.
Esagerando
si prendono cantonate
Il “manifesto” deve la sopravvivenza alle
pubblicità, alle sovvenzioni di Stato e agli inserti di campioni del bolscevismo
come Eni, Enel, Telecom, Coop. Gli deve evidentemente qualche riscontro. In
questo caso un accanimento forcaiolo sul cattivone di turno che, però, gli
annichilisce i neuroni e gli fa credere che quella di non far sparire una
vittima del regime in un mistero insondabile per sempre, ma di farla trovare morta
ammazzata e seviziata in piena vista, lungo l’autostrada, praticamente con il dito puntato sul capo dello Stato, è
la conferma che quel dito punta bene. E che quindi Al Sisi, oltre a essere una belva
antropofaga, è anche fesso.
Il sogno del Fratello Musulmano
E qui, il giornaletto, vetusta mosca cocchiera
delle opposizioni di Sua Maestà, toppa alla
grande. Interpreta la scomparsa di
Regeni il 25 gennaio, anniversario di Tahrir, come taffaziana manifestazione di
protervia del regime. L’ideuzza che, magari, un rapimento in quella data poteva
essere l’astuta trovata di chi al regime voleva assestare un bel colpo, non gli
balena. E se gli balena, viene subito cacciata. Perché qui siamo all’inettitudine
giornalistica potenziata dal pre-giudizio programmato in sintonia con i grandi
burattinai della riconquista coloniale. Ma, a proposito di Eni e compagnia
mercante, se la combriccola di Acconcia intendeva compiacere i potentati
nostrani di quella riconquista, ha toppato ancora di più. Non si è accorta, non
si è voluto accorgere, che il ritrovamento del corpo torturato il 3 febbraio è
un’altra coincidenza. C’era al Cairo,
proprio quel giorno, la ministra dello Sviluppo Economico, Guidi, e con lei sostavano
famelici alle porte del governo i dirigenti di Confindustria, Sace e di 60
imprese italiane. Si trattava di definire i dettagli degli accordi per sette e
passa miliardi conclusi quando Renzi visitò Al Sisi. E, guarda il caso, la
coincidenza con l’orribile ritrovamento ha fatto sospendere l’incontro e
rientrare a casa la delegazione. Il “manifesto” non l’ha notato. I neuroni
si
sono voltati dall’altra parte.
Niente valzer
con arabi. Moro e Mattei l’avevano appreso sulla loro pelle
Per il momento restano sospesi, non solo i
grandi affari che il primo partner europeo e terzo mondiale dell’Egitto contava
di concludere. Ma, toh, proprio all’ENI , grande inserzionista del “manifesto”,
addirittura con osceni inserti che magnificano le trivellazioni in Basilicata,
è toccato il contraccolpo peggiore. Era stata l’Eni ad aver scoperto al largo
dell’Egitto il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, lo Zhor. Questo non
solo avrebbe contribuito all’indipendenza dell’Italia da altre fonti energetiche
(in particolare da quella imposta dagli Usa con il gasdotto dal suo
protettorato Azerbaijan, il famigerato TAP che minaccia di devastare il
Salento) e avrebbe dato forza e prestigio alla compagnia di Stato, ma avrebbe assegnato
al partner egiziano un ruolo geopolitico e una prosperità economica senza
precedenti. La storia, i corsi e ricorsi di Vico, si ripete, si sa. E pare
proprio essere tornati ai tempi dell’Eni, di Nasser, di Mossadeq in Iran, di
Aldo Moro minacciato dall’israelita Kissinger. Roba astrusa per il “manifesto”
di Rangeri-Acconcia, buchi neri, per stare
à la page.
Altro che la bancarotta economico-sociale dell’iperliberista
Fratello Musulmano Morsi tenuto in piedi dai soldi del Qatar, corredata da una
repressione di sindacati e opposizioni laiche e socialiste a forza di sharìa e
carcere, che Acconcia ha trasformato in felice democrazia. Piacevolezze che
hanno sollevato contro il padrino del jihadismo wahabita venti milioni di
egiziani, sulla cui collera sono poi andati al potere i militari, con Al Sisi
che ha vinto le successive elezioni. La risposta dei FM? Un’ondata terrificante
di terrorismo dal Sinai a tutto il paese. Più una pioggia di paracadutisti del
Battaglione Acconcia.
A chi poteva andare di traverso un simile
sviluppo? Accompagnato anche dall’intesa
italo-egiziana per una soluzione della crisi libica che consistesse, in prima, necessaria,
linea, nella sconfitta del tumore jihadista incistato a Tripoli, Misurata (gli
stragisti del popolo nero di Tawarga) e a Sirte e Derna, con l’Isis trasferito
da Siria e Iraq, sui traghetti dei soliti sponsor, invisibili ai controllori di
ogni canotto che galleggi da quelle parti, per occuparsi dei terminali petroliferi.
Poteva infastidire, e alla grande, coloro che
si sono accaniti contro il turismo egiziano, 20% del PIL (ora ridotto al 14%)
con gli attentati in serie nei resort delle vacanze; che hanno abbattuto il
Metrojet russo con i suoi 224 passeggeri reduci da Sharm el Sheik; che
alimentano, da Israele e dalla Saudia, il terrorismo nel Sinai; che, avendo trovato
un gran lago di gas tra Israele e Cipro (subito sottratto ai palestinesi di
Gaza), pensavano di avere conquistato il rubinetto energetico della regione;
che si erano molto preoccupati del raddoppio del Canale di Suez realizzato da
Al Sisi e che prometteva di tirare l’Egitto fuori dalle secche della crisi;
che, impegnati a demolire la presenza
statuale nazionale, laica, panaraba in Siria, Iraq, Yemen, dopo aver
disintegrata quella libica, mal tollerano gli ultimi bastioni resistenti in
Nord Africa, Egitto e Algeria. Per il momento non si parla di Sudan, uno perché
già sistemato con la secessione del Sud petrolifero organizzata da Israele,
Usa, Vaticano e comboniani, e con le turbolenze innescate nel Darfur, due perché
Khartum non dà più, per ora, segni di insubordinazione.
Ma più di tutto questo irritava la prospettiva
di un’Italia, naturalmente proiettata verso il mondo arabo, privata dalle
sanzioni e dai blocchi di oleodotti (il South Stream che la Nato ha ordinato
alla Bulgaria di stoppare) dei proficui rapporti con la Russia, che si rifa
attraverso intese reciprocamente benefiche e tonificanti con l’Egitto . Da qui
la carica suonata dai soliti noti dell’empireo al proprio mercenariato dei
media e delle Ong dei diritti umani (e Soros paga): Al Sisi come Kim Yong Un,
Milosevic, Gheddafi, Saddam, Assad, ovviamente
lo “Zar” di Mosca, Barbablù. Questo
eterno pallottoliere delle atrocità attribuite al leader del paese di turno da squartare,
risulta a distanza di tempo ripetitivo, stereotipato e perlopiù finto e falso.
Se anche qualche pallottola fosse genuina, il punto non è questo, ma lo è l’intento
criminale di coloro che snocciolano il pallottoliere. Ma Giulio Regeni è stato
una trovata nuova. Ben confezionata in ogni dettaglio.
Insomma, non bastando le contumelie lanciate
contro il dittatore golpista da settori sempre più ridotti e poco credibili, da
poveri Acconcia, ci si è risolti al solito colpo grosso, tipo Parigi, tipo
Colonia, tipo Boston. Un primo
avvertimento: l’attentato al consolato italiano del Cairo. Quindi il ragazzo
italiano, metamorfizzato in un piccolo Che Guevara, finito nella gabbia e poi
nelle fauci dell’orco. Orco egiziano, arabo, laico, che fa costruire
infrastrutture e centrali nucleari ai russi (proprio come Nasser con gli omonimi
lago e diga) e concorda con Xi Jinping grandi interventi cinesi, si presta a sradicare
il carcinoma jihadista in Libia (l’unico che può farlo, con ciò minacciando le
bande di ventura dell’Occidente, fondamentali alibi per guerre e repressioni
interne). Insopportabile.
Giulio Regeni, alla prova dei fatti e della
logica, non è l’oppositore falciato da uno spietato tiranno, non è Pietro Micca
e neppure Gaetano Bresci, come ce lo vorrebbe far sognare Acconcia. E’ l’inconsapevole
mina di chi vuo far saltare il rapporto Italia-Egitto, affidata dall’alto a una
manovalanza probabilmente dei Fratelli Musulmani.. E’ una mazzata-avvertimento
mafioso ad Al Sisi. E’ una tirata d’orecchi a Renzi. Per l’unica cosa buona che
ha fatto in tutta la sua vita politica. E di cui il merito, come ai tempi di
Mattei, va a chi fa da sempre la politica estera non subalterna dell’Italia,
all’Eni. Che tiene in vita il “manifesto”. Ingrati!