1) ELEZIONI IN GERMANIA-AUSTRIA: MA CHI
SONO I NAZI?
2) MA I CURDI (A) CHI SERVONO?
3) MA USA O BRICS?
“Spunti di riflessione” – Paolo Arigotti conversa con
Fulvio Grimaldi
Il ringhio del bassotto: o USA o BRICS (con Fulvio Grimaldi)
Se fosse una partita di pallacanestro
direi che è finita con qualcosa come 89 a 23. A calcio sarebbe sarebbe stato
una goleada. A tennis due set a zero. Come dire Sinner contro il numero 140 del
ranking mondiale.
Parlo del confronto, da remoto, ma
giocato sulla nostra pelle e sul nostro futuro, tra gli USA in preda a delirio
pseudodemocratico elettorale, finalizzato in un modo o nell’altro a farli
sopravvivere finchè la barca (la guerra) va, e i BRICS riuniti a Kazan
(Russia!). Questi ultimi, che stanno diventando i primi, erano in 32 (quanti
quelli della NATO, ma dieci volte più grossi), di cui cinque fondatori, cinque
nuovi arrivati e tutti gli altri a bussare alla porta di casa.
Dall’altra parte si digrignavano i
denti sporchi di sangue arabo alla prospettiva di non contare più nulla, se non
in un deserto di ossa calcinate, come sarà quello su cui si accaniscono a Gaza.
Non gli resta altro che quello come risposta a un mondo che rappresenta più o
meno la sua metà in termini di territorio, popolazione, PIL ed energia.
Sono stati giorni della
combutta-contesa Harris-Trump su chi possa, ancora per un po’, far camminare
per cimiteri lo zombie NATO-Sion e, dall’altro lato del pianeta, un’assemblea
di Stati e popoli, con tanto di deprecatissimo Segretario dell’ONU a piegarsi
alla realtà oggettiva (non più a quella onirica del Piano della vittoria di
Zelensky), che progetta pace, armonia, uguaglianza e vita per tutti e con
tutti. Opzioni alternative, chiare e convincenti. Ed è un passo avanti che
travolge parecchio filo spinato tessutoci attorno negli ultimi decenni..
Poi, con Paolo, ci siamo intrattenuti
sugli esorcismi praticati sugli invasi dal demonio di Germania e Austria,
Quelli da cui gli addetti ai lavori degli zombie di cui sopra pretendono di
estirpare, a forza di formule liturgiche (“ultradestra”, “neonazi”,
“fascisti”), il diritto di votare chi gli pare. E soprattutto qualcuno che non
corrisponda al chierico esorcista Scholz e alla sua fissa di distruggere il
proprio paese in nome di Biden e Zelensky.
L’esorcista doveva dividersi tra
“estrema sinistra” (BSW- Alleanza Sahra Wagenknecht) e “estrema destra” (AFD,
Alternativa per la Germania), la prima sull’Intercity del 16% (terzo partito,
dal nulla), la seconda sull’Alta Velocità del terzo dei voti di tutti i
tedeschi (primo in Turingia e Sassonia, secondo in Brandeburgo), con analoga
fenomenologia in Austria, Hanno sfondato il Semaforo.
Semaforo, Ampel, essendo quei governi
Democristiani gialli-Socialdemocratici rossi-Verdi verdi, di Berlino e Vienna
che rescindendo i legami con chi ne alimentava le fabbriche e le case, avevano
ridotto in brandelli la propria economia, il proprio welfare e da benestanti a
malestanti i propri cittadini.
Ovviamente dalle nostre parti
occidentali non usa chiedersi perché milioni passino da vecchie e corrotte
cariatidi partitiche a forze nuove che non sono i lecca lecca degli USA e delle
sue guerre, dell’OMS e delle sue pandemie, del FEM e dei suoi Nuovi Ordini
Mondiali, del rigurgito olocaustico dei sionisti. No, meglio diabolizzare ed
esorcizzare: sono nazi, vanno proibiti. E, sottovoce: Occhio, che questi
rivogliono il pane che gli abbiamo mangiato.
UN BELL’ASSIST ALL’IMPERIALISMO
Gli argomenti sono tanti, ma qui ve
ne metto sotto il naso uno che mi sta a cuore. Per me che li ho conosciuti e ne
ho seguito le opere, è sempre stato un mistero perché certe sinistre si siano
tanto incapricciati dei curdi, iracheni, iraniani o, soprattutto, siriani, che
fossero.
Quelli iracheni li ho visti per
decenni lavorare per il re di Prussia e il suo visir, la CIA. Con questi si
sono impegnati a smantellare lo Stato unitario multiconfessionale e
multietnico, antimperialista e antisionista. I loro capi, Mustafa e Massud
Barzani, sono stipendiati dalla CIA, ne eseguono i mandati e, nel caso del
capostipite, vanno a morire negli USA. Essendosi sollevati da musulmani
integralisti e patriarcali contro l’Iraq laico ed emancipato, proprio mentre
era minacciato di morte da chi gli attribuiva l’11 settembre e armi di
distruzione di massa, si è attirato la mano pesante di Saddam.
Quelli iraniani, quando parte una
rivoluzione colorata contro il governo, vanno nel Kurdistan iracheno ad
addestrarsi e rifornirsi di armi presso contingenti NATO (anche italiani) e,
tornati in Iran, danno il loro contributo alla destabilizzazione del paese che
sappiamo da chi è stata innescata.
I più amati, però, da chi li
considera avanguardia ecologica, femminista, democratica, Wako, della
rivoluzione mondiale, sono i curdi siriani.
Usciti dalla loro enclave storico
nell’angolo nord-est della Siria, proprio nel momento in cui USA e relativi
mercenari ISIS si apprestavano a smembrare quel paese tanto ostico, laico,
socialista e tanto anti-israeliano, si sono messi al servizio dell’invasore
statunitense. A forza di pogrom anti-arabi, si sono impadroniti di villaggi e
terre e hanno facilitato così la creazione di mezza dozzina di basi militari
americane alle quali portano i beni del territorio: petrolio e frutti dei
campi.
Ad educare il pupo sinistroide
europeo si sono attrezzati con video, foto, interviste benevolenti, che ne
mostravano le fanciulle in mimetica con mitragliatore sui seni, avanguardie
della rivoluzione laica e democratica contro l’oscurantista dittatore Bashar El
Assad, a fianco dei liberatori Marines.
Tanto erano avvenenti e coraggiose,
che fu loro attribuita anche la liberazione dall’ISIS della seconda città siriana, Raqqa. Dove non
misero mai piede, se non dopo che la capitale dello Stato Islamico era stata
rasa al suolo dai bombardieri di Trump. A Washington parve opportuno, come del
resto poi a Mosul in Iraq, dare l’impressione che i jihadisti impiegati qua e
là nel mondo, dalla Libia, all’Iraq, all’Afghanistan, in Siria, nel Sahel, in
Nigeria, e per vari attentati in Europa, erano nemici, così nettandosi
l’immagine compromessa dalle prove tecnico-politiche che l’11 settembre non
aveva niente a che fare né con Al Qaida né con i sauditi.
Restava da mettere sotto la lente,
neanche tanto da ingrandimento, il meccanismo che assicura la democraticità del
voto presidenziale negli USA, al di là degli arzigogoli dei continuisti
guerrafondai e colonialisti nei nostri media su come Kamala Harris fosse la
scelta della civiltà e del bene contro l’obbrobrio putinista del candidato
carota-chiomato.
E sotto la lente cosa appare? Un
sistema, ideato alla fine del 700 dai progenitori degli attuali oligarchi
bancari, agrari e industriali, sistema che garantisca la perpetuità
dell’elezione dell’establishment da parte dell’establishment. Elegge il
presidente se non chi è qualificato da conventicola e dollaro. Mica la gente
che di queste cose nulla sa e nulla intende.
Trattasi di 538 grandi elettori
eletti, per grazia di dollaro e debite affiliazioni, al Senato o alla Camera e
che a quel punto non riescono a immaginare altro che eleggere presidente il
loro affine, sostenuto dagli stessi fondi che aprirono il parlamento a loro. E
se non si mettono d’accordo, ci pensa la corte suprema. Come nel 2000, quando
per la differenza di un grande elettore su 538, Al Gore chiese il riconteggio,
ma i giudici supremi lo rifiutarono e decisero loro. Decisero a favore del
figlio di colui che ne aveva nominato, a vita, come il Garante Grillo, la
maggioranza: il papà, Bush Senior.
Sistema le cui infiorettature
contemporanee sono le operazioni di media, magistrati e intelligence, grazie
alle quali un candidato è il manutengolo del nemico massimo (Russiagate) e
l’altro, invece, è persona linda e retta. Tanto che è giusto che procuratori,
FBI e CIA seppelliscano ogni inchiesta e ogni dubbio sul figliolo (Hunter Biden) che si droga,
frequenta malviventi e orge con
minorenni, fa affari sporchi in Ucraina, apre ai cinesi redditizi
mercati in America grazie alle spinte del papà allora vicepresidente. Senza
parlare degli affari pubblici gestiti segretamente su server privati da Hillary
Clinton mentre garantisce ai suoi ambasciatori che “in Siria l’ISIS è roba
nostra”.
A questo punto chiudo e vado a
lavarmi faccia, mani e penna.