Forse il fatto che abbiamo visto milioni che votano se stessi alla totale dipendenza da un tiranno ha fatto capire alla nostra generazione che scegliere il proprio governo non necessariamente assicura la libertà. (Friedrich August Hayek)
La verità non viene determinata da un voto di maggioranza. (Doug Gwyn)
“Firenze è vicina in queste ore
ad Israele e afferma il diritto di esistere dello stato ebraico che qualcuno
vorrebbe mettere in discussione. Firenze con il suo sindaco è orgogliosa di
dirsi oggi amica di Israele” (Matteo Renzi, 22 novembre 2012)
Torna Berlusconi? Dalla brace
alla padella.
(In
questo testo si utilizzano i termini “islam, islamico e islamista”. Non li si
confonda. Non sono sinonimi. Islamico è l’Iran, islamisti sono i baroni che
l’imperatore ha installato nelle sue marche. Islamico vale come cristiano.
Islamista vale come SS. Islamisti sono quelli che in una scuola di Damasco
trucidano 20 scolari. Coloro che ad Acri sterminarono ogni essere vivente musulmano
erano crociati. Islamici erano tutti i governanti dei paesi del mondo arabo
laico, liberato, progressista, antimperialista, come cristiano è Hugo
Chavez. Islamisti sono Re Abdallah e
l’emiro del Qatar. Islamico era Saladino che a Gerusalemme non torse un capello
ai cristiani. Chiara la differenza?).
Al
Maliki in Iraq, il trafficante di droga e organi Hassim Thaci in Kosovo, il
narco-feudatario Karzai in Afghanistan, il ratto salafita El Mararyef in Libia,
il ratto fratello musulmano Muaz Khatib in Siria (capo della Coalizione
dell’Opposizione Armata), i narcos Calderon e Pena Nieto in Messico, il l’auto-golpista
islamista Morsi in Egitto, i narcostragisti Uribe e Santos inColombia, il
narcodespota Martinelli in Panama, il narco-postgolpista Lobo in Honduras… Gli
Usa e l’UE affidano i paesi conquistati, sottomessi, o da sottomettere, al controllo
delle criminalità organizzate, perlopiù narcomafie, massonerie, integralismi
clericali, o oligarchie predatrici, personaggi e cricche dai mille scheletri e
corpi torturati nell’armadio. Ricattabili per ogni nefandezza. L’Italia non fa
eccezione.
Il
ministro degli esteri Terzi riconosce il fratello musulmano Muaz Khatib
rappresentante unico del popolo siriano, con i due regimi indissolubilmente
legati tra loro da Sharìa, catechismo, Tavole della Legge e Nato. A Doha, Monti
concorda con l’emiro islamisticamente democratico del Qatar mezzi e modi per
squartare la Siria e raccattare briciole di gas, petrolio, una fabbrica per
Marchionne (gli schiavi di Al Thani non aspettano altro) e per realizzare la
definitiva cementificazione tombale
della Gallura. Lo stesso Monti e, subito
dopo, Bersani, bipartisan come sempre, si precipitano a Tripoli a esprimere
identità di spirito e materia, auspici petroliferi e lo strangolamento del
flusso di migranti (mai praticato da Gheddafi) al jihadista Nato El Marayef. In
cambio, sempre bipartisan, assicurano la fornitura di spie, armi e squadroni
della morte denominati “Forze Speciali” per addestrare ratti Al Qaida all’esecuzione
delle decimazioni Nato di oppositori.
Bersani
a Tripoli
Per
Bersani, che non si è fatto mancare niente, neppure una foto con le pantegane
islamiste di Tripoli, vermi-femmina che brulicano sul corpo maciullato della
Libia, si è trattato di un primo biglietto da visita onde (ri)accreditarsi
presso Pentagono, Cia e Wall Street… Napolitano, accelerando la tracimazione
golpista e la demolizione della Costituzione, celebra insieme a Morsi, in
scambio di amorosi sensi, esenti da intercettazioni, l’annientamento del
secondo e terzo potere dello Stato, legislativo e giudiziario. L’uno li
sbaraglia, questi poteri non del tutto domi, stritolando chi a Palermo sfrucugliava
i nervi scoperti della Repubblica, Prima e Seconda e chi, a Taranto, osava
tenere in piedi una Costituzione che anteponeva a tutto la salute, la vita. L’altro
di quei poteri decapita i vertici
nazionali e si installa al loro posto. Finalmente mori e cristiani accantonano
il trauma di Lepanto e s’incamminano d’intesa e uniti, pur tra gli inevitabili
e risolvibili dissensi di famiglia sulla spartizione dei beni,lungo la strada verso
lo Stato clerical-poliziesco-mafioso, dotato dell’arma segreta del terrorismo,
impegnato a cavar sangue dalle rape e trasferirlo nelle flutes dell’élite. Grazie alla sinergia Al Qaida-Nato-Vaticano
siamo tutti, in tattica e strategia, fratelli musulmani. Meglio, salafiti. Sotto
sotto Al Qaida, Cia, Mossad. Con tanti saluti all’Islam di pace e civiltà.
Miliziani
Al Qaida
E
pazienza per quelle comunità cristiane riottose, neanche troppo vicine al papa,
che, in Siria, da questa democratica fratellanza, nel nome dei diritti umani
cari sia ai preti che agli imam, vengono sacrificate alla civiltà futura
immolandole su roghi e sotto mannaie. Con l’Inquisizione nel cuore, il papa
tace assorto. Le Chiese vincono su tutti i fronti: si afferma il principio
moderno del potere temporale, finalmente ricomposto tra papa, sultano e
imperatore nel segno della croce e della mezzaluna, e lo si glorifica con i
martiri di entrambe le confessioni. Carnefici
e vittime, indifferentemente sacrificabili alla causa. Come i nostri militari
in Afghanistan e gli afghani che ammazzano. Gott
mit uns. San Pietro e la Sublime Porta trionfano sul campo, il maresciallo
Graziani celebra, nel sacrario appena erettogli, la rivalsa della sua hybris. E Lawrence d’Arabia, indossata la jallabiah stavolta a stelle e strisce e
la kefiah con la stella di David, se
la ride sotto i baffi.
Torneremo
a suo tempo su Napolitano, “l’amico Americano”
rimasto ingravidato durante un viaggio di piacere con stage oltremare. Da migliorista, a capo
dei roditori nel formaggio coi vermi della Prima Repubblica, è passato prima a
santolo e poi, scomparso il formaggio e rimasti i vermi, a becchino della Seconda.
Gli resta di terminare la gravidanza e sarà bene non assistere al parto. La
deformità rischia di far apparire accettabile il fantolino nato in Germania nel
1933. Meglio andare in Egitto.
Ricordate
quei gufi, o utili idioti, che facendo di ogni erba araba un fascio,
sputtanavano le insurrezioni di massa in Egitto, Tunisia, Giordania, Marocco,
Bahrein, Yemen, Somalia, appaiandole alle controrivoluzioni in Libia e Siria e
mettendole tutte sotto lo stesso cappello USraeliano? Degradando rivoluzioni
dalle forti tinte rosse, o per ignoranza, o per deformazione nichilista di un
marxismo-leninismo pervertito, in maneggi delle centrali di destabilizzazione
colonialista, quasi fossero le loro sconce rivoluzioni colorate?Con pochi altri
abbiamo tentato di esaminare ed esporre il ruolo di agenti tipo Otpor serbo
infiltrati nel movimento egiziano con la qualifica di blogger, o di capi-popolo,
e in quello yemenita, maghrebino, somalo, sotto le mentite spoglie di Al Qaida. Ma dal far passare questi
moti di popolo contro i ricchi, la dittatura, la globalizzazione, Usa e Israele
e per la libertà, per una cospirazione imperialista finalizzata al ricambio
della classe dirigente proconsolare, ce ne corre. Fosse vera la versione di
questi degenerati della sacra scienza della dietrologia, non ci sarebbero in
questi giorni in piazza, a due anni di distanza dalla rivoluzione del 25
gennaio 2011, gli stessi milioni, pronti a farsi stritolare dai cingoli dei
carri di Morsi, bastonare dai picchiatori salafiti, fucilare dagli sgherri di
regime. E quando si è pronti a questo, qualche ragione per parlare di
rivoluzione c’è. E noi, finchè non saremo pronti a fare come gli egiziani, e
come, prima, i venezuelani, boliviani, ecuadoriani, argentini, caveremo dal
buco solo ragni, vermi e crotali.
Udito
il silenzio del crotalo Hillary, del ragno Obama e del verme nostrano, davanti
all’uragano egiziano? Questi pifferai s’erano illusi di manovrare, e poi sprofondare nell’irrilevanza, il lucido
furor di popolo che aveva fatto fuggire il più armato e potente carceriere tra
i tiranni vassalli incistati dall’Occidente in quel corpo arabo che decenni fa si era permesso di infrangere le catene
coloniali. Gli inglesi, al tempo del primo impero, si inventarono i Fratelli
Musulmani. Elemosinieri di indigenti e sventurati, all’uopo allevati dal
capitalismo coloniale e oggi messi in campo nella previsione del piano B,
quello islamista, avrebbero dovuto essere la massa d’urto per rimpiazzare, a
scapito dei rivoluzionari, fiduciari logori, o governi recalcitranti, tutti
laici, con gli sparaneve della fede che alle masse avrebbero congelato arti e
cervello.
Con
la rivoluzione laica e antimperialista vittoriosa e il dittatore rintanato a
Sharm el Sheik, gli indigenti e sventurati sono arrivati e, definiti “moderati”
dall’universo mondo, dallo scaltro New
York Times all’esangue manifesto,
hanno fatto credere di essere quella massa critica che avrebbe aiutato a
rovesciare la dittatura. A Mubaraq succedeva
Mohamed Morsi (come in Yemen il surrogato Abd Rabbuh Mansour al-Hadi sostituiva degnamente
il despota amerikano Ben Ali) e, pur perplessi, gli insorti egiziani ci si sono
adattati in nome del comune rifiuto del despotismo militare. In tutte le
cancellerie occidentali champagne e stuzzichini al caviale. I salafiti, strumento
egiziano di Cia-Al Qaida, pur decisivi nelle urne, erano minimizzati come appendice,
utile semmai a intimidire i riottosi. Al netto di certi colpi di testa sempre
possibili tra queste formazioni di ascari fuori di testa e che, pur servendone
gli scopi al momento, non rinunciano a detestare l’Occidente degli infedeli. Si
sta vedendo in Siria, dove certi apprendisti Al Qaida dello stregone Usa stanno
sfasciando l’elegante vetrina allestita da Hillary in Qatar sotto forma della
Coalizione delle Opposizioni. Comunque, per ora, abbiamo finito con l’avere
“moderati” ovunque, dai satrapi del Golfo ai fratelli di Egitto, Libia,
Tunisia. Il migliore dei mondi possibili.
Il pieno accredito
internazionale, insieme alla normalizzazione di un popolo che aveva fortemente
in uggia Israele, a Morsi venne riconosciuto da Usa, Israele e Qatar al culmine
dell’astuta mistificazione, quando il “novello faraone”(ma si fa un torto ai
faraoni) assunse il ruolo di mediatore
di pace a Gaza e riusciva a tenere in coma vigile quel corpo mutilato e ad
addomesticare Hamas. Qualcuno, però, al Cairo, ad Alessandria, Suez, Ismailia, mangiò
la foglia. E, paradosso dell’eterogenesi dei fini, giorni fa, sotto l’onda
anomala dei rivoluzionari risorti dai sotterranei carsici, c’è stata perfino la
fuga di Morsi dal palazzo presidenziale. Ancora un passo e poteva finire come a
Quito, quando una massa analoga, mano e intelletto del paese, invase e occupò i
palazzi del potere e rivoltò l’Ecuador come un calzino. Si chiamavano forajidos, analogo al Que se vayan todos argentino, e oggi c’è Correa. Una buona parola
d’ordine per i ragazzi del Cairo. Per tutti.
Gli è che, pur in perfetta
corrispondenza con il tracciato segnatogli dai mandanti, l’uomo ha fatto l
passo più lungo della gamba. Arrivando a migliorare il meno sanguigno
Napolitano, ha decretato il potere unico e assoluto dell’esecutivo, cioè lui,
sulle altre articolazioni democratiche, il potere legislativo e quello
giudiziario. Poco di più – siamo pur sempre in un paese “in via di sviluppo” –
di quanto non abbia fatto Obama nella “più grande democrazia del mondo” con la
sistematica decretazione presidenziale su minuzie come la lista dei sospetti
assassinandi, i campi di internamento in Usa, la sorveglianza e lo spionaggio
universali, la guerra senza licenza del Congresso, le extraordinary renditions, le carceri segrete, lo stritolamento
delle libertà civili e del diritto alla difesa, Guantanamo e la tortura.
Quelli che ancora
governano al Cairo sono gli stessi che per decenni, allenandosi a servire i
bonzi interni e i padroni esterni una volta al potere, hanno massacrato turisti
con lo stesso colore della pelle dei governanti che puntellavano Mubaraq e che,
oggi, sono ancora più contenti di puntellare il più importante tra i
viceré chiamati ad asfaltare i giardini
delle primavere arabe di ieri e di oggi. Qualunque dittatore islamista è
meglio, al costo di qualsiasi bagno di sangue, che infedeli come quelli di
Piazza Tahrir finiscano con l’avere voce in capitolo e turbare l’assetto
islamista “moderato” del Medio Oriente. Moderato come quello degli scannatori
“Allah u Akbar” in Siria e della Sharìa dappertutto. Sempre meglio qualche
capello femminile al vento di meno e qualche McDonald’s in più.
I segnali di cosa fosse e
cosa puntasse quella creatura scaturita dal nido islamista del partito
“Giustizia e Libertà” e della sua avanguardia “paramilitare” salafita di “Nur”,
c’erano già tutti. Aveva iniziato col rastrellare e liquidare elementi critici
tra i media: “processati per aver insultato Morsi”. Né “Reporters sans
Frontiéres”, né “Amnesty” ebbero da ridire. L’assai oscuro assalto,
evidentemente di marca israeliana, contro poliziotti egiziani nel Sinai, offrì
a Morsi l’occasione per epurare gran parte dell’apparato di sicurezza e
metterlo sotto controllo dei suoi. Sul piano istituzionale, conquistati con il
controllo sociale e la stanchezza e fratturazione del movimento laico,
parlamento, governo e assemblea costituente, si trattava di sostituire una
costituzione laica e pluralista, pur poco da Mubaraq osservata, con il prodotto
di un’assemblea costituente dominata dai
più settari ed estremisti elementi della teocratica confraternita. In politica
estera, oltre ad aver addomesticato “l’ala politica” di Hamas sotto Khaled
Mashaal, già traditore della Siria, venduto all’emiro del Qatar e arma di
ricatto israeliana contro l’ANP e Fatah, Morsi si è reso meritevole agli occhi
dell’Occidente finananziando e rifornendo, in accordo con i wahabiti di Saad
Hariri in Libano, i jihadisti da
infiltrare in Siria. Su un piano meno clandestino, concordò con il fiduciario
neo-ottomano della Nato, Erdogan, che bisognava abbattere a tutti i costi il
regime di Bashar el Assad.
I salafiti attaccano manifestanti al Cairo
Si vedeva di buon occhio,
quindi, il graduale rafforzamento dei poteri di Morsi, da bandiera “moderata”
della rivoluzione a dittatore con gli stessi poteri di Mubaraq e del famigerato
Consiglio Supremo delle Forze Armate. Si contava che, con la manipolazione
tramite infiltrati Cia del Movimento 6 Aprile, nerbo della rivolta
laico-progressista insieme a nasseriani e socialisti, si sarebbe potuto
imbrigliare il movimento insurrezionale nell’abbraccio mortale della
Confraternita. Ma quel che sta succedendo in questi giorni in risposta alla negazione
della libertà, delle riforme economiche e sociali, della revisione
dell’alleanza con Israele, dimostra che il calcolo non funziona. Lo
scioglimento dei due rami del Parlamento, inquinati dall’integralismo
confessionale con il 47% dei seggi alla Fratellanza e il 23% agli invasati
salafiti, da parte della Corte Costituzionale e la reazione di Morsi con la
decapitazione dell’ordine giudiziario, la legge elettorale che inibiva, con la
scusa dell’esclusione di “elementi legati al vecchio regime”, l’accesso alle
forze dell’insurrezione laica, l’imposizione del referendum su una costituzione
degna del Medioevo, avevano colmato la misura. Da un lato il 45% di egiziani
che vivono sotto la soglia della povertà e, dall’altro, una generazione di
giovani acculturati e nazionalisti che avevano intravvisto un Egitto sovrano,
equo e nuovamente protagonista dell’emancipazione araba, registravano la
rottura del legame degli integralisti, scoperti in tutti i posti di comando
alla vecchia classe di profittatori mubaraqiani, con la società profonda
dell’Egitto.
Abbiamo uno scenario
geografico che vede la carta di ricambio fondamentalista dell’Occidente formare
un mosaico islamista omogeneo dall’Atlantico al Golfo Arabo-Persico, con le
provocazioni di Al Qaida (del Maghreb, dello Yemen, della Somalia) allestite
per giustificare interventi militari euro-atlantici (in atto quello nel Mali)
là dove il ricambio non è riuscito. Il venir meno della tessera centrale
egiziana rappresenterebbe uno scacco, affiancato all’irrisolto e sempre più
arduo regime change in Siria, da
mettere in discussione l’intera operazione “Grande Medio Oriente” elaborata fin
dagli anni ’80 dalle amministrazioni USraeliane. Ci sarà un Piano C? E chi ne
sarà l’esecutore? Ci sarà la soluzione drastica, affidata ai militari più
potenti, fidati e armati di tutta la regione? O quella soft dei reperti della vecchia borghesia egiziana, laica, ma
moderata, tipo El Baradei (già Agenzia Atomica abbastanza accomodante, o Amr
Mussa (già Lega Araba comprata dai signori del Golfo)?
Il Cairo. Assalto al palazzo presidenziale
In ogni caso è in corso un
salutare contraccolpo innescato dalla forza, soltanto apparentemente sopita, di
un movimento a cui, dopo la bonifica dagli elementi spuri, si chiede soltanto
unità e tenuta. Il coraggio e la visione ce l’ha già.
A proposito delle sinergie
tra globalizzazioni totalitarie neoliberiste interne ed esterne, che ci
affanniamo a evidenziare ai miopi della sinistra, c’è da chiedersi: con la
controindicazione del Fratello postdemocratico egiziano ridotto a zoppicare,
cosa verrà ora in mente al nostro Morsi sul Colle? C’è da aspettarsi di tutto.
Vediamo cosa gli sarà ordinato. Intanto gli è concesso di contemplare con
divertita soddisfazione come l’unica opposizione partitica al suo destrissimo
Monti, a parte il povero Di Pietro e gli sparsi isolotti arancioni, venga dalla
destra estrema PDL-Lega, mentre quella moderata, il PD, lo sostiene. Come dire,
lo scuoiatore che si mette contro il carnefice. Ma sei ci sono paralleli in
alto, ce ne sono anche in basso. Se quelli hanno Piazza Tahrir, noi abbiamo
scuole, università, Fiom e quello che finora è soltanto il chiacchiericcio dei
cosiddetti arancioni. Più qualche magistrato, o ex-magistrato. Grande è il
disordine sotto il cielo. Com’è la situazione?
Qui sotto c’è una bella autointervista
di Ouday Ramadan, un italo-siriano che si dice comunista ma che non si è fatto
scrupolo di mettere insieme ogni sorta di infiltrati fascisti a sostegno
dell’antifascista Siria. La pubblico perché di quanto è in gioco in Siria
queste parole sono una sintesi eloquente. Sappia, Ouday, che i suoi sodali
camerati, se stesse a loro, una Siria come la sua non sarebbe di certo la loro.
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Mi
chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria non ho mai visto nessuno
cibarsi dai cassonetti della spazzatura.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria non ho mai visto un funerale
del più illustre sconosciuto che non avesse almeno 1000 persone dietro.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria ho visto il più umile dei
lavoratori riuscire a mandare 10 figli a scuola ed oggi essi sono il medico,
l’ingegnere, l’ufficiale, l’operaio, l’impiegato etc. etc.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria non ho mai visto sfrattare
nessuno dalla propria casa in affitto.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: la mia Siria l’ho girata per lungo e per
largo con i mezzi pubblici con meno di 5 euro.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria nessuno studente, dalle
scuole dell’infanzia fino agli alti studi universitari, paga un centesimo,
neanche per acquistare i libri di testo.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria ogni siriano ha diritto a
1000 litri di gasolio all’anno per riscaldarsi.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria non si paga un centesimo per
curarsi ed il Governo non ti trattiene il 50% della tua busta paga oppure del
tuo reddito.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria un kg di pane ha il prezzo di
7 centesimi.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria il figlio dell’industriale e
quello dell’operaio si vestono uguale a scuola. In barba ai Calvin Klein,
Benetton e cretinate simili.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria è garantito il diritto di
culto pure a Tex Willer.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria non vedrò mai un McDonald’s
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria invece di pagare l’impresa
funebre per trasportare la salma di un defunto, chi viene a darti le
condoglianze ti porta anche la solidarietà in soldi.
§
Mi chiedono perché non vuoi il
cambiamento in Siria?
Rispondo: nella mia Siria se ti dovesse capitare di
avere la febbre a 38 gradi, troveresti 50 persone disposte a coprirti e
procurarti i medicinali.
~
di Ouday
Ramadan
membro della comunità siriana italiana