martedì 12 novembre 2024

Colpi di coda, colpi d’azzardo, colpi a segno --- TRUMP L’INCALCOLABILE, PUTIN LA CERTEZZA

 


“Caleido, il mondo da angolazioni diverse”. Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=q8vD9QyZ1KA

https://youtu.be/q8vD9QyZ1KA

Fulvio Grimaldi inMondocane…punto”. Martedì e venerdì alle 20.00.

https://www.quiradiolondra.tv/live/

 

A parte la posizione sulla pandemia e relativi parafernalia, in cui Trump si ritrova su posizioni negativiste diffuse in gran parte del mondo scientifico e dell’opinione pensante, di buono c’è poco più che la vaga prospettiva della fine del ricatto bellico USA-NATO a Europa e Ucraina, con prospettiva seria di Terza Guerra mondiale, insieme alle lodevoli riserve sul disciplinamento sociale e politica tramite mega-raggiro climatico.

Il disastro vero è il personale di levatura melonian-salviniana di cui si va circondando nella formazione del suo circolo politico intimo, uniformandosi ai livelli etici (perfino estetici, poiché ognuno diventa quello che è) e ai Q.I. delle classi politiche che abbiamo sul gobbo da mezzo secolo, di qua e di là dall’oceano.

Sulla Palestina, che è il nervo scoperto del mondo, sta con quella sezione dei mille miliardari USA che dormono con la kippa in testa e impegnano i loro dollari per collocare la Menora sugli altari di banche e Fondi d’investimento, oltrechè sugli altarini dei rispettivi chierichietti mediatici.

Tutto questo ci preoccupa quel tanto che il pessimismo della ragione ci impone. Ma siccome disponiamo, in misura crescente da qualche tempo, anche dell’ottimismo della ragione (in aggiunta a quello della volontà), non ci facciamo spaventare troppo. Abbiamo forti sostegni a cui appoggiarci.

Pensate dall’altro lato del fosso c’è un omino che ha rimesso in piedi, in meno di 10 anni, il più grande paese del mondo, dopo un ruzzolone rispetto al quale l’impero bizantino spianato dagli ottomani è una brezza nella tempesta della Storia. Un paese che, caduto il muro di protezione da provocatori e epidemie sociali varie, era stato ridotto a rapportarsi al suo glorioso passato come una scatola di fiammiferi caduta nella pozzanghera sta alla temperatura del sole nel momento dell’esplosione (sole che ogni tanto fa variare la nostra di temperatura dando l’estro alle nuove zecche green di cambiare i capillari da cui nutrirsi).

In 10 anni quest’uomo ha sottratto ai predatori i bocconi che già stavano masticando, in termini di economia, coesione sociale, fiducia in se stessi di 150 milioni di persone dall’invitto passato. Riuscite ad immaginare l’impresa avendo contro i sabotatori, traditori, rapinatori, congiurati e spettatori passivi, perché attoniti, di mezzo mondo e passa?

Ora quest’uomo, e i compagni che ha raccolto e gli ex-vampiri che ha saputo ridurre a obbedienza e collaborazione, ha fatto un bel discorso. E’ stato la scorsa settimana in occasione dell’incontro del Valdai International Discussion Club. Un discorso epocale, a dir poco. Nel senso che ce lo ricorderemo come un discorso che ha cambiato il mondo, sottraendolo a un destino che qualcuno aveva intitolato “la fine della Storia”. Per cui non se ne è minimamente accennato nei nostri media.

Bei discorsi, fondati su bei pensieri e auspici li sanno fare tanti. E’ che qui il bel discorso è fondato non solo su bei pensieri e auspici, ma sulle robuste basi di un concerto in cui alcuni miliardi di strumenti hanno suonato la stessa musica. Vladimir Putin l’ha chiamato “polifonia”. Che è l’opposto della monofonia e anche del policentrismo, nel senso che di centri, che si arrogano di esserlo, non se ne vuole più sapere. Né di egemonie, né di imperi, né di globalismi unipolari. Né soprattutto di colonialismo.

Chi a Putin ha dato la forza per esprimere questa sicurezza sono i BRICS che, scopertisi, sullo spunto dato dai quattro paesi fondatori, con alle spalle una lunga storia di aggressioni subite e colonialismi sofferti, diversi tra loro per tante variazioni di tono e timbro, su una melodia hanno trovato il modo di armonizzare: mai più colonialismi. Né conseguente commercio di schiavi, o, oggi, manodopera schiavizzata, deportata con le buone o con le cattive, onde annichilirne identità, nome, storia, futuro e amalgamarla in zuppa o pan bagnato con altri, pure espropriati di nome, terra, comunità e futuro. Tutto a unico vantaggio del monocentrista monofonico.

Sentendo un vento che, piuttosto di gonfiarle, minaccia di abbattere le vele imperiali c’è chi vuole mettere a remare un po’ di gente ancora convinta che un po’ più in là c’è il paese dei balocchi. Scansata la metafora, la procedura è quella di chi s’impegna a disgregare, separare, isolare, diminuire (autonomie differenziate, ricordate?). Non più ex pluribus unum, come si è riusciti a combinare nell’era della scoperta e della fabbrica delle nazioni, ma il suo dannato contrario. Il corollario dovendo essere un mondo di dispari, con ognuno che tira fuori il peggio di sé per sopraffare l’altro. Competizione, scontro, guerra, sopraffazione.

Il mondo che alla volontà diffusa di identità e polifonia emersa nel convegno dei BRICS , ormai avviati a formare la maggioranza sul pianeta, è proprio il mondo che, decretando dopo mezzo millennio la fine del colonialismo, ha avuto da Putin il manuale delle istruzioni. Leggetevi quel discorso. Sarà una forzatura, ma per me è anche una postfazione al testamento di Yahya Sinwar, martire palestinese.

Da noi, a dispetto di quanto si va comprendendo e preparando al di là della cortina che da di ferro è diventata di bugia e deformazione, regna ancora il cialtronesco e il miserabile. Può non essere condannata a essere ingoiata e poi espulsa dalla realtà e dalla Storia un governo che deporta le vittime del suo colonialismo straccione in un paese prostituitosi nel ruolo di carceriere? E che poi si ritrova, buttato un miliardo al mendicante sul marciapiede, a dover trasformare la discarica albanese in grottesco carosello di escursioni da weekend di quattro poveracci a bordo di una nave da guerra. Un andirivieni da bari d’azzardo che si ripromettevano che a Bruxelles non se ne sarebbero accorti.

E neanche i nostri giudici, quelli resistenti in una magistratura che, siccome ha il compito costituzionale di controllare e impedire o punire le violazioni, è in aperta collisione con chi campa in virtù della pratica dell’abuso, del malaffare, dell’impiccio, della trovata canagliesca e per questo, oltre che a Russia e Palestina, ha dichiarato guerra ai giudici.

Ma poi, in tutto questo bailamme di paesi sicuri o insicuri (oltre tutto definiti tali spesso sulla base di criteri più di affinità o contrarietà politica), vogliamo chiederci se poi noi, Italia, potremmo definirci paese sicuro?  Noi a cui stanno levando il diritto di opporci alle malefatte di padroni, speculatori, generaloni. Noi che compiamo reati quando ci opponiamo con la disarmata forza della voce e del corpo, a prepotenze e ingiustizie. Noi che, da quando siamo Repubblica, ci siamo prostituiti a un padrone straniero dagli irrimediabili caratteri criminali. Noi che ci hanno tenuto in riga a forza di stragi di Stato, di mafia e di fascisti (con ancora ieri loro celebrazioni a Bologna, zona stazione).

Noi di Gladio, di P2-3-4 e di altissime cariche dello Stato con il busto di Mussolini sul comodino. Noi che ci sveniamo per armare aguzzini e genocidi. Noi che ci facciamo occupare da 90 basi extraterritoriali ed extrasovranità, in cui sono annidati coloro che ci fanno fare guerre agli altri, e, così, a noi ci rendono potenziali e legittimi bersagli.

Noi con primi ministri e ministri condannati perché al soldo della mafia, o con la mafia al soldo loro. Noi con la democrazia che è come una coperta sbrindellata e lisa, buona da rifugio per ratti e topi con i colletti bianchi. Noi il cui capo più venerato, un volgare puttaniere, corruttore di giudici, ufficiale pagatore della mafia, evasore del fisco a spese del contribuente è stato onorato dal Capo dello Stato nella figura della figlia, beneficiaria delle sue ruberie. E gli hanno pure fatto un francobollo, come a Garibaldi. E gli hanno nominato un aeroporto, come a Pertini.

Noi quelli del lockdown, del green pass, del futuro pandemico e digitale e del ministro del lockdown che si conferma per quello che è girando, in tempo di elezioni altrui, con un grande cartello “KAMALA”. Sul retro, in inchiostro simpatico, firmato dalla stessa, c’è scritto: “W il Genocidio”. Si chiama Roberto Speranza. E lo fanno passare per uno dei buoni.

E, per completare l’idilliaco quadro, noi siamo quelli ai quali uno qualunque, l’uomo più ricco del mondo, statunitense, fascistoide e perciò intimo di Giorgia Meloni, in virtù di tale intimità si può permettere di determinare cosa è giusto e cosa no nel nostro paese, in barba a una magistratura a ciò deputata dalla Costituzione voluta da noi, e di disporre che i giudici che disturbano la marcia sull’Italia della sua amica vanno cacciati.

mercoledì 6 novembre 2024

USA, HANNO PERSO QUELLI DE LI SORDI E DE LI SPARI

 



E adesso le chiacchiere stanno a zero. Si ricomincia dai fatti. L’uragano tossico della ciurmaglia vociante a favore della banda di assassini di massa, che ha imperversato sul mondo negli ultimi quattro anni, si azzitterà. Una classe che fa dello scilipotismo in tutte le stagioni lo strumento del potere, inizierà le sue prime conversioni. Siamo abituati, da millenni, a vederla transitare da una religione di carattere, come si dice oggi, multipolare a un’altra, di segno opposto, unipolare. Sempre con la stessa convinzione, tanto da ridurre la precedente in macerie e abiezione morale. Da dei onorati a demoni diabolici. Le nostre classi dirigenti sono fatte così. E, almeno nell’immediato, quanto era oggetto di celebrazioni sacre incontestabili verrà calpestato e ridotto, come a suo tempo, a polvere di templi e alla damnatio memoriae di “dei falsi e bugiardi”..

Cambieranno sacerdoti e chierichietti, preci verranno elevate ad altre divinità, altre formule magiche, altre musiche ci invaderanno  dagli organi e incanteranno le schiere dei fedeli. Resterà solo una costante nell’immagine sacra sopra l’altare: una bandiera a stelle e strisce.

E’ stata spazzata via una delle due massime espressioni di barbarie subculturale nichilista che ha tenuto per la gola il pianeta, minandone la sopravvivenza. Ne sopravvive l’altra. Ma questa ha percepito che l’alluvione di arroganza e violenza dell’insieme antiumano è stata frenata da argini cresciuti impetuosamente tutt’intorno alle marche dell’impero.

Ha stravinto uno che di questi argini pare tener conto e, insieme a lui, come mai prima, tutto il coacervo di presunta rappresentanza popolare del suo partito nella Camera e nel Senato. Le polveri da sparo che contro costui sono state armate, sotto forma sia di dollari, andati massimamente a tenere in piedi il cartonato dell’improbabile continuatrice del vigente, sia di fucilate, sono risultate bagnate. Come bagnate sono uscite dalla contesa le pagine stampate della tifoseria mediatica, tutta al servizio dei munifici finanziatori di Kamala Harris.

Una miserabile ciurmaglia di contractors europei, capeggiati, sia a Bruxelles che a Roma, da figure tratte da un sottobosco che coniuga criminalità organizzata e criminalità politica, appare spiazzata e medita il modo più spiccio per riallinearsi. Qualcuno, molto in basso, gli chiederà conto, se davvero in Ucraina sia andrà alla giusta sistemazione, di quanto gli è stato sottratto a forza di miliardi in missili e tangenti riversati su un lestofante pronto a infilare il suo popolo nelle fauci dell’assassino di massa. E noi, dal basso, dovremmo darci da fare per agevolare quella resa dei conti.

Ora c’è uno che ha accusato l’altra, a ragione, di collaborare all’armageddon mondiale e finale. Che ha detto ai subordinati dell’UE di farsela loro la guerra e di pagarsela (già fatto). Ma è anche quello che ha stretto nel più forte degli abbracci Jack lo Squartatore di Tel Aviv mentre sguazzava in un oceano di sangue. E che gli ha promesso il coronamento biblico della sua capitale a Gerusalemme, E’ colui che ha assassinato il generale Kassem Suleimani, strappato l’accordo nucleare con l’Iran (nefasto per l’Iran), pronto a obliterare la Cina. Ma è pure colui che non ha partecipato alle guerre mediatiche e golpiste degli Obama e Biden contro l’America Latina in lotta di resistenza.

Ragazzi, in carrozza, si riparte. Capotreno e treno sono cambiati. Gli hanno sparato e ci aveva contro, da noi come da loro, il peggio del pessimo. Cerchiamo di capire percorso e destinazione. E di non farceli imporre. In ogni caso, brutto o bello, “c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole”.

martedì 5 novembre 2024

Baraccone USA: Più gente entra più bestie si vedono Bolivia: c’era una volta Evo America Latina: ritorno e andata Contro le alluvioni fate le guerre

 


In SPUNTI DI RIFLESSIONE di Paolo Arigotti: “Il ringhio del bassotto”, con Fulvio Grimaldi:  Dalla Bolivia che si dilania, all’America Latina sull’ennesimo crinale tra liberi o predati- https://youtu.be/6Ln3Hy_AeuA

In CALEIDO  Francesco Capo  intervista Fulvio Grimaldi: Miliardi alle armi, spiccioli all’ambiente, BRICS: Lula contro Maduro, Nordcoreani pretesi a Kursk, NATO per davvero in Ucraina. https://www.youtube.com/watch?v=58PLDMnqt4c  https://youtu.be/58PLDMnqt4c

QTV, Alluvionati armatevi e affogate,  baracconata delle elezioni, Medioriente carta vince carta perde, Ucraina… perde, Legge Bilancio:  chi piange e chi ride

https://www.quiradiolondra.tv/live/  martedì e venerdì alle 20

 

il dato è questo, al di là di quello che uscirà dall’indecente e fuorilegge baraccone elettorale statunitense: l’establishment dal quale nell’Occidente politico veniamo maltrattati e turlupinati è a favore del rigurgito di Biden, Kamala Harris con un accanimento che rende moderato il fanatismo tifoide della curva ‘ndranghetista dell’Inter. Di quanto di più maleodorante inquina la vita del cittadino e della nazione all’interno del perimetro di quanto pomposamente e grottescamente si definisce la “COMUNITA’ INTERNAZIONALE” (con tutte le maiuscole, come la SCIENZA, definita tale dal concerto farmaceutico-climatico-oligarchico), ogni singola cellula tumorale sostiene Kamala, vale a dire il nulla-con-la dentiera da cavallo drogato.

Si va da Mentana a Mieli, da Renzi a Conte, dal mafioso al parroco, dal finto socialdemocratico e vero piddino a quella che, scordatasi la cresima ricevuta mentre l’organo tuonava “Dio stramaledica gli inglesi” (e gli ebrei), si fa baciare in fronte dal rintronato sostenitore di due genocidi e, se avesse fatto in tempo, di una terza guerra mondiale. E poi naturalmente tutta la créme de la créme che suole prendere il tè a Davos o negli alberghi a 25 stelle di Bilderberg.

Questo nel nostro piccolo, riguarda i ratti che marciano verso il burrone al suono del piffero. Quanto ai suonatori, che frenano prima del burrone, ci sono tutti quelli che già una volta erano riusciti a imbrogliare le carte, meglio le schede, per garantire la prosecuzione del modello lanciato l’11 settembre del 2001: quello della famiglia di Jack-lo Squartatore-Cheney, fisiologicamente transitato nel partito che i genocidi li ama e li pratica con maggiore frequenza e convinzione.

Tutto questo per lo spettatore, legato dai media alla poltrona di ferro in platea, è come l’Atellana che, nel teatro romano antico, era la farsa ridanciana finale, che doveva farti riprendere dopo le psicomazzate inflitteti dalla Tragedia nella prima parte dello spettacolo.

Al di là di queste piacevolezze, libabili tra le offerte votive che vi propongo nelle sopraelencate trasmissioni, potete, cari ragazzi, ora riuniti con me sotto l’ombrello della consapevolezza che sta piovendo fango peggio che a Valencia, constatarne natura, dimensioni ed effetti collaterali.

Dell’America Latina, continente con 700 milioni di, perlopiù simpatici e assennati, abitanti e più ricchezze naturali di quante Creso abbia mai potuto sognare, né il Programma del Nuovo Secolo Americano (PNAC=11 settembre) di Obama, Cheney, Biden annettersi, i nostri politici e mediatici si curano una cippa. A fatica sanno che ci sia e dove. Ogni tanto gli viene di battere le mani quando il dollaro, armato di golpe e dittatori, vi tenta una qualche incursione. Ultimamente un paio di volte in Venezuela, ogni due per tre, invano, a Cuba (a proposito: all’ONU 187 paesi hanno votato per la trentesima volta contro l’embargo USA a Cuba. A favore solo USA e Israele (convinti che far morire di fame popoli faccia bene alla salute della democrazia). Astenuta la Moldavia, testè messasi a disposizione nel lupanare UE.

E pensare che da quelle parti c’è tanto litio da alimentare più macchine elettriche e congegni elettronici di dieci pianeti come il nostro. Cosa che forse è all’origine di uno spiacevolissimo scazzo che lacera da mesi la nobilissima componente dello schieramento antimperialista che è la Bolivia. Superati brillantemente tutti golpe allestitivi nei secoli dagli USA, stabilitovi nel 2006, e io lo vidi succedere, un governo sovrano rivoluzionario con a capo un indigeno, Evo Morales, oggi siamo all’autogolpe.

Nel senso che Evo, superati i tre mandati tra il 2006 e il 2018, scampato con la – non edificante -  fuga in Messico alle cattive intenzioni dell’ennesimo colpo di Stato USA, trovatosi al ritorno un valido successore, Luis Arce (valido economista di tutti i suoi governi), democraticamente eletto, non ha voluto rassegnarsi alla sua stessa Costituzione che gli inibiva ulteriori mandati. E ha iniziato a fare casini utilizzando il suo proprio retroterra: i Quechua e gli Aymara, eminentemente contadini cocaleros.

Ha preteso di essere candidato unico alle elezioni presidenziali del 2025 e, visto che le istituzioni glielo negano, ha allestito la spaccatura del suo partito, MAS (Movimento al Socialismo), tra blocco Evista e blocco Luisista, ha lanciato una gigantesca marcia su La Paz, poi posti di blocco che hanno fermato il paese e la sua economia. Affrontato dalle forze dell’Ordine gli ha sparato. per poi fingere di essere stato vittima di un tentativo di assassinio. E Infine, non essendo riuscito a smontare Arce dalla presidenza, si è buttato sullo sciopero della fame, sulla profferta di dialogo (prima negato) e sulla richiesta di mediazione di paesi amici. Lo stallo perdura, ma Evo pare aver esaurito le cartucce.

A essere maligni, ma occhiuti, si può intravedere all’orizzonte il luccichio delle immense distese boliviane di litio, le più grandi del mondo il minerale dell’ennesima rivoluzione industriale, questa sì, globale. Chi ne incamererà i benefici politici ed economici?  Intanto Luis Arce lo ha nazionalizzato e ne ha concesso la gestione ai cinesi. Chi se ne avvantaggerà? La rivoluzione?

Prima di risalpare in senso contrario al Colombo foriero di sventure senza fine e provare a non affondare nelle sabbie mobili nostrane, salutiamo con sincera passione il resistente Nicolas Maduro del Venezuela, l’insostituibile (alla faccia di USA e Vaticano) Daniel Ortega, ma non ci facciamo mancare uno sberleffo all’Erdogan dell’America Latina, neopresidente brasiliano Lula da Silva. Andatosi a prendere l’OK di Biden, prima visita dalla sua rielezione, se lo è ulteriormente ingraziato con una mossa davvero epocale: il veto al Venezuela per la partecipazione al BRICS in Russia.

Fatta la figuraccia, ha cercato di attenuare attribuendo l’iniziativa a un oscuro diplomatico. Figurarsi! Anche perché solo pochi mesi prima aveva condiviso con gli yankee e Corina Maria Machado, la sostenitrice del golpe yankee di Juan Guaidò nel 2018, la farsa della vittoria alle presidenziali venezuelani del vecchio detrito coloniale Edmundo Gonzales.

Ancor prima che si aprissero le urne, aveva vantato la propria vittoria per il 60% contro il 30% di Maduro. Naturalmente, dalle nostre solite parti, nessuno ha riso. Tantomeno Mentana o Mieli

 

 

 

 

 

 

lunedì 4 novembre 2024

IL GURU E IL DIBBA

 



 

A proposito di A.Di Battista e del suo riferimento politico-ideologico, cioè Gianroberto Casaleggio

Non si può negare la caratura politica e ideologica di Di Battista. I suoi interventi nei talk e sul Fatto Quotidiano sono condivisibili. Lui è uno dei rarissimi del mainstream che ha posizioni corrette, soprattutto quando affronta temi come la guerra, Israele e Palestina e il sud globale.

E’ da ammirare la sua capacità comunicativa, il suo rigore e la sua totale mancanza di soggezione nei confronti dei poteri forti.

Ha preso delle cantonate (vaccini, una certa ambiguità nella questione ucraina, il non accettare di mettersi a capo del M5S, quando il movimento, ancora forte sia in parlamento che tra gli elettori, ma in fase discendente per i motivi che sappiamo, aveva bisogno di un leader radicale e amato dalla base), ma gli va riconosciuta una dose rara di sincerità e passione.

Dov’è che casca l’asino? L’aperta contraddizione fra quell’ideologia che lo contraddistingue e fa di lui un dissenziente e la sempre dichiarata ammirazione per G.Casaleggio.

Se veramente le teorie di quest’ultimo, guru e portatore di una visione del mondo e della politica preoccupante, sono fatte proprie senza una totale dissociazione del nostro, allora c’è da essere molto, ma molto preoccupati.

E’ inutile ricordare che quando è nato il movimento M5S, tutti noi ci siamo gasati, affascinati dalla novità e dalla critica alla politica dei partiti di Grillo e GRC.

Eppure c’erano già allora grossi elementi di ambiguità, che dipendevano dall’impostazione che era stata data al movimento da GRC.

Innanzi tutto lo strumento fondamentale di costruzione del soggetto politico erano i meetup, cioè canali di comunicazione telematici che modificavano le relazioni fra militanti, i cosiddetti nodi di rete, che sostituivano le riunioni di partito e trasferivano sui territori le posizioni della dirigenza, cioè di GRC e in secondo piano di Grillo. Chi non seguiva i diktat di questo comitato a due, o meglio a uno e mezzo, veniva espulso.

Vigeva l’iscrizione on line, non c’era quindi alcuna selezione in base all’impegno ecc..

La famosa piattaforma Rousseau in mano a GRC gestiva tutte le attività e possedeva i nomi degli iscritti, aveva quindi in mano tutta l’organizzazione, che si articolava secondo regole non stabilite da alcuno statuto. Non vi ricorda qualcosa? Magari la celebrata diarchia di DSP, Rizzo-Toscano? Se poi pensiamo alla enfatizzazione sulle magnifiche sorti di internet, che avrebbe portato, secondo il pensiero casaleggesco, alla creazione di un’intelligenza collettiva interfacciata e organizzata da Google, siamo molto vicini all’Agenda 2030.

L’umanità, ridotta a un miliardo di persone (sic)diventa un unico soggetto e l’individuo è fruitore e produttore di dati: non vi è più divaricazione fra la vita reale e quella virtuale e l’architrave della politica e della vita di ogni cittadino diventa il web. Quindi l’agorà elettronica sostituisce la mediazione fra il cittadino stesso e la politica. Ognuno può proporre leggi, può votare, sempre on line, ecc. insomma siamo di fronte a quello che alcuni filosofi chiamano ribellismo cellulare.

Il grande quesito non risolto è: chi possiede la rete e chi ha la capacità di gestirla? Da Uno vale Uno a Uno vale nessuno.

Sembrerebbe che la grande menzogna e la grande illusione del M5S siano contigue e funzionali alle ipotesi e proposte formulate a Davos. Casaleggio anticipatore di Schwab.

Carissimo Alessandro, scegliti pensatori di riferimento autenticamente rivoluzionari. Per fortuna ce ne sono parecchi, anche se non appaiono mai  nel mainstream e non hanno un comico che faccia loro da ventriloquo.

sabato 2 novembre 2024

PALESTINA INVICTA “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza”

 


 


DA TUTTA LA TOSCANA E REGIONI VICINE VI ASPETTIAMO NEL BORGO PIU’ BELLO D’ITALIA E NEL CUORE DELLA SUA RIBELLIONE.

Gambassi Terme giovedì 7 novembre, ore 18.00

Massa e Carrara sabato 9 novembre , ore 16.00