La Rosa Bianca, organizzazione dei giovani studenti antinazisti tedeschi decimati nel 1942-43
Nell’epoca in cui le trasfusioni di sangue all’antisemitismo d’antan vengono combinate alle provocazioni terroristiche di regime, mascherate di antisemitismo, tipo la strage della scuola ebraica a Tolosa in Francia (servite a Sarkozy, quanto a Bush le Torri Gemelle e quanto avrebbero dovuto servire ad Aznar in Spagna, per stringere il cappio poliziesco sulla propria società), sarebbe ora di spuntare una volta per tutte quest’arma, tanto micidiale quanto truffaldina, a difesa dei crimini di Israele. Né gli ebrei vittime del nazismo (e dei propri dirigenti sionisti collusi), né gli ebrei di Israele sono semiti, se non quando si tratta di arabi nei secoli convertiti all’ebraismo. Storici, addirittura israeliani, ora ovviamente banditi, hanno dimostrato oltre ogni dubbio l’origine euro-caucasica di queste genti e l’implicita panzana del “ritorno alla terra dei padri”. Se di antisemitismo si può parlare, perciò, si tratta di quello che dai presunti semiti ebrei viene inflitto, in combutta con l’imperialismo occidentale, a 300 milioni di arabi, questi, sì, autentici semiti.
Un confronto con quanto gli imputati di Norimberga hanno inflitto all’umanità, sia consentito non solo per i crimini che i loro giudici colonialisti hanno commesso in giro per il mondo negli stessi anni. Se del nazismo, durato 12 anni, si parla come del “male assoluto”, e qualsiasi ermeneutica ci dice quanto stolta e strumentale sia la definizione, se guardiamo a durata e portata dei crimini contro l’umanità – nel nome di Cristo! - vediamo ergersi come protagonisti assoluti degli ultimi cinque secoli quasi unicamente classi dirigenti anglosassoni e latine, non di rado con il consenso dei loro popoli. Si va dal genocidio totale di quanti vivevano nelle Americhe, ai 20 milioni sterminati dai belgi in Congo, al terzo dei libici trucidati dai fascisti, allo sfoltimento dei popoli operato dalla corona britannica, o da quella olandese. Basterebbero queste azioni da evasi dal manicomio criminale a delegittimare qualsiasi pretesa dei boia di Norimberga a ergersi a giudici di chicchessia. Ma a rafforzare la sproporzione tra i nazisti e i loro 10 anni totalitario-bellico-razzisti, c’è l’immane, orrenda decimazione dell’umanità (e dell’ambiente con tutte le sue vite) compiuta da allora e tuttora in corso, con un’escalation che promette l’apocalisse finale. Protagonisti sempre gli stessi, i giudici-giurati-boia di Norimberga. Con colui che si erge a capostipite e culmine di tutte le vittime a far da mosca cocchiera, infierendo su palestinesi e popoli a portata di missile nucleare.
TUTTI IN PALESTINA, NESSUNO IN LIBIA E SIRIA
E qui, con il massimo rispetto per i miei amici che hanno concorso alle iniziative filopalestinesi in successione, Flytilla, Flottilla, Marcia su Gerusalemme, e che hanno comunque raggiunto il risultato di evidenziare su qualche medium la faccia ottusa, proterva, fascista, dell’ “unica democrazia mediorientale”, c’è da porre una domanda, quanto meno agli organizzatori. Quale coerenza c’è in questa solidarietà rigorosamente monotematica che, mentre denuncia la ferocia del carnefice e le sofferenze della vittima, ignora ciò che di identico e anche peggio succede lì, a pochi passi? E ignorasse soltanto! Moraleggiando con altisonante linguaggio Nato, sionista, petromonarchico, i portavoce di questa solidarietà con un popolo oppresso e fatto a pezzi, si sono lanciati a testa bassa contro popoli cui la soluzione finale annunciata ai palestinesi è stata già, o sta per essere, inflitta. Paradosso supremo: trattasi di popoli e Stati che erano gli ultimi a sostenere fattivamente e politicamente la Palestina e che al rullo compressore del cannibalismo colonialista si opponevano in disperante solitudine. Solidarietà a corrente alternata. Solo per vittime inermi, confortate da un discreto consenso pubblico.
Marwan Barghuti
Che di questa schizofrenia, per usare un eufemismo, la ragione stia nel fatto che libici e siriani combattono, mentre i capi palestinesi, rifugiatisi in Qatar, hanno smesso? Non dovrebbe essere allora, denunciata, con il diritto che spetta agli internazionalisti, la sciagurata resa e complicità, oggettiva o soggettiva, dei dirigenti palestinesi tutti? Di quelli che si allineano con i massacratori del proprio e dei popoli fratelli? Di quelli che hanno represso e spento la grandiosa capacità di resistenza dei palestinesi che, per oltre mezzo secolo, ha confortato la speranza e voglia di libertà di tutti? Di quelli che circolano liberi e ben nutriti tra Doha, Tel Aviv, Bruxelles, perché sono gli inservienti dei domatori del circo? E non si dovrebbero, come fanno i cubani per i Cinque rinchiusi da 14 anni nelle carceri Usa, lanciare campagne mirate, ossessive, per la liberazione di palestinesi che non si sono piegati, a cominciare da Marwan Barghuti, sei ergastoli, scambiato da un decadente Arafat per l’illusione della sua sopravvivenza?
Senza dire che separare il destino dei palestinesi da quello collettivo della nazione araba, laica e sovrana, o di quel che ne rimane o rimaneva in Libia e Siria, significa staccare un corpo dai suoi arti, o meglio, un arto dal proprio corpo. Perfetta logica leghista. Ribadisco la mia stima e la mia ammirazione per i compagni che hanno partecipato in perfetta e sacrosanta buonafede a quest’impresa, indubbiamente in assoluto opportuna. Ma mi chiedo anche se a qualcuno di loro, che so coinvolti quanto me nell’avversione alle aggressioni Nato a chiunque, non sia venuto il sospetto che questo intensificarsi di iniziative di esclusiva solidarietà con il popolo palestinese, mentre lì accanto, simultaneamente, venivano bruciati paesi, uccisi Stati antimperialisti, sterminati popoli fratelli dei palestinesi, possa avere avuto, consapevole o non, un intento di distrazione, di depistaggio, di occultamento con quanto proprio i nemici dei palestinesi stavano compiendo di ancora più orrendo. Non c’è qualcosa di ambiguo nello spedire tutte le autobotti antincendio verso quegli alberi che un’opinione ormai prevalente ritiene da salvare, mentre tutt’intorno brucia un’intera foresta, sulla quale invece l’opinione prevalente non interviene e, peggio, regge il moccolo ai piromani?
di Enzo Apicella
Guenter Grass
La fenomenologia Saviano-Gabanelli impera nell’epoca dei travestimenti. E’ diffusissima nella comunità ebraica nazionale che, ahimé, non conosce le valorose “diserzioni” di altri ebrei, tipo Pappe, Sands, Finkelstein. Il meglio, perché più astuto, che da noi si manifesta è un Moni Ovadia, o un Schuldiner (quello del “manifesto”), il peggio i Lerner, Mieli, Pirani, Mafai (eroina da morta, come usa in questo paese dei tarallucci e vino, seppure effettiva sionista e revisionista anticomunista). Tutti di sinistra, ci mancherebbe.Tutti con la lacrima sul ciglio e il temperino sguainato quando si tratti di immigrati, zingari, precari e donne. Tutti con la fronte corrugata davanti agli “eccessi” di Olmert, o Sharon, o Netanjahu. Tutti allineati e coperti quando si tratta di antisemitismo autentico, quello contro Gheddafi, appunto, o contro Ahmadi Nejad, o Assad, o l’ultimo “black block” palestinese. Chi, come Pirani (Repubblica), da Marò assaltatore, chi da vivandiere, chi nelle Riserva. Cartina di tornasole, se ce ne fosse stato bisogno in un sessantennio di scelleratezze nazisioniste, la poesia di un grande scrittore, ahilui!, tedesco, Guenter Grass, e di una sua poesia che, per fortuna dei palestinesi, ha squarciato la rancida ipocrisia di un’ufficialità germanica che giustifica la sua complicità con i genocidi addossandosi una colpa collettiva che, razzisticamente, si vuole perpetuata nei secoli. Cosa ha fatto l’autore del “Tamburo di Latta” di così riprovevole da aver scatenato la sortita dal vespaio di quello stormo di insetti velenosi che poco mancava chiedessero anche per questo tedesco “antisemita” la sorte di Goering e Keitel? Una cosa addirittura lapalissiana: basta con le coperture delle nefandezze dello Stato israeliano, basta con i sommergibili atomici tedeschi per l’attacco israeliano all’Iran, basta con i due pesi e le due misure che fanno sorvolare sull’incontrollabile arsenale nucleare del più aggressivo Stato della regione, mentre minacciano di sterminio chi col 20% di arricchimento dell’uranio arriva al massimo a produrre medicinali. Ha più strappato vesti al corpo deforme del re, Grass, con quel suo componimento (potete ritrovarlo in un post precedente), che tante chiacchiere di solidaristi strabici.
Anatema. I furbetti del quartierino sionista, Ovadia, Schuldiner, resa liturgica e scontata critica agli eccessi del regime oppressivo e razzista di Tel Aviv, aggiustano il tiro sullo sciagurato malfattore, riproponendo la vulgata dell’Ahmadi Nejad che si propone di “cancellare Israele dalla faccia della Terra” (mai detto; auspicata era la comprensibile e condivisibile eliminazione, non del popolo israeliano, ma del regime fascistoide sionista. Niente di più di quanto ogni democratico si augurava rispetto ai nazifascisti) e che, indubbiamente, punta a dotarsi di ordigni nucleari. Non una parola sulla mancata firma (data invece dall’Iran) al Trattato di non proliferazione e sul rifiuto israeliano di far ispezionare all’AIEA le almeno 200 bombe atomiche minacciate su urbi et orbi da un regime da sessant’anni con la bava di guerra alla bocca. Mario Pirani non si fa nemmeno scudo del fervorino sugli eccessi di un Netaniahu. Con un’improntitudine degna di miglior causa, l’inviperito editorialista della Repubblica, titola “Grass è antisemita, ma se ne vergogna” e poi giù una sequenza di contumelie che in qualsiasi tribunale non di regime gli garantirebbero provvedimenti penali e civili da farlo zittire per sempre. Il minimo che all’onesto Grass è imputato e di far parte di una consorteria criminale che “nega l’olocausto, paragona Israele al nazismo, compie attacchi velenosi all’ebraismo e da secoli, con reazionari di destra e razzisti di ogni risma si vantavano della loro maledizione contro il popolo deicida”. Di più, Grass è messo a fianco di un Ahmadi Nejad che “proclama pubblicamente e ripetutamente la volontà di distruggere Israele, mentre ha dato vita a un programma in atto per disporre di un apparato nucleare in grado di minacciare un secondo Genocidio” e le cui “milizie schiacciano nel sangue ogni resistenza democratica della gioventù iraniana”. Questa sequela del più rozzo mossadismo, tanto pateticamente vittimista quanto oscenamente diffamatori0, culmina poi nella vertiginosa aporia per cui chi fa poesie del genere lo fa per “assolversi dall’antisemitismo di chi sogna la distruzione dell’entità ebraica”. Forse per Grass la sorte degli impiccati di Norimberga è anche poco. Come lo è quella che la democrazia israeliana commina a minorenni palestinesi carcerati e torturati, ai civili bruciati col fosforo, alle città rase al suolo, al popolo di “ratti e scimmie” da far sparire. Il “male assoluto” è una stronzata. Il che non impedisce a Pirani di sguazzarci.
Palestina
Mi rimane nel gozzo, infine, l’affermazione di un mio gentile commentatore che alla denuncia poetica del nuclearismo bellico israeliano da parte di Grass riserva la demolitrice rampogna di qualcosa di brutto che lo scrittore avrebbe detto “vent’anni fa”. Già, e io a 10 anni ero balilla, per cui tutto quello che ho scritto oggi e fatto durante mezzo secolo con parole e immagini è irrimediabilmente da scornacchiare e buttare. Mi viene in mente il povero Waldheim, unico segretario generale dell’ONU che non abbia fatto da lacchè a Washington e alla combriccola delinquenziale che si autodefinisce “comunità internazionale”. Mal gliene incolse: da adolescente era stato richiamato nella Wehrmacht. Gran trovata quella dell’indelebile peccato originale! Meglio Ban Ki Moon, o Kofi Annan: non sono mai stati né balilla, né Hitlerjugend, né sedicenni SS.
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Aggiungo alcuni elementi utili arrivatimi in questi giorni, in particolare su Siria (dove oggi il mercenariato Nato-Al Qaida-dittatori del Golfo sta tentando in tutti i modi di sabotare il pur fasullo piano di pace di Kofi Annan), e sull’Eritrea, unico Stato del Corno d’Africa ancora renitente alla subalternità colonialista. C’ anche una citazione di Beppe Grillo. La foto qui sotto vede stringersi la mano e gli intenti due giustizieri di libertà, sovranità, giustizia sociale. Quello a sinistra è il dittatore e padrone del Qatar, sicario Nato in Siria, assassino della Libia, e metastasi reazionaria di tutto il Medioriente. Quello a destra è l’uomo Nato- Goldman Sachs per la soluzione finale in Italia.
COMUNICATO RETE NO WAR, con preghiera di diffusione
lunedì 16 aprile un gruppo di militanti della rete NO WAR è stato identificato e allontanato dalla Polizia mentre protestava all'ingresso della palazzina di Villa Doria Pamphili a Roma, al cui interno il presidente del consiglio Mario Monti stava ricevendo con tutti gli onori l'emiro del Qatar, monarca di uno staterello petrolifero feudale e mediovale, dove i diritti civili non sono garantiti.
L'emiro del Qatar, servendosi della rete televisiva Al Jazeera da lui controllata, ha contribuito in maniera decisiva alla campagna di disinformazione che è servita a giustificare l'attacco della NATO alla Libia, cui il Qatar ha direttamente partecipato con aerei, ed istruttori e finanziamenti ai ribelli.
Oggi il Qatar, insieme ad altre petromonarchie feudali e mediovali, com l'Arabia Saudita, sta svolgendo lo stesso copione in Siria, sia attraverso una nuova campagna di disinformazione, sia armando e sostenedo le bande di mercenari ed integralisti islamici che tentano di destabilizzare con la violenza il governo laico e repubblicano della Siria.
Siria: No ad un’altra Libia
Noi, presenti all’Assemblea contro la guerra alla Siria, tenutasi a Napoli, a Palazzo Giusso, il 19 marzo 2012:
· di fronte alla forsennata campagna condotta dai mass media tendente a presentare come “inevitabile ed umanitario” un imminente intervento contro la Siria;
· di fronte al grave riconoscimento, da parte del governo italiano e dell’Unione Europea, del Consiglio Nazionale Siriano, che invoca l’intervento armato dell’occidente, quale “unico e legittimo rappresentante del popolo siriano”;
· di fronte allo scatenarsi in Siria di scontri armati in cui la gran parte dei rivoltosi (il sedicente Esercito libero siriano ) sono pilotati, finanziati ed armati dall’Occidente e che, oltre a seminare lutti e distruzione, ostacolano una efficace lotta per un cambiamento non subordinato agli interessi occidentali e all’islamismo reazionario;
· di fronte alla imminente aggressione che il nostro Paese si appresta a scatenare contro la Siria, anche con l’acquisizione di nuovi armamenti;
· di fronte all’identico scenario che si profila per l’Iran, dove dopo aver tentato la carta della rivoluzione verde, ci si prepara – con Israele come ariete – a giustificare un bombardamento con i presunti pericoli derivanti dal programma nucleare iraniano
· di fronte al silenzio complice delle “democrazie” occidentali sulla repressione compiuta dai loro alleati (Arabia Saudita, Bahrein) contro le rivolte di quei paesi e a quella israeliana nei confronti dei palestinesi
· di fronte alla repressione della persistente mobilitazione espressa dal coraggioso popolo egiziano nella totale indifferenza di quelle stesse potenze.
Riteniamo non più rinviabile la presa di parola dei pacifisti italiani. L’assenza di opposizione e di mobilitazione contro l’intervento armato in Libia da parte del movimento, che in alcuni casi è diventata, in nome della difesa di una presunta primavera libica, uno schieramento netto a favore dei bombardamenti NATO, è stata pagata con morti e distruzione proprio dal popolo libico, ancora oggi vittima dei massacri portati avanti dagli ascari arrivati al potere grazie ai bombardamenti della NATO. Ma è stata ed è pagata dai lavoratori, dai precari, dalle donne dei paesi aggressori, Italia in primis, con il rafforzamento dei governi, le politiche di tagli e sacrifici nel mentre crescono a dismisura le spese militari.
Gli effetti di un’aggressione alla Siria ed all’Iran sarebbero ancora più devastanti. Non possiamo permetterlo. E’ ora di ridiscendere in campo ed opporsi fermamente a questa escalation con cui i governi, a partire dal nostro, stanno ridisegnando la spartizione del pianeta per tentare di uscire dalla crisi.
Per questo chiamiamo i sinceri pacifisti, gli attivisti, quanti si oppongono alle politiche del governo Monti e quanti sono schierati al fianco dei popoli oppressi dall’imperialismo, a indire un’assemblea nazionale da tenersi a Napoli il 28 aprile, da cui far scaturire prime iniziative di mobilitazione contro l’intervento in Siria ed Iran. Tra queste, sin da adesso, proponiamo la convocazione di presidi da tenere davanti alle basi NATO ed italiane e alle sedi governative.
Invitiamo i singoli e i collettivi che lo condividono, ad aderire a quest’appello e a diffonderlo.
ASSEMBLEA NO WAR NAPOLI
I nostri avversari sono gli avversari dell'umanità.
Non è vero che abbiano ragione dal loro punto di vista:
il torto sta nel loro punto di vista.
Forse è inevitabile che siano così, ma non è
necessario che esistano.
E' comprensibile che si difendano, ma essi difendono
predatori e privilegi, e comprendere in questo caso
non deve significare perdonare.
Colui che è lupo fra gli Uomini, non è uomo, ma lupo.
Oggi che dalla semplice legittima difesa di masse enormi
stiamo passando alla battaglia finale
per il potere supremo,
"bontà" significa distruzione di coloro che impediscono la bontà.
Bertolt Brecht
Anche in Italia, la feccia antisiriana dimostra chi sono.
I SIRIANI ALL'ESTERO VITTIMA DEGLI OPPOSITORI
Subito dopo l'estate tutti i giornali europei si premuravano a diffondere il rapporto di Amnesty International sui “Siriani all'estero vittima delle loro ambasciate”, salvo poi, ancora una volta, dimenticarsi di dare un piccolo spazio alle pronte smentite giunte dai diretti interessati.
Quello che, invece, nessun media si è curato di far presente è che in Italia da tempo si può assistere alla situazione contraria: ovvero sono i sostenitori del governo ad essere preda di minacce e ingiurie da parte degli oppositori del regime.
Il primo esempio, in questo senso, risale al 6 luglio quando un bar di Cologno Monzese è stato semi-distrutto da un gruppo composto da una ventina di persone guidate da esponenti dell'opposizione, che già da tempo minacciavano i proprietari colpevoli di essersi recati, proprio la sera stessa, a una manifestazione a sostegno del presidente Al-Assad e del suo programma di riforme contro ogni ingerenza straniera. I due siriani cristiani, oltre agli ingenti danni morali e economici, sono stati pesantemente malmenati dal gruppo e uno dei due ha riportato ben undici punti di sutura alla nuca. Colpito anche un altro amico siriano alawita che li accompagnava e che ha rimediato anche l'auto distrutta.
E' bene ricordare che quel locale, fino a pochi mesi prima (prima che in Siria scoppiasse quella che molti si ostinano a definire "primavera") era un punto di ritrovo per l'intera comunità siriana che conviveva, in Italia esattamente come in Siria, senza screzi.
Dopo un periodo di calma apparente, durante il quale il gruppo di oppositori si limitava a frecciatine, più o meno velate minacce durante le manifestazioni di piazza o sulla rete, la situazione è andata acuendosi nelle ultime settimane e si è palesata in due nuove spregevoli aggressioni. La prima risale alla sera del 25 febbraio quando un gruppo di cinque persone si è recato sotto casa di un sostenitore del governo "colpevole", dal loro punto di vista, di essere sunnita e non appartenere alle fila degli oppositori e, con un tranello, lo hanno invitato a scendere e tentato di aggredire armati di manganelli e coltelli; non riuscendo a colpire la vittima predestinata - che fortunatamente è riuscita a riparare in casa per tempo - si sono sfogati sulla sua auto (mezzo che, come gli aggressori ben sapevano, gli è fondamentale per poter lavorare) distruggendone i vetri, ammaccando la carrozzeria e tagliando tutte e quattro le gomme. Non contenti il giorno seguente lo hanno nuovamente minacciato al telefono, dicendogli che sarebbero tornati quella sera per finire quanto avevano lasciato in sospeso.
A un altro ragazzo, sempre in prima fila nelle manifestazioni pro-governo, è stato riservato un altro trattamento: invece di prendersela direttamente con lui, cercano di convincere il responsabile del luogo di lavoro che se non lo licenzia ne subirà le conseguenze.
Il secondo atto, invece, si è consumato nuovamente di fronte al locale di Cologno Monzese, questa volta a farne le spese è stato un siriano alawita (tengo a precisare ogni volta l'appartenenza religiosa non perché i siriani ci tengano particolarmente, ma solo perché da quando è scoppiato questo caos per una parte dell'opposizione il credo sembra essere diventato fondamentale), promotore delle manifestazioni nel nord Italia a sostegno del governo di Assad. Dopo le bestemmie religiose e le pesanti minacce, un gruppo - che in questo caso si è trasformato in vero e proprio branco - di una cinquantina di individui ha cercato di attaccarlo, provvidenziale è stata la possibilità di rifugiarsi nel bar fino all'intervento delle forze dell'ordine. Ne sono seguite ulteriori minacce personali e a tutti i partecipanti - siriani - delle manifestazioni milanesi contro la rivolta ("Non organizzate altre manifestazioni a Milano, altrimenti, a chiunque parteciperà, noi taglieremo le gambe", è stato dichiarato al telefono).
Aggressioni vili ed agghiaccianti, soprattutto se si pensa che a perpetrarle sono state le stesse persone che si ergono continuamente a difesa dei vessilli di libertà e democrazia.
Un caso che, benché non ritenuto degno di nota da parte dei media "embedded" (forse perché troppo in contrasto con l'immagine che l'opinione pubblica si è creata sulla Siria), costituisce di certo un buon esempio che deve far riflettere sulla vera natura che si nasconde sotto questa rivolta e alcuni - molti - dei suoi esponenti.
E, purtroppo, casi non isolati: moltissimi, infatti, sono gli esempi di siriani che, dopo aver preso parte a manifestazioni filogovernative ed essersi esposti personalmente senza paura di esprimere il loro punto di vista, sono poi stati minacciati o aggrediti telefonicamente o via web da questi “pacifici e democratici” esponenti della corrente opposta.
Ma questi casi, chissà come mai, non interessano le grandi associazioni che operano per la difesa dei diritti, le istituzioni e i media che operano nel nostro territorio. Peccato, perché potrebbero aiutare ad aprire nuovi spiragli per analizzare in modo più completo e oggettivo la crisi siriana, o, forse, è proprio questo che si sta cercando di evitare?
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Note sui recenti attacchi dell'esercito etiope in territorio eritreo
Mattia Gatti
Alcune agenzie hanno riportato in questi giorni i comunicati con cui il governo etiope ha rivendicato attacchi militari in territorio eritreo, “contro basi terroristiche”; si tratta delle prime azioni militari compiute dopo la fine della drammatica guerra svoltasi 1998 e il 2000.
Gli eritrei sono stati accusati di essere responsabili di azioni avvenute in territorio etiope; in particolare lo scorso gennaio nella regione dell'Afar sarebbero stati uccisi cinque turisti europei e ne sarebbero stati rapiti altri quattro; si noti come la stampa, nonostante la confusione con cui è stata data la notizia (tanto che inizialmente era citato un italiano tra i turisti uccisi) non ha esitato a riportare la versione etiope dei fatti senza sentire la necessità di verificarla.
[2]L'Eritrea ha sempre risolutamente negato qualunque appoggio a gruppi terroristici e ha accusato l'illegittimità (peraltro evidente) degli attacchi compiuti dall'esercito etiope, ma ha anche affermato la volontà di non voler reagire trascinando l'intera regione in una guerra
.
I mezzi di informazione si sono occupati dell'Eritrea e delle controversie con l'Etiopia poco e male negli ultimi anni spesso dando origine a vere e proprie mistificazioni che tendono a confondere aggredito e aggressore
; mi pare quindi opportuno provare a fornire al lettore alcune notizie ed alcuni dati che possano aiutare a comprendere meglio le origini del conflitto e più in generale la situazione del corno d'Africa.
Come si è conclusa la guerra tra Etiopia ed Eritrea del 1998-2000
Nel 1998 l'esercito etiopico è penetrato in Eritrea compiendo brutalità e distruzioni assolutamente ingiustificate sui civili. Ne è seguita una sanguinosa guerra che si è conclusa in seguito agli accordi di Algeri (18 giugno 2000), questi prevedevano tra l'altro la formazione di una commissione per provvedere alla definizione della demarcazione del confine (Eebc - Eritrea and Ethiopia Boundary Commission) sulla base di alcuni trattati coloniali.
La decisione di questa commissione si concretizzò nel marzo del 2003, sancendo il diritto di appartenenza eritrea sul villaggio di Badme, la cui gestione era stata alla base dell’ultima guerra.
L’Etiopia ha però sempre rifiutato di accettare questa decisione ed ha continuato ad occupare alcuni territori che avrebbe dovuto restituire senza peraltro subire nessuna sanzione da parte degli organismi internazionali.
Le sanzioni internazionali (contro l'Eritrea)
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel dicembre 2009 (con l'astensione della Cina[5] e il voto contrario della Libia) ed ancora nel dicembre 2011 (con l'astensione di Cina e Russia) ha approvato due risoluzioni che prevedono sanzioni contro l'Eritrea: in particolare un embargo sulla vendita di armi e di qualsiasi tipo di equipaggiamento militare e il congelamento di fondi, di azioni finanziarie e di risorse economiche all’estero, di alcune individualità eritree da designare da una apposita commissione che però non è mai stata in grado di definire alcunché. Le motivazioni addotte a giustificare le sanzioni sono incentrate sul presunto sostegno economico e militare del governo di Asmara ai gruppi di opposizione armata al Governo federale di transizione somalo; non è stata però fornita alcuna prova che dimostri la reale consistenza di queste accuse.
Alcune fonti anzi dimostrerebbero proprio il contrario tanto che l'ambasciatore statunitense in Etiopia mentre in pubblico gli USA sostenevano l'accusa in documenti top secret, come è emerso dalla pubblicazione dei file in Wikileaks, dichiarava che “il ruolo giocato dall'Eritrea in Somalia è probabilmente insignificante ”(Wikileaks file "Ogaden; Counterinsurgency Operations Hitting a Wall, Part 2. sect. 7.). Di sicuro in ogni caso le armi in Somalia provengono quasi totalmente dagli Stati Uniti e dagli altri paesi occidentali: donate al governo di transizione somalo e rivendute nel mercato nero ad ogni fazione in lotta. [6] In merito alla questione somala su cui ritornerò in conclusione è utile da subito sottolineare anche il reale e dimostrato interesse del governo eritreo che da anni propone soluzioni diverse da quelle, ad oggi come è evidente fallimentari, messe in atto dalla cosiddetta comunità internazionale.
In particolare, secondo gli eritrei, è necessario dare vita ad “un processo politico che non dovrebbe escludere alcuna formazione somala o gruppo che volesse partecipare al processo (...) l'obiettivo finale del processo politico dovrebbe essere la ricostituzione della Somalia e la costituzione di un governo effettivo e sovrano che difenda gli interessi del popolo somalo”[7].
Eritrea e terrorismo
Come abbiamo visto gli eritrei sono accusati di essere promotori di azioni terroristiche o di dare appoggio a presunti terroristi e il governo etiope utilizza questo pretesto per giustificare la sua politica di aggressione nei confronti dello stato vicino.
Anche in questo caso però è opportuno ricordare ancora una volta l'assenza totale di prove in questo senso ed anzi l'emergere di documenti che dimostrerebbero il contrario.
Il 16 settembre 2006 in seguito a un attentato avvenuto ad Addis Abeba (dove esplosero 3 ordigni) il governo etiope ha accusato il Fronte di Liberazione Oromo e soprattutto il governo eritreo, esattamente come nel recente attacco contrio i turisti.
Dalla lettura di altre fonti (anche in questo caso i file emersi con wikileaks) emerge però una realtà del tutto diversa secondo la quale l'ipotesi più probabile è che l'azione sia stata eseguita direttamente dalle forze di sicurezza etiopi al fine di accusare gli oppositori interni e l'Eritrea
.
Può essere utile citare in questa sezione anche un altro caso di natura del tutto differente.
Il 23 dicembre 2010 quattro cittadini britannici sono stati arrestati dagli eritrei; la loro nave (dotata di sistemi d'arma tra cui fucili da cecchino) è stata intercettata dopo una sosta nella costa eritrea e all'interno sono stati trovati fucili, pistole, dispositivi GPS, giubbotti antiproiettile e telefoni satellitari. In seguito gli inglesi, di cui due erano ex Royal Marines, hanno sostenuto di essere parte di una società che fornisce scorte armate in funzione antipirateria alle navi che transitano nel Mar Rosso e di essere sbarcati in Eritrea non volontariamente ma in seguito ad un guasto
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Indipendentemente dai dubbi che permangono su questa vicenda è opportuno porsi una domanda: come definiremmo una pattuglia armata in questo modo se fosse intercettata nelle vicinanze della costa inglese o di quella italiana? La verità è che i terroristi non sono quasi mai dove la stampa occidentale vorrebbe farceli trovare.
Chi destabilizza la regione del Corno d'Africa in realtà
L'accusa più ricorrente e che in qualche modo comprende le “imputazioni” di cui abbiamo trattato nei paragrafi precedenti è quella secondo cui l'Eritrea sarebbe fonte di costante instabilità nell'area del Corno d'Africa.
Quella che emerge anche senza l'approfondimento che sarebbe necessario in una situazione così complessa ma con un semplice sguardo di insieme è però ancora una volta una storia del tutto diversa; bastino per ora due brevi considerazioni.
Innanzitutto è evidente che l'intervento occidentale (ed i costanti e ripetuti interventi di stati africani, l'Etiopia in particolare su diretto mandato e dietro copioso finanziamento degli Stati Uniti) non ha oggettivamente aiutato la stabilità, se così non fosse, dato anche quanto è stato investito economicamente, la Somalia non sarebbe nella drammatica condizione di totale ingovernabilità in cui versa dal 1990. Io concordo con chi è giunto alla conclusione che in realtà gli Stati Uniti dopo il fallimento dell'operazione “Restore Hope”nel 1992 non vogliano affatto stabilizzare la Somalia (e di conseguenza il Corno d'Africa) ma che anzi siano interessati a mantenerla nel caos per impedire ai concorrenti di negoziare vantaggiosamente con uno stato somalo ricco e potente
ed inoltre per poter dispiegare la flotta NATO nell'Oceano Indiano con il pretesto di combattere la pirateria.La seconda considerazione riguarda invece l'Eritrea stessa; nel momento in cui la si accusa di essere fattore di instabilità si rimuove infatti una verità che dovrebbe essere evidente a chiunque si sforzi di essere oggettivo nella sua analisi: l'Eritrea è il paese decisamente più stabile della regione.
In Eritrea si è sviluppata una convivenza pacifica tra le varie etnie e religioni, come sappiamo questo non è un dato scontato, se dunque si vuole preservare la stabilità nel Corno d'Africa il primo passo dovrebbe essere quello di garantire il diritto all'integrità territoriale, all'autodeterminazione e alla pace del popolo eritreo.
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Tra alcune farloccate, anche gravi, Beppe Grillo è tra i politici su piazza l’unico che dica queste cose. E non si potevano dire meglio.
Nella canzone "O bella ciao" la prima strofa recita " Una mattina mi son svegliato/ o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!/ Una mattina mi son svegliato/ e ho trovato l'invasor". In questa canzone, bellissima e disperata, c'era la consapevolezza di aver perso la libertà e di volerla riconquistare a qualunque costo. Quella consapevolezza che manca ora e che ci sta trascinando verso una dittatura di fatto. Siamo stati governati da un Parlamento di nominati dal 2006, prima di essere oggi governati dal Nominato Unico, Rigor Montis, primo caso nella storia delle democrazie di un tizio divenuto senatore a vita e candidato premier in una notte. Di fronte alla scelta "Mercato o democrazia?" abbiamo optato per il Mercato. L'emergenza pretende scelte forti e condivise per il bene della nazione insieme a cittadini disinformati. E noi, che, seppur con qualche aiuto esterno, ci siamo liberati del fascismo, abbiamo abdicato alla nostra libertà per paura dello spread.
Barattare la democrazia per lo spread è qualcosa in cui si perde la ragione umana. Eppure ci siamo riusciti e ne siamo pure fieri. E' l'Italia dei nuovi cortigiani delle corti di Parigi e di Berlino, del Vaticano e del Quirinale. "Il cortigiano ha la testa di vetro, i capelli d'oro, le mani di pece greca, il corpo di gesso, il cuore per metà di ferro e per metà di fango, i piedi di paglia, il sangue una miscela di acqua e di argento vivo".
Siamo un popolo che tiene famiglia, ma anche Btp. "Come si fa a non diventare dittatori in un paese di servi?" disse Benito Mussolini. Rigor Montis è diventato dittatore suo malgrado, è un dittatore inconsapevole. Un tecnico venuto dallo spazio profondo della Goldman Sachs che opera scelte politiche epocali come la revisione dell'articolo 18 aprendo di fatto la possibilità di licenziare nel settore pubblico e per le grandi imprese. E tutto va bene madama la marchesa. Ci stiamo vendendo l'anima del nostro Stato (che altro è infatti la democrazia?) per non fallire. Così almeno ci raccontano mentre falliamo. Hanno creato la Grande Emergenza per attuare la Dittatura Diretta senza referendum, leggi popolari e rappresentanti scelti dai cittadini. Gli spazi di democrazia sono azzerati. Senza un nuovo Risorgimento ci aspetta un Nuovo Fascismo (o forse c'è già?). Loro non si arrenderanno mai. Noi neppure.