Jorge Mario Bergoglio, oggi
Francesco, ha inviato un appello-protesta. A Trump? A Mohamed bin Salman? A
Netaniahu? A Erdogan? No, a Bashar el
Assad.
Siria, ce ne fossero
Da otto anni la Siria, Stato libero,
laico, di impronta socialista, multinazionale e multiconfessionale, baluardo
arabo della decolonizzazione, della resistenza alle aggressioni e ai complotti
da vicino e lontano, del sostegno alla lotta di liberazione dei palestinesi e
dei popoli arabi, della solidarietà ai paesi che si oppongono all’imperialismo,
è sotto attacco da parte di una coalizione internazionale che vanta il più
grande potere militare, economico e finanziario del mondo. Da otto anni, con
l’appoggio dell’Iran e di Hezbollah e quello prezioso, ma piuttosto selettivo,
della Russia, il popolo siriano subisce il terrorismo di bande di mercenari
jihadisti reclutate, istruite, armate e pagate da Usa, Nato, Israele, monarchie
del Golfo, Turchia e la devastazione umana e materiale di bombardamenti Usa,
Nato e israeliani, contro i quali non dispone di quelle difese che la Russia
avrebbe potuto e dovuto fornirle, come le ha fornite alla Turchia, all’India
che martirizza il Kashmir e ad altri paesi.
Da otto anni, incredibilmente, il
popolo, l’esercito, le forze popolari siriane stanno sostenendo questa
aggressione di potenze infinitamente superiori, a costo di inenarrabili
sacrifici, perdite, sofferenze, dando al mondo degli oppressi, aggrediti,
offesi e sfruttati un esempio di eroismo e una prospettiva di vittoria. Già per
questo può vantare vittoria contro un vero e proprio asse del male. Vittoria
alla quale ora non manca che la liberazione degli ultimi territori invasi e
occupati dal nemico: la provincia di Idlib, santuario del terrorismo
internazionale espulso dal resto della Siria, protetto dall’esercito e dalle armi
di Erdogan, e il Nord-Est, un terzo del territorio nazionale, in Occidente
chiamato Rojava. Costellato da basi militari Usa, è l’area delle più ricche risorse petrolifere
ed agricole siriane, occupata e pulita etnicamente, con l’aiuto e le armi
statunitensi, britanniche e francesi, da mercenari curdi sostenuti da Israele,
Arabia Saudita ed Emirati. A nessuno è possibile contestare questa realtà dei
fatti.
Bergoglio, amici e nemici
Nel momento in cui l’Esercito Arabo
Siriano, superando le trappole delle ripetute tregue e smilitarizzazioni
concordate tra Putin ed Erdogan (ricettore di modernissimi sistemi S-400 e
cacciabombardieri russi), mai osservate dalle bande terroriste Isis e Al Qaida
e, anzi, utilizzate dai turchi per rafforzarle con uomini e mezzi, ha
rilanciato la sua offensiva per liberare Idlib, con l’aiuto dell’aviazione
russa, s’è levata alta e forte la voce del papa. Quel papa che ieri era capo
gesuita in convivenza-connivenza con la dittatura argentina (vedi i documenti
esibiti dal giornalista Horacio Verbitsky, considerato il Pulitzer
dell’Argentina).
Letti e assimilati i rapporti di
Amnesty International, succursale del Dipartimento di Stato Usa per la
demonizzazione dei nemici dell’establishment imperialista, Bergoglio ha
indirizzato al presidente siriano un’invettiva mascherata da appello
umanitario. Lo ha invitato a smetterla di fare la guerra, di imprigionare,
torturare,far sparire e maltrattare oppositori politici, di praticare
esecuzioni extragiudiziali, insomma di seviziare il suo popolo e di commettere
crimini contro l’umanità.
Nel frattempo, molto soddisfatti, i
mercenari jihadisti degli occidentali fedeli al papa, scotennavano,
scarnificavano, bruciavano, crocifiggevano, annegavano in gabbie, facevano a
pezzi il decimillesimo infedele siriano e forzavano in sposa a tempo la
ventimillesima infedele siriana. E ne diffondevano ovunque le immagini. Forse
in Vaticano non sono arrivate. O forse sì. Contemporaneamente il
decimilionesimo siriano con moglie e figli, scampato ad Assad, a chi sennò?,
veniva messo a Misurata su un gommone per l’appuntamento con la nave Ong che lo
avrebbe traghettato verso i campi elisi del foggiano o casertano.
https://youtu.be/H3C_2Fb9SXc video siriano su Idlib
Idlib, non solo
Questo il preludio bianco,
cristiano, occidentale a quanto sta avvenendo in Siria. Sulla quale i moniti
zannuti del pontefice si sono abbattuti, guarda la coincidenza!, proprio nei
giorni in cui, subita dall’accozzaglia jihadista concentrata in Idlib (Hayat Tahrir al-Sham) l’ennesima
provocazione terrorista contro le popolazioni di Hama e Aleppo, l’Esercito
Arabo Siriano si era mosso alla riconquista di questo terzultimo territorio nazionale
ancora in mano al nemico, a partire dalla liberazione di Khan Shaikhoun, città
strategica nel sud della provincia. La nostra occhiuta stampa parla
dell’”ultimo lembo di Siria” non ancora ripreso dal regime”, occhiutamente
sorvolando sul terzo di Siria, oltre l’Eufrate, in mano agli Usa e alla loro
fanteria curda, che dunque sancirebbe l’auspicato squartamento del paese, come
anche su Al Tanf, base Usa zeppa di terroristi nel sud est, al confine con
Giordania e Iraq. Ultimissime ci dicono che, ancora una volta su
raccomandazione russa, Damasco, dopo aver liberato vaste aree di Idlib, avrebbe
proclamato un nuovo cessate il fuoco. In cambio Erdogan avrebbe promesso a
Mosca di disarmare e sciogliere Tahrir Al Sham. Cosa consiglia il saggio?
Fidarsi è bene…..
Il fronte dell’aggressione, sconfitto in Siria, si
allarga
La vox populi, specie quella che segue le epifanie dell’uomo bianco
alla finestra dell’Angelus, molto in alto,
molto vicino al Signore, e ne assorbe e perpetua le infallibili verità ex cathedra e anche non ex cathedra, ora può ripetere che Assad
è un bruto che, come Saddam, Gheddafi, Milosevic, Maduro, Putin, considera sua
missione distruggere il popolo cui appartiene, che lo ha eletto e lo sostiene.
Non sa, perché non gli è piovuto giù dall’Angelus, che Israele nelle ultime
settimane ha bombardato ripetutamente la Siria, il Libano e ora anche l’Iraq,
avendocela con l’Iran che non bombarda nessuno, e con i suoi amici di Hezbollah
libanesi e delle Unità di Mobilitazione Popolare irachene, milizie che hanno
molto infastidito quelli del Nuovo Ordine Mediorientale per aver sconfitto la
loro creatura, il califfato Isis. E
neppure sa che una coraggiosa candidata alla presidenza degli Stati Uniti,
Tulsi Gabbard, ha incontrato Assad, quasi fosse un essere umano, si è rifiutata
in tv di definirlo “criminale di guerra” e ne ha confermato l’accusa che a
commettere l’attacco chimico di Ghouta sono stati i jihadisti. Per tutti i
media degli Usa, Tulsi è ovviamente una traditrice della patria al soldo di
Putin.
.
La quadruplice Usa-curdi-sauditi-Israele
Attivo su molti fronti, dove può
agire contro chi non ha modo di difendersi, Israele non si è lasciato fuggire
l’occasione dell’ennesimo venerdì di Gaza, nei 17 mesi della “Grande Marcia del
Ritorno”, per arrotondare a 306 i morti palestinesi e a quasi 8000 i feriti e
mutilati, tutti inermi. Il che non ha impedito alle élites del Golfo di
celebrare gli attacchi israeliani a ben tre paesi arabi, con Khalid al Khalifa,
ministro degli esteri del Bahrein, paese noto per il genocidio dei suoi sciti, che
li onora in quanto “autodifesa”. Fa scandalo? Non dovrebbe, visto che ormai
l’alleanza Israele-satrapi del Golfo,
nel segno della modernità e della democrazia, è pienamente funzionante, fin dal
comune impegno a supporto del terrorismo jihadista in Siria e Iraq.
Rojava: siamo a disposizione
Scandalo, scandalissimo, dovrebbe
menare, invece, tra i nostri fautori della pulizia etnica che i curdi menano in
Siria, facendola passare per democratica, federale, femminista, antipatriarcale,
LGBTQ ed ecologica, quanto scoperto dall’intelligence irachena, non smentito da
Israele e confermato da David Hearst, uno dei più autorevoli giornalisti
britannici.
I cinque raid di droni israeliani di fine agosto sulla
regione irachena di Anbar sono stati lanciati da una base curda gestita da
personale israeliano in territorio siriano occupato dalle Syrian Democratic Forces (etichetta che cerca di mimetizzare
l’invasione-occupazione curdo-statunitense del nord-est siriano). Israele è
troppo distante per colpire con droni l’Iraq. E’ dal luglio scorso che da
quella base partono attacchi contro depositi e convogli delle Unità di
Mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi).
L’iniziativa di utilizzare quelle basi per colpire i combattenti anti-Isis
iracheni va fatta risalire al ministro saudita per gli affari del Golfo, Thamer
al Sabhan, che nel giugno scorso ha ripetutamente visitato la zona e fornito ai
curdi sostanziosi aiuti finanziari. Da queste edificanti evoluzioni dei curdi
si comprende il perchè di tanta simpatia del “manifesto”, del “Fatto
Quotidiano”, dei trotzkisti tutti e di tutti gli atlantisti.
Putin funambolo tra Ankara, Tel Aviv e Damasco
Su questo Mosca, ancora una volta,
non ha obiettato niente e tantomeno ha fornito a Siria, o Iraq, o Libano, gli
strumenti antiaerei che toglierebbero agli israeliani di colpo la voglia di
fare incursioni. Segno di qualcosa di non esplicitato nei rapporti tra Russia e
Israele e nemmeno tra Mosca e Ankara. Parrebbe, infatti, che Erdogan, acquirente
di costosi armamenti russi e promotore del gasdotto East Stream dal Caspio al
Mediterraneo, può concordare con gli Usa, ai danni dell’integrità territoriale
siriana, la famosa “fascia di sicurezza” lungo tutto il confine e che penetra
in Siria per 30 km almeno. Rinnovato consolidamento del ruolo della Turchia nella Nato, a dispetto dello
spesso approssimativo prof. Chossudovsky che si era precipitato a dichiararne
la fuoruscita. Alleanze e competizioni restano, in Medioriente, variabili non
meno di quelle che certe forze anti-sistema da noi praticano a vantaggio del sistema.
Succede quando ideologia e morale sono considerate pochettes da mettere o non mettere.
Invece notevole è la soddisfazione a
Washington, senza il semaforo verde della quale è probabile che Israele non
avrebbe esteso a tal punto il raggio del suo intervento bellico.
C’è chi vince anche in Iraq
Anche perché da quelle parti si
sentiva la necessità che a Baghdad venisse impartita una lezione. Non tanto al morbido
primo ministro Adel Abdul-Mahdi, o al suo rivale Moqtada al Sadr, l’ambiguo
chierico, vincitore delle ultime elezioni in alleanza con i “comunisti”, che
più che a Tehran guarda a Riad. Piuttosto a un’opinione pubblica che non
sopporta la presenza e il diktat geopolitico degli Usa e vede espressa nelle
Unità di Mobilitazione Popolare (UMP), a maggioranza scita, ma con forte
presenza sunnita, veri vincitori del califfato e contenitori dell’espansionismo
curdo, la propria rivendicazione di sovranità e indipendenza e la preferenza
per l’alleanza con l’Iran. Gli innumerevoli episodi di sabotaggio dei militari
Usa nei confronti della lotta antijiadista dell’esercito iracheno e delle UMP,
di sostegno all’Isis attraverso lanci di rifornimenti ed evacuazioni di
miliziani da situazioni compromesse (come successo anche in Siria, a Raqqa), hanno
chiarito agli iracheni chi sarebbero i loro protettori.
Il nervosismo dei pirati israeliani,
osservato dai russi in imbarazzato silenzio (potenza degli oligarchi ebrei di
Mosca, o del milione di esuli russi in Israele?), è determinato da una serie di
contraccolpi. Al di là dello sbattere di sciabole nel Golfo e dei colpi
assestati ai sostenitori della cosiddetta Mezzaluna scita, la guerra all’Iran
non la vuole e può fare nessuno. Israele e gli Usa sanno bombardare, ma sul
terreno, con a disposizione solo mercenari pagati ma demotivati, quando non si
tratti di ragazzi che tirano sassi, valgono poco. La Siria, già solo per essere
ancora lì dopo 8 anni contro mezzo mondo, è vincente e ora si riprende anche
Idlib. I curdi, screditati in tutto il mondo onesto, hanno fatto il passo più
lungo della gamba e sopravvivono grazie a potenze che tutti intorno a loro odiano.
L’Iraq, sebbene ancora fragile, sotto ipoteca americana ed esposto a colpi di
coda terroristici, ha battuto da solo il progetto di frantumazione basato sul
califfato e sui curdi. Pur nella debolezza di un paese dalle infrastrutture distrutte,
dalla ricostruzione impedita, dalla presenza di almeno 8000 militari Usa
(probabilmente il doppio), le vittorie conseguite, l’avere a fianco una nazione
come l’Iran, la consapevolezza del nemico hanno creato nel popolo forti
anticorpi contro i colonizzatori.
Yemen,
resistenza nazionale e disintegrazione della coalizione nemica
E poi, sempre nel quadro
dell’aggressione all’Iran e al suo fronte allargato, fallisce totalmente, nella
disintegrazione della coalizione a guida saudita, l’attacco allo Yemen, altro
paese raso al suolo, vittima di incredibili crimini di guerra e contro
l’umanità, a partire dai bombardamenti Usa-Sauditi sui civili e dal blocco
navale ai rifornimenti alimentari e sanitari, con una popolazione affamata e in preda al
colera. Gli Houthi, da decenni protagonisti della resistenza nazionale contro
gli incessanti tentativi di annessione dei sauditi, non hanno perso terreno,
controllano quasi per intero lo Yemen del Nord, colpiscono in profondità, fino
alla capitale saudita Riad, le infrastrutture e le basi militari del nemico. La
guerra lanciata dall’improvvido erede al trono, Mohammed bin Salman, quello
dell’assassinio di Khashoggi, e coperta da cielo e mare dagli Usa, è persa. Il
Sud è scena della spaccatura dell’alleanza sauditi-Emirati, con i satrapi che
si precipitano l’uno alla gola dell’altro. Il Qatar dei Fratelli Musulmani al
bando da tempo.Il Kuwait per i fatti suoi. L’Oman idem. E ora gli Emirati Arabi
Uniti in rottura addirittura bellica con i sauditi, con una gara tra i due per
chi si assicura spazi e controlli geopolitici nella regione, dalla Somalia
all’Eritrea, dallo Yemen a tutto lo spazio tra Golfo e Mar Rosso.
Davanti agli uomini del Pentagono e
della Cia, disorientati circa chi sostenere, si frantuma l’alleanza dei feudatari
del Golfo sulla quale era basata gran parte della strategia imperialista e
dalla quale dipendevano gli obiettivi della riorganizzazione del Medioriente. Con lo
Yemen del Nord, cuore storico e culturale del paese, saldamente in mano agli
Houthi sciti del movimento Ansar Allah, ampiamente maggioranza nel paese, il
Sud ha visto alternarsi nella capitale Aden il governo del fantoccio saudita Abd Rabbih Mansur Hadi e i
mercenari degli Emirati. E’ poi emerso un movimento indipendentista, che non ha
niente a che fare con quello Yemen del Sud marxista che si era liberato del
dominio britannico, ma che punta allo sfruttamento delle risorse di fossili nel
sottosuolo dell’Est e della posizione strategica di Aden sullo stretto di Bab del
Mandeb. Animati dagli stessi propositi e in competizione ormai aperta con i
sauditi, gli Emirati, Abu Dhabi in testa, ai separatisti si sono alleati. Fine
del ruolo saudita nel Sud, del suo proconsole locale e, forse, anche del
Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), sul quale tanto puntavano gli Usa. Seppure
strozzato dalle sanzioni più feroci mai inflitte a un popolo, l’Iran ha motivo
di tirare un respiro di sollievo.
Dopo tanto parafrasare a sproposito,
è il caso di ripetere con Mao “grande è la confusione sotto il cielo, la
situazione è eccellente”. Forse.