domenica 27 agosto 2017

Chi si prende cura degli attentati e della nostra "sicurezza"

Video straordinario su chi fa cosa e perchè.

(Le foto c'entrano poco col contesto. Oppure c'entrano? Non svolgono i curdi in Iraq e Siria lo stesso lavoro per USraele che si propone ai poliziotti addestrati e indottrinati dagli stessi padrini?)

Formidabile, illuminante video che spiega parecchio su quello che è successo a Barcellona e che già ci si è rivelato come ennesima provocazione terroristica di Stato grazie alle clamorose contraddizioni, bugie, invenzioni, delle varie versioni diffuse da Guardia Civil e Mossos. Come si doveva sospettare e come si deve alla luce della cronaca e della storia ragionare, ancora una volta nella fenomenologia c'entra il suo moderno Stato guida: Israele, di cui bene conosciamo la protezione e collaborazione con il terrorismo jihadista in Medioriente. 

Questo video rivela la straordinaria circostanza che la polizia spagnola, Guardia Civil, come quella catalana, Mossos, vengono entrambe addestrate in ISRAELE! Un dato che ci rivela gli obiettivi strategici di questi mercenari di Stato: imparare dallo Stato illegale sionista,massimo esperto di pulizie etniche e di repressione della popolazione sul proprio territorio, le tecniche per reprimere la propria popolazione in caso di manifestazioni e di qualsiasi espressione di subordinazione sociale. E' probabile che quanto Israele insegna ai robocop iberici, lo faccia anche, nella solita discrezione degli Stati canaglia, con altri Stati i cui governi siano inseriti nel progetto della dittatura mondiale dei globalisti, vedi paesi Nato. Giornalisti adddestrati e pagati dalla Cia, forze dell'Ordine addestrate e istruite al terrorismo e alla repressione da Mossad e Israele... annammo bbene!

Intanto l'ennesima psicopatica con le zanne che Washington manda come ambasciatrice all'ONU, Nicky Haley, ha dettato all'ONU un nuovo ordine del giorno USraeliano: trasformare l'UNIFIL, che da 11 anni si interpone in Liibano tra gli aggressori israeliani e i patrioti libanesi, in mercenariato USraeliano contro Hezbollah, di cui deve essere soprattutto stroncato il ruolo determinante svolto nella liberazione della Siria.


venerdì 25 agosto 2017

ERITREA: A botta di chi esegue, controbotta di chi vede. I diritti umani del “manifesto” tappeto rosso per i missili del Pentagono


Commento a Piazza Indipendenza e sugli avvoltoi che vi calano  e mia intervista su Eritrea e dintorni imperialisti allo Studio Del Bianco: https://youtu.be/3zGUdTFOSCA . E’ lunghetta, ma quando ce vo’ ce vo’.

La polpetta avvelenata confezionata da chi ha scatenato la baraonda di Piazza Indipendenza a Roma, con lo sgombero del palazzo abitato da immigrati del Corno d’Africa, etiopi, somali ed eritrei (ma per la stampa solo “eritrei”) e i successivi scontri alimentati da una polizia diretta da un energumeno provocatore e da lanciatori di bombole di gas, sassi e mazze, ha conseguito tutti i risultati ripromessi. Una polpetta-fava e un bello stormo di piccioni presi, come da piano preordinato (poi è a noi che danno del “complottista”). Ne cito i primi che mi vengono in mente. 

L’ordine di sgombero l’ha dato il prefetto passando sopra la testa del Comune, ma è la sindaca Raggi,  5Stelle, che viene crocefissa per “le donne e i bambini lasciati senza tetto, allo sbando, nelle aiuole, sotto gli idranti”. Ordine dunque del governo. Piuttosto di qualche manina del governo che già si era esibita a tirare palline d’inchiostro sulla lucida testa del “ministro-anti-Ong” e affogatore di rifugiati, Minniti. All’insaputa di un Comune preso alla sprovvista e che non ha potuto improvvisare che una soluzione rimediata per una parte degli sfrattati.

Dopo Raggi e Minniti , sullo sfondo a giganteggiare, le infami Procure che si sono azzardate a scoprire magagne nei traffici di esseri umani tra Lagos e Pozzallo, passando per la Grande Armada delle Ong finanziate dal golpista planetario George Soros. Magistrati a busta paga di Salvini che, con tali vergognose montature, hanno fornito a un ministro degli interni, chiaramente xenofobo, razzista e pure un po’ nazista, il pretesto per bloccare coloro i quali sopperiscono agli italiani che non vogliono più fare né figli, né certi lavori di merda.

E siamo a quattro fave e passa. Fava-effetto collaterale è indubbiamente quanto addirittura il vescovo di Rieti, poco tipicamente prete, ha proclamato nell’anniversario del primo terremoto del 2016: siete una manica di incapaci, ciarlatani, ritardatari, traffichini e trafficoni e con voi la ricostruzione non si farà mai. Ho un po’ parafrasato, ma il senso era quello. In ogni caso, le celebrazioni a reti ed edicole unificate sulla rinascita miracolosa di Amatrice, a forza di centri commerciali, palestre, ristoranti e dove un presunto ministro cosmopolita, quello a cui il segretario Renzi intima: “Vai avanti tu, chè a me viene da ridere”,  ha internazionalizzato il tema inaugurando “l’Area Food”, non hanno potuto azzerare lo spettacolo di un regime che, sul prima- e dopo-terremoto, ha dimostrato tutta la sua cialtroneria, inettitudine, protervia.

Altra fava-collaterale, l’oscuramento del fantasmagorico pasticcio spagnolo-catalano su attentati fatti o programmati  da un presunto Imam ,cultore meno dell’Islam quanto del narcotraffico, che, una volta ancora, fa apparire in tutta la sua spaventosa dimensione criminale la matrice vera del terrorismo e i suoi obiettivi di guerra a tutti e ognuno.
Ma  tutte queste favette scompaiono davanti al favone grosso che, poi,  dei cacciatori di piccioni di Piazza Indipendenza era l’esca principale. Dal momento che agli sponsor dello Stato Profondo Usa, quelllo che fa parlare il pappagallo Trump, il genocidio in Yemen, lo sterminio di civili in Iraq, Siria, Afghanistan,  da trasformare in cadaveri sul posto o in fuggitivi, la promessa di obliterazione a Venezuela e Nordcorea, la parata di marines, a bandiera Usa spiegata, a fianco dei nazisti ucraini del battaglione Azov, non danno sufficienti soddisfazioni, ecco che doveva trovarsi un altro paesuccolo impertinente da spiaccicare al muro.

Pensandosi il generale prussiano Bluecher a Waterloo che lancia la sua cavalleria a salvare Wellington dalla quasi sconfitta per mano di Napoleone, la caporale di giornata italica dello Stato Profondo, Norma Rangeri, apre le stalle del suo  “manifesto” e lancia un tiro a tre di somari (infinite scuse al nobilissimo animale) a depositare deiezioni che coprano quanto è opportuno coprire (a partire dalle macerie di terremoto e regime e a finire con i nazionicidi Pentagono e Cia) e che invece facciano emergere quanto conviene far emergere.
E così nell’ampio spazio informativo del “manifesto”, nulla si legge di terremoti, Venezuela, Nordcorea, mentre tantissimo si legge sui migranti all’addiaccio a causa della malvagità di Virginia Raggi  e su quanto il trattamento da loro subito si colleghi a quello scellerato inflitto da Minniti e PM vari  alle Ong  figlie di Soros (che, oltre a pagare quelle, ha versato 50 milioni di dollari nei tascapane del battaglione Azov e suoi camerati quando si trattò di rovesciare il governo legittimo filo-russo). L’asso calato sulle pagine così pregne di eroismo diritto manista è però un altro. Come da ordine di scuderia, l’Eritrea.

Affidandosi alla penna di tale Alessandro Leogrande, che cito tanto per non far nomi di coloro a cui va riconosciuta integrità deontologica e competenza professionale, “il manifesto” infierisce sull’unico paese africano che non accetta né basi Usa, né ricatti FMI e BM, che è autosufficiente e si fida solo di sé, che ha per cardini della propria azione governativa l’ecologia e la giustizia sociale, che non conosce né macrocriminalità, né microcriminalità, che è laico fino all’osso e tiene insieme in fraternità le due grandi religioni, islamica e cristiana, che per liberarsi della dominazione coloniale dei dittatori etiopici sostenuti da Usa, prima, URSS, dopo USA e, infine, di nuovo Usa, che non si piega alle periodiche aggressioni del vicino da 100 milioni di abitanti e dall’armamentario Usa più ricco del continente e che, soprattutto, anti-neoliberisticamente, garantisce a tutti i suoi abitanti istruzione e sanità gratuite. Roba da far accapponare la pelle tanto a Goldman Sachs, quanto Luciana Castellina e Norma Rangeri.

Avendo Barack Obama, il presidente della sette guerre e della licenza di assassinio di massa  extragiudiziario mediante drone, formulato il giudizio definitivo sull’Eritrea, pronunciando questa sentenza: “Corea del Nord e Eritrea sono le due dittature più orribili del mondo”, come poteva esimersi “il manifesto” dal corroborare e rimpinguire il verdetto, come ha fatto con tutti quelli dello stesso presidente, lastricando di buone intenzioni umanitariste tutte le sue mattanze belliche?

Naturalmente un occhiuto analista come Leogrande non ha bisogno di documentarsi sul posto. Che gli è del tutto ignoto. A uno dalla perspicacia come la sua basta ascoltare un paio di rifugiati  e la segretaria (ex-Amnesty!!!) della Commissione d’inchiesta ONU. Una  che ha ascoltato gente solo nella nemica Etiopia e poi è stata sbugiardata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite che ha rigettato il suo cumulo di menzogne. E allora vai con lo scroscio di fandonie che i lustratori di scarponi del Pentagono rigurgitano ogni qual volta quelli sentono l’uzzolo di calpestare qualcosa e qualcuno: “una delle dittature più feroci del mondo… un regime cha  ha privato il suo popolo di ogni libertà civile e politica… che ha imposto il servizio militare obbligatorio e a tempo indeterminato per ogni eritreo uomo o donna che sia (è vero per Israele, non per l’Eritrea), un’immensa caserma-prigione da cui i giovani fuggono in massa… i gulag eritrei dove si praticano le torture imparate dagli italiani… almeno diecimila i prigionieri politici…”

E’ chiaro che al nostro arrivo ad Asmara, nel primo zighinì (l’ottimo piatto nazionale) offertoci ci devono aver siringato una notevole dose di acido lisergico per colmarci di tali traveggole da farci attraversare per due settimane un paese sereno, dove presidenti e ministri circolano tra la folla senza l’ombra di una guardia del corpo, dove non si vede un poliziotto se non quando passa la corsa ciclistica, dove le ragazze girano libere e con jeans incollati a mezzanotte, dove in ogni locale pubblico si può sghignazzare alle balle di CNN, BBC, e Euronews, dove i cafè internet traboccano di ragazzi, dove i soldati hanno tutti meno di vent’anni e dopo si fa anche un po’ di servizio civile per la comunità, dove peraltro si può essere richiamati a difendere la patria perché ogni due per tre gli Usa mandano gli etiopi ad attaccare, dove abbiamo potuto parlare liberamente con bimbetti e vecchietti, studenti e operaie. Dove abbiamo colto l’orgoglio di una nazione che si è liberata e libera intende rimanere.

Stesso trattamento dello zighinì al peyote deve essere capitato a tanti giornalisti che hanno visto, scritto e filmato quello che abbiamo visto, scritto e filmato noi (“Eritrea, una stella nella notte dell’Africa” è il documentario mio). E pure alle numerose delegazioni parlamentari, ricordo quella danese e quella svizzera, che hanno visitato il paese e se ne sono venuti via sbigottiti non da quello che avevano visto, ma da quanto Obama andava blaterando. Gente che di sicuro al ripetitore Leogrande suggerirebbe quello che gli suggerirei io, ma che la mia difettosa pronuncia del romanesco gli risparmia.

Comunque, bravo “il manifesto”, per aver assolto ancora una volta al meglio, con i generosi ragli della sua cavalleria, quanto da Wellington gli veniva chiesto.

P.S. E ancora una volta complimenti anche al comunista Manlio Dinucci  che si pregia di poter raccontare dallo sgabuzzino del “quotidiano comunista” qualche notiziola su dove gli USA manovrano e su dove mettono i loro missili. Fa bene. Vuoi forse dubitare che i suoi trafiletti non sappiano ripulire tutta una foliazione imbrattata come sopra?



giovedì 24 agosto 2017

Una verità sul Venezuela per ripulirci dal menzognificio catalano-spagnolo.



Per uscire dal grottesco psichedelico delle contraddizioni che annegano ogni credibilità delle versioni arruffate e baruffate delle polizie in rissa, spagnola e catalana; per riinfrescarsi un cervello arroventato dall'indignazione per la platealità e impudiciza delle menzogne che sistematicamente vorrebbero offuscare le chiarissime responsabilità dei veri autori di Stato delle stragi; per superare la triste collera per l'assassiniol extragiudiziale, in circostanze del tutto surreali, dell'ennesimo capro espiatorio, un ragazzo, che si aggira demenzialmente da solo (dove sono le famose "cellule"? e per le stesse lande della zona, ancora col furgone presunto delle Ramblas e non poteva essere catturato vivo da un'armata di robocop; per non schiattare di sghignazzi per le 120 bombole di gas e i 400 litri di acetone assemblati senza che nessun occhio della sorveglianza totale di Stato e di contractors se ne accorgesse; per non far paralizzare quanto ci resta di cellule raziocinanti di fronte al fumetto disegnato dai Mossos di un megattentato alle fetenzia metastatica della Sagrada Familia (magari la tirassero giù, ma nel segno di un recupero dell'estetica umana), zompato per esplosione fortuita nella villetta, ma rimpiazzata nel giro di sei ore, da 200 km di distanza, con l'operazioncella Ramblas, eccetera eccetera eccetera, fino alla fine dei tempi e della guerra dell'élite mondialista al/del terrorismo.
Per uscire da questo tritacarne della verità, ecco un succinto, ma efficace, inequivocabile e inconfutabile video sul Venezuela che la Giunta del Generali attorno all'emasculato Trump vorrebbe cancellare dalla carta geografica, salvaguardandone però duecento gaglioffi golpisti e i pozzi di petrolio.

domenica 20 agosto 2017

Il katziatone di Rita Katz: o zitti e buoni, o l’attentatone




ISIS/SITE: tocca a voi!
A proposito dell’annuncio post-Barcellona di un imminente attentato in Italia,  ce ne sono stati altri che minacciavano sfracelli in Vaticano, al Colosseo, la conquista di Roma. Ma stavolta potrebbe essere diverso. Intanto la notizia proviene da fonte autorevole e credibile: il sito SITE di Rita Katz, portavoce e diffusore da anni del jihadismo più efferato, in particolare dell’ISIS, con il quale la collaborazione nella promozione di quel panico che si sa funzionale alle aggressioni belliche e all’instaurazione di regimi di polizia, è stretta e, come provano i risultati, efficacissima. Senza l’istantanea diffusione a dimensione mondiale dei più raccapriccianti video e comunicati, prodotti con la nota perizia professionale dagli studios del mercenariato imperialista, di cui siamo debitori a Rita Katz, titolare del sito SITE, gran parte del messaggio terrorizzante e intimidatorio assegnato ai protagonisti della guerra al e del terrore sarebbe andata persa.

Rita Katz, ufficiale israeliano e portavoce Isis
Non deve stupire, data l’intesa strategica sugli obiettivi, l’amalgama Israele-jihadisti, evidenziato nel concorso israeliano alle operazioni sul campo dell’Isis e di Al Nusra e nel recupero israeliano di combattenti jihadisti curati negli ospedali allestiti sul Golan. Così non può sorprendere che Rita Katz, israeliana ex-ufficiale di Tsahal e da allora e sempre agente  dei servizi israeliani, abbia costruito il meccanismo per il quale ogni azione e ogni parola del terrorismo jihadista entri nel conscio e nel subconscio delle popolazioni di mondi da condizionare. I grandi vecchi della guerra al/del terrorismo, la testa della piovra gigante, hanno in SITE lo strumento indispensabile perchè di ogni iniziativa jihadista non sia perso l’effetto propagandistico: odio per l’Islam e guerre, panico e autorepressione. Piovra che alla periferia, per la penetrazione anche in nicchie potenzialmente refrattarie, si avvale dei formidabili tentacoli della grande informazione internazionale, a partire dal New York Times e, scendendo per li rami, dei tentacoli di seppioline mediatiche come gli organi ripetitori italiani, non escluso l’apporto di meduse tossiche dai peletti urticanti come “il manifesto”.




 Ci si dovrebbe porre una domanda facile facile, ma che nessuno si pone perchè sarebbe un po’ come utilizzare un piede di porco contro la cristalliera: come mai a nessuno è mai venuto in mente di indagare per quali vie un video Isis, tipo che mostra un gruppo di esseri umani chiusi in gabbia, incendiati e poi affogati, sia riprodotto istantaneamente nel canale di Rita Katz. Con chiaro effetto glorificatore. Domanda alla quale potrebbe appaiarsi l’altra, circa una totale apatia, se non accidia, del dotatissimo  apparato investigativo, di sorveglianza, di controllo, sviluppato in occidente con le nuove tecnologie, rispetto a qualche indagine su natura e dislocazione degli avanzatissimi studi e macchinari dai quali escono le perfette produzioni audiovisive dei jihadisti. E siccome le domande, volendo, sono come le ciliege, si potrebbe considerare che l’assenza di queste domande, epocali quanto ne sarebbe la risposta, equivale a quella che per anni, fino all’arrivo dei bombardieri russi, non si è posto l’interrogativo di cosa fossero, da dove venissero, dove andassero (a Haifa) , cosa contenessero, quali profitti generassero e per chi, le colonne di cisterne che viaggiavano alla luce del sole tra pozzi petroliferi di Iraq e Siria sotto occupazione Usa-Isis-curdi, Turchia,  mare e porti israeliani?

Siamo diventati discoli



Ma lasciamo il fumo e torniamo all’arrosto. Perchè a questa nuova, diretta minaccia post-Barcellona di Rita Katz/Isis andrebbe dato più rilievo che alle passate smargiassate contro papa e Colosseo? Perchè prima non risultava esserci motivo per impartire all’Italia una qualche lezione imperiale via terroristi sedicenti islamisti. Le minacce erano fuffa, fumo che obnubilasse un po’ di cervelli perchè chiedessero “Strade sicure”, soldati agli angoli della metro e accettassero le intemerate della Boldrini per l’accoglienza senza se e senza ma e contro le fake news. Poi nell’opinione pubblica è incominciato a muoversi la sensazione che con tutti questi migranti, tutti da noi, con queste Ong che andavano a raccattarli dai trafficanti, qualcuno puntava a fregarci. Noi e pure i migranti. La coperta buonista su certe malefatte in mare veniva lacerata da politici e magistrati.

E, a coronamento dell’insubordinazione ai piani imperialisti, appaltati a Soros, un ministro italiano, che evidentemente non aveva imparato la lezione Moro, è uscito dallo sgabuzzino dove curano le scope della villa i nostri politici, e ha messo la mordacchia a un anello della filiera criminale che svuota paesi per alluvionarne altri. Insomma è spuntato qualcosa e qualcuno che minacciava di far vedere nudo il re. E questo è niente: quando gli era stato fatto capire che l’ENI doveva limitarsi a fare le pulizie alle Sette Sorelle, che Roma doveva starsene lontana dal gas del Mediterraneo, che a occuparsi di Al Sisi, dell’Egitto e della Libia, cuore della regione, ci pensavano Usa, UK, Francia, ma mica i loro subalterni, addetti all’accoglienza e basta, Roma non si è addirittura azzardata di far tornare l’ambasciatore al Cairo! Lo svuotatore di posaceneri che si intrufola nella partita di briscola?  E Rita Katz ha tuonato.

Regeni e Oxford Analytrica, la sete di verità dei regeniani
Vogliamo allargarci, eccedere in domande impudiche, anche riguardanti campi lontani, ma pur sempre connessi a quelli di cui sopra? Sappiamo, anche se il silenzio sulla cosa è di tomba (a offesa di quella in cui è rinchiuso Giulio Regeni), che tutti sanno che il giovanotto, definito ricercatore a Cambridge, ma invece, o anche, collaboratore dell’agenzia internazionale di spionaggio e affari sporchi vari “Oxford Analytica”, al Cairo andava sfrucugliando soggetti sindacali “indipendenti”, potenzialmente sovversivi, ai quali, per conto dei suoi mandanti, offriva ricchi fondi perchè presentassero e attuassero “progetti” (testuale nel video). .

Qualche timido tentativo di risalire a dove originava la missione di Regeni, consultando i suoi referenti a Cambridge, ebbe piena collaborazione  quanto alle domande poste dagli investigatori italiani. Lo dichiarano quelli di Cambridge, lo negano i corifei italiani di Regeni e di Aegyptum delendum est. Sarà, non sarà. Ma la domanda da un milione e passa di verità è un’altra. Stabilito, sebbene sottaciuto, che Regeni aveva lavorato, almeno per un anno e mezzo, ufficialmente per Oxford Analytica, prima di spostarsi al Cairo per offrire progetti a oppositori del governo, alle dipendenze e su disposizioni di provati criminali come John Negroponte, David Young e l’ex.capo-spione britannico McColl, c’è un solo motivo al mondo che spieghi perchè coloro che si sono arrabattati da 17 mesi per Regeni e contro Al Sisi, con un accanimento degno della neutralizzazione di Mengele, non si siano mai occupati di Oxford Analytica, non siano mai andati a sentire che cosa il ragazzo ci facesse tra le grinfie di quei pendagli da forca che avevano insanguinato interi continenti?




Un autentico antimperialista come Manlio Dinucci, valido illustratore delle mene militari di Usa e Nato attorno al resto del mondo, che ancora si pregia di poter inserire la sua settimanale pecetta nell’angolo più remoto del “manifesto”, sarebbe titolato a porre questa domanda ai colleghi del “manifesto”. Forse a lui risponderebbero. Sempre che non siano troppo impegnati, come in questi giorni, a raddrizzare la barca delle bufale su Al Sisi, Regeni, il terrorismo, riempiendo paginate con interviste su Regeni e Al Sisi ai rinomati professori dell’Università Americana del Cairo, noto covo di intelletti antimperialisti, o ai tanti che, nel web e sui giornali, sbertucciano o demoliscono il presidente di questa povera repubblica, sottoposta a una dittatura che reprime ogni libertà d’espressione. Salvo quella di dire peste e corna dell’assassino di Regeni.

sabato 19 agosto 2017

YO TENGO MIEDO - In margine a Barcellona


False Flag, che palle
Con tutto il rispetto per le 14 vittime e i tanti feriti di Barcellona, con tutto, lo sconcerto per i morti “cattivi” ammazzati, o saltati per aria (prassi ricorrente e risolutrice), con ogni apprensione per gli arrestati, predestinati o a casaccio, con tutto l’orrore possibile per il viluppo terroristico in cui ci  hanno rinchiuso e con cui ci stanno sterilizzando, viene ormai a noia occuparsi dell’ennesimo attentato False Flag. E’ diventato sfessante ogni volta  gridarne al vento obiettivi immediati, scopi finali, lacerazioni logiche, elenco di chi se ne avvantaggia e chi ci rimette, parallelismi con episodi identici, analoghi, affini, contraddizioni, incongruenze, veri e propri buchi neri, colmati soltanto dalla dabbenaggine della gente assordata dal coro complice delle presstitute. Lo facciamo dall’11 settembre, dove l’arrogante insipienza degli autori e il lavoro meticoloso e inconfutabile del contradditorio scientifico e tecnico, ci avevano reso il lavoro facilotto.

Un operativo anti-islamico serio mai?
Ora, dopo Nizza, Berlino, due volte Parigi, due volte Londra, siamo all’ennesimo veicolo lanciato nel mucchio, a falcidiare una folla qualunque, priva di qualificazioni politiche, culturali, sociali, militari, composta da cittadini comuni, inermi e inoffensivi di 38 paesi, compresi i musulmani. Come in tante altre occasioni, da Charlie Hebdo – operazioni guardata e protetta da mezzi della polizia, vedi video – in poi, il conducente se la svigna, ma lascia sul cruscotto un documento che consente a chi interessa di indovinare non il, ma un esecutore da offrire a folle e schermi. Che, con ogni probabilità, non è quello che guidava, ma quello che dovrà essere catturato o, meglio, ucciso.

E subito sgorga imperiosa la domanda, bloccata in gola a tutti dal tappo mediatico made in regime: ma com’è che questi fanatici islamici se la prendono sempre con chi non si sogna di torcergli un capello, anzi, perlopiù ne favorisce, con l’accoglienza senza se e senza ma, l’invasione a casa sua? E com’è che non riescono neanche una volta a fare cianchetta, o tirare una pietra, o tagliare i freni dell’auto, a uno che di torti massicci ai musulmani è inequivocabilmente responsabile? Non dico arrivare a Obama o Blair, ma a un deputato della maggioranza bellicista, un carceriere a riposo di Guantanamo, un AD la cui multinazionale depreda la Nigeria, un caporale nei campi di pomodoro pugliesi, un velinaro di Stampubblica, o del “manifesto” che scriva sotto dettatura Cia… Se quelli in villa e i loro guardiani se la ridono, sapranno perché.

Tutte canaglie schedate, tutti radicalizzati che se ne fottono
Dopo queste, come in un rosario, si snocciolano altre domande che ad alcuni di noi, pochi, il tappo del concorso mediatico in associazione a delinquere non lo ha ricacciato in gola. Com’è che, con monotona regolarità (segno evidente di carenza di immaginazione negli organi preposti), i presunti attentatori sono tutti schedati, seguiti da tempo nel loro andirivieni tra mondo islamico ed Europa, spesso carcerati, facili dunque al ricatto, tutti detti “radicalizzati”, ma tutti assolutamente indifferenti a fede e pratiche religiose, anzi fortemente e viziosamente laici in quelle di vita, specie notturne. Pronti ad immolarsi nel segno del Corano, di cui non conoscono una sura. Tutti di cui ai giornali, nel giro di minuti, vengono comunicati nomi, cognomi, età, residenza, famigliari, viaggi, gusti, taglio dei capelli, caccole nel naso.

E, avanti, ci volete spiegare come tutti costoro, pur schedati e tenuti d’occhio, pedinati, perquisiti, fermati, ascoltati a distanza, al momento del botto risultano sfuggiti sistematicamente a qualsiasi consapevolezza e controllo? Mentre noi no, di noi, tramite telecamere più frequenti delle zanzare, aggeggi telematici e informatici che di ogni istante della nostra vita, di ogni comunicazione, di ogni spostamento, danno contezza a un qualche software centrale, di noi che, appena formuliamo un pensierino cattivo in rete, ci salta addosso la Boldrini e ci disintegra con i suoi strali anti-odio, di noi si sa tutto, prima, durante e dopo?

Un thriller che neanche Hitchcock. Talmente ingarbugliato che alla fine rinunci di trarne qualche filo o senso logico. E questo è lo scopo. A 200 km da Barcellona, Alcanar, la notte prima delle Ramblas, salta per aria una casetta e  si trovano bombole e resti carbonizzati di due sconosciuti. Sconosciuti, ma opportunamente “sospetti”. Come fa a non esserci un legame tra una bombola esplosa a 200 km di distanza e un furgone che falcia passeggiatori a Barcellona?!  Hai visto mai che volevano caricare bombole di gas su un camion e farlo esplodere nelle Ramblas. E’ che poi è andata storta e, nel giro del mattino successivo, hanno noleggiato un furgone, trovato l’autista, elaborato il piano B e predisposto un giro miracoloso che avrebbe evitato di incocciare nei mezzi blindati e nelle pattuglie che guardavano le Ramblas. Obiettivo perennemente affollato di possibili vittime, quindi obiettivo del tutto alieno agli interessi dei terroristi. Che, come si sa e come ho ricordato sopra, prediligono colpire in alto, i bonzi che li bombardano….

Tutto fila liscio, tranne la sicurezza dei cittadini
Passa il furgone, fa il suo bravo macello e il conducente riesce a darsi alla fuga. Tra migliaia di persone e decine di poliziotti tutt’intorno. Vabbè. In compenso, il passaporto del personaggio da incriminare ce l’abbiamo, trovato sul cruscotto. Vabbè. Visto quanto di interessante era successo a 200 km a sud di Barcellona, vediamo un po’ cosa succede a 100 km a nord, Ripoll. Senza il minimo dubbio, la cellula islamista stava qua. Così ne arrestiamo un po’, altri li dichiariamo in fuga e la stampa avrà l’osso da rosicchiare e i congiunti delle vittime di che confortarsi.. I media inondano foliazione e i schermi di valanghe di sciropposa e stereotipata retorica sulla Barcellona che non ha paura, che in centomila urla “No tengo miedo”, o come si dice in catalano. I poveretti lo fanno invece  proprio per esorcizzare una paura che gli viene rovesciata addosso a grandine. Con il re, Rajoy e i secessionisti catalani che si ritrovano uniti e circonfusi nell’unica bandiera nazionale. Una roba quasi più micidiale degli exploit della Guardia Civil.


Carosello catalano
Non è finita. Torniamo a sud di Barcellona, a 115 km, poche ore dopo la mattanza delle Ramblas. Cambrils, esterni notte. Al posto di blocco per prendere il conducente delle Ramblas (17 anni, no 22, boh, chissà, alla faccia del passaporto ritrovato), transita un’Audi A3. Dopo pochi metri, inspiegabilmente, cappotta e così la ritroviamo nelle foto. Succede una baraonda, al termine della quale i cinque passeggeri della vettura restano stecchiti per terra. Tutti fulminati, ci raccontano, da un unico poliziotto. Clint Eastwood era un bamba al confronto.  Gli altri del posto di blocco, si stavano accendendo sigarette. E i cinque del macchinone sportivo erano altrettanti imbranati persi, ansiosi di fare la figura dell’orso nel tirassegno. Quella delle esecuzioni extragiudiziali di massa pare una specialità della polizia spagnola. 11 marzo 2004: strage terroristica alla stazione Atocha di Madrid, 191 morti, 1.858 feriti. I colpevoli, tali definiti dalla polizia, stanno tutti rinchiusi in una casa. Li prendono per fame, per gas asfissianti, per granate acustiche? No, fanno saltare per aria l’intero edificio. Nessun superstite. Nessun pentito. Però, stesso annuncio di oggi: “Totalmente smantellata cellula islamica”. O qualcosa.

Quelli bravi sapevano. E facevano?
Altra ricorrenza rituale. La Cia da Langley e il Mossad dal Marocco (che ci sta a fare?)  avevano avvertito con grande precisione: attentato a Barcellona. Azzardare il pensiero che chi sa fa, è davvero qualcosa che la Boldrini considererebbe un  crimine dell’odio. Da evitare, se non vogliamo che la presidente della Camera ci rada al suolo.
Vabbè, vabbè, vabbè. Passiamo all’inevitabile cui prodest. Siamo stravaganti a fare questa domanda, secondo le persone normali domanda inutile, tautologica, stupidina e anche un po’ maleducata. Pazienza, abbiamo i nostri limiti. Ci sono, come sempre, i soliti prodest che si ripetono fin dall’11 settembre 2001 e anche da molto prima. Prodest vecchi come il mondo. Da quando gli Usa fecero saltare per aria la nave Maine per poter fregare Cuba agli spagnoli. Avere per le mani un pretesto per muovere guerra a chi si vuole togliere di mezzo è pratica che risale a Ulisse.

Paura glocal, dittatura global

In questi anni i motivi ricorrenti sono quelli strategici: fomentare lo scontro di civiltà e di religione per giustificare ai mortali comuni l’assalto e la rapina della parte migliore e più ricca del Terzo Mondo. Alla faccia dei poveri catalani e loro amici parigini, londinesi, berlinesi, che urlano di non avere paura e di non voler cambiare vita, istituzionalizzare lo stravolgimento della vita e la paura dell’altro, dentro e fuori di noi, al punto da invocare poliziotti fin in camera da letto, sorveglianza totale, militarizzazione di ogni centimetro quadrato (in Spagna il raggio militarizzato nell’occasione è di qualcosa come 500 km da sud a nord di Barcellona), tanto da rendere rivolte antisistema, e anche solo manifestazioni incazzate, gozzaniane “buone cose di pessimo gusto”, una foto ingiallita di Nonna Speranza, un vaso di fiori secchi su un centrino a punto e croce.

Nello specifico iberico, c’è il bonus addizionale del ricompattamento, nel segno delle lacrime e della comune lotta al terrorismo, dei gruppi dirigenti di Spagna e Catalogna, proprio alla vigilia di quel referendum sulla secessione che farebbe degli uni e degli altri qualcosa di poco più rilevante del Kosovo o del Nord Irlanda e, comunque, susciterebbe perpetua turbolenza nel Sud-ovest d’Europa. Con un pezzo, la Catalogna, che, oltretutto, viaggia a un alto tasso di sinistrismo. Tutte cose, ci sembra, poco gradite alla Nato e ai neoliberisti, da Washington a Bruxelles.

Aggiungo una considerazione che potrebbe sembrare balzana. Ma il fatto che quelli che allestiscono tutto l’ambaradan da qualche tempo mandano avanti la loro strategia a forza di veicoli guidati contro folle qualunque, Nizza, Berlino, Parigi, Londra, Barcellona, vorrà pure dire qualcosa. Per avere la patente, comprare una macchina, noleggiarla, guidarla, ti ci vorranno la fedina penale intonsa, il curriculum erotico, le impronte digitali, la parentela perbene fino al 7° grado, la presenza di un controllore, un chip sottocute? O si vuole farla finita con l’auto privata e imbarcarci tutti su blindati?

Tra le varie possibilità riferisco la riflessione di uno che di solito ci prende, Claudio Messora del canale web Byoblu. Le più grandi industrie automobilistiche e del software (da Google a Telint, da BMW a Fiat-FCA) stanno investendo miliardi nello sviluppo dell’automobile senza guidatore. L’auto con conducente è un auto controllata da chi la guida e da nessun altro. L’auto che si guida da sola, e i suoi passeggeri, vengono guidati da fuori. Il software centrale che ne dispone, sa tutto dei tuoi movimenti. E, al limite, può farti sbattere contro un muro. Auto uguale autonomia. Quel poco di autonomia che ci resta. Troppa.

Vedete voi. 

mercoledì 16 agosto 2017

GOLDEN STANDARD E BIGIOTTERIA - GLI INFAMI DELLE FAKE NEWS - Ordigno Regeni su Medioriente e Mediterraneo



Da quelli che danno la caccia alle informazioni che disturbano l’establishment dei ladri, corrotti, mafiosi, massoni, assassini seriali, che governano i vari paesi dell’area euro-atlantica, che hanno già stabilito sanzioni, radiazioni, eliminazioni, punizioni per chi insiste a diffondere quelle per le quali hanno inventato il termine “fake news” (notizie farlocche), o che, come la Boldrini, le promuovono da noi, il New York Times, house organ della lobby insraelo-talmudista internazionale viene giudicato la Bocca della verità, il Golden Standard del giornalismo mondiale.

E non potrebbe che essere così, dato che questo giornale è stato negli anni dell’assalto terroristico, militare, agrochimico, farmaceutico e finanziario, dei globalisti all’umanità, del trasferimento della ricchezza globale dal 99% all’1%, ben rappresentato da quegli 8 individuo che hanno più di quanto hanno 3, 5 miliardi di conseguentemente poveri, delle 7 guerre di Obama, lo strumento principale della lobotomia transorbitale operata sui cervelli dei sudditi dell’Impero.

Il giornale che, con i suoi soci nelle campagne di demolizione della verità, Washington Post, CNN, Guardian, giù giù fino agli sguatteri mediatici italiani, è diventato la bandiera di uno storicamente inusitato blocco nichilista sinistre-destre nel fiancheggiamento delle ragioni per le quali l’apparato bellicista Usa viene lanciato contro paesi e popoli, con meta finale l’armageddon Occidente-Russia, s’è prodotto nell’ennesima bufala galattica mirata ad avvicinarci a quella “soluzione finale”.

Non è bastato che il NYT si fosse totalmente squalificato con gli avalli a tutti i falsi pretesti che hanno consentito ai  predecessori di Donald Trump, primatista Barack Obama, di sbattere al muro un paese debole dopo l’altro, o invadendolo,  o riducendolo con le bombe all’età della pietra, o scatenandogli contro  branchi di subumani ben retribuiti, o rovesciandone i governi legittimi con colpi di Stato. Godendo nell’opera dell’apporto sussidiario di specialisti umanitari della menzogna e della diffamazione, come Amnesty International, HRW, Save the Children, MSF, giornaluccoli e partitini sedicenti di sinistra.
L’occasione era propria per un nuovo colpo grosso. Ridotto, a forza di ricatti dei servizi segreti, colpi di maglio mediatici, il mastino pre-elettorale che, vaneggiando di intese con la Russia,  si azzardava a intralciare l’armageddon, a botolo ringhiante contro il Venezuela e la Corea del Nord; costrettolo a firmare nuove sanzioni contro il falso scopo Russia e il vero scopo Europa, ecco che occorreva colmare una defaillance del concerto bellico tra Mediterraneo e Medioriente.

Mediterraneo-Medioriente: dove Trump latita, il NYT provvede
Erano successi fatti intollerabili per lo Stato profondo USraeliano e sul quale il presidente-ostaggio aveva manifestato titubanze ed esitazioni. Lo stop ai finanziamenti della Cia ai jihadisti Isis e Al Qaida; una mancata risposta all’esuberanza militare e diplomatica di siriani e russi che stavano rimettendo le cose a posto, come erano prima del 2011; l’Iraq che ribadisce la sua ritrovata coscienza nazionale con la liberazione di Mosul, la definitiva messa in crisi del mercenariato jihadista e, anatema!, l’intesa con Mosca addirittura per aiuti militari ed economici; l’Iran che, alle nuove sanzioni appioppiategli a dispetto della sua ottemperanza all’accordo nucleare, minaccia di bruciarlo, quell’accordo. Questo per il Medioriente.


Bloccato “l’evento naturale” emigrazione
Nel Mediterraneo di male in peggio. Quattro scalzacani giuridici e politici della colonia Italia, a Trapani, Catania e al Ministero degli Interni romano, si permettono di mettere il sale sulla coda alla flotta delle Ong messe in campo dal destabilizzatore umanitario di fiducia George Soros. Viene buttata una mappata di sabbia negli ingranaggi perfetti della filiera criminale dell’”accoglienza”, che inizia con l’induzione del meglio delle società africane e del Sud del mondo (quelle dei paesi rigurgitanti di risorse) a mollare terra, popolo, Stato, cultura, identità, e che si conclude nei bassifondi sociali di un’Europa meridionale da sprofondare in default vari, economici, sociali, culturali. Due piccioni con la fava del “inarrestabile fenomeno epocale”, evento naturale quanto il crollo dei nostri cavalcavia, o i fuochi della terra dei fuochi.

Mica basta. Forse l’offesa più grave è che, anziché trattare il presidente egiziano Al Sisi da lebbroso che di notte esce per infettare bambinelli, magari europei, come auspica la solita alleanza del buoncostume sinistro, dal “manifesto” a Stampubblica, Roma ha la tracotante impudicizia di ristabilire con lui rapporti normali, quasi quanto quelli di Obama e successori con i nazisti di Kiev e i narcogolpisti dell’Honduras. E addirittura di ingolosirsi alla prospettiva che l’Egitto, detentore con l’ENI del più vasto giacimento di gas dell’intero Mediterraneo, possa rifornirci di energia a costo molto più basso del gas fracking da scisti, che Washington cerca di rifilare all’Europa. E senza i condizionamenti “anti-antisemiti” legati al gas israeliano.

Non si era spento l’inquinamento acustico provocato dalle geremiadi della famiglia Regeni e dai suoi sponsor, da Luigi Manconi alla solita Boldrini, al solito “manifesto”, per il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo (quelli Usa, Germania, Regno Unito, Francia, mondo intero, ci stanno, forse perché se ne fottono, forse perché sanno chi era Regeni), che dal NYT è arrivato l’ordigno acustico nucleare. Tirato fuori 17 mesi dopo l’evento culminante dell’”Operazione Regeni”, il ritrovamento del corpo senza vita e torturato.

Il Regeni reinnescato

Dunque, secondo quella bocca della verità, della quale se te ne fidi finisci con la mano mozzata, i servizi di Obama avevano subito capito tutto e avevano immediatamente fornito al governo italiano le prove inconfutabili dell’assassinio ad opera di un servizio segreto egiziano, ordinato dall’orrido Al Sisi in persona. Incidentalemtne, Al Sisii è un altro di quelli con i quali Trump pensava di poter intrattenere un modus vivendi, ma lo Stato Profondo Usa, Israele, “il manifesto”, i “sinistri”, no. Con uno che amoreggia con Putin, che possiede tanto gas da ridurci, noi Usa, a subappaltatori, che si permette di mettere le dita nella marmellata libica sostenendo un generale che, oltreché amico dei Gheddafi,  pare potere addirittura ricostituire l’unità del paese che abbiamo tanto fatto perchè evaporasse, tocca andarci giù pesanti.

E dunque la colossale bufala. Il governo non poteva che negare, dato che non ne aveva mai avuto, di prove o documenti “inconfutabili”.  E anche, perché, a dispetto di tutta la sua ontologica  buffoneria, cialtronaggine, piaggeria, davanti ai propri elettori come faceva a vantare un minimo di credibilità se, avendo in mano fin da subito la prova provata di Al Sisi assassino, non ne ha fatto l’uso che ossessivamente le prefiche coloniali, da Manconi al Manifesto, a tutta la “sinistra”, gli chiedevano?  Ovviamente non esiste nessuna prova. Ovviamente il NYT si è ripetuto come quando riempiva di stronzate le provette di Colin Powell. Ovviamente si trattava solo di far starnazzare un po’ più forte i propri dipendenti italioti e mettere Roma sull’avviso per quanto concerne Egitto, Libia e migranti.

Gli obamiani  fanno la loro parte nello Stato Profondo della guerra per la guerra, il Golden Standard del giornalismo fa la sua parte di cloaca maxima dell’informazione, le sinistre degli infiltrati e lobotomizzati fanno la loro parte sotto lo sguardo benevolo dei Rothschild, Rockefeller, Warburg, Goldman Sachs, Soros. Quello che inchioda tutti costoro alla loro infamia (mentre la Boldrini mi inchioderà alla mia “propaganda dell’odio”) è la fenomenale malafede che imbratta ogni loro parola.


Tutti sanno che Giulio Regeni (lo ripeto per la ventesima volta) era dipendente e collaboratore di un’accolita di delinquenti della massima categoria, specializzati in spionaggio industriale, politico, destabilizzazioni, regime change, repressione, uccisioni di massa. Uno così come lo definisci?  Uno che dal 2013 ha lavorato per John Negroponte, inventore dei Contras e degli squadroni della morte tra Latinoamerica e Medioriente, un pendaglio da forca se ce n’è uno; per Colin McColl, già capo del Mi6, servizio segreto britannico, che organizza operazioni sporche in giro per il mondo; per David Young, fondatore della ditta, Oxford Analytica, già carcerato per aver lavorato per Nixon, da “idraulico”,  nell’operazione Watergate.

Tutti hanno visto e, quando non  lobotomizzati, hanno capito che al Cairo Regeni cercava di assoldare elementi con la prospettiva di fargli avere denari dalla sua organizzazione britannica (quale? Quella di Negroponte?), purchè presentasse “progetti”. E a chi, nel noto video, Regeni prospettava questi finanziamenti per “progetti”? A Mohamed Abdallah, capo di un sindacato di ambulanti, cui Regeni, manifestatosi come possibile elargitore di quattrini, negava però un caritatevole uso personale, per la moglie ammalata di cancro. “Ci vogliono progetti, avete progetti?” Il sindacalista, che Regeni cercava di infilare in qualche oscura operazione, aveva ogni motivo per denunciare l’ambiguo straniero di Cambrdige alla polizia.
 
Regeni, Negroponte

Questi sono fatti. Sono fatti enormi. Sono mattoni di una storia che porta dritto all’eliminazione del provocatore nel momento in cui un cittadino non sobillabile, denunciandolo, ne aveva lacerato la copertura. Lo aveva bruciato. Lo sanno tutti, da Washington a Roma, dal Cairo al “manifesto” e a Cambridge (che apposta mantiene il riserbo sul suo “ricercatore”). Non vi pare che quelli che fanno finta di niente, ma piangono e imprecano sul “martire” della resistenza ad Al Sisi, non abusino di una vittima, tradita dai suoi mandanti? Non meritino la qualifica di infami?
Infami di sinistra che si fanno sbugiardare dai giornali di Berlusconi, quelli “di destra”. Ma a che punto siamo arrivati!
Ora aspettiamo i fatti dei servizi Usa e di Obama il retto. Ovvio che sanno tutto. La NSA che spia tutti, Merkel compresa, ce la siamo scordati? Vediamo se, quanto a fake news, saranno più bravi almeno di quelli dell’11 settembre.


giovedì 10 agosto 2017

MIGRANTI, LA FILIERA DEL CRIMINE Don Zerai e Fratel Del Rio, santi subito



Le ragioni di Lombroso
L’antropologo Cesare Lombroso (1836-1909) aveva ragione e aveva torto. Aveva ragione nell’individuare indicazioni sul carattere delle persone dai tratti facciali e cranici. Aveva torto a concludere che si trattava di caratteristiche genetiche, strutturali in partenza e valide una volta per tutte. Molti hanno poi correttamente ritenuto che la teoria di Lombroso, seppure anche in questo caso mai di valore assoluto, andava applicata a quanto sui visi delle persone si è andato formando in conseguenza della vita vissuta, dei pensieri e sentimenti nutriti, degli atti compiuti e delle vicende occorse. Ad alcuni è dato di mascherare per un buon tratto, magari con l’aiuto dei cerusici, gli effetti di tale vissuto. Pensiamo ad Obama, un pluriassassino e un falsario come nella Casa Bianca non erano ancora mai entrati, le cui fattezze solo ora iniziano a mostrare i primi segni rivelatori di tanta abiezione.

Ma è abbastanza ragionevole considerare che alla nascita tutti i visi sono innocenti e puri, diciamo una pagina pulita su cui ancora nulla è stato scritto, né dall’esterno, né dall’interno. E’ dopo qualche decennio, che su quella pagina incominciano ad apparire, più o meno espliciti, i segni di cosa uno è stato e ha fatto. Esempi  di quanto di più turpe, depravato, deforme, la propria condotta e il proprio spirito possa, lombrosianemente, incidere su un volto, originariamente creato, dicono certuni, a immagine e somiglianza di un loro perfetto dio, se ne trovano quanti se ne vuole nell’empireo delle nostre classi dirigenti. Se pochi arrivano all’abiezione estetico-morale di un George Soros o di un Henry Kissinger, molti ne inseguono con successo gli esiti morfologici. Pensate a Sharon, a Gianni Agnelli, a Andreotti, alla regina Elisabetta, allo stesso Trump, a Eltsin, a Scilipoti, a Migliore, al padre di Renzi…

Facevo queste estemporanee considerazioni quando l’occhio m’è caduto sull’ennesimo “santo subito” del “manifesto” e del dirittoumanismo da tanti migranti al chilo, il prete eritreo, ma forse etiopico, Mussai Zerai, di cui, nella faccia pasciuta e liscia, parte uno sguardo che, piuttosto che “santo subito”, mi suggerisce un “qui gatta ci cova subito”. Lui e la sua agenzia di sollecitazione, ritrovamento e collocamento di migranti africani, Habeshia, costituisce uno dei più efficienti push and pull factor della fenomenologia migratoria. Ora l’occhiutissima, per quanto prudente, procura di Trapani lo ha avvisato di reato e il “salvatore di 4000 naufraghi” rischia di finire sul banco degli imputati di tratta di esseri umani, accanto a eccellenze dell’ “Operazione Svuotare Africa e Medioriente – Affogare l’Europa del Sud”, dall’élite mondialista affidata a Soros, come Jugend Rettet, MSM e, non ancora, ma speriamo presto, Save the Children, MOAS, Open Arms, Sea Eye e tutti gli altri privatizzatori del fenomeno e dei relativi trasporti e trasbordi. Gente le cui funzioni all’interno della citata Operazione il “manifesto” e suoi comparielli cercano affannosamente di occultare con l’urlo assordante, ossessivo, che vorrebbe essere ipnotico, di “salvataggi, salvataggi”.

Malta umana per l’edificio del potere
Sono sempre più numerose e rivelatrici le prove  del malaffare che unisce le Ong ai trafficanti nella filiera criminale che parte dalla promozione di partenze nei paesi d’origine e finisce nella guerra politica, economica e sociale condotta contro il Sud Europa utilizzando come strumento, non tanto gli spasmodicamente propagandati “disperati” di indefinite guerre e miserie (mai noti i responsabili con nome e cognome), quanto una varietà di soggetti dal retroterra niente affatto omologabile. Soggetti che tutti gli attori della filiera riducono a merce umana da utilizzare, come fosse il dollaro, o gli attentati terroristici, o le bombe, o il jihadismo, o la clava dell’austerità, per gli aggiustamenti di potere interni e geopolitici.

I rinnovati flussi dalla Siria e dall’Iraq sono diretta e voluta conseguenza degli attentati Isis e paralleli bombardamenti Usa sui civili che, nel silenzio dei ferventi soccorritori di naufraghi davanti alla Libia, stanno svuotando le maggiori città irachene e siriane. Si fa posto per i mercenari curdi e si priva il futuro di questi paesi delle forze della ricostruzione e rigenerazione. Tre milioni di morti iracheni, 8 milioni di sradicati interni e all’estero, mezzo milione di morti siriani, 6 milioni di sfollati interni, 2 milioni di profughi. Non male per chi si accinge a fare di quelle floride nazioni discarica e pompa di benzina. Peccato che nessun Zerai, nessun Del Rio, nessuna delle solite anime belle, truccate di umanitarismo, che oggi “sul manifesto” firmano per le Ong, si sia mai vista sotto l’ambasciata americana, o israeliana, o saudita, da cui pure varrebbe la pena salvare qualche naufrago.

Africa, come la vogliono

Poi ci sono coloro che gli Usa e la “comunità internazionale” hanno condannato all’inedia, come l’Eritrea, quelli a cui sono inibiti ogni sviluppo autonomo e pacifico dall’intervento militare coloniale diretto (Mali, Ciad, RCA, Niger), o per surrogati etnici o jihadisti (Nigeria, Sud Sudan, Somalia). Mezza Africa, poi, è costretta a venir via dalla perdita dell’elemento costitutivo dell’economia continentale, l’agricoltura, sottratta per il 40% di tutti i terreni fertili alla sussistenza e consegnata, con tanto di villaggi bruciati e popolazioni deportate, all’agroindustria intensiva delle multinazionali. Tutti delitti dei soliti ignoti, del fato. Eppure quanti nomi ci sarebbero da mettere in fila: Usa, Ue, Onu, Monsanto, Exxon, Glaxo, Microsoft, Lockheed, Boeing, Obama, Clinto, Bush, Trump, Cia, Goldman Sachs….

A chi dovesse indugiare, a chi volesse dedicare alla propria comunità sociale, culturale e, pardon, nazionale, i propri strumenti conoscitivi, ivi formatisi,  per arricchire il patrimonio collettivo e garantirgli continuità nello spazio e nel tempo, a chi anche avesse preservato un minimo agio economico, arriva l’offerta dei pifferai  del primo anello della filiera: “Hai 10mila dollari? C’è un doganiere alla frontiera, un camionista sul ciglio del deserto, un carceriere in Libia, uno scafista sulla costa, una Ong a un tiro di sasso e poi l’eldorado europeo. Lo stesso trovato dagli albanesi, dai marocchini, dalle moldave. Nei vari passaggi avrai lasciato il tuo gruzzolo, ma che fa. Le prospettive sono tante, per le donne c’è la mafia nigeriana della prostituzione, per gli uomini i caporali, a volte travestiti da manager, per i minori le immense risorse del pedoporno, per tutti lo spaccio, per molti il Centro d’Espulsione.
L’artiglieria umanitarista, quella che ogni giorno spara a palle infuocate da quasi metà della foliazione del “manifesto”, si articola nelle sterminate espressioni operative dell’Open Society Foundation di George Soros. Fondazione che rappresenta una voce eminente, non sempreconfessata,  del bilancio di quasi tutte le Ong umanitarie, LGBT, Arci e affini, e di tutte le forze del regime change, a partire da Otpor a Belgrado, passando per i battaglioni nazisti a Kiev, per le università di Budapest, per le Ong dei diritti umani come Arci Gay o la Fondazione Bator in Polonia, testè esaltata, insieme ad altre della lobby talmudista, dal “manifesto”.

 
e non solo


Il quale “giornale comunista”, ancora firmato da qualche “comunista”dallo stomaco di amianto, non si fa scrupolo di muoversi in perfetta sintonia e sui binari da lui fissati con il più efferato bandito della speculazione finanziaria di tutto il globo terracqueo. Quel George Soros che allestì il convegno navigante (le operazioni in mare gli sono congeniali) del 1992 sullo yacht della Regina, il “Britannia”, dove, in combutta con una panoplia di briganti della finanza mondiale e di massoni, con la complicità di rinnegati italioti come Mario Draghi (direttore del Tesoro) e Nino Andreatta, ministro del Bilancio che aveva il merito di aver privatizzato la Banca d’Italia separandola dal Tesoro, attaccò la lira, fece bruciare a Ciampi 40mila miliardi e deprezzò la lira del 30%. E fu la tavola apparecchiata per i predatori a prezzi di saldo del nostro apparato industriale, prima pubblico, poi privato, garantito dagli Amato, Prodi, D’Alema, Berlusconi e via via tutti gli altri. Gente da processo per alto tradimento. Ma al “manifesto” va bene così. Come andranno bene anc he i milioni con cui Soros ha foraggiato il golpe nazista a Kiev.


Questa artiglieria si è ora dotata di due nuove bocche di fuoco. Quella del santo subito don Mussie Zerai, consegnato dagli inquirenti di Trapani, emuli del mangiatore di bambini cristiani Settimio Severo, al martirio della Chiesa dell’Accoglienza Universale; l’altro è Graziano del Rio, per grazia di Dio e volontà di Soros ministro dei Trasporti e, quindi, del mare. 

Vediamo il primo. Spiaggiato in Italia e poi in Svizzera, ma soprattutto in Etiopia, all’età di 17 anni, in fuga dall’Eritrea in lotta di liberazione contro, guarda un po’, proprio l’Etiopia e, da allora mai rientrato in Eritrea di cui pur tuttavia racconta, fin nei più intimi dettagli, il regno dell’orrore, della tortura, delle migliaia in carcere, dei campi alla Auschwitz. Al punto da aver ottenuto dall’UE, caso unico dopo quello concesso dagli Usa ai gusanos cubani in fuga dalla rivoluzione, la concessione automatica a tutti i migranti eritrei dell’asilo politico. Pull factor non da poco, pari per efficacia al push factor delle sanzioni Usa-Onu-Ue all’unico paese africano che non accetta presenze militari Usa, né crediti ricattatori FMI e BM.. E’ qual è il riferimento africano del don, il suo buen retiro? Ovviamente l’Etiopia, regime sanguinario, massacratore delle minoranze, in particolare Oromo, paradiso dei devastatori con dighe (Impregilo) e con il land grabbing (cinesi, indiani, sauditi), assalitore periodico, su commissione Usa, dell’Eritrea, responsabile di quasi centomila morti eritrei nel corso delle varie aggressioni tra il 1952 e oggi.


Un nuovo padre Dall’Oglio, come lui santo subito
Questo equivalente africano del noto Padre Dall’Oglio, il predicatore della Chiesa di Bergoglio visto sulla tribuna Isis di Raqqa arringare tagliagole e loro supporter a stelle e strisce perché cristianamente sgozzassero Assad, ha dedicato la sua vita a tre cose: diffamare l’Eritrea in linea con le motivazioni che Obama produceva a supporto delle sanzioni e della successiva guerra di sterminio umanitaria; agganciare più eritrei possibili per contrastare, col ricatto dell’asilo politico, la forza e la compattezza della comunità eritrea in Italia ed Europa che si riconosce nelle istituzioni e nel destino seguito dalla madrepatria; diffondere per tutta l ‘Africa, insieme al numero del suo cellulare, la consapevolezza che, attraversati indenni il deserto, scampati ai briganti nelle terre di attraversamento, pagati i vari oboli utili a finanziare la filiera, imbarcati su un qualche mezzo degli scafisti, basta un trillo a Don Mussie Zerai e, in un batter d’occhio, sempre che prima non affondi, ti arriva il natante che ti soccorre, rifocilla e deposita ai piedi del governo più accogliente del mondo. Vengano, signori, vengano…Che ci stai a fare in un paese che i miei amici vanno comunque ad annientare?

Viva Viva San Graziano delle processioni

L’altro howitzer dell’armata che cannoneggia all’insegna del Sinite parvulos venire ad me si chiama Graziano del Rio, ministro dei trasbordi in mare perchè neanche un parvulo o un magnulo sia privato dell’occasione di raccogliere pomodori, o aspettare in baita, o davanti alla stazione di Milano, che arrivi Juncker a trarlo d’impiccio. I giornali di questi giorni afosi, infuocati solo dal clima e dalle iniziative terroristiche parigine, atte a prolungare per l’ennesima volta  lo stato d’emergenza e, dunque, mettere in campo forze adeguate per far passare la mannaia della loi travail, se la spassano alla vista del remake de “I duellanti”. Capolavoro stavolta in versione farsa: Minniti contro Del Rio. L’uno, di evidente tradizione PCI, l’altro virgulto dell’eterno democristianino. Nell’ormai consolidato contesto del rovesciamento di ogni cosa ideologica, politica, linguistica, nel suo contrario, quello di destra, forcaiolo, respingente, sovranista e repressore, è Minniti; quello di sinistra, umanitario, accogliente, multiculturalista, integrazionista, assimilazionista, è Del Rio.

Di sinistra è coprire con l’ipocrisia e le bugie i veri e propri crimini contro  l’umanità perpetrati contro l’Africa e gli africani, connivenza Ong inclusa. Di destra è chiedere cortesemente agli operatori privati nel marasma del mediterraneo e del sud del mondo allestito dai loro padrini, di accettare un minimo di regole perché nel quadro, che peraltro ne è già zeppo, non s’infilino malintenzionati. E già. Questi sono riusciti a far diventare parolacce quanto è costato la vita e un bel po’ di sangue e pene a decine di italiani che, in armi, in carcere, in parola, si battevano per la sovranità, per la patria, la nazione. Mica per l’Unione Europea. Quella l’hanno fatta dei manigoldi alle spalle nostre. A italiani, francesi, russi e a milioni di africani, asiatici, arabi, latinoamericani, che con queste parole sulle loro bandiere, hanno dato ai padroni della sovranità in esclusiva la migliore lezione dell’intera vicenda umana.


Due paroline ancora su Graziano Del Rio. Ma non era lui quel sindaco di Reggio Emilia che ha scandalizzato e fornito di pesanti sospetti la nostra opinione pubblica non democratizzata quando, sindaco di una città ad alto tasso di criminalità ‘ndranghetista, per questo sotto osservazione della DDA di Bologna, secondo i giornali sarebbe stato visto al ristorante in compagnia con una gruppo di imprenditori sui quali aleggiava, come nuvola di Fantozzi, un forte olezzo di ‘ndrangheta?

Capitò nel 2013. Può capitare. Anche se sarebbe stata una ricaduta. Giacchè nel 2009, come Del Rio ha ammesso a denti stretti alla DDA, il sindaco della città ex-rossa s’era recato in devota processione a omaggiare i santi patroni di Cutro in Calabria. Quelli stessi che, per la DDA, imperversano nel reggiano (e dappertutto nel Nord). Che ci fa un sindaco di Reggo nella roccaforte della ‘ndrangheta della provincia di Crotone? In processione? Quando si sa bene cosa significhino quelle processioni. E certi “inchini”. Diversi prefetti sono saltati sulla sedia per molto meno. Poi l’ex-DC Del Rio insorge contro il suo stesso governo, componente ex PCI, in difesa di personaggi accusati dalla magistratura di operare d’intesa con malfattori.

Cambiasse mai qualcosa in questo paese dell’eterno ritorno. Democristiano..