Datemi qualche ora in più e proverò a
dire qualcosa di non insensato sul parallelo attacco alla libera Eritrea da
parte dell’esercito etiopico e della Commissione del Diritti Umani dell’ONU a
Ginevra e poi sulla mega False Flag di Orlando in Florida. Per ora torniamo su
Regeni e su chi ciurla nel manico.
Né-Nè
Nel Comitato
No Guerra No Nato di cui faccio parte si è sviluppata in questi giorni una
polemica da me innescata e che riguardava l’eterna questione dell’equidistanza,
volgarmente né-né, per alcuni irrinunciabile valore. Questione per la prima
volta scaturita ai tempi della guerra contro la Serbia, da me raccontata sotto
le bombe su Belgrado, e in cui avevo definito la variegata folla di pellegrini
a Sarajevo, tra disobbedienti di Casarini, rifondaroli e sinistri tutti,
sedicenti nonviolenti e realtà ecclesiali varie, in quel modo: quelli del né
con la Nato, né con Milosevic. Quelli puliti e intonsi alla finestra, freschi
di Mastrolindo, senza macchia.
E’ una genia
che si ripresenta in tutte le occasioni in cui tocca prendere la scomoda e
compromettente decisione di schierarsi: né con i Taliban, né con Saddam, né con
Gheddafi, né con Assad e, specularmente,
né con gli Usa e con la Nato. C’era stato un antecedente, né con le BR, né con
lo Stato, ma era falso, non c’entra niente perché lì si negava l’adesione a due
facce della stessa medaglia. Come se oggi si dicesse né con Obama, né con Al
Baghdadi, né con Trump, né con Killary. Come quando il Gasparazzo di Lotta
Continua giustamente decideva né con il padrone., né con il sindacato.
Tautologico.
Il né-né si
è consolidato e istituzionalizzato. Ha trasceso vecchi accostamenti a pesci in
barile, cerchiobottisti, panciafichisti. Da una base di gentildonne e
gentiluomini perbene che volevano restare tali e compatibili con l’ambiente in
cui vivevano, si è allargato ed è cresciuto fino a vertici un tempo
impensabili. Si è costituito in organizzazioni, partiti, Ong, pubblicazioni,
agenzie. Per un attimo ne è diventato luminoso portavoce addirittura
Berlusconi. Ricordate quando azzardava “non (più) con Gheddafi, non (ancora)
con la guerra”?
La polemica
partiva da una piccola agenzia di notizie, house
organ del Partito Umanista (sì, esiste ancora) che nei suoi bollettini, tra
una condanna della guerra alla Siria, una rampogna alla Nato, un rimbrotto al
golpe della malavita brasiliana contro Rousseff, ti inserisce quatto quatto una
sfilza di calunnie e bugie sull’Eritrea del “dittatore Afewerki”, una repulsa
dell’omobofo e autoritario Putin, qualche dubbio sulla democraticità di Assad,
una condivisione della rivoluzione color Cia in Iran contro il despota
Ahmadinejad e, un piantarello sulla Grecia scassata, o su indigeni
latinoamericani in estinzione e, sistematicamente, la riproduzione delle
manovre affidate dal Dipartimento di Stato, o dalla Cia, o da Soros, a Amnesty
International, Human Rights Watch, Reporters Sans Frontieres.
Così veniamo
a sapere di Regeni “trucidato dal regime egiziano”, ma non del suo lavoro al
servizio di spioni e serial killer internazionali; del Darfur, ma non delle
operazioni di destabilizzazione del Sudan; di Karadzic e delle sue colpe per
Srebrenica (massacro inventato e a lui attribuito); del “tiranno” Mugabe,
presidente dello Zimbabwe (e dell’ultimo paese, insieme ad Algeria e Eritrea,
che non ospita truppe e multinazionali Usa e latifondisti bianchi); addirittura
dei poveri Tartari della Crimea, oppressi e repressi dagli “occupanti” russi…...
Camaleonti
Di Ong e
agenzie come questa sono pieni gli scaffali imperiali. Sei attirato dallo
zuccherino del pacifismo, della condivisione della sorte di aggrediti, dalla
condanna di guerre e tiranni e poi te ne torni a casa intossicato dal nocciolo
di cianuro che alla zolletta era stata infilato da Amnesty o HRW o NED o
Freedom House o Soros. Si chiama “savianismo” ed è l’evoluzione del né-né.
Prende il nome da uno scrittore che se la prende, facile facile, con il personaggetto de Luca, governatore della
Campania, per poi poter impunemente iscrivere il personaggione De Magistris tra
i seguaci di Hamas, intesi come i barbarici persecutori dell’amato Israele e
Hugo Chaves tra i peggiori caudillos latinoamericani Con il né-né ti paravi il culo non stando né di qua, né di
là e restavi a galla. Con il savianismo fai un passo avanti. Non stai né con la
camorra, né con Hugo Chavez, ma con la camorra ti sei costruito un piedistallo
dal quale, riconosciuto eroe, puoi tuonare contro Hugo Chavez o Luigi De
Magistris ed essere credibile poiché sono credibili coloro che hanno un
piedistallo. Come mettere su un piatto della bilancia un moscerino e sull’altro
un caimano, ma la bilancia è certificata.
Ultimamente
Il fenomeno è dilagato ed è diventato pericolosissimo. Pericoloso per chi, ammaestrato
da battesimi, cresime, catechismi ed oratori, si compiace di farsi gabbare. Non
dai grandi media, che si sanno e si ammettono di regime. Con un grano di sale
in zucca e l’occhio non troppo
catarattizzato, di Stampa, Messaggero, Repubblica, Corsera, vari tabloid
scandalistici come questi, dei Tg e degli altri media di regime, si percepisce
la natura di trombette e tromboni, zufoli e organi e si vede bene chi, di
spalle, dirige la musica. Di questi giornali si dà per scontata l’ottusa
disonestà intellettuale, non ci si sprecano soldi, per capire dove vanno a
parare basta sbirciarli in rete. Vale anche per la tivvù.
Poi ci sono
i giornali di opposizione a seconda. Dunque farlocchi. Ma pericolosi. Più avanti leggerete come due
dei più illustri si siano rivelati patetici velinari rimasticando, ognuno in forma leggermente
reinventata, la stessa velina centrale su Regeni.
Sono questi due
giornali, strepitosamente savianei, che compro e leggo da capo a coda. Uno è il
“manifesto” che, per quanto tenuto in
vita dalle pere pubblicitarie di compagni sostenitori come Enel, Eni, Telecom,
Coop e, per quanto venda meno del marronaro all’angolo, insiste a rappresentare
un vociante grumo di sedicente e secredente sinistra. Gli rimane, dunque, una
capacità di sgambettare un bel po’ di gente illudendola di accompagnarla verso
il sol dell’avvenir. L’altro è “Il Fatto Quotidiano”, che va fortissimo e ha un
gruppetto di giornalisti di varia tendenza, ma di penna acuminata e
ben condotta. Sono i due unici quotidiani da edicola che passano per essere
“altro”, “contro”, “alternativi”. Infatti ci danno giù alla grande contro
Berlusconi, prima, e ora contro Renzi. Poi si passa alle pagine estere e si
scopre che siamo davanti a due portentosi esempi di savianismo.
Dicesi savianismo
la conquista di un piedistallo di credibilità e fiducia nel settore sociale genericamente opposto
al potere esistente attraverso la critica condivisibile alle sue più evidenti
manifestazioni negative, per poi indirizzare quella fiducia e quella
credibilità a sostegno delle grandi operazioni strategiche, eminentemente internazionali,
quelle che poi contano davvero e decidono il destino di tutti. Abbiamo
così questi due giornali d’opposizione
che conducono una fiera lotta contro, oggi come oggi, il regime Renzi e in
difesa degli strati che da quel regime sono colpiti, impoveriti, esclusi,
repressi. Coinvolti fino all’indignazione e all’entusiasmo nelle filippiche contro
Expo, le trivelle, le spedizioni libiche, il Jobs Act, i voucher, gli stupri
dei cementificatori, il ladrocinio delle Grandi Opere, Banca Etruria di papà
Boschi, passiamo dalle veementi intemerate
della redazione interni, dalle cose di casa, agli esteri, dal calcetto del bar
ai Mondiali. E qui giocano quelli che ti risolvono la partita, i Colombo, i Gramaglia,i
Rampoldi, i Di Francesco, gli Acconcia, i Battiston, i Celada…
Ed è qui che
si gioca la partita. Sei certo che ti hanno detto delle sacrosante verità,
contro il conformismo, contro il senso comune, contro le balle del Giglio
Magico. Trovi conferma dell’affidabilità del tuo comunicatore anche quando ti
dice che la spedizione Nato contro la Libia ha prodotto solo disastri, magari
dimenticandoti che qualche anno prima l’aveva sostenuta, se non con le bombe,
con la denuncia degli “spaventosi delitti” di Muammar Gheddafi. Quindi,
vasellinato da tanta autonomia giornalistica, la bevi con gusto anche quando ti
rifila una società civile afghana che si sente protetta dagli occupanti Usa, o
una Forza d’Intervento francese che salva il Mali dal jihadismo terrorista, o
un dittatore carceriere e torturatore come Afewerki in Eritrea, o una Hillary
Clinton che, comunque, è mille volte meglio di Trump, o un Pannella che stava
dalla parte dei popoli oppressi e di un Dalai Lama vertice sublime di umanità,
o un Regeni, per niente ambiguo collaboratore di spioni e masskiller
angloamericani, anzi combattente per il riscatto degli operai schiacciati dallo
stivale del Pinochet egiziano, o un Putin che sevizia le candide Pussy Riot e
scatena la rediviva GPU contro gli omosessuali, o quel Kim Yong Un che fa
sbranare lo zio dai cani, o la santa subito per meriti Usa San Suu Kyi, o
Fratelli Musulmani che da Levante a Ponente innalzano i vessilli della
democrazia sulle macerie del dispotico nazionalismo laico. Sempre allineati e
coperti sotto i vessilli finto-umanitari del depistaggio, della mistificazione,
dei trampolini di guerra HRW (Soros), Amnesty (Dipartimento di Stato),
Reporters Sans Frontieres (Cia).
O, la cosa più oscena e al tempo
stesso rivelatrice della sotterranea complicità con il mostro, l’avallo dato a
tutti gli attentati terroristici, anche quelli più scopertamente di Stato, le
più eclatanti False Flag (vi eccelle “Il manifesto”), con contemporanea
criminalizzazione o ridicolizzazione degli analisti non omologati, i famigerati
“complottisti”. Non ammettendo, neanche davanti a una mole
inconfutabile di contestazioni, prove, testimonianze, documenti, quello che
qualsiasi professionista della comunicazione dovrebbe coltivare come principio
fondamentale: il dubbio. L’unilaterale
assegnazione della verità alle fonti ufficiali per nesso logico comporta la
condivisione delle ragioni che i mandanti traggono dal terrorismo, dal loro terrorismo, per condurre
guerre di sterminio, assassinare migliaia di persone extragiudizialmente,
trasformare le proprie apparenti democrazie in Stati di polizia e in
demolizione dei diritti umani veri. Con il che si rasenta il tasso di
criminalità degli stessi Stati terroristi.
Ed ecco che,
prendendoti per il verso dei diritti umani e della democrazia, ti hanno
beccato. E non ti sei manco accorto che ingurgitavi dolci e tossici sciroppi
cripto-Nato. Perché nel tuo piccolo domestico ti puoi anche permettere di sbraitare.Tanto
ci sono le misure di controllo e di isolamento. E’ sulla grandi questioni,
quelle che dai piani alti calano a mannaia sulle turbolenzucce dei
seminterrati, che non devi sgarrare.
Un
piedistallo d’oro umanitario, tempestato di diritti civili e GLBT, circondato
dal tripudio delle genti, per farne calare le zozzerie del menzognificio imperiale.
Che sono quelle che contano. Giacchè, povero bischero, puoi pure, in coro con
questi scaltri velinari, abbaiare quanto vuoi contro il ciarlatano zannuto
dell’Arno, sbertucciare la virago idiota che fa il ministro, scoperchiare zuppiere
di mota politico-mafiosa servita per pranzo a palazzo, scoprire carogne
fetecchiose in mezzo agli scranni delle istituzioni. Ma quel che conta è che,
così addomesticato da tanta bella denuncia e indignazione, hai il cervello
spalancato all’ingresso della cavalleria pesante: quella delle cose del mondo.
Due giornali, una velina
Due
dimostrazioni eclatanti di questo assunto le ho trovate giorni fa nelle
cronache identiche, ma differenziate nella confezione, che due giornali, che si
dicono distantissimi, tanto da ignorarsi pervicacemente perché concorrenti sul
medesimo bacino, hanno pubblicato sullo stesso argomento. Trattavasi con ogni
evidenza di velina distribuita agli organi “amici” dalla centrale alla quale
non si può dire di no. E riguardava un nervo scopertissimo del corpo imperiale:
Giulio Regeni.
C’era stato
un contraccolpo inaspettato e al limite della catastrofe per l’ordito imbastito
tra Israele e Occidente allo scopo di far saltare l’Egitto, il suo ruolo sulla
scena mediorientale e mondiale, i suoi rapporti con partner preziosi, come
un’Italia affamata di energia di cui l’Egitto si è scoperto fornito in
abbondanza. Già si era riusciti a
tagliare gran parte dei convenienti rifornimenti di gas russo e iraniano a
Italia ed Europa (South Stream, Turkish Stream, gasdotto
Iran-Siria-Mediterraneo), reimponendo l’esclusiva delle multinazionali
anglosassoni e francesi. Figuriamoci se ci si poteva permettere che l’Italia
approfittasse anche dell’enorme giacimento egiziano, dando essa già fastidio
con i gasdotti arabi libico e algerino sotto controllo ENI.
Botta fatale di Cambridge
A Cambridge
il pellegrinaggio della procura di Roma, affiancata per la giusta carica
mediatico-emotiva dalla famiglia Regeni, ha sbattuto contro le alte mura medievali
dell’ateneo. I professori dell’augusto
college si sono valsi della facoltà di non rispondere. Come mai se, come
famiglia Regeni e gazzettieri di mezzo mondo giurano e spergiurano da mesi, il
giovane aveva eseguito un compito assegnatogli dai suoi docenti di esplorare
natura e comportamenti dei sindacati egiziani cosiddetti “indipendenti” e di
questo gli fosse stato fatto pagare il fio dal “Pinochet del Cairo”? Che non
fosse quella la missione? Che fosse un’altra, magari imbarazzante, magari
inconfessabile? Magari quella di una struttura diversa, forse parallela, forse
sinergica, forse no?
E’
tradizione consolidata che i servizi britannici traggono ampi rincalzi dagli
istituti in cui l’élite, anche internazionale, alleva la sua classe dirigente.
Ma stavolta tale dato risulta confermato da una circostanza assolutamente
rilevante e rivelatrice, tanto che tutti gli apologeti di Regeni combattente e
martire, e ovviamente i suoi professori di Cambridge, più o meno coinvolti, ma
certamente al corrente, come anche coloro che avrebbero il dovere professionale
di accertarsi e comunicare ogni dettaglio della vicenda, pervicacemente la
occultano. Un mezzo grammo di buonafede, oltre a un filino di deontologia,
avrebbero dovuto indurre costoro a chiedersi e a chiedere all’universo mondo
che cosa mai avesse fatto Regeni, primo, nell’università del New Mexico, nota
per le sue vicinanze all’intelligence Usa e, secondo e soprattutto, perché poi
avesse proseguito quella formazione lavorando dal 2013 al 2014 per Oxford Analytica,
una gigantesca rete di spionaggio privata con sedi a Oxford, Washington, New
York e Parigi e 1.400 collaboratori nel mondo. Impresa diretta da tre
allarmanti figuri che proprio per niente si conciliano con l’immagine che la
voce del padrone, regolarmente ospitata anche dal “manifesto” e dal “Fatto”, i
giornali “alternativi”, ha voluto
proiettare: David Young, reduce dal carcere per il Watergate di Nixon, Colin
McColl, ex-capo del Mi6, l’intelligence britannica per l’estero, e John
Negroponte, ricordato in Centroamerica e Iraq per i suoi squadroni della morte.
Da mesi il
coro regeniano si affanna a fantasticare tra speculazioni e certezze
apodittiche. Ultima quella di un Regeni caduto vittima di faide tra servizi di
sicurezza rivali. Pian piano lo sfortunato e azzardoso giovanotto finisce sul
retro del proscenio, mentre vengono proiettati sullo schermo le nefandezze del
presidente egiziano, automatizzato in mandante, se non in esecutore. La lotta
del governo e delle forze di sicurezza contro il terribile dilagare del
terrorismo dei Fratelli Musulmani, spodestati dalla presidenza da una
rivoluzione popolare, con gli inevitabili arresti e le inevitabili condanne di
chi fa stragi di poliziotti, soldati e civili, diventa nella narrazione di Amnesty,
manifesto, Il Fatto, una repressione di oppositori rispetto alla quale la
Turchia o l’Arabia Saudita eccellono quali protagonisti dei diritti umani.
Ora nel
pesante contraccolpo di Cambridge, nel quale il non-detto delle autorità accademiche, intime di Regeni,
diventa un colossale detto su una sceneggiatura del tutto diversa e talmente
imbarazzante per i britannici da non potersi, appunto, dire. Con in più la
totale assenza di smentite sull’ipotesi, tuttavia circolata, da noi e anche
all’estero, del nerissimo retroterra spionistico dell’italiano e quindi della
crescente credibilità dell’ipotesi che, più o meno ignaro, dai suoi padrini sia
stato sacrificato per dare a una poderosa provocazione contro l’Egitto di Al
Sisi (e contro i suoi rapporti economici con Italia, Russia, Cina e altri
concorrenti dei capintesta Nato) la copertura di un giovane schierato con
sindacati e democratici. Perfetto. Se solo da là dietro non emergesse Oxford
Analytica combinata con il ritrovamento
del corpo torturato nel giorno degli accordi Cairo-Roma. Il che, insieme
all’evidentissimo cui prodest derivato dalla speculazione sulla vicenda, rade al suolo l’idea di una responsabilità
del regime egiziano, solo a pensare quali sventure gliene sono venute.
Due personaggi in cerca d’autore
Ed ecco che
in redazione arriva una velina che deve parare il colpo sia dell’eloquente
riserbo di Cambridge, sia delle misteriose telefonate intercorse tra Regeni e
suoi interlocutori britannici alla vigilia della scomparsa e su cui si è subito
steso un chiassoso silenzio. Velina uscita dalle centrali dell’operazione
Regeni come dimostrato da come l’abbiano pubblicata, ognuno manipolandola
secondo la chiave ritenuta più opportuna, il Fatto e il manifesto.
Il nocciolo
del depistaggio sta nella scoperta di intrighi e rivalità tra servizi di
intelligence egiziani, con uno civile dalla parte di Al Sisi e l’altro (ce n’è
anche un terzo, tra coloro che son sospesi) militare in mano ai suoi rivali.
Non si può affermare, ma si implica che il secondo abbia buttato il cadavere
mutilato di Regeni tra i piedi dell’odiato presidente. Dunque l’ennesima
fantasticheria, stavolta intesa a rappresentare un Egitto dilaniato da forze,
ovviamente tutte orripilanti, interne al regime, con un Al Sisi debolissimo e sul punto
di precipitare e, quindi, per conseguenza logica, il terrorismo sanguinario dei
Fratelli Musulmani riabilitato a civile interpretazione della rivoluzione
democratica del 2011. Cosa che viene utile anche per sostenere i Fratelli
Musulmani libici di Al Serraj e i tagliagole e scuoiatori di neri di Misurata.
Il bello è
vedere come il rispettivo redattore abbia colorito la velina ne Il Fatto e nel
manifesto. Il Fatto Quotidiano scopre l’immancabile ma affidabilissimo
“anonimo” in Turchia, dove Travaglio può permettersi di spedire un inviato che
ne viene relazionato da un presunto leader dei Fratelli in esilio a Istambul,
tale Amr Darrag. Nel meno abbiente manifesto, dove Chiara Cruciati è la nuova pasionaria dei bombardamenti su Al Sisi da parte della
Fratellanza, visto che il suo fan Acconcia è passato a sostenerne la versione
Nato in Libia, si fa ricorso a un meno prestigioso “anonimo”: un “attivista egiziano che per ragioni di
sicurezza chiede di non essere identificato” . Comprensibile no? Mica
vogliamo buttarlo tra gli zoccoli del Satana Al Sisi!
Anonime
entrambi, le fonti dei due organi cripto-Nato, e dunque credibili. Sia quando
danno per scontato che il nobile militante per gli oppressi e sfruttati Regeni
sia stato liquidato dal regime, qualunque testa dell’Idra l’abbia materialmente
fatto (entrambi concordano con l’attribuzione del delitto alla NS, National
Security che, sentendosi scavalcata dall’intelligence dell’Esercito, si sarebbe
vendicata facendo trovare accanto al corpo di Regeni – ucciso da chi? – una
coperta militare. Mostruosa astuzia, non vi pare?).
Per il resto
è tutto un guazzabuglio di intrighi di palazzo da far invidia a Macbeth, nel
quale, con un expertise da far invidia a un Le Carré all’apice della forma, si
descrive una specie di rettilario di gruppi, enti, caporioni, che di reale non
hanno nulla, ma di virulenza propagandistica anti-egiziana quanto serve ai
riconoscibilissimi nemici di questo ultimo grande Stato arabo unito, indipendente
e perlopiù ora ricco di risorse energetiche più di tutti quelli che si affacciano
sul Mediterraneo.
In sostanza
si tratta di un tentativo per sostenere, con le solite illazioni e accuse
basate su assolutamente nessuna prova, testimonianza, evidenza, i colpi di coda
dello schieramento Regeni: la proposta, grottesca, di una commissione
d’inchiesta parlamentare e, addirittura, la richiesta dei genitori al
parlamento europeo di rompere con l’Egitto. Sullo sfondo, la solita soluzione
per tutti i paesi che non marciano al passo del 4° Reich: sanzioni genocide e
poi bombe. Qui c’è di sicuro un morto ammazzato. Non si sa da chi.
Tutt’intorno, lungo alcuni meridiani e paralleli, sono sparsi milioni di morti
ammazzati. Com’è che nessuno esige gli stessi provvedimenti contro gli
assassini di costoro che, in questo caso, sono noti e confessi? Forse perché
questi sono del 4° Reich?
La
sovrapposizione dell’anonimo turco e dell’anonimo egiziano è tale da sembrare
concordata tra Travaglio e la direttrice dsel “quotidiano comunista” Norma
Rangeri: Dobbiamo lanciare questa velina, tu come la metti? Io pensavo a un
Fratello Musulmano scappato in Turchia, vittima di Al Sisi come Regeni… Bè, io
a Istanbul non ciò nessuno, però un attivista egiziano perseguitato da Al Sisi
va bene uguale….
I due
quotidiani di cui citiamo le imprese sono pericolosi. Ti prendono per i capelli
e ti trascinano con sé e contro i notabili domestici fino a pagina tot. A quel
punto sei bell’e cotto e finisci fiducioso nella palude della politica estera,
ti bevi secchiate di poltiglia pensando
che sia rum cubano e manco ti accorgi che i caimani ti asportano fette di
cervello. L’uno vanta fuoriclasse della penna, l’altro ti seduce con
l’orizzonte tracimante di “nuovi soggetti politici” che faranno rinascere la
sinistra (una volta D’Alema, una Obama, una Bertinotti, una Cofferati, e poi
Tsipras, Landini, Fassina, Corbyn, Sanders, …
Intanto ti
rifila quattro paginoni che ti raccontano un’Asia dove i cattivi veri sono i
Taliban e i cinesi, un inserto redazionale (non pubblicitario) in cui mozza le
gambe ai NoTriv raccontandoti quanto sia divertita e abbia imparato una
scolaresca in viaggio-premio tra i pozzi dell’Eni in Basilicata (poi sigillati
dal magistrato perché corpo del reato), una stroncatura per eccesso operaista
del film “I, Daniel Blake” con cui
Ken Loach ha trionfato a Cannes e, per contrasto, un’esaltazione della regista
Cia Kathryn Bigelow e del suo spot Cia sull’Iraq “Zero Dark Thirty”,
un’irrefrenabile avversione a russi, cinesi, 5Stelle e a tutti quelli che
stanno sul cazzo all’imperialismo, una smodata passione per quinte colonne come
curdi e Fratelli Musulmani, dire peste e corna di Trump cosìcchè ne risulti
rigenerata Hillary, per finire con il sempreverde Asor Rosa che, invadendo gran
parte della foliazione, insiste a ripeterci che o ci si salva con il PD e con
il centrosinistra, migliore dei mondi possibili, o è la fine.
E’ la fine. Come volevasi dimostrare.