C'è anche un intervento di Mussa Ibrahim, portavoce di Gheddafi
Basta scoprire fino a che punto la gente è disposta a sottomettersi e si è trovato la precisa misura di quanta ingiustizia e di quanti abusi gli si potrà imporre. E questi rimarranno fino a quando non vi si resista, o con parole, o con colpi, o con entrambi. I limiti dei tiranni sono definiti dalla sopportazione degli oppressi. (Frederick Douglass, schiavo fuggito. scrittore, giornalista, 1818-1895)
Dopo i recenti “ratti, bisce e aquile”, rondini. I volatili ci indicano la via.
I classici e romantici tedeschi, a cominciare da Goethe, facevano il Grand Tour in Italia. Viaggio di iniziazione alle origini della civiltà classica (alla larga dal Vaticano) che, da allora, improntò per due secoli lo Zeitgeist germanico e anche europeo. Riportarono indietro una visione del mondo e dell’uomo che avrebbe voluto contrastare, almeno riequilibrare, il furore produttivistico e mercificatore e l’ossessione tecnologica del nascente capitalismo, gli eccessi positivistici e deterministi che allora prendevano l’avvio devastando e costruendo. Con la sintesi di due concezioni diverse di civiltà e umanità e con il suo superamento, trattone il meglio, fa un enorme balzo in avanti Carl Marx, sulla scia dei Kant, Hegel, Feuerbach. Allora anche noi trovammo ispirazione in Socrate, nei tribuni della plebe, in Spartaco, Dante, Giordano Bruno. E furono Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento. E poi Gramsci. Da lì siamo arrivati a Bersani e Vendola. Noi, quelli del nostro Grand Tour in Italia, quando si cercava l’abbrivio per cambiare il mondo.
Ho colto un’occasione, regalatami da Gheddafi e dal mio popolo libico, per fare il viaggio all’incontrario, il Grand Tour in Deutschland. Tre presentazioni-dibattito del docufilm “Maledetta Primavera” in altrettante città tedesche, anche fortunatamente dell’Est, già rispettabilissima e diffamatissima DDR. Ne seguiranno a ottobre altre otto. Merito di tedeschi che la sanno e la fanno spesso più lunga degli equivalenti italiani. La mia frequentazione è antica. Durante la guerra (non la prima, la seconda), con madre e sorella, fummo confinati in una piccola cittadina bavarese sul Meno e ci feci le medie inferiori e ci dovetti fare lo Hitlerjugend, cosa che aveva il vantaggio di tirarmi fuori dall’esclusione dell’italiano traditore “badogliano” e di farmi inoltrare, a forza di escursioni, nell’immensa, antica, silvestre, magica, natura tedesca. Quella gente, i compaesani, ci tennero in vita, condividendo quel poco che gli restava durante la Grande Fame 1944-45 e le grandi bombe alleate, con le mitragliatici che dal cielo miravano a noi che uscivamo da scuola. Gli stragisti di allora li ho visti ripetersi cento volte, fino a Tripoli. Tra le gioie di quell’infanzia vispa e movimentata c’era l’incontro con il primo bassotto, Lumpi. Avete visto la serie cinematografica “Heimat”? Era così. Ci sono tornato tante volte, per tutta la vita, ci ho studiato Germanistica con – e me ne vanto – Thomas Mann, ci vado in vacanza a ritrovare i Fratelli Grimm: tutta la Germania è percorribile da nord a sud e da est a ovest, senza mai uscire dai boschi, pensate un po’. E vi trovo sempre, al di là dell’assetto politico, al di là delle mazzate che lì vengono inferte alle classi subalterne, un gradino più alto di civiltà. Di convivenza civile. Se civiltà è rispetto. Per e tra gli umani, gli animali e i loro habitat.
Forse per questo, forse per affettività passate, forse perché non contaminato dallo stereotipo in cui si usa “tedeschi” per “nazista” e in ogni film di guerra i tedeschi non parlano, ma abbaiano, ci sono sempre rimasto male quando, da decenni, i compagni tengono nazista per sinonimo di tedesco. Vorrei vedere questi altezzosi compagni se lo facessero a noi. Ne so qualcosa da quando, dopo l’8 settembre, i ragazzetti tedeschi mi davano la caccia urlandomi “Badoglio!”, o da quando, al liceo in Italia, i compagni sfottevano il mio accento tedesco, acquisito in quegli anni, dandomi del “Mankesten” (che non significa nulla, ma suona da colonello delle SS).
Scusate l’excursus autobiografico, mi sono lasciato trasportare dai sentimenti. Dove eravamo ? Al Grand Tour in Deutschland. Dove, essendoci un’antica cultura ecologica (niente a che fare con quei puzzoni di “Verdi”, sconci fasulloni neoliberisti e guerrafondai), ci sono pale eoliche, su immense distese di prati e foreste, che non turbano affatto il mio senso estetico, anzi, e poi sono certo più belle e utili delle centrali elettriche, atomiche, petrolifere. Sembrano oche selvatiche in volo. Il bello è che non turbano per niente neanche le rondini che, essendo intelligenti, uno, hanno imparato a evitarle e, due, preferiscono da sempre frequentare tetti, grondaie, granai e persone. E se in Italia è ormai difficile trovare un solo passero solitario che d’in su la vetta della torre antica cantando (cose giuste e vere) va finché non muore il giorno, sulla terra di Hoelderlin e Brecht, insistono a volare stormi di rondini. Una rondine non farà primavera, ma tante così fanno un bel cielo di Germania. Come è noto, queste saettanti creature comunitarie divorano insetti e puliscono il cielo, cosa che noi ora ci hanno ridotto a fare con chimica tossica. Su insetti che pungono e fanno bolle nel cervello si sono avventate le rondini che mi hanno invitato a raccontare, con immagini e parole trovate in Libia, una storia che nei loro alti e rapinosi voli avevano già saputo intravvedere.
Nella Germania del “culone berlusconianamente inchiavabile”, di Bundesbank e BCE, dello stupro della DDR e delle sue diffuse garanzie sociali, dei partiti tutti uniformemente atlantici, delle associazioni para-Bundesnachrichtendienst (il servizio segreto alemanno-atlantico) che pannellianamente lavorano ai fianchi, col terrorismo strisciante, Stati e popoli disobbedienti, c’è più resistenza e lucidità e coraggio, mi pare, che nel paese che vantava il “più grande partito comunista dell’Occidente”. Non che quella Germania dei gerarchi nazisti riabilitati in Stato e Intelligence non si sia data da fare. In coincidenza, magari fortuita, con il mio Grand Tour su arabi e loro carnefici, a Berlino, due arabi, un palestinese e un libanese, studenti di medicina, entrambi cittadini tedeschi e da decenni nel paese, sono stati arrestati e buttati in carcere con l’accusa di programmare attentati terroristici. Se ne è parlato fino a quando il tour, ripreso da stampa e tv, non è finito. Poi la storia è svaporata. Si basava su bicarbonato e lisciva trovati nelle abitazioni: “sostanze atte a costruire ordigni esplosiivi”. Intanto, la Merkel ne ha approfittato per rilanciare un drammatico appello alla “vigilanza contro il terrorismo”. Altro giro di vite per spremerci il costo della “crisi”. Infame e patetico, e noi, qui, ne sappiamo qualcosa.
Come sappiamo qualcosa dei piani di sterilizzazione e repressione per internet. Tutto il tam tam, che ha poi fatto scaturire alle iniziative centinaia di persone, era ovviamente stato fatto dai miei ospitanti via internet, face book, twitter e altre diavolerie. Che quando scatenano rivoluzioni colorate da Ahmadinejad o Lukashenko, in Venezuela o Libano, vanno benissimo. Quando convocano a muoversi contro la Nato e per i popoli aggrediti, vanno malissimo. Così, anche in Deutschland, l’equipollente del matamoros Maroni ha convocato Facebook per intimargli di farla finita con l’autoregolamentazione e di farsi dettare dalla legge misure di eliminazione e punizione degli intemperanti di rete. A Pfaffenhofen (Monaco) un comitato di amici della Serbia, a Karlsruhe (Baden Wuerttemberg) e a Dresda un gruppo di antimperialisti e anticlericali riuniti intorno a una casa editrice eterodossa, hanno messo in piedi tre eventi con il docufilm che levati! Nelle future Berlino, Monaco, Augusta, Norimberga, Heidelberg, Francoforte e Colonia, saranno associazioni e comitati locali a organizzare la presentazione di “Verfluchter Fruehling” (Maledetta Primavera).
In nessuna delle occasioni già passate c’erano meno di cento persone, a Dresda 220. E, pensate, paganti! Tre euro e mezzo. Non a me, ovviamente, al cinema o al teatro che ci ospitava. Ceteris paribus, in Germania, come anticonformismo e antimperialismo senza se e senza ma, senza spappagallata degli anatemi Nato contro “regimi” da abbattere, stanno meglio di noi.
Dresda. Io, da piccolo, una Dresda minore l’ho vissuto in diretta. Dalla finestra dell’albergo a Magonza (mia madre non ci voleva nei rifugi) ho visto uccellacci di ferro a centinaia sganciare ordigni di fuoco che radessero al suolo una città storica, preziosa all’umanità. Come nella Dresda delle 200mila vittime di Churchill, a Wehrmacht disfatta e assente. Come lì, una grigia distesa di scheletri di mattoni e cemento con, nel vuoto, le ceneri dei civili incendiati. Camminando poi, tra polveri e fiamme, mi ricordo cavalli squarciati al lato della strada. Dresda, massimo gioiello barocco e neoclassico d’Europa, l’hanno ricostruita perfetta, un po’ la DDR, un po’ la BRD. Allora ai sassoni di Dresda ho ricordato Widukind, re dei sassoni. Fu l’ultimo ridotto pagano, dopo una resistenza disperata e una strage di sassoni passata alla storia, a essere sottomesso al sanguinario imperialismo cristiano di San Carlo Magno. Ne lessi un libro da bambino,”Widukind der Sachsenkoenig”, e ne fui tanto impressionato come, dopo, solo dal Diario del Che Guevara.
Non che nei miei incontri italiani, o in rete, non siano spuntate voci sapienti e libere, senza peraltro alle spalle niente di organizzato. Ma alla verità “altra” su primavere e non-primavere, su Siria, Libia, Gheddafi e i “giovani rivoluzionari” di Rossanda-Liberti-MInzolini, il nostro pubblico risponde perlopiù con perplessità, curiosità, disponibilità, a volte con adesione liberatrice. Segno che la “grigia massa”, si è fatta guardinga grazie ai precedenti (Milosevic, Saddam, Fidel, Chavez satanizzati, bufale scoppiate), sfiduciata nei confronti dei rintronati, o collusi epigoni della sinistra, e ha saputo coltivare la pianta medicinale del dubbio. E non è poco. Ma tra quei partecipanti tedeschi è sgorgata a ripetizione, in decine di interventi nel dibattito, la già acquisita indipendenza dello spirito e, quindi, la sua lucidità. Che preparazione, ragazzi! Da lasciarmi a volte spiazzato. Chi portava la mole di informazioni corretta, sagacemente reperita in internet, chi traeva paralleli tra la colonizzazione della Germania Est e quella della Libia, dell’Europa e dell’Africa, chi andava a rovistare con competenza nel covo di quelle poche decine di “famiglie” finanziarie che, agitando burattini politici in lotta contro la “crisi”, governano i trasferimenti di ricchezza da classi e popoli, dal 99% dell’umanità, alla cima della piramide da loro occupata. Chi, nei gradoni a scendere della piramide, individuava crepe da far tremare l’intera costruzione, crepe da allargare e come allargarle fino a farne rivoluzione. Uniti, noi derelitti della metropoli benestante, e loro, genocidati di tutti i Sud, nella stessa barca, anzi, trincea. Si chiama internazionalismo, è il piede di porco per lo scardinamento del sistema. Noi lo praticavamo al tempo dell’Abissinia, della Spagna, dell’Algeria e del Vietnam. Poi vennero Berlinguer e Bertinotti. Ma, a loro grande dispetto, anche Lotta Continua, con la nostra battaglia comune con vietcong, palestinesi, irlandesi, portoghesi, cileni, che fu strozzata nella culla dalla madre infanticida.
Scontri per il G8 a Rostok
Quando facciamo i grilli parlanti dalla parete scalcinata, ché ci arrivi un martello tedesco. Magari non addosso, vicino, da darci la sveglia. Che ne sappiamo di quelli? Abbiamo mai appreso che un milione di tedeschi, tra comunisti, socialisti, antifascisti, sono periti nella resistenza al nazionalsocialismo? Ci siamo mai cercati, visti, confrontati? Forse ne potremmo trarre giovamento.
Sarò più preciso dopo la seconda tappa del Grand Tour in Germania.
Passiamo alle notizie.
Smascherato dal contrastato lavorìo di informatori non assoldati, ad Al Jazira (Al Jazeera per gli anglofoni) è successo il patatrac. La rete all news del satrapo del Qatar, custode della Quinta Flotta Usa, quella che, universalmente copiata, ci aveva taroccato storia su storia, immagine su immagine, dell’aggressione Nato-mercenari alla Libia; quella che aveva regalato un canale alla marmaglia dei golpisti e li aveva riforniti di carburante, armi, soldi e truppe speciali; quella che contava così di acchiappare un po’ di greggio light libico, magari da un neoinsediato collega monarca, figlio del famigerato tiranno londraprono Idris; sì, quella che ha precipitata nel girone della Giudecca l’informazione mondiale. Svergognata nel suo massimo dirigente per le fantastiche costruzioni di inganni e frodi e calunnie erette durante la guerra alla Libia, deontologicamente è finita al livello delle emittenti con fattucchiere e sbrindellate sciacquette al telefono erotico. Waddah Khanfar, direttore generale e capobastone delle mazzate mediatiche, ha dovuto dimettersi. Subito, al Khalifa, il signorotto proprietario dello Stato su concessione USA, ha rimediato. Ha chiuso l’ufficio del Cairo e ha cacciato il suo direttore, Aiman Jaballah, perché trovati troppo empaticamente coinvolti nella rivoluzione egiziana. La Clinton ha annunciato un affettuoso téte à téte con questo suo campione di democrazia. Si celebrerà il completamento della metempsicosi della celebrata rete all news qatariota: Haim Saba, imprenditore israeliano negli Stati Uniti sta acquistando dal sovrano, vassallo degli Usa e sicario dei sauditi, il 50% dell’emittente. Finalmente avremo la fusione, anche mediatica, tra fantocci reazionari arabi e nazisionisti. Se i palestinesi chiedono lo Stato, quelli si preparano a fargli la relativa festa.
In Libia siamo al settimo mese del “regime crollato”, del “Gheddafi fuggito”, e anche dell’incapacità di costringere alla resa il popolo libico, vuoi radendone al suolo città e abitanti (350 vittime in un attacco della RAF a 32 obiettivi “militari” a Sirte, gas e missili all’uranio su Beni Walid) con la potenza dei 27 paesi più armati del mondo, vuoi spingendo affannosamente in avanti le bande di lanzichenecchi cagasotto. Buoni solo, come gli israeliani, a infierire sadicamente e necrofilisticamente, su soggetti inermi, è dal 22 agosto che se la devono dare a gambe, uggiolando “Nato, Nato!”, davanti alle offensive della Resistenza. Dunque, visto che la bulimìa di menzogne ha finito con lo spappolare le viscere del suo ingordo principale, visto che satelliti spia fanno delle marionette del CNT i padroni malfermi su frammenti di territorio politicamente sismico e che il 75% del paese sta sotto i lealisti, visto che Gheddafi non lo acchiappano per metterlo nel solito buco, scavato dopo la cattura di Saddam in uno scontro a fuoco, ecco che, mentre si proclama la vittoria, si va per altri tre mesi di “no-fly-zone” Onu e di terrorismo Nato-mercenari. Pare l’Iraq, l’Afghanistan, pare Bush che sbarca sulla portaerei, carnevalato da pilota, per annunciare “mission acomplished”, per poi prenderle nel culo, o farle prenderle ai paesi alleati, per anni a seguire.
Ma saliamo sulla giostra e facciamo un giro d’orizzonte su quello che stanno combinando qua e là primavere vere, primavere false e gli esportatori di democrazia e diritti umani. Notizie che non vi danno.
- I liberatori della Libia, dopo aver maciullato neri e fette di popolo libico, ora indirizzano le loro cure alle decine di migliaia di famiglie fuggite dagli orrori dei mercenari da Bengasi, Misurata, e altre città. Gli è stato intimato di non tornare. Se ci provano, incappano in posti di blocco con la bandiera di Idris che li sequestrano e gli assicurano il trattamento cui erano sfuggiti. Questo nel nome della “pacificazione senza vendette” perorata dall’ONU e blaterata dal CNT.
- Sebha, Sirte, Kufra, Beni Walid, e tutto il territorio di Tripolitania e Fezzan, sotto bombardamento continuo della Nato, resistono e ricacciano indietro i ratti. Hanno catturato 17 teste di cuoio Nato francesi e britanniche. Secondo il mercenariato Nato, Sebha e Jufra sarebbero state però parzialmente prese. Per i crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati e in corso, guerra d’aggressione, sterminio di civili, infanticidio, armi proibite, Sarkozy è stato denunciato ai tribunali francesi e alla Corte Penale Internazionale, dove l’accusa sarà sostenuta da Roland Dumas, ex-ministro degli esteri. Di Obama alcuni congressisti hanno chiesto l’impeachment per lo stesso motivo. C’è qualche magistrato o avvocato in Italia che voglia occuparsi di Napolitano?
- Le primavere vere e non domate sono oggetto di attacchi combinati, con armi da fuoco, di Usa-sauditi in Bahrein e Yemen. Ma la protesta di masse inermi continua da otto mesi in entrambi i paesi, al costo di centinaia di assassinati dalla repressione. A Sanaa, una manifestazione di centinaia di migliaia contro il regime post-Ali Saleh, rafforzata da truppe passate alla rivolta, è stata attaccata a fucilate con 70 vittime nel fine settimana. In Yemen sono entrati in azione truppe speciali saudite e droni statunitensi. Ban KI-Moon, e neppure i marciatori di Assisi, hanno chiesto un intervento contro i despoti in difesa della popolazione civile. Droni Usa continuano a bombardare in Somalia aree controllate dai patrioti Shebaab e affette da carestia. 17 partigiani uccisi nel weekend insieme al solito numero imprecisato di civili (stavano morendo di fame, qui l’eutanasia è accetta)
- .Il Ministero dell’Offesa tedesco ha inviato in Libia diverse unità di paracadutisti allenati per operazioni speciali “undercover”. Dopo aver evacuato a Creta da Al Nafura alcuni cittadini europei, i parà sono tornati in Libia. Secondo i servizi israeliani, dalla nave britannica “Cumberland”, sono sbarcati a Bengasi militari francesi, britannici e statunitensi, avanguardia di uno sbarco di forze militari cui pare associato l’Egitto dei generali. Segno di quanto la Libia sia stata “liberata” di gheddafiani. Ma segno anche della forza della promessa di ONU e di tutti i capobastone Nato, quando spergiuravano: No boots on the ground, mai militari Nato in Libia.
- Una delegazione di parlamentari russi in Siria ha denunciato il reclutamento da parte della Nato di jihadisti Al Qaida stranieri, utilizzati nel golpismo armato contro Damasco. Hanno dichiarato di avere informazioni secondo cui il quartier generale Nato a Bruxelles e l’Alto Comando Turco stanno completando piani per un intervento armato in Siria, qualora i mercenari non ottenessero da soli il rovesciamento del governo. Questo provocherebbe il coinvolgimento di Israele, del Libano e perfino dell’Iran. Nel frattempo, padrini del Gande Medio Oriente lasciano il lavoro agli appena formalmente e pubblicamente costituiti “battaglioni armati” degli insorti. Armati come lo erano i mercenari e infiltrati fin dal primo giorno. Alla faccia di quel CNT siriano, copia del bengasiano, costituito a Istanbul nella doppiogiochista-Nato Turchia, che assicurava ai quattro venti: "Opposizione sempre non violenta, nessun intervento di potenze straniere". Divisione del lavoro.
Massacri democratici a Tripoli
- I 50mila morti, poi scesi a 30mila, imputati a Gheddafi dal fellone Jibril, si stanno traducendo nei dati meno grotteschi, ma più barbaricamente veritieri, degli ospedali e obitori libici. Né le autorità mercenarie insediate a Tripoli, né le famigerate Ong della “democratizzazione”, forniscono dati documentati. Da quegli istituti statali, invece, esce la cifra di circa duemila morti civili individuati. Quanto alle fosse comuni che, nel classico stereotipo delle demonizzazioni imperialiste, dilagherebbero, in nessuna si sono trovati più corpi di quanti ne conti una mano, mentre la Croce Rossa, per quanto inaffidabile, riferisce di almeno mille uccisi, tra cui molti migranti, di 125 civili morti trovati in 13 siti sulle montagne di Nafusa, desertificate dagli ascari berberi (ascar,i come lo sono dei francesi in Algeria) e di 53 abbandonati in un hangar all’aeroporto di Tripoli dopo la presa. Un patologo forense, calcolate le vittime in tutto il paese denunciate dai congiunti in area gheddafiana, parla di 20mila vittime tra uccisi e scomparsi. Vedrete che alla fine, come i due milioni di iracheni, saranno un po’ di più. I millantatori Cia-Mossad di Human Rights Watch, intimiditi dalle smentite alle loro farneticazioni, trattengono la valutazione sul numero delle vittime, ma insistono ad inventare desaparecidos trattenuti da Gheddafi e 30mila prigionieri “politici” irreperibili. E’ per questo che li paga George Soros.
- Da Beni Walid esce un appello alla Croce Rossa Internazionale, alla Croce Rossa larussiana italiana, alla Croce Rossa svizzera, per un intervento immediato contro l’assedio genocida delle città libiche libere, che consenta la sopravvivenza di bambini e donne con aiuti umanitari. Alla maniera di Gengis Khan e di Goffredo da Buglione, i necrofori hanno avvelenato o tagliato l’acqua, contaminato l’ambiente con armi chimiche, bloccato rifornimenti di cibo e medicinali. Salvare i civili.
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Flavio Lotti e Luisa Morgantini: USraele e la Nato ringraziano
Sull’ipocrisia dei pacifinti, che oggi strombazzano la loro onanistica Marcia della Pace al sommo della violenza sociocida e genocida esercitata contro genti e Stati, dando una mano con il disarmo unilaterale della non-violenza, questo manifesto colpisce nel segno. Hanno gettato la Palestina in un tritacarne e il macinato che ne è uscito chiede di essere riconosciuto come pseudostato dall’Onu. Alla festante compagnia di giro che inneggia alla soluzione della questione palestinese, si sono aggiunti i fiancheggiatori principi del pacifismo e della non-violenza, Tavola della pace e Morgantini. Date un’occhiata alla mappa della Palestina, qua sotto, dalla prima erosione del 1948, in violazione di un’ONU che non glie ne è mai fregato niente dell’inosservanza delle sue risoluzioni quando a favore di USraele e poi Nato, passate all’ultima parte, quella attuale, e voglio vedere chi ha il coraggio di dire che quella roba lì può diventare ciò che comunemente si definisce Stato.
Si sono innestati due tumori nel corpo di chi si oppone alla guerra e rivendica giustizia. Dove pensate che si manifestino? Ovviamente dove possono creare più metastasi, negli organi suppostamente di sinistra, tipo “manifesto” e Tg3. Lì troviamo Flavio Lotti, Tavola della Pace, organizzatore, alla faccia del povero Capitini, dell’imminente 14ma operazione collateralista mimetizzata da “Marcia della Pace Perugia-Assisi”. Alle nebbie tossiche di questo Flavio Lotti, caro, ovviamente, alle centrali della mistificazione, il benevolo “manifesto” concede la prima pagina, più due colonne intere, per sciorinare una serie di edificanti blà-blà su globalizzazione, sui rimpianti di un’ ONU illuminata (vista solo da lui, mai dai vietnamiti, iracheni, palestinesi, libici, serbi, costadavoriani, cubani, honduregni, quasi tutti i popoli del mondo), sull’acqua calda di povertà, diseguaglianze, società civile e scontatezze varie. Non ne manca una. In compenso queste lacrimevoli geremiadi sono ampiamente bilanciate da leccatine a un FMI “che ha moderato la sua ortodossia liberista” (ne sanno qualcosa i greci col “vendesi” sul Partenone), allo stesso FMI del falco Lagarde, subentrata alla “colomba” StraussKahn in virtù di quella “moderazione”, nonché per UE e Merkel, macellai di Europa e dintorni, per aver finalmente “ammesso la fattibilità della Tobin Tax”, cioè di quel quaquaraquacchio che al deposito di Paperone farebbe pagare un affitto equivalente a una cuccia per cani. Nell’articolessa sul “manifesto” non ci si perita di accennare al sangue che ci cola addosso da tutte le parti. Se ne avrebbero a male Rossanda, Stefano Liberti, Marina Forti e tutta la lobby USraeliana. Nel documento per quella pippa della marcia, invece, sì, che ci si inalbera leoninamente contro i criminali di guerra: tre parole che genericamente appellano contro le guerre, ma ovviamente anche “contro la violenza” (così Obama e La Russa si placano), che dice tutto e niente, ma punta l’arma su chi osa difendersi. Si ripete il biasimo al “commercio delle armi” e si perora la “fine della guerra in Libia, in Afghanistan”.
Vigliacco, se da questo campione del disarmo unilaterale fosse uscita una parola sull’aggressione, sistematica, strategica, genocida, delle potenze colonial-imperialiste, sul loro connubio nazistoide con i satrapi arabi, che tengono i propri popoli in catene nelle segrete, vigliacco se avesse fatto un solo nome degli assassini di massa, vigliacco se si fosse fatto vedere anche solo alla finestra durante la mattanza libica, magari agitando il ditino all’indirizzo dei più orrendi criminali di guerra di tutti i tempi. Sulla popolazione libica, recalcitrante a un destino da Iraq, o Palestina, o repubblica delle banane centroamericana, in difesa della più alta civiltà sociale e culturale di tutta l’Africa e della sua funzionante democrazia partecipativa, si sono abbattute 30mila incursioni e si è scatenata la barbarie di zombie assoldati. Dov’erano i pacifisti, dov’era Flavio Lotti? Piuttosto che pronunciare una condanna sullo sterminio di persone e cose, si sarebbero mangiati il loro passi per il Circolo della Caccia. Quello della caccia alla verità e alla giustizia. E in corso una spaventosa macelleria di gente innocente e di eroici resistenti in Libia. Sirte, Sebha, Beni Walid, Kufra, sono già altrettante Falluja. E cosa rigurgita il lepido gargarozzo di questi amici del giaguaro? Un unico attacco netto: quello alla Siria che, contro le locuste Nato del regime change e il suo personale di servizio alqaidista, oppone sacrosanta resistenza, insieme a proprio quelle riforme chieste dai rivoltosi (e sistematicamente respinte e, pour cause, visto che, quelli, altro che democrazia ed elezioni vogliono, piuttosto emirati, sharìa e privatizzazioni). Ci potrebbe essere migliore servitorame sionista-atlantico? Sconci difensori dei diritti umani ma sordi a quelli violati, ipocriti sudditi di dittatoriali “democrazie” che fustigano i “dittatori” di paesi altri, storie altre, culture altre, paesi che tutti stavano infinitamente meglio prima di essere divorati dalla civiltà occidentale.
Della stessa risma è questa ingombrante, in tutti i sensi, Luisa Morgantini, monarca assoluto da cent’anni dell’Associazione per la Pace (anche Assopace). Arena privilegiata, ahiloro!, delle sue intemerate nonviolente è, per sua sfiga, la Palestina. Sono anni che allestisce innocue e caduche marcette della pace di moderati israeliani e qualche boccalone palestinese. In Occidente la adorano per questo. L’hanno fatta addirittura europarlamentare per la sua bella espressione di disgusto quando, davanti alle intifade, volta il faccione dall’altra parte. Sotto la firma di Associazione per la Pace, sul solito “manifesto” Eni-supportato, si mena il can per l’aia e la gente per il naso vaticinando che il riconoscimentello Onu della Palestina sancirebbe “la legittimazione globale delle realizzazioni dei diritti e aspirazioni del popolo palestinese”. Bum! E ancora: “Potrebbe rappresentare un passo avanti importante che mette la comunità internazionale di fronte alle proprie responsabilità e dà forza al popolo palestinese”. Questa signora viaggia da decenni sottobraccio al peggio del peggio del disfattismo, della moderazione, della resa, della nonviolenza dunque, palestinese, fino a non aver mai uggiolato una parolina su Abu Mazen e la sua complicità politico-economico-militare con i terminator del proprio popolo e i suoi dipendenti a Washington. Dicesi in cima e in neretto “Associazione per la Pace”, ma neanche con la lente d’ingrandimento troveresti un accenno alla pace stuprata in Libia sotto i nostro occhi. E neppure una fugace menzione dei 6 milioni di rifugiati palestinesi svenduti nel “riconoscimento”. E neanche con la lampada di Diogene troveresti una donna.
Poteva, il documento, non finire con un appello alla marcia Marcia Perugia-Assisi? No, non poteva. Luisa ci va con Ovadia, ma scommetto che ci saranno anche Saviano, Cammusso, Bolini, Vendola… Davanti a tutti, Massimo D’Alema, come, invitato da Lotti, al tempo dei suoi gloriosi bombardamenti di pace sulla Serbia e su un Kosovo da consegnare quanto prima al traffico internazionale di narcotici, organi, umani. Non è paese tutto il mondo? Tra la lezioncina di Morgantini e la costa della pagina, con curiosa sapienza giornalistica, il quotidiano ha schiacciato un trafiletto, rapidamente intitolato “Contrario il Movimento Giovanile Palestinese”.
Sarebbe questa la vera notizia, non le melense doppiezze dell’Assopace, portatrice d’acqua al coro mondiale pro-riconoscimento-morte della Palestina. La notizia è questa, che la forza politica di maggioranza in Palestina, quella che largamente vinse le ultime elezioni e i cui dirigenti oggi languono nelle carceri di Netaniahu e Abu Mazen, insieme alla gioventù palestinese trasversalmente organizzata (PYM) sono contro la burletta Onu, preludio al definitivo affossamento di una Palestina che diritto e storia hanno definito una, dal Giordano al Mediterraneo. I confini del 1967, illegittimi come quelli del 1947 e, del resto, già ampiamenti violati, rimuovono la questione dal suo contesto storico, cancellano la maggioranza dei palestinesi, in esilio, e quelli rinchiusi in Israele. Non cambiano una jota rispetto al colonialismo nazisionista, alla castrazione di sovranità, alla rapina delle risorse, al rapporto di forze. Qualcuno si ricorderà – la Morgantini con raccapriccio – che fu la prima Intifada non-nonviolenta a imporre a Israele e alla “comunità internazionale” (del crimine organizzato) prima Madrid e poi Oslo. Vittoria palestinese mandata al macero da chi l’ha estenuata con i raggiri dei negoziati e da chi non l’ha saputa difendere e allargare. E che fu la seconda Intifada, ancora meno nonviolenta, a provocare in Israele la prima recessione dagli anni ’50, la fuga dei capitali, una povertà dilagante, la reversione dei flussi immigrati-emigrati a favore della fuga, le prime crepe nello Stato etnico-confessionale nazisionista.
Lasciamo perdere la deriva del tardo e cadente Arafat, come quella definitiva del rinnegato ladrone Mahmud Abbas e della sua cosca. La richiesta ultimativa, rimedio concreto alla necessità storica e umana della Palestina unita, dovrebbe essere un’altra, secondo gli interessati autentici e la comunità internazionale dei giusti: perché, porco diavolaccio, i confini del 1967, imposti con ferocia colonialista, e non quelli definiti dall’ONU nel 1947? Sono passati 29 anni da Sabra e Shatila, bazzicavo da quelle parti. E da allora, di quella strage se ne sa ogni anno di più. Oggi anche che le truppe speciali del macellaio Sharon erano alla guida degli squadristi della Falange nello sbudellamento delle donne, nelle baionettate in pancia ai bambini, nelle decapitazioni degli uomini, erano quelli che illuminavano il campo, che nascosero le cifre e con i bulldozer sotterrarono in fosse comuni tremila corpi e più. E’ grazie alla ricerca ostacolata e lunghissima, tra famigliari e riesumati, che una compagna dell’OLP seppe mettere insieme quel primo urlo numerico e accompagnarci a una fossa comune immensa che era diventata la discarica di Shatila. Su cui, in una delle spedizioni con l’indimenticabile Stefano Chiarini, facemmo pulizia e piantammo ulivi. E ai responsabili di quel crimine, efferato quanto tanti altri in 64 anni, che si va a chiedere un brandello di giustizia?
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Intervento di Mussa Ibrahim, portavoce di Gheddafi, il 18 settembre 2011, alla tv siriana.
“La NATO è il nemico numero uno di tutti noi paesi arabi ed Europei, siamo qui e stiamo aspettando l’ora santa per la vittoria, noi non lasceremo che gli Imperialisti abbiano da cantare vittoria nella nostra terra e nemmeno in altri stati Arabi, sappiamo che hanno cominciato la colonizzazione di tutta l’Africa, gli stati imperialisti come la Francia che si è assicurata il 35% delle nostre risorse petrolifere già ancora prima che cominciassero le ostilità e gli altri paesi appartenenti alla NATO che avranno anche la loro parte dissanguando il popolo Libico, tutto questo è stato patteggiato con quelli che loro chiamano Ribelli/CNT contro il popolo Libico.
La pace sia con voi cari lettori e spettatori, innanzi tutto voglio scusarmi con voi tutti per la prolungata assenza da parte nostra nel darvi notizie su come stanno realmente le cose in Libia e per il popolo Libico, come sapete stiamo combattendo una guerra contro la NATO e non solo contro i suoi alleati che sono i “ribelli”, non abbiamo avuto molto tempo a disposizione dato che stiamo preparando la difesa in ogni piccolo paese, nelle borgate delle città cadute in mano ai ribelli grazie alla NATO, per questo non abbiamo avuto il tempo di comunicare tramite i Media, anche perchè quelli che noi abbiamo considerato che fossero giornalisti, in verità erano spie camuffate che lavoravano per gli Imperialisti, stiamo combattendo per ogni casa, in ogni piazza e palazzi, non stiamo combattendo solamente contro dei comuni ribelli armati, stiamo combattendo contro la NATO, una delle più forti organizzazioni Militare che ci sia, nonostante il loro potenziale di armi è giù come morale perchè sappiamo che i cittadini Europei sono contro questa aggressione fatta contro il popolo Libico, sappiamo che stanno usando disinformazione per non far sapere gli avvenimenti e la barbarie che stanno commettendo, nonostante ciò la nostra consapevolezza è sveglia, i nostri cuori battono a ritmo e con orgoglio, la luce della nostra resistenza scaturisce da dentro il nostro corpo, dal credo nella nostra religione perchè crediamo in lei, abbiamo deciso di combattere fino alla fine, o vinciamo o moriremo come Martiri, coraggiosi come i nostri fratelli, le nostre donne e i nostri figli, continueremo questa battaglia fino alla vittoria se Dio lo vorrà.
Per quanto riguarda la situazione a SABHA, SIRTE e BANI WALID, voglio dire al grande popolo Libico “restate forti, non lasciatevi intimorire dalla propaganda e la speculazione/bugie dei Media, siete stati sempre forti e lo siete ancora, lo so.. il complotto contro di noi è molto forte, ma anche noi siamo ancora forti e orgogliosi, siamo ancora in grado di far voltare pagina alla situazione contro questi traditori/infami e ai loro padroni della NATO, molte città libiche sono ancora nelle mani del grande popolo libico, la striscia che và da BREGA fino a NEU-HISHA (600 Km) è totalmente liberata, un’altra posizione strategica che parte dal mare fino al confine con il Niger e Tschad che passa da Sokna-Hon e Murzuq (1.600 Km) è totalmente liberata, anche una parte strategica tra Sirte e Bani Walid che passa da alcuni paesi è stata liberata, anche nelle zone circostanti che fanno parte di Al-Ejilat e Jenan ci sono ancora sacche di resistenza, voglio ringraziare i nostri valorosi uomini che si trovano nelle zone libere come Wershefana-Al- Asabaa- Al-Gwalish e Mizda come gli altri milioni di uomini leali che stanno combattendo ancora contro questi traditori e infami, nei territori dove la NATO ha consentito ai ribelli di prenderne possesso la resistenza è ancora molta attiva, nelle settimane scorse hanno preso Tripoli, ma ancora oggi non sono in grado di tenerla sotto controllo, non riescono a mettere piede saldo perchè sono fuori controllo, la resistenza non è solamente in questi posti cruciali come Abu Sleem e Al-Hadba ma anche Siyahya e Soug Al Jumaa, Tajoura, Bab Ben Gheshir e Dreiby, a causa della loro paura i ribelli hanno abbandonato i posti di blocco e si sono rifugiati nelle scuole e nelle caserme occupate, escono solo la notte dopo che la NATO ha bombardato loro la via libera evitano di combattere di giorno per che sanno che ormai sono diventati un bersaglio legittimato da tutti i liberi Libici, le famiglie Tribali di Werfella e Bani Walid hanno tenuto la loro posizione con coraggio nonostante i massicci bombardamenti della NATO… No.. non lasceremo che la Libia cada in mano agli Imperialisti… libereremo non solo Tripoli ma anche tutta la Libia, anche le famiglie Tribali di Sirte e il numeroso contingente dei valorosi soldati dei Fezzan sono ancora rimasti leali alla loro terra che è la Libia.
Siamo tristi che Tripoli sia caduta in mano ai ribelli, ma stiamo molto attenti che la NATO non riesca ad individuare il grosso del nostro esercito, perche è la NATO il nostro nemico numero uno, questi traditori e infami non hanno alcun valore, non sanno combattere, solo grazie alla NATO sono riusciti a conquistare Misurata e Tripoli, non sono uomini, adesso c’è solo voglia di salvare il nostro esercito per l’ora finale e per liberare la Libia dagli invasori imperialisti, in questo momento voglio dire a tutti i coraggiosi Libici e Arabi di non permettere alla Francia e ai suoi alleati di occupare i paesi arabi, se ciò accadrebbe sarebbe la nostra schiavitù a vita e per le nostre generazioni a venire, ho seguito tutta la fase del conflitto sin dall’inizio e ho constatato che la guerra contro la Libia, per la Francia è un solido investimento, se la Francia ha chiesto e ottenuto dai ribelli il 35% delle nostre riserve petrolifere, quanto tocca all’Italia, all’Inghilterra e all’America? Non dimenticate che hanno distrutto le nostre case, le nostre scuole, i nostri ospedali, le nostre infrastrutture essenziali, hanno massacrato il nostro popolo, volete che succeda anche con voi fratelli arabi? Gli estremisti hanno preso per il momento il controllo delle principali città libiche, questi estremisti erano nella lista dei terroristi ricercati e adesso vanno a braccetto con chi fino a ieri ha ucciso i loro soldati in Afganistan, Iraq e altrove nel mondo, come si può avere fiducia con questi criminali? Basta citare chi hanno ingaggiato per fare il loro sporco lavoro, Abdelhakim-Belhadj già arrestato dalla CIA e poi addestrato da loro stessi per commettere atti terroristici dove ce ne fosse di bisogno.” (Moussa Ibrahim, Libyan Government Spokesman)
Traduzione a cura di Corrado Belli (Mentereale)
giovedì 22 settembre 2011
venerdì 16 settembre 2011
Aquile, bisce e ratti (con noticina su embedded Rai)
Quando uccido qualcuno, non penso a chi uccido, ma a chi aiuto a vivere (D’Artagnan, nella “Maschera di Ferro” di Alessandro Dumas)
I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, senza rimorsi, ma molto pochi ne hanno parlato. Devi concederlo all’America. Ha esercitato a livello mondiale una manipolazione clinica del potere, mascherandosi al tempo stesso da forza del bene universale. E’ un brillante, anche umoristico, atto di ipnosi, di altissimo successo. (Harold Pinter, Premio Nobel per la letteratura)
Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male e che le brave persone non facciano nulla. (Edmund Burke, statista irlandese, 1729-1797)
Quando siamo nel suo potere, il male non è percepito come male, ma come una necessità, perfino come un dovere. (Simone Weil, 1909-1943)
Ciao a tutti, ben trovati. Prima un po’ di notizie e relativi pensierini, poi la davvero fetida melma di embedded nostrani un po’ idioti che si vomitano addosso diffamando giornalisti onesti, per chiudere con il gran battage sul riconoscimento del micro-para-pseudo-stato palestinese all’ONU.
Non saranno aquile, ma ottimi falchetti sì, i compagni, Cobas in testa, che in questa settimana di planetarie botte all’impero e a sue cupole locali, hanno tratto insegnamento da greci, spagnoli, cileni, britannici, arabi e hanno difeso con la forza il diritto alla piazza e alla manifestazione contro i sempre più sadici miliziani di regime. Caro amico Giacché, autore del magnifico “La fabbrica del falso”, vero piede di porco per scardinare quella fabbrica, lanci rampogne e ingiurie ai quattro venti nei quali reprobi sacrosantamente hanno da noi incenerito vessilli USraeliani e pupazzi di killer in uniforme, simboli del genocidio planetario, o dai dei dementi a chi sfonda le vetrine del “falso” e della depredazione. Ti verrebbe di indirizzare lo stesso biasimo alle decine di migliaia di reprobi e dementi che fanno le stesse cose al Cairo, o in Bahrein, o nella Libia in cui si bruciano gli osceni stendardi colonial-monarchici? O, magari, ai compagni che tra il 1968 e il 1977, contro le mazzate e pallottole di Andreotti e di Cossiga, ribadivano a sassate il loro diritto alla parola non “falsa” e al loro habitat politico, la piazza, migliorando, pur sotto la ferula repressiva di Pecchioli e Berlinguer, un poco l’Italia? Ci si deve mettere in testa, alla mano di tutti gli esempi che si vogliono, che le ormai famigerate marce della pace, gli scioperi di poche ore, i cortei-processione, servono solo all’autoconsolazione e alla distr-azione, lasciano il tempo che trovano, non li caga nessuno. Non arrecano al nemico quel danno materiale e di immagine che è fondamentale, non solo per imporre ai media di parlarne, ma per imporre costi e ostacoli alla marcia verso lo Stato di polizia compiuto. Intanto è un dovere morale. Poi è l’unica scappatoia dall’annichilimento. A quando un paese in fiamme perché inorridito da una criminalità politico-economico-culturale organizzata che scuoia la società, uccide l’ecosistema e stermina popoli? Mi sa che, o adesso, o mai più.
Aquile
Partiamo con le notizie che ci danno soddisfazione e orgoglio. Nella Libia insozzata e insanguinata dai predoni e dai loro sgherri, a questi je stanno a mena’ alla grande. A Kabul, in bella e significativa simultaneità con i patrioti libici, i partigiani iraniani hanno colpito al cuore la masnada di serialkiller coloniali e autoctoni: due giorni di incontenibile attacchi alle superfortezze dei carnefici, ambasciata Usa e quartiere generale Nato. Razzi e panico nei quartieri bene, dove stanno rintanati, a fianco dell’élite narcotrafficante afghano-statunitense, le radio e le tv del “falso” (entrambe colpite), giornalisti e Ong fiancheggiatrici: quella società “civile” collaborazionista, cui i nostri pacifinti e le giornaliste del “manifesto” fanno trasfusioni di sangue riconoscendogli il ruolo di liberatori dai…Taliban. In tutto il paese, a dispetto delle ininterrotte stragi di droni e B52, i Taliban avanzano e controllano più territori. La capitale è uno scolapasta della sicurezza (con ascari addestrati a milioni di dollari, in aggiunta al miliardo speso dai soli Usa ogni mese dal 2001), attraverso i cui fori la Resistenza passa quando e come vuole. Il 2011 è già l’anno con il più alto numero di vittime Usa e Nato dall’inizio. Quella guerra è persa, anche se continuerà. Come in Iraq, dove il paese è strappato agli occupanti e ai fantocci da una forza di liberazione armata e civile che negli ultimi 12 mesi ha visto una crescita costante e un eccidio di sbirri e militari del regime. Per grottesco paradosso, quel paese è sottratto alle fauci dei “conquistatori” dagli stessi quisling da loro insediati, che lo hanno regalato all’Iran e tanto scocciano che, su input persiano, sostengono Bashar al Assad contro la bengasata tentata in Siria.
Alla faccia di una repressione inaudita degli attivisti della rivoluzione, con processi e arresti di massa, le manifestazioni milionarie del Cairo sono ripartite e crescono in maturità politica e coscienza geopolitica. Venerdì scorso una adunata di massa in piazza Tahrir ha saputo individuare il nuovo obiettivo nella trasformista Giunta Militare messa sul trono di Mubaraq dai terrorizzati Usa e ha esteso il suo raggio d’azione all’internazionalismo antisionista (implicitamente anti-Usa), con l’assalto e la devastazione dell’ambasciata dei nazisionisti. Questi, alla fine della bonifica, ci hanno offerto l’edificante ripetizione della fuga degli ultimi statunitensi dall’ambasciata a Saigon. Abbiamo visto i vessilli sionisti tirati giù e bruciati e abbiamo pensato ai sacrestani che da noi deplorano simili scostumatezze degli “estremisti”. Abbiamo visto decine di migliaia saltellare e applaudire. Chissà perché ci è venuta in mente la scenetta delle sei spie israeliane che, l’11 settembre 2001, al momento del crollo delle Torri, da lì vicino filmavano e giubilavano, saltellavano e applaudivano. (furono arrestati e, quatti quatti rilasciati: come si potrebbero infastidire gli specialisti della “Guerra al Terrore”?). Intanto continuavano a rimbombare gli scoppi del gasdotto per il quale scorre verso Israele il gas egiziano, venduto sottocosto ai beneficiari vuoi da Mubaraq, vuoi dai generali. Ha ragione James Petras quando scrive che l’offensiva Nato-Al Qaida contro la Libia era il tentativo occidentale di tamponare primavere arabe che, a dispetto di infiltrazioni, gattopardismi, repressione, in Tunisia, di più in Egitto, in Bahrein, di più in Yemen e anche altrove, non parevano normalizzabili e domabili. Occorreva una rappresentazione convincente, brutale, della potenza Nato. Occorreva innestare a Tripoli ladri in seconda per collocare in Africa il Comando Usa-Nato “Africom”, castigamatti continentale, cosa che Gheddafi aveva convinto tutti i paesi africani a rifiutare. Cairo, ambasciata israeliana
Cairo, ambasciata israeliana conquistata
Prima di arrivare alle aquile libiche, dalle sponde desolate della nostra abissale vergogna di fiancheggiatori sinistri delle barbarie, al lontano orizzonte scorgiamo ampi voli di Condor. Tutti i paesi dell’Alba, Alleanza Bolivariana dei Popoli dell’America Latina, aggiungendosi alla maggioranza di quelli africani e all’Unione Africana, hanno rifiutato di riconoscere l’osceno lupanare che è il Consiglio Nazionale di Transizione. Sono gli stessi paesi, più tanti altri, che, in rappresentanza della maggioranza dell’umanità, hanno ripetutamente chiesto la fine della carneficina, il negoziato, la mediazione, la riconciliazione. Sono i colombi viaggiatori che ci hanno portato quei frammenti di verità dalla Libia che ci hanno permesso di comporre il grande mosaico della verità, frantumato da menzogna, ferocia, voracità, complicità. Hanno ora esteso il loro appello di pace e giustizia, contro ogni ingerenza, contro l’analogo complotto contro la Siria.
Libia eroica, dunque viva. E viceversa.
Sono ora settimane che gli impavidi lanzichenecchi alqaidisti e gli specialisti degli squadroni della morte Nato starebbero assediando “le ultime roccaforti di Gheddafi” (che, secondo i satelliti russi, controlla il 75% del paese), emanando compassionevoli ultimatum. Sono settimane che i missili Nato, le bombe a grappolo su Sirte, le armi chimiche su Beni Walid, l’avvelenamento delle acque dovrebbero cancellare ogni presenza recalcitrante. Ma, grazie a una resistenza motivata nobilmente, per la libertà, la giustizia, la pace, la patria, il proprio leader, e dunque eroica, come già si era manifestata con 6 mesi di freno alla più potente macchina da guerra e di propaganda del pianeta, le tre “roccaforti”, seppure private di acqua, luce, farmaci, cibo (Convenzione di Ginevra, Tribunale Penale, dove siete?), seppure polverizzate, non si fanno prendere. Da una settimana i gaglioffi tagliagole blaterano di rese e di conquiste e intanto sono stati ricacciati dai combattenti, dalla popolazione Natomassacrata e dalla tribù Warfalla (1,5 milione) a oltre 12 km dalla città. Queste città saranno occupate alla fin fine, quando, con i coraggiosi “rivoluzionari” alle finestre dei sobborghi, la Nato le avrà parificate alla luna. I ricostruttori sono là, sulla spiaggia, pronti con la cazzuola e la forchetta in mano. E invece finirà come con l’Iraq, una sconfitta Nato di bassa intensità, di lunga durata, ma inesorabile. Come quella degli italiani di Mussolini e Graziani. Avendo sicuramente presente quanto i colonizzatori bianchi cristiani hanno inflitto al suo paese, alla vista di come i loro stermini di civili (un terzo della popolazione) siano ora elevati all’ennesima potenza dai nazisti Nato, peggiori degli originali, Muammar ha lanciato un appello al Consiglio di Sicurezza e alla Comunità Internazionale perché la Nato salvi i civili, stavolta non per finta, cessando il macello di bombe e assedio. Ovviamente si tratta di provocazione, da lasciar cadere. Non è forse vero che è “da Gheddafi che arriva la minaccia” al popolo libico, all’Africa, al mondo?
Le ultime. A Tripoli gli invasori occupano solo due quartieri centrali. Innumerevoli sono le imboscate alle squadracce. E’ stato ucciso un ufficiale britannico. Il presidente Jalil e il suo governicchio, dilaniato tra islamisti e rinnegati, stanno rintanati al Ramisson Hotel, in prossimità del porto, via di fuga. L’ex-ministro della Giustizia che, passando disinvolto all’opposto del tema del suo dicastero, aveva sovrinteso al lavoro dei cacciatori di teste e di donne e, ora, gestisce la distribuzione delle spoglie tra l’orda di sciacalli interni ed esterni, non riesce nemmeno a tenere conferenze di stampa. Ne rimanda una dopo l’altra, tanto è il controllo di Tripoli e l’armonia all’interno del “regime”. Anche la colonna di Jalil è stata attaccata, tanto che il burattino era stato dato per ucciso. La brigata del redivivo (per l’undicesima volta) colonello Khamis al Gheddafi ha addirittura assaltato, all’aeroporto di Tripoli, il quartiere generale dei “ratti” e dei loro sponsor Nato. E’ la sede del governatore militare Nato, Abdelhakim Belhadj, il vecchio compare Cia, fondatore del Gruppo Libico Islamico di Combattimento, filiale di Al Qaida, negli ultimi vent’anni presente ovunque venisse dettato dagli ordini di servizio USraeliani. Fino a quanto costoro, per ridargli una verginità in vista dell’uso in Libia, lo hanno arrestato. Combattimenti sono in corso nell’area centrale, in quella tra Tripoli e la Tunisia, dove è stata liberata la contesa Zawiya, nell’Est tripolitano, poi nel Fezzan, in Cineraica da Brega a Tobruk. E qui, a Ras Lanuf, massimo centro petrolifero del paese, un’incredibile colpo di mano delle forze lealiste – esercito e, ora, volontari da tutto il paese – ha occupato per alcune ore la famosa raffineria, facendo fuori 17 ascari Nato e incrinando definitivamente quella che i volenterosi inviati occidentali avevano definito la “riconquistata sicurezza”. L’attacco è venuto di sorpresa, con una serie di veicoli in provenienza dal deserto, mentre quei farlocconi di “rivoluzionari” si paravano verso il mare. Fregati anche sul piano dell’intelligenza: la colonna faceva svettare le bandiere monarchiche fatte nuova bandiera nazionale. I rattonzoli ci hanno creduto e hanno aperto le braccia. Il finale è da humour nero. Da Bengasi a Tripoli e oltre, adesso si guarda con sgomento al deserto. Con la differenza che, stavolta, i tartari ci sono. E più ci sono e più danno una mano alla Siria (per la verità al mondo), cui una Nato sfiancata dalla Libia difficilmente riserverà il remake di Bengasi. Siamo sotto il 19 settembre, giorno in cui scade il mandato ONU di una no-flight-zone divenuta passaporto per l’inferno. La Nato cerca di farsi furba anch’essa: pare abbia preparato contingenti di mercenari travestiti da lealisti e spedito a nome di Gheddafi sms a molti libici, in vista di qualche efferatezza da infliggere a “liberatori e liberati”, attribuibile al “cane pazzo” e quindi sufficiente motivo per rinnovare il mandato e “proteggere i civili” con truppe di terra, mercenarie anche queste, ma di pelle bianca e con caschi blù in testa.
Ratti, bisce e chiaviche
La prima categoria è stata giustamente così qualificata da Muammar, padre della patria e guida morale e militare della nazione. E’ quell’accozzaglia di briganti messa insieme dalla Nato, a guida e pratica Usa, raspando il fondo del proprio mercenariato da mattanza: decerebrati fondamentalisti di Al Qaida, fratelli musulmani in servizio di complemento, fiduciari rinnegati del governo libico infiltrati e corrotti da anni, ladroni locali bulimici di libero mercato e privatizzazioni, contractors collaudati in bagni di sangue vari, mercenari tribali dell’Est e dell’Ovest, teppa razzista che, in un paese in cui era proibito dire “libico nero”, elimina i neri dalla faccia dei centri abitati trasformati in città fantasma, imbrattando le loro case con scritte come: “schiavi”, “negri”, “mercenari” (lo ha scritto anche il Wall Street Journal). Sono i diritti umani, cretino! Tutti costoro già si stanno scannando per il controllo di Tripoli: l’ho presa io, no, l’ho presa io. Quando non hanno preso un’emerita minchia, se non le macerie spianate dalla Nato.Tutti ora contro tutti in un magnifico Grand Guignol di vicendevole splatter. A quelli di Misurata, le belve che hanno fatto a pezzi e violentato civili e soldati per tre mesi, protetti dai protettori di civili, non gliene frega niente del CNT e di Jalil. Gli alkaidisti, che già avevano fatto fuori il comandante ex-gheddafiano Junis e ora hanno collocato a capo della capitale il fondatore del ramo Al Qaida “Libyan Islamic Fighting Group”, Belhadj, se la devono vedere con un CNT a guida di ex-gheddafiani, da cui le potenze occidentali pretendono che accantonino fino a nuova chiamata (Siria, Algeria) la teppa fondamentalista. Sui monti Nefusa, svuotati di popolazione dai villaggi bruciati e depredati, si stanno sparando due fazioni contrapposte di “liberatori”. Quelli che insieme avevano desertificato la città di Tawarga, vicino a Misurata, in cui il solito giornalista fuori linea anglosassone (Daily Telegraph) aveva constatato una distruzione alla Dresda, la scomparsa, per fuga ed eccidio, dei 10mila abitanti e vi aveva riconosciuto il modello Falluja applicato a tutti i centri abitati su cui si era abbattuta la ferocia dei “giovani rivoluzionari” di Rossanda e Co. Gli stessi pitbull da arteria femorale che, al guinzaglio delle Teste di cuoio Nato, a Misurata “liberata” hanno proseguito nei giorni scorsi la mattanza “giustiziando” con colpo alla nuca 85 prigionieri neri e 12 volontari internazionalisti serbi (la Serbia è stata l’unico paese a vedere una manifestazione di massa contro la Nato e a sostegno di Gheddafi).
Bisce, meglio crotali velenosi, sono quelli che hanno serpenteggiato per conto di cancellerie, consigli di amministrazione occidentali e organismi internazionali, e non per conto del proprio popolo, tra ministeri della Jamahirija socialista e i palazzi della dittatura finanziaria e militare euro-statunitense. Tocca conoscere meglio coloro ai quali la Nato ha affidato la democrazia e i diritti umani della prassi colonialista, edizione Terminator del XXI secolo. Abdul Jalil, ora presidente, in qualità di ministro della Giustizia dal 2007, aveva ordinato la liberazione di centinaia di terroristi del Gruppo Libico Islamico di Combattimento (Al Qaida), compreso l’attuale governatore di Tripoli, Abdelhakim Belhadj, reduce dagli sfracelli Nato tra Afghanistan e Jugoslavia, gente che negli ultimi 15 anni non aveva tralasciato occasione armata per distruggere lo Stato libico, imporre la sharìa, farne un emirato monarchico, uccidere Gheddafi. Naturalmente il previdente ministro aveva ogni ragione per fidarsi ciecamente del giuramento di questi briganti di “mai più prendere le armi contro la sacra Jamahirija”. Con ciò si guadagnava il ghigno soddisfatto dei futuri divoratori della Libia, come anche con il suo lavorìo sotterraneo per costruire, con consulenti delle multinazionali, la cornice legale per la presa di possesso da parte degli stessi delle risorse del paese. Cablogrammi diplomatici tra Jalil e il Dipartimento di Stato Usa rivelano l’entusiasmo nutrito dai progettisti del “regime change” per questo fellone. Aveva creato, finchè Gheddafi non lo ha scoperto e congelato, cancellando ogni proposito di privatizzazione strategica, una cupola di imprenditori libici – Commercial Law Development Programme - che si incontravano privatamente con funzionari e AD statunitensi e britannici per discutere le future privatizzazioni, a partire da scuola, sanità, petrolio, gas, beni comuni, acqua….
Nello stesso 2007, l’attuale “premier” del governo-mattatoio, Mahmud Jibril, diventa capo dell’Istituto Nazionale per lo Sviluppo Economico e, grazie a questo incarico, procedendo col metodo Jalil, potè contribuire sott’acqua a spianare la strada alla privatizzazione dell’economia libica e a dare “il benvenuto alle imprese Usa”. Funzionari euroamericani si sono detti “estasiati” dei loro incontri con Jibril. Al quale si potrebbe anche riconoscere il merito della defezione di alcuni ambasciatori gaglioffi, visto che fu lui a far addestrare diplomatici libici da Programmi di Formazione Usa. Ora quei due li abbiamo visti a Tripoli, sul palco, affiancati sui due lati da Cameron e Sarkozy (Frattini sotto il tavolo), custodi e gendarmi della grottesca coppia di vendipatria, ad annunciare al popolo libico le magnifiche sorti e progressive del cannibalato globalizzante. Curioso che le telecamere non abbiano ripreso gli avvoltoi (chiedo scusa agli avvoltoi) avvinghiati alle spalle di chi gli faceva da trespolo: Cameron, Sarkozy, Jalil e Jibril. Sui loro becchi si leggeva FMI, BM, BCE, OMC. Sigle troppo difficili da decifrare agli occhi dei media alla Lucas Casella. Ma a sua volta Christine Lagarde, l’israelita che ha soffiato all’altro israelita, Strauss Kahn, eliminato da una femminista adescatrice, mignotta e narcotrafficante, la cupola della criminalità organizzata, l’FMI, ha esternato massicciamente sugli “aiuti” alla Libia in arrivo. La sera prima aveva fatto bunga bunga per festeggiare la rimozione delle banche panafricane con cui Gheddafi aveva sostenuto la liberazione del continente dal morso finanziario della cupola. Avevate casa, scuola, salute, terra, trasporti, acqua gratis? Toh!!! Quanto ai compari-rivali islamisti nel furto con scasso della Libia, la Nato farà in modo che si accontentino di gettare vetriolo in faccia alle donne che non indossano il jihab, alla maniera dell’alleato Massud, il “ Leone del Panshir”, e che si affianchino ad formazioni Cia-Mossad-Al Qaida in azione in Algeria, nel Maghreb, o in Siria, magari preceduti da altre di quelle “rivoluzioni colorate” per le quali vanno in deliquo la Nato e il suo fianco sinistro “nonviolento”.
Tra quelli che serpeggiano e s’insinuano tra le sinapsi disattente della nostra percezione del reale, scartata Human Rights Watch, quella del Viagra e degli stupri, troppo sionisticamente rozza nel suo collateralismo Nato, eccelle Amnesty International che purtroppo, come altre imprese dell’epistemologia cerchiobottista, si tira dietro anche qualche brava persona che pensa di lottare per i diritti umani. Esemplare la sua ultima uscita sulle intemperanze dei “ribelli” CNT. Un pigolìo sommesso, corredato di “probabilmente anche”, “ma anche”, “solo alcuni”, “possibili crimini”, “in misura molto minore”, riguardante, con molto ritardo e solo dopo le reiterate e concordi denunzie di inorriditi giornalisti e testimoni indipendenti, l’enormità delle efferatezze e stragi compiute dai mercenari Nato tra Bengasi e Tripoli. Tonitruanti ripetizioni, invece, nonostante l’inconsistenza provata, delle accuse a carico dei soldati lealisti, “autori della maggior parte degli abusi, attacchi indiscriminati, uccisioni di massa di prigionieri, torture, sparizioni forzate e arresti aribitrari ”. Un elenco agghiacciante che ha per fonte unicamente i falsari dei media occidentali e reazionari arabi e tutta la marmaglia che, non avanzando stuprando e massacrando, ha offerto queste giustificazioni al nazionicidio Nato. Si ripete quanto, a vista diretta e grazie a documenti audiovisivi e a confessioni anche da me stesso registrate (vedi il docufilm “Maledetta Primavera”), è stato commesso dai “giovani rivoluzionari” e specularmente attribuito ai gheddafiani: mercenari, bambini-soldato, stupri e conseguenti assassinii, esecuzioni a freddo, linciaggio di neri e non aderenti, smembramento di vittime, saccheggi, devastazioni, civili usati come scudi umani. Insomma tutto il repertorio che le compagnie di ventura hanno imparato da Abu Ghraib, Bagram, Israele, Falluja, Guantanamo, extraordinary renditions e carceri Nato della tortura e delle sparizioni. Cerchiobottismo alla “Diritti Umani” significa un buffetto alla botte e il martello pneumatico sul cerchio.
Papa alla sbarra
Dove lo mettiamo un pontefice, monarca più assoluto di tutti, che tace sullo stupro della Libia, come ha taciuto sugli abusi dei suoi chierici a danno di bambini? Tra bisce, ratti, o chiaviche? Fate voi. Mi va di menzionarlo perché i silenzi sui crimini della più grossa e longeva dittatura materiale e mentale nella storia umana trovano espressione anche nell’efferata istituzione clericale, impegnata, come del resto quella tibetana, nella violenza sui bambini. Dal battesimo alla pirateria sessuale. Ora sulla loro hubris è arrivata la mazzata di una piccola nemesi. Le associazioni di vittime degli abusi di preti cattolici hanno denunciato il papa, come supremo responsabile di una ferrea struttura societaria, e i cardinaloni Sodano, Bertone e Lavada (Congregazione della Fede) per il “diffuso e sistematico occultamento dei crimini sessuali in tutto il mondo”, per aver “rifiutato di collaborare con le autorità investigative e giudiziarie che tentavano di perseguire i sospettati”, per aver ”protetto i religiosi colpevoli e averli lasciati nel loro ufficio con il risultato di altri abusi e stupri”.
Ratzinger ha ricambiato gli innumerevoli favori fattigli dall’attuale governo, sacralizzando il metodo Berlusconi di rifiutarsi ai giudici. Alla Corte dell’Aja non si presenterà per, come dice Vauro, “divino impedimento”. E, statene certi, quel tribunale, sul cui banco degli imputati vengono schiaffati unicamente personaggi dalla pelle scura, odiosi a Bush e Obama, per l’indiziato non concepirà affatto l’accompagnamento coatto.
A seguire, la grande organizzazione dei reduci delle guerre Usa, “Veterans for Peace”, ha approvato a maggioranza assoluta la richiesta al Congresso di procedere all’Impeachment di Barack Obama per crimini di guerra. Non se ne farà nulla con gli Ocampo, Del Ponte e i Cassese che grufolano nei tribunali atlantici. Ma se ne parlerà, alla faccia dei velinari e degli embedded. Tra Afghanistan-Pakistan, Yemen, Somalia, Iraq e Libia, il quaquaraquà criptobianco di materiali probatori per qualunque accusa gli sia mossa sul modello Norimberga ne offrepiù di Berlusconi su Ruby e sulla mafia. Il problema sarà pure il burattino, ma molto di più lo sono i ventriloqui a cristalli liquidi che lo fanno recitare.
Chiaviche proprio
"Anche Gheddafi si è reso conto che stava perdendo la guerra della propaganda. Ed è corso ai ripari. Assoldando giornalisti, spin doctor e testimonial di ogni risma cui affidare la propria verità sugli avvenimenti in corso. In questa disperata guerra contro il tempo (e contro la Storia) ha avuto l’appoggio di alcune nazioni amiche (soprattutto Russia e Venezuela) ma anche di giornali, gruppi ed associazioni, sia di destra che di sinistra, che per motivi politici e ideologici, in nome spesso dell’anti-imperialismo e dell’anti-americanismo, si sono prontamente schierati dalla sua parte. Si è venuta così a creare una strana compagnia di giro, che vede mano nella mano Thierry Meyssan e il suo Reseau Voltaire, la tv russa all-news RT, Giulietto Chiesa e i suoi boys di Megachip, la passionaria italiana di Tripoli Tiziana Gamannossi, le veline-gheddafine dell’agenzia HostessWeb e un drappello sparuto di giornalisti pacifisti come Marinella Correggia e Fulvio Grimaldi, che a Tripoli si sono lasciati ingannare come pivelli, accontentandosi di vedere solo quello che faceva comodo al regime"
Vedasi: http://ferrivecchi.wordpress.com/2011/09/04/guerra-di-libia-vero-e-falso-in-rete/
Il nobile testo qui sopra è stato diffuso sul link indicato e in altri modi da tre esemplari di assoluto prestigio e merito della categoria giornalistica come si è andata evolvendo nei tempi della libertà d’informazione sotto dittatura della comunicazione e del conseguente mercenariato mediatico. Da questo postribolo si sono affacciati tre embedded di assoluta fiducia: Amedeo Ricucci , Cristiano Tinazzi (entrambi cavalli di razza della Rai berlusconizzata) e Massimo Mazza detto “Mazzetta” (nomen omen e, anche, nomina sunt consequentia rerum). Di Tinazzi mi fa un po’ senso occuparmi e quindi lo lascio lì, sul podio dei Donatelli d’oro per la diffamazione e la diffusione di notizie false e tendenziose. Lo squadrista non si rinnega mai: questo Tinazzi nel 1999 era candidato del neonazista Fronte Sociale Nazionale. Dal 2003 al 2006 ha bazzicato con la cosca Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini. Ogni cosa che da simile fogna viene rigurgitata è di un’evidenza Nato solare.
Quanto al Ricucci, l’ex-collega Rai lo incontrai a Tripoli, a maggio, nell’ufficio della Fact Finding Commission messa in piedi da Tiziana Gamannossi, coraggiosa imprenditrice italiana, per gettare nelle fauci degli embedded qualche osso di verità. Rimasto ovviamente immasticabile per i destinatari. Ricucci si arruffianava la FFC e Tiziana per essere agevolato alla calunnia e alla menzogna nella sua puntatina a Tripoli. Uscito dall’intento con in bocca le ossa rotte delle migliaia di civili trucidati dai suoi mandanti, la polvere di scuole, case e ospedali frantumati e con brani di pelle di gheddafiani e neri scuoiati, arrostiti e appesi, li ha tosto sputati per andarsi poi a sciacquare la bocca con le veline Nato su eroismi e trionfi ribelli e nefandezze delle “milizie” gheddafiane. Da queste altezze fisiologiche e morali, ha poi assegnato al soldo di Gheddafi “giornalisti, spin doctor (falsari) e testimonial di ogni risma”: le televisioni russe e venezuelane (e magari i satelliti che hanno sbugiardato la fola dei bombardamenti di Muammar sulla propria gente e Amnesty e i giornalisti anglosassoni che, per quanto strabici, hanno adocchiato barbarie bengasiane), che ovviamente la Nato ha mancato di bombardare come quelle libiche; la “compagnia di giro che comprende Giulietto Chiesa e i suoi boys di Megachip, Tiziana, Marinella Correggia (con Dinucci, l’ultima trincea di decenza nel “manifesto”) e, oddio, il sottoscritto.
Alla luce del “soldo di Gheddafi” che ci inonda la cassaforte, dove sostano anche le spese da noi sostenute di magra tasca propria per andare in Libia e venirne, saranno naturalmente poca cosa gli stipendi e i “benefits” Rai dei nostri attenti critici. Comprendiamo l’ardente matrice del loro intervento: l’invidia. Noi ricchi e vezzeggiati in prima squadra, loro miserelli in banchina. Conclude le contumelie – per noi una decorazione alla nostra verità -, la commiserazione: “Correggia e Grimaldi a Tripoli si sono lasciati ingannare come pivelli, accontentandosi di vedere solo quello che faceva comodo al regime”. Ingannati come pivelli dalle macerie sulla scuola dei bambini down, dagli arti mozzi degli estratti dalle macerie, dalle madri piegate in due con la foto del figlio in grembo, dalle mille e mille facce sorridenti che facevano da scudi umani a Bab el Azizieh per il loro leader, cioè il loro paese. Tutte comparse di regime.
Grazie, Ricucci, ci hai raccomandato per la lista nera della Digos e dei Ros. Complici dei terroristi uguale terroristi. Sei astuto, Ricucci, alla Roberto Saviano: ti sei costruito una moderata credibilità infilando nel clandestino “Rai Educational” un servizio su alcune balle troppo grossolane sparate dai pifferai Nato nei primi giorni. Come il Saviano anticamorra e filosionista, hai sventolato questo vessillo di probità sulle truffe da perpetrare poi. E’ il metodo Obama. In ogni caso preferiamo “pivelli” a delatori e infami. Quanto a come tu non ti sei lasciato ingannare, ma hai disciplinatamente ingannato in prima persona, ti rispondano le vittime di chi ti manda: i bambini squartati, le donne violentate e fatte a pezzi, i villaggi bruciati, le sezioni di libici e africani neri appese ai ponti, la mattanza di Tripoli, quanto resta, dopo le bombe a grappolo e l’acqua avvelenata, di Sirte, gli acquedotti distrutti, i miei amici di Tripoli, Zlitan, Beni Walid, decimati dal fuoco dal cielo e dalle orde di invasati, i detriti materiali, sociali e culturali di un paese florido, esempio al mondo di una democrazia partecipativa e diretta, di una giustizia sociale, di una dignità, che sono il sogno degli oppressi. Ma tu che ne sai. Che hai visto?
Stato palestinese. Quale?
Divampano sull’evento epocale, non le polemiche, i pro e i contro, ma semplicemente la celebrazione festosa dell’imminente riconoscimento dello Stato palestinese. Se non al Consiglio di Sicurezza, dove veta l’obeso sicario di Israele, almeno dalla maggioranza degli Stati membri, in modo da passare da “osservatore” a “Stato osservatore”, magari Stato-non-membro. Stato riconosciuto, governo riconosciuto. Il governo e l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese. Cioè la più corrotta e rinnegata ciurmaglia mai apparsa sulla scena palestinese. Sono loro che si sono inventati questa operazione. Di pura propaganda e immagine. Tale da raccogliere attenzione e consensi internazionali (Nato?)? No, tale da affossare per secoli una soluzione giusta, definitiva, di inclusione, antirazzista e antintegralista: lo Stato Unico. Quello di cui fu propositore antesignano proprio Muammar Gheddafi, con i suoi 40mila rifugiati palestinesi (i meglio trattati e integrati di tutto il mondo arabo, oggi oggetto di pogrom come i neri) e a cui aderì il meglio dell’intellettualità ebraica, a cominciare da Ilan Pappe, filo palestinese e pacifista internazionale.
Israele sbatte le sciabole. Ci sarà pure la divisione tra falchi e colombe nel governo del fascista Netaniahu e del nazista Lieberman (non si fanno mancare niente), tra chi li vorrebbe cacciare tutti, quei palestinesi inesistenti, per Eretz Israel monoetnico (con tutti quegli europei?) e monoconfessionale, e chi vuole la stessa roba, ma con la gradualità necessaria all’assorbimento internazionale, passando per quello “Stato” – ha-ha-ha! – che c’è adesso: una miriade di tessere sparpagliate, che il puzzle non lo completeranno mai, un’acqua ridotta a rigagnolo perché Israele possa far “fiorire il deserto”, strade di separazione tra mezzo milione di coloni aizzati al linciaggio e 1, 5 milioni di palestinesi, 20 parlamentari democraticamente eletti in carcere e altri 10mila detenuti, senza processo, a tempo indeterminato. Spesso torturati. Mentre Israele vocifera, un po’ effettivamente per farsi sentire nel deserto diplomatico e d’opinione pubblica che gli ha creato attorno la sua apocalittica strategia della violenza e del crimine, ci si muove zitti zitti verso una convivenza con il 12% (meno il muro) sbrindellato di Palestina. A ciò serve prepararsi: raddoppiare il ritmo delle costruzioni nelle colonie, incrementarne gli abitanti, tutti con lo schioppo (quello palestinese sta in mano solo a terroristi), terrorizzare i villaggi palestinesi con incursioni che li distolgano dal difendere le loro terre, i loro ulivi, i loro piccoli pozzi (che poi i coloni porteranno a 800 metri di profondità, succhiando tutto il resto). Quanto alla “sicurezza”, alla liquidazione degli scontenti , ci penserà la ben collaudata sinergia tra truppe nazisioniste e poliziotti palestinesi addestrati e pagati dagli Usa.
Nel 1948 l’ONU divise la Palestina dei palestinesi tra un Israele invasore e aggressore e un popolo autoctono: 78% e 22% poi ridotto a 17, a 12, a 10. Non stabilì i confini. Ora li stabilisce, per la Palestina, il governo degli occupanti, avendo intanto inferto un muro in profondità al corpo palestinese e occupato tutta la terra che costeggia il Giordano (dove ci sono l’acqua e le terre fertili). Il controllo dei “confini” sarà di Israele come di un cerchio attorno alla botticella. Sul cielo dei palestinesi non si discute nemmeno. Il mare non c’è più da tempo. Dal 1948 il popolo titolare di questa terra è decimato, seviziato, espropriato, espulso. Nell’impunità e nella benigna osservazione mondiali. Da più di un secolo questi blaterano di una Grande Israele e fanno fuori, in Palestina e in giro per il mondo, chi non condivide e chi non condivide neppure il planeticidio reso possibile dai due paradigmi su cui si regge il rudere imperialista-sionista: “scontro di civiltà” e “guerra al terrorismo” .
Se l’ONU riconosce quella mezza sega di “Stato osservatore”, ci sarà uno tsunami benpensante e puntiglioso mondiale di “ma che cosa vogliono ancora questi!”, nell’ipotesi che la collusione ANP-Israele-Usa-UE non abbia tappato la bocca, o fermato la mano a qualche irriducibile. Se i cinque milioni e passa di palestinesi che, dai loro campi e dalle loro lontananze, non cessano di mirare alla propria patria, dovessero provocare turbolenze, ci saranno i nuovi regimi in fieri di Siria, Libia, Egitto, Libano e i vecchi amici di Giordania, Golfo e simili, a ricondurli alla moderazione. Questa ANP, questo regime nazisionista, questa confraternita della bella morte occidentale, li terranno apolidi, esclusi, defuturizzati, fino a quando non si saranno estinti. Il crimine Palestina durerà, pseudostato o non pseudostato, durerà il fanatismo integralista ebraico, durerà l’occupazione, durerà l’agonia. E la soluzione si farà sanguisuga delle ultime energie di resistenza. O no.
Tutte le fazioni palestinesi all’interno dell’OLP (dove Hamas e altri non ci sono), buone o “cattive”, sostengono l’iniziativa del quisling Abu Mazen, per quanto alcune di esse, di origine marxista come FPLP e FDLP, dovrebbero individuare qualche contraddizione nell’erezione di uno Stato etnicamente e confessionalmente pulito accanto all’altro. Pare che soffrano della stessa malattia terminale delle sinistre europee. Si oppongono Hamas e la Jihad. Ma l’eccezione, dopo l’unanimità palestinese realizzata nel penoso e autolesionistico sostegno ai mercenari in Libia e nel tradimento di una Libia che da sempre era schierata per la Palestina, lo Stato Unico, e contro Israele con il suo codazzo di satrapi arabi, non consola. Noi restiamo per una Palestina araba che ospiti tanti ebrei quanti si dispongano a vivere in pace, rispetto, solidarietà con gli autoctoni di quella terra.
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Ricevo e inoltro
Appello per il 15 Ottobre 2011.
Posted on settembre 7, 2011
Dopo oltre sei mesi dal suo inizio, sembra non avere fine la guerra della NATO contro la Giamahiria di Muammar Gheddafi: migliaia di morti causati dai bombardamenti dal cielo contro la popolazione e le infrastrutture civili, uso di elicotteri Apache e droni, mercenari e truppe speciali, rifornimenti di armi micidiali e di ultima generazione ai terroristi qaedisti di Bengasi, tutti insieme non sono stati sufficienti per avere la meglio sull’eroica resistenza del popolo libico guidato da Muammar Gheddafi. I grandi media della NATO continuano a fare propaganda proclamando la vittoria da settimane, se non da mesi; eppure dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che si tratta di disinformazione strategica a scopi militari. La realtà è che nei sobborghi di Tripoli, a Sirte come a Bani Walid, la resistenza continua, rifiutando la resa e il tradimento!
L’Italia, a cui è stato ordinato di partecipare al conflitto – anche contro i suoi interessi - dal suo padrone d’oltreoceano, per mezzo dei suoi politici servi e traditori continua a giustificare la partecipazione militare alla guerra in Libia con la disgustosa retorica dell’”azione umanitaria a difesa dei civili”.
“La Libia è invece vittima di un’ennesima aggressione della Nato, politicamente per nulla diversa da quella contro la Serbia nel 1999 e da quella contro l’Iraq nel 2003, per scopi totalmente geopolitici (approvvigionamento petrolifero e insediamento di un governo non ostile a Washington) e geo-strategici (espansione della sfera d’influenza della Nato, attraverso il comando Africom), volti al contenimento di potenze rivali nei fondamentali scenari del Vicino Oriente e del Mediterraneo”. (testo ripreso da qui)
Contemporaneamente all’azione di aggressione militare alla Libia iniziata a Marzo, si è scatenata la macchina mediatica della NATO contro la Siria di Assad, replicando lo stesso schema utilizzato dalla propaganda di guerra contro Gheddafi per giustificare moralmente l’intervento militare di fronte all’opinione pubblica occidentale, invocando una nuova “azione umanitaria in difesa dei civili”: Assad sarebbe un feroce dittatore autore di abominevoli repressioni contro la popolazione civile che vuole democrazia e libertà; Assad sarebbe un uomo politicamente finito odiato dal suo popolo, etc,.etc. Non importa che i disordini siano in realtà dovuti anche qui a terrorismo armato guidato da componenti esterne alla società siriana; no, le falsità dei media della NATO sono fondamentali per spianare la strada alle sanzioni economiche, alle menzognere risoluzioni dell’ONU e, in ultimo, all’aggressione militare funzionale alle mire strategiche dell’occidente euro-atlantico. Come per la Libia, l’Italia ha seguito e segue supinamente passo dopo passo l’escalation pianificata dalla NATO contro la Siria e tutto fa pensare che l’ “Italian Repubblic” non si sottrarrà a partecipare ad una nuova aggressione militare contro un paese sovrano, laico e socialista, se le verrà ordinato di farlo dai suoi padroni di Washington e Londra. E dopo la Libia e la Siria, sarà il turno dell’Algeria, o magari della Russia, come auspicato dal senatore americano, ex candidato alla presidenza, John McCain? Dove condurranno l’Italia le strategie guerrafondaie di quei paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che guidano e la fanno da padroni nella NATO?
“Come per la Libia, anche nel caso della Siria, nessun movimento, partito o gruppo è riuscito ad alzare una voce forte e decisa contro questo nuovo tentativo di aggressione, tanto più a sinistra e nel mondo tradizionalmente “pacifista”, dove si è sostenuta la linea imperialista e neo-colonialista imposta da Obama, da Cameron e da Sarkozy. Preso atto del fallimento storico e politico di queste componenti della società civile, e dell’impossibilità per le ragioni anti-imperialiste e della sovranità nazionale di avere una seria rappresentanza all’interno di istituzioni e grandi organi di stampa” (testo ripreso da qui), alcuni membri del comitato promotore della mobilitazione del 30 agosto 2011 hanno deciso di dare continuità all’aggregazione di forze ed intenti di quella manifestazione, allargandone la piattaforma, per organizzare un nuovo presidio unitario in difesa della Giamahiria e della Repubblica Araba di Siria contro la NATO.
E’ perciò convocato un :
PRESIDIO A MILANO,
DAVANTI AL CONSOLATO GENERALE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA,
SABATO 15 OTTOBRE 2011,
DALLE 15.30 ALLE 17.30, CON CONCENTRAMENTO ALLE ORE 16.30,
PER CHIEDERE:
1.L’immediato ritiro delle forze militari italiane dalla missione criminale in Libia e da tutte le missioni per conto della Nato e degli Stati Uniti d’America;
2.Il ritiro di tutte le forze armate americane dalle basi militari in Italia, dall’Europa e dal Medio Oriente;
3. La fine di qualsiasi tipo di sostegno dell’Italia alle azioni terroristiche in Siria e ai tentativi di destabilizzazione del paese da parte della NATO.
4. Le dimissioni dei politici italiani servi della NATO e degli USA, come Napolitano, Frattini, La Russa e Berlusconi, che per esaudire i desideri atlantici continuano a violare l’art. 11 della Costituzione attaccando militarmente la Libia e attuando la destabilizzazione della Siria progettandone l’aggressione militare.
PER MANIFESTARE:
1. Il nostro appoggio all’eroica resistenza della Giamahiria di Muammar Gheddafi e della popolazione libica di fronte ai mercenari, ai tagliagole jihadistii, alle bombe e alle truppe speciali della NATO.
2. Il nostro sostegno alla Siria del presidente Assad, vittima degli attacchi terroristici delle bande criminali jihadiste fomentate dall’occidente e dalle squallide campagne mediatiche dei media della NATO.
3. Al mondo, ma soprattutto al popolo libico e siriano, che c’è un’Italia che non dorme e non subisce passivamente i diktat della NATO e che si ribella alle sue logiche criminali, che disprezza i propri politici servi e traditori e che vuole al più presto ristabilire dei rapporti di amicizia e cooperazione con la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista e con la Repubblica Araba di Siria.
PER ADERIRE SCRIVERE A : sabato15ottobre@libero.it
- Modalità di svolgimento, luogo e regole del presidio
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I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, senza rimorsi, ma molto pochi ne hanno parlato. Devi concederlo all’America. Ha esercitato a livello mondiale una manipolazione clinica del potere, mascherandosi al tempo stesso da forza del bene universale. E’ un brillante, anche umoristico, atto di ipnosi, di altissimo successo. (Harold Pinter, Premio Nobel per la letteratura)
Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male e che le brave persone non facciano nulla. (Edmund Burke, statista irlandese, 1729-1797)
Quando siamo nel suo potere, il male non è percepito come male, ma come una necessità, perfino come un dovere. (Simone Weil, 1909-1943)
Ciao a tutti, ben trovati. Prima un po’ di notizie e relativi pensierini, poi la davvero fetida melma di embedded nostrani un po’ idioti che si vomitano addosso diffamando giornalisti onesti, per chiudere con il gran battage sul riconoscimento del micro-para-pseudo-stato palestinese all’ONU.
Non saranno aquile, ma ottimi falchetti sì, i compagni, Cobas in testa, che in questa settimana di planetarie botte all’impero e a sue cupole locali, hanno tratto insegnamento da greci, spagnoli, cileni, britannici, arabi e hanno difeso con la forza il diritto alla piazza e alla manifestazione contro i sempre più sadici miliziani di regime. Caro amico Giacché, autore del magnifico “La fabbrica del falso”, vero piede di porco per scardinare quella fabbrica, lanci rampogne e ingiurie ai quattro venti nei quali reprobi sacrosantamente hanno da noi incenerito vessilli USraeliani e pupazzi di killer in uniforme, simboli del genocidio planetario, o dai dei dementi a chi sfonda le vetrine del “falso” e della depredazione. Ti verrebbe di indirizzare lo stesso biasimo alle decine di migliaia di reprobi e dementi che fanno le stesse cose al Cairo, o in Bahrein, o nella Libia in cui si bruciano gli osceni stendardi colonial-monarchici? O, magari, ai compagni che tra il 1968 e il 1977, contro le mazzate e pallottole di Andreotti e di Cossiga, ribadivano a sassate il loro diritto alla parola non “falsa” e al loro habitat politico, la piazza, migliorando, pur sotto la ferula repressiva di Pecchioli e Berlinguer, un poco l’Italia? Ci si deve mettere in testa, alla mano di tutti gli esempi che si vogliono, che le ormai famigerate marce della pace, gli scioperi di poche ore, i cortei-processione, servono solo all’autoconsolazione e alla distr-azione, lasciano il tempo che trovano, non li caga nessuno. Non arrecano al nemico quel danno materiale e di immagine che è fondamentale, non solo per imporre ai media di parlarne, ma per imporre costi e ostacoli alla marcia verso lo Stato di polizia compiuto. Intanto è un dovere morale. Poi è l’unica scappatoia dall’annichilimento. A quando un paese in fiamme perché inorridito da una criminalità politico-economico-culturale organizzata che scuoia la società, uccide l’ecosistema e stermina popoli? Mi sa che, o adesso, o mai più.
Aquile
Partiamo con le notizie che ci danno soddisfazione e orgoglio. Nella Libia insozzata e insanguinata dai predoni e dai loro sgherri, a questi je stanno a mena’ alla grande. A Kabul, in bella e significativa simultaneità con i patrioti libici, i partigiani iraniani hanno colpito al cuore la masnada di serialkiller coloniali e autoctoni: due giorni di incontenibile attacchi alle superfortezze dei carnefici, ambasciata Usa e quartiere generale Nato. Razzi e panico nei quartieri bene, dove stanno rintanati, a fianco dell’élite narcotrafficante afghano-statunitense, le radio e le tv del “falso” (entrambe colpite), giornalisti e Ong fiancheggiatrici: quella società “civile” collaborazionista, cui i nostri pacifinti e le giornaliste del “manifesto” fanno trasfusioni di sangue riconoscendogli il ruolo di liberatori dai…Taliban. In tutto il paese, a dispetto delle ininterrotte stragi di droni e B52, i Taliban avanzano e controllano più territori. La capitale è uno scolapasta della sicurezza (con ascari addestrati a milioni di dollari, in aggiunta al miliardo speso dai soli Usa ogni mese dal 2001), attraverso i cui fori la Resistenza passa quando e come vuole. Il 2011 è già l’anno con il più alto numero di vittime Usa e Nato dall’inizio. Quella guerra è persa, anche se continuerà. Come in Iraq, dove il paese è strappato agli occupanti e ai fantocci da una forza di liberazione armata e civile che negli ultimi 12 mesi ha visto una crescita costante e un eccidio di sbirri e militari del regime. Per grottesco paradosso, quel paese è sottratto alle fauci dei “conquistatori” dagli stessi quisling da loro insediati, che lo hanno regalato all’Iran e tanto scocciano che, su input persiano, sostengono Bashar al Assad contro la bengasata tentata in Siria.
Alla faccia di una repressione inaudita degli attivisti della rivoluzione, con processi e arresti di massa, le manifestazioni milionarie del Cairo sono ripartite e crescono in maturità politica e coscienza geopolitica. Venerdì scorso una adunata di massa in piazza Tahrir ha saputo individuare il nuovo obiettivo nella trasformista Giunta Militare messa sul trono di Mubaraq dai terrorizzati Usa e ha esteso il suo raggio d’azione all’internazionalismo antisionista (implicitamente anti-Usa), con l’assalto e la devastazione dell’ambasciata dei nazisionisti. Questi, alla fine della bonifica, ci hanno offerto l’edificante ripetizione della fuga degli ultimi statunitensi dall’ambasciata a Saigon. Abbiamo visto i vessilli sionisti tirati giù e bruciati e abbiamo pensato ai sacrestani che da noi deplorano simili scostumatezze degli “estremisti”. Abbiamo visto decine di migliaia saltellare e applaudire. Chissà perché ci è venuta in mente la scenetta delle sei spie israeliane che, l’11 settembre 2001, al momento del crollo delle Torri, da lì vicino filmavano e giubilavano, saltellavano e applaudivano. (furono arrestati e, quatti quatti rilasciati: come si potrebbero infastidire gli specialisti della “Guerra al Terrore”?). Intanto continuavano a rimbombare gli scoppi del gasdotto per il quale scorre verso Israele il gas egiziano, venduto sottocosto ai beneficiari vuoi da Mubaraq, vuoi dai generali. Ha ragione James Petras quando scrive che l’offensiva Nato-Al Qaida contro la Libia era il tentativo occidentale di tamponare primavere arabe che, a dispetto di infiltrazioni, gattopardismi, repressione, in Tunisia, di più in Egitto, in Bahrein, di più in Yemen e anche altrove, non parevano normalizzabili e domabili. Occorreva una rappresentazione convincente, brutale, della potenza Nato. Occorreva innestare a Tripoli ladri in seconda per collocare in Africa il Comando Usa-Nato “Africom”, castigamatti continentale, cosa che Gheddafi aveva convinto tutti i paesi africani a rifiutare. Cairo, ambasciata israeliana
Cairo, ambasciata israeliana conquistata
Prima di arrivare alle aquile libiche, dalle sponde desolate della nostra abissale vergogna di fiancheggiatori sinistri delle barbarie, al lontano orizzonte scorgiamo ampi voli di Condor. Tutti i paesi dell’Alba, Alleanza Bolivariana dei Popoli dell’America Latina, aggiungendosi alla maggioranza di quelli africani e all’Unione Africana, hanno rifiutato di riconoscere l’osceno lupanare che è il Consiglio Nazionale di Transizione. Sono gli stessi paesi, più tanti altri, che, in rappresentanza della maggioranza dell’umanità, hanno ripetutamente chiesto la fine della carneficina, il negoziato, la mediazione, la riconciliazione. Sono i colombi viaggiatori che ci hanno portato quei frammenti di verità dalla Libia che ci hanno permesso di comporre il grande mosaico della verità, frantumato da menzogna, ferocia, voracità, complicità. Hanno ora esteso il loro appello di pace e giustizia, contro ogni ingerenza, contro l’analogo complotto contro la Siria.
Libia eroica, dunque viva. E viceversa.
Sono ora settimane che gli impavidi lanzichenecchi alqaidisti e gli specialisti degli squadroni della morte Nato starebbero assediando “le ultime roccaforti di Gheddafi” (che, secondo i satelliti russi, controlla il 75% del paese), emanando compassionevoli ultimatum. Sono settimane che i missili Nato, le bombe a grappolo su Sirte, le armi chimiche su Beni Walid, l’avvelenamento delle acque dovrebbero cancellare ogni presenza recalcitrante. Ma, grazie a una resistenza motivata nobilmente, per la libertà, la giustizia, la pace, la patria, il proprio leader, e dunque eroica, come già si era manifestata con 6 mesi di freno alla più potente macchina da guerra e di propaganda del pianeta, le tre “roccaforti”, seppure private di acqua, luce, farmaci, cibo (Convenzione di Ginevra, Tribunale Penale, dove siete?), seppure polverizzate, non si fanno prendere. Da una settimana i gaglioffi tagliagole blaterano di rese e di conquiste e intanto sono stati ricacciati dai combattenti, dalla popolazione Natomassacrata e dalla tribù Warfalla (1,5 milione) a oltre 12 km dalla città. Queste città saranno occupate alla fin fine, quando, con i coraggiosi “rivoluzionari” alle finestre dei sobborghi, la Nato le avrà parificate alla luna. I ricostruttori sono là, sulla spiaggia, pronti con la cazzuola e la forchetta in mano. E invece finirà come con l’Iraq, una sconfitta Nato di bassa intensità, di lunga durata, ma inesorabile. Come quella degli italiani di Mussolini e Graziani. Avendo sicuramente presente quanto i colonizzatori bianchi cristiani hanno inflitto al suo paese, alla vista di come i loro stermini di civili (un terzo della popolazione) siano ora elevati all’ennesima potenza dai nazisti Nato, peggiori degli originali, Muammar ha lanciato un appello al Consiglio di Sicurezza e alla Comunità Internazionale perché la Nato salvi i civili, stavolta non per finta, cessando il macello di bombe e assedio. Ovviamente si tratta di provocazione, da lasciar cadere. Non è forse vero che è “da Gheddafi che arriva la minaccia” al popolo libico, all’Africa, al mondo?
Le ultime. A Tripoli gli invasori occupano solo due quartieri centrali. Innumerevoli sono le imboscate alle squadracce. E’ stato ucciso un ufficiale britannico. Il presidente Jalil e il suo governicchio, dilaniato tra islamisti e rinnegati, stanno rintanati al Ramisson Hotel, in prossimità del porto, via di fuga. L’ex-ministro della Giustizia che, passando disinvolto all’opposto del tema del suo dicastero, aveva sovrinteso al lavoro dei cacciatori di teste e di donne e, ora, gestisce la distribuzione delle spoglie tra l’orda di sciacalli interni ed esterni, non riesce nemmeno a tenere conferenze di stampa. Ne rimanda una dopo l’altra, tanto è il controllo di Tripoli e l’armonia all’interno del “regime”. Anche la colonna di Jalil è stata attaccata, tanto che il burattino era stato dato per ucciso. La brigata del redivivo (per l’undicesima volta) colonello Khamis al Gheddafi ha addirittura assaltato, all’aeroporto di Tripoli, il quartiere generale dei “ratti” e dei loro sponsor Nato. E’ la sede del governatore militare Nato, Abdelhakim Belhadj, il vecchio compare Cia, fondatore del Gruppo Libico Islamico di Combattimento, filiale di Al Qaida, negli ultimi vent’anni presente ovunque venisse dettato dagli ordini di servizio USraeliani. Fino a quanto costoro, per ridargli una verginità in vista dell’uso in Libia, lo hanno arrestato. Combattimenti sono in corso nell’area centrale, in quella tra Tripoli e la Tunisia, dove è stata liberata la contesa Zawiya, nell’Est tripolitano, poi nel Fezzan, in Cineraica da Brega a Tobruk. E qui, a Ras Lanuf, massimo centro petrolifero del paese, un’incredibile colpo di mano delle forze lealiste – esercito e, ora, volontari da tutto il paese – ha occupato per alcune ore la famosa raffineria, facendo fuori 17 ascari Nato e incrinando definitivamente quella che i volenterosi inviati occidentali avevano definito la “riconquistata sicurezza”. L’attacco è venuto di sorpresa, con una serie di veicoli in provenienza dal deserto, mentre quei farlocconi di “rivoluzionari” si paravano verso il mare. Fregati anche sul piano dell’intelligenza: la colonna faceva svettare le bandiere monarchiche fatte nuova bandiera nazionale. I rattonzoli ci hanno creduto e hanno aperto le braccia. Il finale è da humour nero. Da Bengasi a Tripoli e oltre, adesso si guarda con sgomento al deserto. Con la differenza che, stavolta, i tartari ci sono. E più ci sono e più danno una mano alla Siria (per la verità al mondo), cui una Nato sfiancata dalla Libia difficilmente riserverà il remake di Bengasi. Siamo sotto il 19 settembre, giorno in cui scade il mandato ONU di una no-flight-zone divenuta passaporto per l’inferno. La Nato cerca di farsi furba anch’essa: pare abbia preparato contingenti di mercenari travestiti da lealisti e spedito a nome di Gheddafi sms a molti libici, in vista di qualche efferatezza da infliggere a “liberatori e liberati”, attribuibile al “cane pazzo” e quindi sufficiente motivo per rinnovare il mandato e “proteggere i civili” con truppe di terra, mercenarie anche queste, ma di pelle bianca e con caschi blù in testa.
Ratti, bisce e chiaviche
La prima categoria è stata giustamente così qualificata da Muammar, padre della patria e guida morale e militare della nazione. E’ quell’accozzaglia di briganti messa insieme dalla Nato, a guida e pratica Usa, raspando il fondo del proprio mercenariato da mattanza: decerebrati fondamentalisti di Al Qaida, fratelli musulmani in servizio di complemento, fiduciari rinnegati del governo libico infiltrati e corrotti da anni, ladroni locali bulimici di libero mercato e privatizzazioni, contractors collaudati in bagni di sangue vari, mercenari tribali dell’Est e dell’Ovest, teppa razzista che, in un paese in cui era proibito dire “libico nero”, elimina i neri dalla faccia dei centri abitati trasformati in città fantasma, imbrattando le loro case con scritte come: “schiavi”, “negri”, “mercenari” (lo ha scritto anche il Wall Street Journal). Sono i diritti umani, cretino! Tutti costoro già si stanno scannando per il controllo di Tripoli: l’ho presa io, no, l’ho presa io. Quando non hanno preso un’emerita minchia, se non le macerie spianate dalla Nato.Tutti ora contro tutti in un magnifico Grand Guignol di vicendevole splatter. A quelli di Misurata, le belve che hanno fatto a pezzi e violentato civili e soldati per tre mesi, protetti dai protettori di civili, non gliene frega niente del CNT e di Jalil. Gli alkaidisti, che già avevano fatto fuori il comandante ex-gheddafiano Junis e ora hanno collocato a capo della capitale il fondatore del ramo Al Qaida “Libyan Islamic Fighting Group”, Belhadj, se la devono vedere con un CNT a guida di ex-gheddafiani, da cui le potenze occidentali pretendono che accantonino fino a nuova chiamata (Siria, Algeria) la teppa fondamentalista. Sui monti Nefusa, svuotati di popolazione dai villaggi bruciati e depredati, si stanno sparando due fazioni contrapposte di “liberatori”. Quelli che insieme avevano desertificato la città di Tawarga, vicino a Misurata, in cui il solito giornalista fuori linea anglosassone (Daily Telegraph) aveva constatato una distruzione alla Dresda, la scomparsa, per fuga ed eccidio, dei 10mila abitanti e vi aveva riconosciuto il modello Falluja applicato a tutti i centri abitati su cui si era abbattuta la ferocia dei “giovani rivoluzionari” di Rossanda e Co. Gli stessi pitbull da arteria femorale che, al guinzaglio delle Teste di cuoio Nato, a Misurata “liberata” hanno proseguito nei giorni scorsi la mattanza “giustiziando” con colpo alla nuca 85 prigionieri neri e 12 volontari internazionalisti serbi (la Serbia è stata l’unico paese a vedere una manifestazione di massa contro la Nato e a sostegno di Gheddafi).
Bisce, meglio crotali velenosi, sono quelli che hanno serpenteggiato per conto di cancellerie, consigli di amministrazione occidentali e organismi internazionali, e non per conto del proprio popolo, tra ministeri della Jamahirija socialista e i palazzi della dittatura finanziaria e militare euro-statunitense. Tocca conoscere meglio coloro ai quali la Nato ha affidato la democrazia e i diritti umani della prassi colonialista, edizione Terminator del XXI secolo. Abdul Jalil, ora presidente, in qualità di ministro della Giustizia dal 2007, aveva ordinato la liberazione di centinaia di terroristi del Gruppo Libico Islamico di Combattimento (Al Qaida), compreso l’attuale governatore di Tripoli, Abdelhakim Belhadj, reduce dagli sfracelli Nato tra Afghanistan e Jugoslavia, gente che negli ultimi 15 anni non aveva tralasciato occasione armata per distruggere lo Stato libico, imporre la sharìa, farne un emirato monarchico, uccidere Gheddafi. Naturalmente il previdente ministro aveva ogni ragione per fidarsi ciecamente del giuramento di questi briganti di “mai più prendere le armi contro la sacra Jamahirija”. Con ciò si guadagnava il ghigno soddisfatto dei futuri divoratori della Libia, come anche con il suo lavorìo sotterraneo per costruire, con consulenti delle multinazionali, la cornice legale per la presa di possesso da parte degli stessi delle risorse del paese. Cablogrammi diplomatici tra Jalil e il Dipartimento di Stato Usa rivelano l’entusiasmo nutrito dai progettisti del “regime change” per questo fellone. Aveva creato, finchè Gheddafi non lo ha scoperto e congelato, cancellando ogni proposito di privatizzazione strategica, una cupola di imprenditori libici – Commercial Law Development Programme - che si incontravano privatamente con funzionari e AD statunitensi e britannici per discutere le future privatizzazioni, a partire da scuola, sanità, petrolio, gas, beni comuni, acqua….
Nello stesso 2007, l’attuale “premier” del governo-mattatoio, Mahmud Jibril, diventa capo dell’Istituto Nazionale per lo Sviluppo Economico e, grazie a questo incarico, procedendo col metodo Jalil, potè contribuire sott’acqua a spianare la strada alla privatizzazione dell’economia libica e a dare “il benvenuto alle imprese Usa”. Funzionari euroamericani si sono detti “estasiati” dei loro incontri con Jibril. Al quale si potrebbe anche riconoscere il merito della defezione di alcuni ambasciatori gaglioffi, visto che fu lui a far addestrare diplomatici libici da Programmi di Formazione Usa. Ora quei due li abbiamo visti a Tripoli, sul palco, affiancati sui due lati da Cameron e Sarkozy (Frattini sotto il tavolo), custodi e gendarmi della grottesca coppia di vendipatria, ad annunciare al popolo libico le magnifiche sorti e progressive del cannibalato globalizzante. Curioso che le telecamere non abbiano ripreso gli avvoltoi (chiedo scusa agli avvoltoi) avvinghiati alle spalle di chi gli faceva da trespolo: Cameron, Sarkozy, Jalil e Jibril. Sui loro becchi si leggeva FMI, BM, BCE, OMC. Sigle troppo difficili da decifrare agli occhi dei media alla Lucas Casella. Ma a sua volta Christine Lagarde, l’israelita che ha soffiato all’altro israelita, Strauss Kahn, eliminato da una femminista adescatrice, mignotta e narcotrafficante, la cupola della criminalità organizzata, l’FMI, ha esternato massicciamente sugli “aiuti” alla Libia in arrivo. La sera prima aveva fatto bunga bunga per festeggiare la rimozione delle banche panafricane con cui Gheddafi aveva sostenuto la liberazione del continente dal morso finanziario della cupola. Avevate casa, scuola, salute, terra, trasporti, acqua gratis? Toh!!! Quanto ai compari-rivali islamisti nel furto con scasso della Libia, la Nato farà in modo che si accontentino di gettare vetriolo in faccia alle donne che non indossano il jihab, alla maniera dell’alleato Massud, il “ Leone del Panshir”, e che si affianchino ad formazioni Cia-Mossad-Al Qaida in azione in Algeria, nel Maghreb, o in Siria, magari preceduti da altre di quelle “rivoluzioni colorate” per le quali vanno in deliquo la Nato e il suo fianco sinistro “nonviolento”.
Tra quelli che serpeggiano e s’insinuano tra le sinapsi disattente della nostra percezione del reale, scartata Human Rights Watch, quella del Viagra e degli stupri, troppo sionisticamente rozza nel suo collateralismo Nato, eccelle Amnesty International che purtroppo, come altre imprese dell’epistemologia cerchiobottista, si tira dietro anche qualche brava persona che pensa di lottare per i diritti umani. Esemplare la sua ultima uscita sulle intemperanze dei “ribelli” CNT. Un pigolìo sommesso, corredato di “probabilmente anche”, “ma anche”, “solo alcuni”, “possibili crimini”, “in misura molto minore”, riguardante, con molto ritardo e solo dopo le reiterate e concordi denunzie di inorriditi giornalisti e testimoni indipendenti, l’enormità delle efferatezze e stragi compiute dai mercenari Nato tra Bengasi e Tripoli. Tonitruanti ripetizioni, invece, nonostante l’inconsistenza provata, delle accuse a carico dei soldati lealisti, “autori della maggior parte degli abusi, attacchi indiscriminati, uccisioni di massa di prigionieri, torture, sparizioni forzate e arresti aribitrari ”. Un elenco agghiacciante che ha per fonte unicamente i falsari dei media occidentali e reazionari arabi e tutta la marmaglia che, non avanzando stuprando e massacrando, ha offerto queste giustificazioni al nazionicidio Nato. Si ripete quanto, a vista diretta e grazie a documenti audiovisivi e a confessioni anche da me stesso registrate (vedi il docufilm “Maledetta Primavera”), è stato commesso dai “giovani rivoluzionari” e specularmente attribuito ai gheddafiani: mercenari, bambini-soldato, stupri e conseguenti assassinii, esecuzioni a freddo, linciaggio di neri e non aderenti, smembramento di vittime, saccheggi, devastazioni, civili usati come scudi umani. Insomma tutto il repertorio che le compagnie di ventura hanno imparato da Abu Ghraib, Bagram, Israele, Falluja, Guantanamo, extraordinary renditions e carceri Nato della tortura e delle sparizioni. Cerchiobottismo alla “Diritti Umani” significa un buffetto alla botte e il martello pneumatico sul cerchio.
Papa alla sbarra
Dove lo mettiamo un pontefice, monarca più assoluto di tutti, che tace sullo stupro della Libia, come ha taciuto sugli abusi dei suoi chierici a danno di bambini? Tra bisce, ratti, o chiaviche? Fate voi. Mi va di menzionarlo perché i silenzi sui crimini della più grossa e longeva dittatura materiale e mentale nella storia umana trovano espressione anche nell’efferata istituzione clericale, impegnata, come del resto quella tibetana, nella violenza sui bambini. Dal battesimo alla pirateria sessuale. Ora sulla loro hubris è arrivata la mazzata di una piccola nemesi. Le associazioni di vittime degli abusi di preti cattolici hanno denunciato il papa, come supremo responsabile di una ferrea struttura societaria, e i cardinaloni Sodano, Bertone e Lavada (Congregazione della Fede) per il “diffuso e sistematico occultamento dei crimini sessuali in tutto il mondo”, per aver “rifiutato di collaborare con le autorità investigative e giudiziarie che tentavano di perseguire i sospettati”, per aver ”protetto i religiosi colpevoli e averli lasciati nel loro ufficio con il risultato di altri abusi e stupri”.
Ratzinger ha ricambiato gli innumerevoli favori fattigli dall’attuale governo, sacralizzando il metodo Berlusconi di rifiutarsi ai giudici. Alla Corte dell’Aja non si presenterà per, come dice Vauro, “divino impedimento”. E, statene certi, quel tribunale, sul cui banco degli imputati vengono schiaffati unicamente personaggi dalla pelle scura, odiosi a Bush e Obama, per l’indiziato non concepirà affatto l’accompagnamento coatto.
A seguire, la grande organizzazione dei reduci delle guerre Usa, “Veterans for Peace”, ha approvato a maggioranza assoluta la richiesta al Congresso di procedere all’Impeachment di Barack Obama per crimini di guerra. Non se ne farà nulla con gli Ocampo, Del Ponte e i Cassese che grufolano nei tribunali atlantici. Ma se ne parlerà, alla faccia dei velinari e degli embedded. Tra Afghanistan-Pakistan, Yemen, Somalia, Iraq e Libia, il quaquaraquà criptobianco di materiali probatori per qualunque accusa gli sia mossa sul modello Norimberga ne offrepiù di Berlusconi su Ruby e sulla mafia. Il problema sarà pure il burattino, ma molto di più lo sono i ventriloqui a cristalli liquidi che lo fanno recitare.
Chiaviche proprio
"Anche Gheddafi si è reso conto che stava perdendo la guerra della propaganda. Ed è corso ai ripari. Assoldando giornalisti, spin doctor e testimonial di ogni risma cui affidare la propria verità sugli avvenimenti in corso. In questa disperata guerra contro il tempo (e contro la Storia) ha avuto l’appoggio di alcune nazioni amiche (soprattutto Russia e Venezuela) ma anche di giornali, gruppi ed associazioni, sia di destra che di sinistra, che per motivi politici e ideologici, in nome spesso dell’anti-imperialismo e dell’anti-americanismo, si sono prontamente schierati dalla sua parte. Si è venuta così a creare una strana compagnia di giro, che vede mano nella mano Thierry Meyssan e il suo Reseau Voltaire, la tv russa all-news RT, Giulietto Chiesa e i suoi boys di Megachip, la passionaria italiana di Tripoli Tiziana Gamannossi, le veline-gheddafine dell’agenzia HostessWeb e un drappello sparuto di giornalisti pacifisti come Marinella Correggia e Fulvio Grimaldi, che a Tripoli si sono lasciati ingannare come pivelli, accontentandosi di vedere solo quello che faceva comodo al regime"
Vedasi: http://ferrivecchi.wordpress.com/2011/09/04/guerra-di-libia-vero-e-falso-in-rete/
Il nobile testo qui sopra è stato diffuso sul link indicato e in altri modi da tre esemplari di assoluto prestigio e merito della categoria giornalistica come si è andata evolvendo nei tempi della libertà d’informazione sotto dittatura della comunicazione e del conseguente mercenariato mediatico. Da questo postribolo si sono affacciati tre embedded di assoluta fiducia: Amedeo Ricucci , Cristiano Tinazzi (entrambi cavalli di razza della Rai berlusconizzata) e Massimo Mazza detto “Mazzetta” (nomen omen e, anche, nomina sunt consequentia rerum). Di Tinazzi mi fa un po’ senso occuparmi e quindi lo lascio lì, sul podio dei Donatelli d’oro per la diffamazione e la diffusione di notizie false e tendenziose. Lo squadrista non si rinnega mai: questo Tinazzi nel 1999 era candidato del neonazista Fronte Sociale Nazionale. Dal 2003 al 2006 ha bazzicato con la cosca Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini. Ogni cosa che da simile fogna viene rigurgitata è di un’evidenza Nato solare.
Quanto al Ricucci, l’ex-collega Rai lo incontrai a Tripoli, a maggio, nell’ufficio della Fact Finding Commission messa in piedi da Tiziana Gamannossi, coraggiosa imprenditrice italiana, per gettare nelle fauci degli embedded qualche osso di verità. Rimasto ovviamente immasticabile per i destinatari. Ricucci si arruffianava la FFC e Tiziana per essere agevolato alla calunnia e alla menzogna nella sua puntatina a Tripoli. Uscito dall’intento con in bocca le ossa rotte delle migliaia di civili trucidati dai suoi mandanti, la polvere di scuole, case e ospedali frantumati e con brani di pelle di gheddafiani e neri scuoiati, arrostiti e appesi, li ha tosto sputati per andarsi poi a sciacquare la bocca con le veline Nato su eroismi e trionfi ribelli e nefandezze delle “milizie” gheddafiane. Da queste altezze fisiologiche e morali, ha poi assegnato al soldo di Gheddafi “giornalisti, spin doctor (falsari) e testimonial di ogni risma”: le televisioni russe e venezuelane (e magari i satelliti che hanno sbugiardato la fola dei bombardamenti di Muammar sulla propria gente e Amnesty e i giornalisti anglosassoni che, per quanto strabici, hanno adocchiato barbarie bengasiane), che ovviamente la Nato ha mancato di bombardare come quelle libiche; la “compagnia di giro che comprende Giulietto Chiesa e i suoi boys di Megachip, Tiziana, Marinella Correggia (con Dinucci, l’ultima trincea di decenza nel “manifesto”) e, oddio, il sottoscritto.
Alla luce del “soldo di Gheddafi” che ci inonda la cassaforte, dove sostano anche le spese da noi sostenute di magra tasca propria per andare in Libia e venirne, saranno naturalmente poca cosa gli stipendi e i “benefits” Rai dei nostri attenti critici. Comprendiamo l’ardente matrice del loro intervento: l’invidia. Noi ricchi e vezzeggiati in prima squadra, loro miserelli in banchina. Conclude le contumelie – per noi una decorazione alla nostra verità -, la commiserazione: “Correggia e Grimaldi a Tripoli si sono lasciati ingannare come pivelli, accontentandosi di vedere solo quello che faceva comodo al regime”. Ingannati come pivelli dalle macerie sulla scuola dei bambini down, dagli arti mozzi degli estratti dalle macerie, dalle madri piegate in due con la foto del figlio in grembo, dalle mille e mille facce sorridenti che facevano da scudi umani a Bab el Azizieh per il loro leader, cioè il loro paese. Tutte comparse di regime.
Grazie, Ricucci, ci hai raccomandato per la lista nera della Digos e dei Ros. Complici dei terroristi uguale terroristi. Sei astuto, Ricucci, alla Roberto Saviano: ti sei costruito una moderata credibilità infilando nel clandestino “Rai Educational” un servizio su alcune balle troppo grossolane sparate dai pifferai Nato nei primi giorni. Come il Saviano anticamorra e filosionista, hai sventolato questo vessillo di probità sulle truffe da perpetrare poi. E’ il metodo Obama. In ogni caso preferiamo “pivelli” a delatori e infami. Quanto a come tu non ti sei lasciato ingannare, ma hai disciplinatamente ingannato in prima persona, ti rispondano le vittime di chi ti manda: i bambini squartati, le donne violentate e fatte a pezzi, i villaggi bruciati, le sezioni di libici e africani neri appese ai ponti, la mattanza di Tripoli, quanto resta, dopo le bombe a grappolo e l’acqua avvelenata, di Sirte, gli acquedotti distrutti, i miei amici di Tripoli, Zlitan, Beni Walid, decimati dal fuoco dal cielo e dalle orde di invasati, i detriti materiali, sociali e culturali di un paese florido, esempio al mondo di una democrazia partecipativa e diretta, di una giustizia sociale, di una dignità, che sono il sogno degli oppressi. Ma tu che ne sai. Che hai visto?
Stato palestinese. Quale?
Divampano sull’evento epocale, non le polemiche, i pro e i contro, ma semplicemente la celebrazione festosa dell’imminente riconoscimento dello Stato palestinese. Se non al Consiglio di Sicurezza, dove veta l’obeso sicario di Israele, almeno dalla maggioranza degli Stati membri, in modo da passare da “osservatore” a “Stato osservatore”, magari Stato-non-membro. Stato riconosciuto, governo riconosciuto. Il governo e l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese. Cioè la più corrotta e rinnegata ciurmaglia mai apparsa sulla scena palestinese. Sono loro che si sono inventati questa operazione. Di pura propaganda e immagine. Tale da raccogliere attenzione e consensi internazionali (Nato?)? No, tale da affossare per secoli una soluzione giusta, definitiva, di inclusione, antirazzista e antintegralista: lo Stato Unico. Quello di cui fu propositore antesignano proprio Muammar Gheddafi, con i suoi 40mila rifugiati palestinesi (i meglio trattati e integrati di tutto il mondo arabo, oggi oggetto di pogrom come i neri) e a cui aderì il meglio dell’intellettualità ebraica, a cominciare da Ilan Pappe, filo palestinese e pacifista internazionale.
Israele sbatte le sciabole. Ci sarà pure la divisione tra falchi e colombe nel governo del fascista Netaniahu e del nazista Lieberman (non si fanno mancare niente), tra chi li vorrebbe cacciare tutti, quei palestinesi inesistenti, per Eretz Israel monoetnico (con tutti quegli europei?) e monoconfessionale, e chi vuole la stessa roba, ma con la gradualità necessaria all’assorbimento internazionale, passando per quello “Stato” – ha-ha-ha! – che c’è adesso: una miriade di tessere sparpagliate, che il puzzle non lo completeranno mai, un’acqua ridotta a rigagnolo perché Israele possa far “fiorire il deserto”, strade di separazione tra mezzo milione di coloni aizzati al linciaggio e 1, 5 milioni di palestinesi, 20 parlamentari democraticamente eletti in carcere e altri 10mila detenuti, senza processo, a tempo indeterminato. Spesso torturati. Mentre Israele vocifera, un po’ effettivamente per farsi sentire nel deserto diplomatico e d’opinione pubblica che gli ha creato attorno la sua apocalittica strategia della violenza e del crimine, ci si muove zitti zitti verso una convivenza con il 12% (meno il muro) sbrindellato di Palestina. A ciò serve prepararsi: raddoppiare il ritmo delle costruzioni nelle colonie, incrementarne gli abitanti, tutti con lo schioppo (quello palestinese sta in mano solo a terroristi), terrorizzare i villaggi palestinesi con incursioni che li distolgano dal difendere le loro terre, i loro ulivi, i loro piccoli pozzi (che poi i coloni porteranno a 800 metri di profondità, succhiando tutto il resto). Quanto alla “sicurezza”, alla liquidazione degli scontenti , ci penserà la ben collaudata sinergia tra truppe nazisioniste e poliziotti palestinesi addestrati e pagati dagli Usa.
Nel 1948 l’ONU divise la Palestina dei palestinesi tra un Israele invasore e aggressore e un popolo autoctono: 78% e 22% poi ridotto a 17, a 12, a 10. Non stabilì i confini. Ora li stabilisce, per la Palestina, il governo degli occupanti, avendo intanto inferto un muro in profondità al corpo palestinese e occupato tutta la terra che costeggia il Giordano (dove ci sono l’acqua e le terre fertili). Il controllo dei “confini” sarà di Israele come di un cerchio attorno alla botticella. Sul cielo dei palestinesi non si discute nemmeno. Il mare non c’è più da tempo. Dal 1948 il popolo titolare di questa terra è decimato, seviziato, espropriato, espulso. Nell’impunità e nella benigna osservazione mondiali. Da più di un secolo questi blaterano di una Grande Israele e fanno fuori, in Palestina e in giro per il mondo, chi non condivide e chi non condivide neppure il planeticidio reso possibile dai due paradigmi su cui si regge il rudere imperialista-sionista: “scontro di civiltà” e “guerra al terrorismo” .
Se l’ONU riconosce quella mezza sega di “Stato osservatore”, ci sarà uno tsunami benpensante e puntiglioso mondiale di “ma che cosa vogliono ancora questi!”, nell’ipotesi che la collusione ANP-Israele-Usa-UE non abbia tappato la bocca, o fermato la mano a qualche irriducibile. Se i cinque milioni e passa di palestinesi che, dai loro campi e dalle loro lontananze, non cessano di mirare alla propria patria, dovessero provocare turbolenze, ci saranno i nuovi regimi in fieri di Siria, Libia, Egitto, Libano e i vecchi amici di Giordania, Golfo e simili, a ricondurli alla moderazione. Questa ANP, questo regime nazisionista, questa confraternita della bella morte occidentale, li terranno apolidi, esclusi, defuturizzati, fino a quando non si saranno estinti. Il crimine Palestina durerà, pseudostato o non pseudostato, durerà il fanatismo integralista ebraico, durerà l’occupazione, durerà l’agonia. E la soluzione si farà sanguisuga delle ultime energie di resistenza. O no.
Tutte le fazioni palestinesi all’interno dell’OLP (dove Hamas e altri non ci sono), buone o “cattive”, sostengono l’iniziativa del quisling Abu Mazen, per quanto alcune di esse, di origine marxista come FPLP e FDLP, dovrebbero individuare qualche contraddizione nell’erezione di uno Stato etnicamente e confessionalmente pulito accanto all’altro. Pare che soffrano della stessa malattia terminale delle sinistre europee. Si oppongono Hamas e la Jihad. Ma l’eccezione, dopo l’unanimità palestinese realizzata nel penoso e autolesionistico sostegno ai mercenari in Libia e nel tradimento di una Libia che da sempre era schierata per la Palestina, lo Stato Unico, e contro Israele con il suo codazzo di satrapi arabi, non consola. Noi restiamo per una Palestina araba che ospiti tanti ebrei quanti si dispongano a vivere in pace, rispetto, solidarietà con gli autoctoni di quella terra.
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Ricevo e inoltro
Appello per il 15 Ottobre 2011.
Posted on settembre 7, 2011
Dopo oltre sei mesi dal suo inizio, sembra non avere fine la guerra della NATO contro la Giamahiria di Muammar Gheddafi: migliaia di morti causati dai bombardamenti dal cielo contro la popolazione e le infrastrutture civili, uso di elicotteri Apache e droni, mercenari e truppe speciali, rifornimenti di armi micidiali e di ultima generazione ai terroristi qaedisti di Bengasi, tutti insieme non sono stati sufficienti per avere la meglio sull’eroica resistenza del popolo libico guidato da Muammar Gheddafi. I grandi media della NATO continuano a fare propaganda proclamando la vittoria da settimane, se non da mesi; eppure dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che si tratta di disinformazione strategica a scopi militari. La realtà è che nei sobborghi di Tripoli, a Sirte come a Bani Walid, la resistenza continua, rifiutando la resa e il tradimento!
L’Italia, a cui è stato ordinato di partecipare al conflitto – anche contro i suoi interessi - dal suo padrone d’oltreoceano, per mezzo dei suoi politici servi e traditori continua a giustificare la partecipazione militare alla guerra in Libia con la disgustosa retorica dell’”azione umanitaria a difesa dei civili”.
“La Libia è invece vittima di un’ennesima aggressione della Nato, politicamente per nulla diversa da quella contro la Serbia nel 1999 e da quella contro l’Iraq nel 2003, per scopi totalmente geopolitici (approvvigionamento petrolifero e insediamento di un governo non ostile a Washington) e geo-strategici (espansione della sfera d’influenza della Nato, attraverso il comando Africom), volti al contenimento di potenze rivali nei fondamentali scenari del Vicino Oriente e del Mediterraneo”. (testo ripreso da qui)
Contemporaneamente all’azione di aggressione militare alla Libia iniziata a Marzo, si è scatenata la macchina mediatica della NATO contro la Siria di Assad, replicando lo stesso schema utilizzato dalla propaganda di guerra contro Gheddafi per giustificare moralmente l’intervento militare di fronte all’opinione pubblica occidentale, invocando una nuova “azione umanitaria in difesa dei civili”: Assad sarebbe un feroce dittatore autore di abominevoli repressioni contro la popolazione civile che vuole democrazia e libertà; Assad sarebbe un uomo politicamente finito odiato dal suo popolo, etc,.etc. Non importa che i disordini siano in realtà dovuti anche qui a terrorismo armato guidato da componenti esterne alla società siriana; no, le falsità dei media della NATO sono fondamentali per spianare la strada alle sanzioni economiche, alle menzognere risoluzioni dell’ONU e, in ultimo, all’aggressione militare funzionale alle mire strategiche dell’occidente euro-atlantico. Come per la Libia, l’Italia ha seguito e segue supinamente passo dopo passo l’escalation pianificata dalla NATO contro la Siria e tutto fa pensare che l’ “Italian Repubblic” non si sottrarrà a partecipare ad una nuova aggressione militare contro un paese sovrano, laico e socialista, se le verrà ordinato di farlo dai suoi padroni di Washington e Londra. E dopo la Libia e la Siria, sarà il turno dell’Algeria, o magari della Russia, come auspicato dal senatore americano, ex candidato alla presidenza, John McCain? Dove condurranno l’Italia le strategie guerrafondaie di quei paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che guidano e la fanno da padroni nella NATO?
“Come per la Libia, anche nel caso della Siria, nessun movimento, partito o gruppo è riuscito ad alzare una voce forte e decisa contro questo nuovo tentativo di aggressione, tanto più a sinistra e nel mondo tradizionalmente “pacifista”, dove si è sostenuta la linea imperialista e neo-colonialista imposta da Obama, da Cameron e da Sarkozy. Preso atto del fallimento storico e politico di queste componenti della società civile, e dell’impossibilità per le ragioni anti-imperialiste e della sovranità nazionale di avere una seria rappresentanza all’interno di istituzioni e grandi organi di stampa” (testo ripreso da qui), alcuni membri del comitato promotore della mobilitazione del 30 agosto 2011 hanno deciso di dare continuità all’aggregazione di forze ed intenti di quella manifestazione, allargandone la piattaforma, per organizzare un nuovo presidio unitario in difesa della Giamahiria e della Repubblica Araba di Siria contro la NATO.
E’ perciò convocato un :
PRESIDIO A MILANO,
DAVANTI AL CONSOLATO GENERALE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA,
SABATO 15 OTTOBRE 2011,
DALLE 15.30 ALLE 17.30, CON CONCENTRAMENTO ALLE ORE 16.30,
PER CHIEDERE:
1.L’immediato ritiro delle forze militari italiane dalla missione criminale in Libia e da tutte le missioni per conto della Nato e degli Stati Uniti d’America;
2.Il ritiro di tutte le forze armate americane dalle basi militari in Italia, dall’Europa e dal Medio Oriente;
3. La fine di qualsiasi tipo di sostegno dell’Italia alle azioni terroristiche in Siria e ai tentativi di destabilizzazione del paese da parte della NATO.
4. Le dimissioni dei politici italiani servi della NATO e degli USA, come Napolitano, Frattini, La Russa e Berlusconi, che per esaudire i desideri atlantici continuano a violare l’art. 11 della Costituzione attaccando militarmente la Libia e attuando la destabilizzazione della Siria progettandone l’aggressione militare.
PER MANIFESTARE:
1. Il nostro appoggio all’eroica resistenza della Giamahiria di Muammar Gheddafi e della popolazione libica di fronte ai mercenari, ai tagliagole jihadistii, alle bombe e alle truppe speciali della NATO.
2. Il nostro sostegno alla Siria del presidente Assad, vittima degli attacchi terroristici delle bande criminali jihadiste fomentate dall’occidente e dalle squallide campagne mediatiche dei media della NATO.
3. Al mondo, ma soprattutto al popolo libico e siriano, che c’è un’Italia che non dorme e non subisce passivamente i diktat della NATO e che si ribella alle sue logiche criminali, che disprezza i propri politici servi e traditori e che vuole al più presto ristabilire dei rapporti di amicizia e cooperazione con la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista e con la Repubblica Araba di Siria.
PER ADERIRE SCRIVERE A : sabato15ottobre@libero.it
- Modalità di svolgimento, luogo e regole del presidio
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