Canale Youtube di Fulvio Grimaldi:
Da Elena Basile alla Palestina “dal fiume al mare”, da Kutsk
al Venezuela
https://youtu.be/P5fHolraM_o https://youtu.be/P5fHolraM_o
Byoblu, “Le Interviste”,
Edoardo Gagliano intervista Fulvio Grimaldi sull’incursione
ucraina in Russia nel contesto dei fronti aperti in Medioriente
https://www.byoblu.com/2024/08/13/la-russia-ha-la-guerra-in-casa-fulvio-grimaldi/
“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, Elena
Basile?
Stimo e seguo con vero affetto Elena Basile, scrittrice,
ex-ambasciatrice e analista geopolitica. Mi è cara per la nobiltà formale e
sostanziale dei suoi interventi sul Fatto Quotidiano e altrove. Interventi
segnati da accurata conoscenza dei fatti, dei contesti, dei retro- e avanterra,
sempre percepiti e trasmessi con la sapienzialità fiorita dall’esperienza e
suonata con l’archetto della sensibilità umana.
Elena, o Ipazia, come agli esordi significativamente sul FQ
si pseudonomizzava. Ipazia, filosofa e grande scienziata, martire della civiltà
greco-pagana, quando con Costantino e poi con Teodosio, il monoteismo imperiale
cristiano si fece spietato giustiziere della classicità, dei cui monumenti e
opere non lasciò che lo 0,1%. Ipazia fu assassinata insieme alla Biblioteca di
Alessandria, massima custode del patrimonio intellettuale di secoli, data alle
fiamme dalla turba inconsapevole scatenata dal vescovo Cirillo. Una specie di
rivoluzione colorata, di quelle alle quali reca omaggio Franco Fracassi con il
suo documentario “La Fabbrica delle Rivoluzioni”.
Detto tutto questo, mi posso anche prendere la libertà di
afferrare una matita rossa e tracciare un grosso frego sotto una frase inserita
in un suo articolo sul FQ dell’11 agosto scorso.
Si tratta delle parole di commento alla sentenza di un
tribunale tedesco contro… “ i manifestanti pro-Palestina che hanno gridato
l’atroce slogan ‘Palestina libera dal fiume al mare’, implicitamente
condannando Israele alla distruzione, esattamente come il Likud e Netaniahu non
riconoscono la Palestina e teorizzano l’espansione di Israele.
No, Elena Basile, mia strepitosa collega, la parola d’ordine
gridata da quei manifestanti a Berlino, come da tutti i palestinesi, come da
450 milioni di arabi (al netto delle 4 o 5 migliaia di satrapi e famigli nel
Golfo), da 1,7 miliardi musulmani, come da milioni di altri nel mondo, non è
atroce, né condanna chi non merita di essere condannato. E’ equa e giusta.
Storicamente, politicamente, moralmente. Atroce, iniqua e ingiusta, è
quell’altra, “Israele dal Nilo all’Eufrate”, legato biblico riesumato e
inscritto su quella terra con il sangue di chi non chiede altro che restarvi e
condividerla. Vedi Marwan Barghouti, segretario legittimo di Al Fatah, leader
palestinese in carcere con cinque ergastoli, la cui liberazione è oggi in vetta
alla lista dele condizioni avanzate da Hamas: “Siamo qui, palestinesi e
ebrei, e qui resteremo” (da una mia intervista nel documentario “Fino
all’ultima Kefiah!”).
Nessuna organizzazione palestinese chiede la distruzione del
popolo ebraico. La rimozione dello Stato Sionista dell’Apartheid, sì. Il
modello è il Sudafrica, dove la giustizia è stata possibile dopo due secoli di
apartheid colonialista. Che da questa sorga lo Stato unico, democratico e
plurale di Palestina, come ritengo debba essere un futuro vivibile, o ne
discendano i due Stati monoetnici, però di pari voce, dignità e diritti,
saranno gli eventi a determinarlo. Possibilmente senza interferenze di istanze colonialiste.
E neanche l’Iran ha teorizzato la distruzione di Israele.
Anche in questo caso, ciò di cui si nega la legittimità è lo Stato sionista
dell’Apartheid e la negazione dei diritti palestinesi. A questo proposito, è
istruttivo fare un confronto tra quanto l’ipocrisia occidentale esige a gran
voce da Tehran, cioè di astenersi dalla risposta al crimine terrorista
israeliano, e il riguardoso silenzio osservato nei confronti di quegli stessi
crimini israeliani. Ed è ancora più significativo l’esempio che ci offre l’Iran
quando ipotizza la rinuncia alla sacrosanta ritorsione in cambio di un cessate
il fuoco che preservi i palestinesi dalla totale eliminazione. Quando da noi in
Occidente si ciarla di solidarietà umana non si ha un cazzo di idea di cosa si
vada parlando. Si provi ad ascoltare l’Iran.
Nel video sul mio canale Youtube sottolineo ancora una volta
l’estrema pericolosità della fase che stiamo vedendo evolversi. Il culto di
morte da setta antropofaga che caratterizza il centro e la periferia
dell’Occidente politico e che prova a coinvolgerci con sempre maggiore ferocia
e impegno manipolatorio, ha ora affiancato ai fronti aperti in Europa e
Medioriente, un terzo, latinoamericano.
Qui è in atto un’offensiva che coinvolge diversi paesi da
“recuperare”, a partire dal boccone principale, il Venezuela, titolare della
più vasta riserva energetica del pianeta e portatore di un modello politico,
sociale, istituzionale, incompatibile con gli interessi del neocolonialismo
euroamericano e dei suoi centri di potere: i grandi fondi di investimento e
gestione che hanno in mano la finanza del mondo e che, osservazione
incidentale, ma non banale, casualmente compongono una rete che casualmente
professa le stesse credenze religiose e globaliste dei millenaristi insediatisi
in Palestina.
Una banda di scappati, non da casa, ma dal manicomio
criminale, questa setta del culto della morte, avvoltolata nella sua sua pre- e
post-umana matrix biblica, cerca di favorire il suo rientro nella Storia, da
dominus legibus solutus, attraverso la pratica di sacrifici umani su
scala planetaria. E’ il sogno vampiresco di sopravvivere alla propria
dissolvenza grazie al furto della vita altrui.
La vittoria in Venezuela, come in Bolivia, Nicaragua,
Honduras, Cuba, Messico, Brasile, ora anche Colombia, di istanze popolari, più
o meno fedelmente interpretate e rappresentate, ha innescato l’ennesimo
tentativo golpista, sproporzionato come tutti i precedenti (di quello del 2002
ero stato testimone, vedi il documentario “Americas Reaparecidas”),
rispetto alla determinazione di un popolo che sa benissimo cosa rischia di
perdere nell’ipotesi di un ritorno dei gringos e dei suoi corifei locali (in
notevole quota italiani, arrivati quando la borghesia compradora locale invitava
al banchetto gli amici).
Sul Venezuela, nella foga di riaprire una partita che
ripetutamente è stata persa, vedi la barzelletta Juan Guaidò, riconosciuto
presidente senza avere neanche il sostegno di mezza compagnia di fanteria, i
ventriloqui del pupazzetto Biden non temono di precipitare oltre il ridicolo.
Gli hanno fatto fare la promessa a Maduro di un’ ”amnistia”, purchè rinunci
alla sonante vittoria, documentata da controlli senza pari nel mondo (li
illustro nel video) e si rifugi nella colonia Panama, prontamente dichiaratasi disposta
a garantire all’usurpatore asilo politico.
Così Biden concede la grazia a un presidente a condizione
che ignori e tradisca la volontà espressa dalla stragrande maggioranza dei suoi
cittadini e affidi paese e popolo a chi ne disponeva negli anni della
spoliazione imperialista e a chi quel popolo ha dissanguato e fatto morire a
decine di migliaia a seguito di sanzioni tra le più feroci ma imposte. Sono
ridicoli e hanno la faccia come il culo.
L’aggressività dell’apparato bellico globalista arriva a
vertici senza precedenti. A fronte del terrorismo sionista, pronto ad
affiancare al genocidio palestinese una campagna di assassini mirati
extragiudiziali, sul modello di quelli inaugurati da Obama con la sua firma
sotto un settimanale elenco CIA di “sospetti” da liquidare, c’è l’impresa del
sicario ucraino. Un regime nazista (i cui rappresentanti militari AZOV stanno
in queste settimane compiendo una tournee di autopromozione in vari paesi
democratici europei) nato dal colpo di Stato mandato dagli USA e condiviso
dall’UE, fallito il tentativo di far fuori a cannonate un segmento della
propria popolazione restia al fascismo, prova ora ad avventarsi contro chi quel
segmento era entrato a difendere.
L’incursione in territorio russo, sotto evidente comando
NATO (contractors e militari) dei disperati rastrellati dal sicario sotto la
minaccia di botte, carcere, torture e fucilate, non avrà conseguenze sui
rapporti di forza tra le parti in campo. Rientrerà, ma avrà sancito un
principio mai neppure rasentato, per quanto vagheggiato fin dal 1945 trumaniano
e atomico: la Russia, URSS o altro che sia, può essere attaccata, invasa. Anzi,
deve.
Non c’è dubbio che finirebbe come con Napoleone e con
Hitler. Ma il tabù è stato rimosso. E sul vuoto di tabù vedremo lanciarsi a
tuffo domestici, famigli, garzoni, fattorini, valletti, sottopancia e tirapiedi
che popolano e commentano i risultati delle nostre libere elezioni. Gliene
verrà in termini di sopravvivenza politica, prosperità economica, licenza di
malaffare e profitti di guerra.
Senza calcolare quanti inconfutabili pretesti la società di
guerra, le mobilitazioni, il nemico ti ascolta, il filoputinismo, le fake news,
le False Flag, gli attentati qua e là, offrano per concedersi di spazzare via
quanto di Costituzione, di diritti, di voce, protezione sociale, ci è rimasto
dopo il passaggio del Covid e dei vari Russiagate.
Il nuovo duce promessoci dal premierato è solo l’antipasto. E nessun par.e accorgersene