VIDEO DI FULVIO GRIMALDI: https://www.youtube.com/watch?v=ZguBS93nOvA
Il
giorno che l’opposizione venezuelana saprà mettere in campo qualcosa come
questa manifestazione bolivariana della vigilia delle elezioni, potrà FORSE considerare
un’opzione diversa dall’ennesimo colpetto di Stato, tipo Guaidò, lubrificato
dalle ONG germogliate dal Dipartimento di Stato, incensato e benedetto dalla
Chiesa cattolica, eseguito da operativi di CIA e Mossad e inesorabilmente destinato
al fallimento. Nel caso del pupazzo amerikano Juan Guaidò, indecentemente
riconosciuto subito dal nostro governo, capace di raccogliere intorno a sé non
più di due dozzine di sottufficiali per la conquista del potere, destinato al
ridicolo.
Intanto
scrolliamoci di dosso la polvere tossica dei nostri sicofanti
politico-mediatici di Zelensky e Netaniahu che si strappano le vesti sulla
“morte della democrazia in Venezuela”.
Questo
video s’intitola “Nous somme tous des assassins!, che era il titolo di
un film di André Cayatte del 1952, formidabile denuncia di un mondo che stava
rinnegando, con i suoi errori e orrori, ciò per cui tanti esseri umani nel
nostro mondo solo pochi anni prima si erano battuti. Criminalità comune,
criminalità economica, criminalità politica. L’assassinio come metodo
strutturale e strategico di dominio.
Già,
proprio quello che vediamo esemplificato oggi negli orrori compiuti dai mostri
sionisti in Palestina e, con un tasso di barbarie al parossismo, con
l’assassinio a Tehran di Ismail Haniyeh, leader della liberazione del suo
popolo. Ciliegina sul massacro israeliano (attribuito a un razzo Hezbollah che
è risultato non di Hezbollah) di 12 ragazzi siriani drusi nel Golan occupato.
False flag se ce n’è mai stata una. Roba che neanche Hitler. Roba che è nello
stile di questa aberrazione statale e ideologica fin dalla sua nascita, 78 anni
fa.
Distruggono,
uccidono, devastano, ma non vincono, Vale sempre più per gli USA, vale da
sempre per Israele. Non è una grande consolazione. UNO SI CHIEDE CHE COSA DEBBA
ANCORA COMBINARE QUESTO STATO DI JACK LO SQUARTATORE PERCHE’SI DECIDA A ESPELLERLO, NON SOLO DALLE OLIMPIADI, DOVE
GIA’ INFETTA UN PRESUNTO CONSESSO DI PACE E FRATELLANZA, MA DALL’INTERA
FAMIGLIA DEGLI ESSERI UMANI.
Israele
sa perfettamente che non vincerà mai, non solo contro i palestinesi, ma contro
l’enorme schieramento di nemici che le sue efferatezze vanno assembrando. Forse
spera ancora di poter trascinare gli USA, magari quelli di Trump,
nell’armageddon biblico che la sua distorta fede prevede e auspica. E per il
quale possiede gli strumenti e, ahinoi, la complicità del verminaio
politico-mediatico nel quale siamo costretti in Italia e in Occidente.
E,
che me lo consentiate o no, in questa sceneggiatura disegnata dai necrofagi del
culto della morte (fisica altrui, morale propria) non posso non inserire
Maurizio Fugatti, confermato presidente provinciale e masskiller di orsi in
Trentino. Come i sionisti, ce l’ha con le donne, specie se madri, e con i
bambini. Ha fatto, con la ventenne orsa KJ1, madre di tre cuccioli, l’ennesima
vittima della sua brama di morte. Che inevitabilmente si estenderà ai tre cuccioli
abbandonati. Come già nel caso dell’orsa ergastolana JJ4.
Bracconieri
e cacciatori erano riusciti a far sparire l’orso dal nostro lato delle Alpi,
loro habitat millennario. Abbiamo sostituito al loro habitat cemento e veleno.
Qualcuno l’ha fatto tornare, ben sapendo che senza l’orso, che non aggredisce
se non per difesa, si rompe la catena della vita. Come senza i lupi, come senza
le api, come senza i palestinesi. Qualcun altro si è subito impegnato per una
sua seconda estinzione. Non ci ha consacrato, la bibbia, padroni del creato e
di tutti i viventi? Lasciate che ne facciamo ciò che ci pare utile o
divertente.
Pensate
l’accanimento di questo Fugatti. Due ricorsi della LAV avevano fatto bloccare
al TAR le ordinanze per la fucilazione di KJ1. Ma un Fugatti non sa, non vuole,
trattenersi: precipitosamente ha emanato una terza ordinanza e l’ha fatta
eseguire seduta stante, prima di un nuovo ricorso, ai Forestali del Trentino. Quando
i forestali dell’Abruzzo non fanno nessuna fatica a far convivere 60 orsi
e 50
con gli abitanti dell’area. Niente culto della morte. Niente Lega lì.
E’
tragicamente paradossale che si debba ponderare se non sia stato meglio una
fucilazione, che non la cattura, come quella di altri orsi, ergastolani
innocenti, rinchiusi a vita in un braccio della morte più mostruoso del carcere
israeliano nel Negev, dove sono rinchiusi resistenti palestinesi, o palestinesi
rastrellati a caso e da cui sono uscite le rivelazioni sull’Abu Ghraib israeliana.
Si chiama Castellet, è molto meno di un ettaro per animali che in un giorno si
spostano per 30-40km. Vi hanno rinchiuso lo strepitoso Papillon, tre volte
evaso superando barriere invalicabili.
Ergastolano per delitto di libertà. Ci farei passare qualche giorno a
Maurizio Fugatti. Forse gli balenerebbe l’idea di una campagna di
sterilizzazione dell’orso, o del suo trasferimento in santuari anche
all’estero.
IL
culto della morte (altrui) è una sindrome contagiosa. Si diffonde dalla testa
al corpo di una società che si è inserita e allargata in termini di
colonialismo. In Israele i sondaggi dicono che fino all’80% della popolazione
appoggia quanto gli ultranazisti fanno a Gaza e in Cisgiordania. Anche in Trentino, dove ho tanti amici, c’è
chi incrocia Fugatti, forse sospira, ma va oltre.
Siamo
tutti assassini. SONO tutti assassini, sarebbe da
rettificare, pensando a tanta brava gente preda del negativismo e che si
dispera e non sa più distinguere tra chi è carnefice e chi è vittima e non vede
come quattro quinti del mondo si stanno mobilitando contro gli assassini
sistemici.
Ancora
una volta, sotto gli occhi degli osservatori internazionali, compresi quelli
dell’ONU e dello statunitense Istituto Carter, impiegando il meccanismo
elettorale più sicuro del mondo, basato sulla verifica complementare,
elettronica e cartacea, la rivoluzione bolivariana ha dato sette punti ai
rigurgiti a stelle e strisce e stella di Davide. Tutti questi osservatori hanno
confermato la correttezza dello spoglio, dei conteggi, di tutto il processo. E
la riconquista neocolonialista dell’America Latina, su cui contavano i
guerrafondai USA e UE, ha subito una battuta d’arresto.
Fosse
una partita di tennis, quella per il controllo del subcontinente, in questo
torneo avremmo avuto una serie di dritti, Lula in Brasile, la vittoria popolare
sui tentati golpe in Bolivia e Honduras e sulla rivoluzione colorata di Chiesa
e CIA contro il Nicaragua; poi alcuni rovesci, l’Argentina finita nelle mani
del sicario neocolonialista Milei, i golpe parlamentari in Perù, Ecuador e Paraguay,
il Cile ripiombato nel post-pinochettismo; ma, oggi, la schiacciata risolutiva
del Venezuela che ha deciso il set.
Brasile,
Messico e Venezuela sono, a gradazioni variabili, le avanguardie di un processo
di emancipazione latinoamericana, lanciato da Cuba (ma lì oggi in sospensione),
dalla condizione di cortile di casa e di fonte di approvvigionamento del
predatore nordamericano. Se tralasciamo gli Stati, soprattutto del
Centroamerica, vuoi liberati, come Honduras e Nicaragua, vuoi ancorati alla
condizione di repubbliche delle banane, tipo Panama, Repubblica Dominicana,
Guatemala, Puerto Rico, agli USA rimangono due importanti presidi
politico-economico-militari: la recuperata Argentina (dove l’anarcocapitalisa a
impronta sionista a stelle e strisce, Milei, ha subito invocato il golpe militare
contro Maduro) e il Cile normalizzato, dopo la ventata anti-pinochettismo, dal
presidente Gabriel Boric. Immediatamente salutata la vittoria di Maduro dai
paesi dell’ALBA: Bolivia, Nicaragua, Cuba, Honduras. Messico e Brasile
attendono i risultati finali.
Quanto
alla Colombia, va messa nel novero dei giochi persi dal contendente imperiale:
con il presidente Gustavo Petro ha preso nettamente la distanza dal ruolo
assegnatogli da Washington di “Israele dell’America Latina” e ha cessato di
funzionare da trampolino per provocazioni e incursioni contro il Venezuela.
Tocca vedere come reagiranno le sette basi militari concesse agli USA dia
predecessori vendipatria alla Uribe.
Sono
stato tante volte in Venezuela, ne hop frequentato i giovani, gli studenti, i
contadini, i militanti, ho visto Chavez assegnare terre e case. Come in altri
paesi del riscatto, Libia, Iraq, sanità e istruzione erano gratuiti. In cinque
anni si è passato dal 38% allo zero percento di analfabetismo. Ai media sotto
controllo oligarchico, rispondevano, spuntando come funghi, le radio e tv
comunali, libere. Profumo di rivoluzione. Ho incontrato e intervistato Hugo
Chavez. Un fascino paragonabile a quello del Che. Attraversavo i territori del
centro e del sud, pesantemente colpiti dalla serrata del monopolio PDVSA,
l’ente petrolifero di cui i padroni statunitensi rifiutavano la nazionalizzazione
decisa da Chavez. Alla fame indotta, il governo sopperiva con mercati a prezzi
calmierati.
Il
mio autista, un militante bolivariano, aveva la radio perennemente accesa sulle
canzoni di Ali Primera, il cantautore del Popolo, come lo chiamò Hugo Chavez
ricordandone la morte, nel 1985, in un incidente assai sospetto, da molti
attribuito ai sicari del regime del fantoccio Yankee Jaime Lusinchi. Sentite
questa: https://youtu.be/w9Hc-Bi-iE4 “Tetti di cartone”. Al mio autista
scendevano le lacrime.
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