A
PROPOSITO DEL GALLO, DEI SUOI STONATI CHICCHIRICHI’, DEI SUOI POLLI.
E DI
PROLETARI IN DIVISA
Con
notevole fatica, grande pazienza, zero indulgenza, ho ascoltato ieri sera il
lunghissimo intervento di Mario Gallo, non so se ancora, o non più segretario
di Ancora Italia, nel quale forse, dico forse dato il gran trambusto di
concetti e lessico, ‘ormai capo di una frazione scissionistica di questo partito.
Si peritava a delineare un programma, in vista di un imminente congresso, che
aveva la pretesa di essere politico.
Di
politico, tra infinite giravolte dialettiche, non sono riuscito a trovare
niente, se non si vuole che criteri di organizzazione, enucleati in vista del
Congresso, si possano definire “politica” nel senso di intervento sulla società
e sulle sue strutture.
Mi
sono trovato invece immerso in un vuoto spinto di contenuti politici, immerso
però nella seducente carta stagnola di spericolate– ovviamente fuorvianti -
escursioni esoteriche, definite spiritualismo delle “relazioni vibrazionali animate
dal respiro cosmico” e fumisterie varie. New Age puro, tipo i Beatles smarriti
davanti al santone indiano Raineesh (poi arrestato con 10 Rolls Royce nell’Oregon).
Qualora
si volesse ricorrere a parametri, forse nel caso in oggetto giudicati desueti,
per i quali si considerano contenuti politici quelli che riguardino l’intervento
sul reale nelle sue varie articolazioni, propriamente politiche, economiche,
sociali, culturali, istituzionali, internazionali e poi magari ideologiche,
morali, psicologiche, locali, globali e via facendo… politica, ebbene nella
fiumana oratoria di Gallo si sarebbe dovuto cercare con la lanterna di Diogene,
invano..
Questo
paese si ritrova da qualche anno e sempre più in una tempesta perfetta, scatenatagli
contro da poteri umanamente alieni e che ne mettono in discussione passato,
presente e soprattutto futuro, con il corredo di indicibili sofferenze, offese e
privazioni a tutti i livelli della vita individuale e collettiva.
Grazie
alle innate virtù e alla comprovata resistenza alle avversità e ai nemici che
in questo popolo albergano, si è riusciti a reagire alla più feroce operazione
anti-umana di tutti i tempi, con una forza e un progetto che ha attinto, superando
particolarismi, settarismi, egoismi, al meglio delle tradizioni
politico-culturali di un paese che non ha l’eguale per capacità creative, nel
solco del passato e con lo sguardo ficcato nel futuro, ma con piena
consapevolezza delle sue premesse nel presente.
Il
fatto, che parrebbe storicamente fisiologico, di un settore, né sociale, né culturale
tantomeno politico, ma essenzialmente segnato dalla conservazione personale
dell’esistente, per quanto riduttivo, ma però famigliare, rassicurante e innocuo,
rispetto alla tempesta di cui sopra, ha avuto la sua consacrazione nel discorso
udito ieri dal capo della sezione scissionistica, autoperpetuante e sterilmente
isolazionista
Sembra
incongruo, ma non lo è, che nella contingenza mi sia tornato in mente un recente
episodio, in vividissimo contrasto con quanto stavo ascoltando e con quanto se
ne poteva trarre.
Ho
passato, tra Rovereto e Trento, una giornata bellissima e ricchissima, tra
amici, militanti e poi simpatizzanti o interessati di Italia Sovrana e Popolare,
la formazione politica fatta nascere dal concorso di felici circostanze, sagge
e coraggiose volontà includenti, alla vigilia della campagna elettorale. C’erano
iscrittiin gran numero e grande determinazione. Due manifestazioni affollate, seguite
con consapevolezza e passione, una di mattina, una di sera.
A
Rovereto, parlando di questo felice fenomeno sincretico che è Italia Sovrana e
Popolare, sono riandato ai miei felici anni ‘60-’70, quando, come oggi, alla
virulenza di poteri che si arrogavano il “diritto” e la forza di prendersi
tutto della vita e del lavoro, dei corpi e delle menti, il paese seppe produrre
una risposta che opponeva un rifiuto altrettanto forte e, insieme, una nuova
prospettiva di società e di rapporti tra gli esseri umani.
La
novità di noi, i più coinvolti nella “contestazione”, operai, studenti, agricoltori,
insegnanti, gente delle periferie devastate e devastanti, era che avevamo affiancato
al concetto di classe contro classe, adeguandoci all’assalto di una cricca
contro la generalità del popolo, compresi i ceti medi, gli intellettuali, i
sottoproletari. Fummo così bravi da portare il lavoro politico perfino tra le
forze di polizia, supposti pretoriani del Potere, nell’esercito di leva, allora
caratterizzato da una brutale e ottusa gerarchia, dai postumi del Piano Solo
del generale De Lorenzo, dei prodromi del golpe Borghese, dei mandanti della
Strage di Stato di Piazza Fontana. La nostra organizzazione si chiamava “Proletari
in Divisa”.
La
parola d’ordine era: dobbiamo stare dove stanno le masse. Magari poi lì per
distinguere, selezionare, anche unire, esercitare la nostra egemonia. Così ho
visto fare oggi a quelli di Italia Sovrana e Popolare, dalle svariate origini
politiche, a Genova, a Spezia, a Cuneo, nel Piemonte, a Palermo….
Alla
fine del mio pistolotto, mi si presenta un omone sui settanta e mi fa “Io
ero un “proletario in divisa” e ti ho anche mandato un articolo che tu, direttore,
hai pubblicato sul tuo quotidiano”.
Felice
balzo indietro di 75 anni, come fosse ieri. No, oggi. Un abbraccio all’orlo
delle lacrime.
Sarò
astigmatico, presbite, miope, guercio, tutto quel che volete, ma mi/ci rivedo oggi,
in Italia Sovrana e Popolare, come allora: un cuneo contro il sistema, composto
da un florilegio di metalli, il rivoluzionario sociale, il cattolico della
teologia della liberazione e di don Milani, il patriota di Gramsci, Garibaldi,
Mazzini, un popolo di combattenti contro lo straniero, l’alieno, il disumano,
il disumanizzante.
E
ai margini, a guardarsi l’ombelico, coloro che non capiscono, che non vogliono
capire, perché il vento, l’aria fresca, li fa intirizzire, preferiscono lo
stagnante.
La
storia di Italia Sovrana e Popolare percuote il presente e si proietta nel
futuro. Chi si abbarbica a una pianta secca, rischia di morire con essa.
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