mercoledì 27 marzo 2019

Convegno internazionale a vent’anni dall’aggressione “DIMENTICARE? PERDONARE? MAI !” ----- Inviato sotto le bombe, testimone di oggi



(Abbiate pietà, siamo di nuovo lunghi, ma è la storia della Serbia che è lunga e complessa)

Il contributo dei pellegrini di Sarajevo
Coloro che in questi giorni, in occasione del XX anniversario dell’aggressione Nato alla Serbia, si stracciano le vesti per una guerra che ha lacerato l’Europa e sancito la fine dello jus gentium, del diritto che regola i rapporti tra i popoli e impone il governo della legge su abusi e arbitri, sono quelli che il 24 marzo 1999, la mattina dopo le prime bombe, si armarono di menzogne e partirono per Sarajevo. Quinte colonne di pellegrini della pace accorsi a offrire un contributo alla frode che parlava di nazionalismo etnico dei serbi, del “dittatore” Milosevic, della persecuzione degli albanesi nel Kosovo, dell’assedio stragista dei serbi alla città bosniaca, del massacro di 8000 innocenti di Srebrenica (solo miliziani del capobanda Nasr Oric, fiduciario del fascista islamista Izetbegovic, massacratore – vero –  di 3.500 serbi attorno a Srebrenica. Ma è Karadzic, il difensore dei serbi dalle orde jihadiste del fascista Izetbegovic, reclutate dalla Nato, che oggi viene condannato all’ergastolo dal tribunale pinocchiesco dell’Aja).

Sicari civili del generale bombarolo Wesley Clark esordivano alla grande a Sarajevo e Belgrado nella missione di asfaltare, con le calunnie sui serbi e sul loro governo, la via alla distruzione dell’ultimo lembo di quel grande esperimento di convivenza e progetto comune che era stata la Jugoslavia socialista di Tito. Comunità sovrana di popoli perno di un altro grande e positivo progetto di alternativa allo spadroneggiare dell’imperialismo: l’organizzazione dei Non Allineati.

Kosovo: l’inversione delle pulizie etniche

 UCK e Isis

Insieme ai pionieri del 1992, Pannella e Bonino, in mimetica accanto ai neo-ustasha croati, al Papa polacco in testa alle sue truppe in tonaca, al pacifista Alex Langer convertitosi al bellicismo Nato, con l’invocazione di bombardamenti sui serbi, ai revanscisti di Berlino, che i serbi, pur con una mano legata dietro alla schiena, avevano sconfitto da soli, torme di Ong avevano già invaso il Kosovo e s’erano già fatte apprezzare da vivandiere degli squartatori dei Balcani. Nei decenni precedenti, la sistematica caccia al serbo, nel cuore kosovaro della Serbia, da parte di albanesi perlopiù immigrati dall’Albania e così diventati maggioranza, era stata resa possibile dalla tolleranza di Tito, nel nome di un equilibrismo preoccupato di non irritare, con un’egemonia serba,  gli altri componenti della Federazione.

Così la pulizia etnica operata dalle bande UCK, sostenuta dalle università di George Soros etnicamente pulite (riservate ai soli albanesi) e dalle strutture sanitarie di Teresa di Calcutta, etnicamente pulite nello stesso senso, venne risolta da queste Ong nel suo opposto: serbi colpevoli, albanesi vittime. L’avallo della stampa italiana e internazionale sul posto, onesta quanto Gianni Schicchi che "va rabbioso altrui così conciando" (Canto XXX dell'Inferno), non si avvide dell’inizio dell’esodo che, alla fine, avrebbe visto 230mila serbi resi profughi perenni, ma privi di neanche un grammo di quella solidarietà elargita oggi ai nuovi sradicati all’ombra dello stesso imperialismo. Non si avvide neanche dei 150 monasteri del XII, XIII, XIV, XV secolo bruciati che, poi, sarebbero cresciuti, sotto gli occhi della KFOR, a oltre 230. Né delle case serbe occupate dagli albanesi, né delle istituzioni dello Stato date alle fiamme. Meriti deontologici che a qualcuno fruttarono l’elevazione al rango di corrispondente da New York. Mentre il banditismo narco- e organo-trafficante dell’UCK  valse ai tagliagole il riconoscimento, non dell’ONU, ma di alcuni governi di pari qualità.

Presidenti democratici nominati dittatori, pulizie etniche, narcostati e interpreti simultanei Ong

Tanto blindata era la dittatura di Slobodan Milosevic, presidente di una federazione e di una repubblica in cui si votava, correttamente, più che in qualsiasi altro paese europeo, dove esistevano forti e vociferanti partiti d’opposizione ed emittenti radio e televisive infeudate ai propagandisti occidentali senza che nessuno li invitasse a moderare le menzogne suggerite da Berlino e Washington. E Ong arlecchinesche, come l’ICS o le Tute Bianche del noto navigatore Luca Casarini,  venivano ospitate da quinte colonne come, rispettivamente, le “Donne in Nero” e Radio B92, organo di George Soros, specializzata in scagliare contumelie sul “regime” e pietre sui partigiani in corteo sotto le sue finestre.

Troppo democratico, Slobo, e troppo preciso rivelatore della strategia dei necrofori all’assalto dei popoli sovrani nella strategia del Nuovo Ordine Mondiale in nuce, da poter essere lasciato in vita nel carcere dell’Aja, dopo che neppure il soldo di Bill Clinton era riuscito a far trovare ai giudici di quel tribunale-burletta la minima prova di una qualche colpa del presidente serbo. Lo salutammo da sotto le sbarre del carcere di Scheveningen. Ma di quelle Ong umanitarie non se ne vide nessuna. E neppure il giornaletto finto di sinistra che, con un suo inviato, piagnucolava sulle bombe cattive, ma si riprendeva parlando del “despota” Milosevic, ancora più cattivo, metteva sullo stesso piano le parti in causa in Kosovo, cianciava di contropulizia etnica dei serbi quando di pulizia etnica ce n’era una sola, quella dell’UCK. Il risultato a cui costui ha dato il suo bel contributo, è un Kosovo  messo in mano al gangster UCK Hashim Thaci, dimostrato responsabile dell’unica pulizia etnica perpetrata e del traffico di organi di civili e soldati serbi catturati. Un paese in miseria nonostante riceva più aiuti di qualsiasi altro, sede della più grande base USA d’Europa, ponte del trasferimento in Occidente dell’eroina in arrivo dalle zone dell’Afghanistan controllate dall’occupante Nato.


Dall’ "intervento umanitario” all’inferno.
A me, in redazione al Tg3 la mattina del primo dei 78 giorni di bombardamento, l’invito a considerare l’attacco un “intervento umanitario” (il primo di quelli costati all’umanità l’Afghanistan, la Somalia, l’Iraq, la Libia, la Siria, lo Yemen, l’Honduras, diononvoglia il Venezuela), non tornò né giusto, né corretto. Impossibile condividere, schifoso sottostare e in RAI non mi feci vedere più. Presi una telecamera e mi feci vedere a Belgrado, insieme alla gente del “target” che, cantando, sfidava sul Ponte Branko, obiettivo per eccellenza, i topgun Nato che partivano da Aviano su ordine, anche, di D’Alema premier e Mattarella vicepremier e ministro della Difesa. A Kraguievac, con Raniero La Valle, Sandra e il bassotto Nando, schivammo un paio di missili, a Belgrado, di notte, vedemmo in fiamme l'ambasciata cinese e, la mattina, colpito il reparto incubatrici dell'ospedale pubblico. Dal 1999 al 2001 mi aggirai per la Serbia, tra le rovine di ospedali, scuole, ponti, treni, case, orfanotrofi, fabbriche, ambasciata cinese, televisione di Stato e suoi giornalisti e tecnici, la Zastava a Kragujevac, cuore operaio della Serbia jugoslava, vista rasa al suolo dall’uranio e un anno dopo rimessa in opera dagli stessi, eroici, operai. Ne vennero i due unici documentari che in Italia ed Europa provarono a dire un’altra verità. Per la quale, a Belgrado, ora hanno avuto la generosità di offrirmi un riconoscimento. Che terrò incorniciato e in vista, per non dimenticare mai. Come promesso dai convegnisti del Forum di Belgrado.

 

 
Il PRC: No, Milosevic no!
Ma ne vennero anche i reportage che “Liberazione”, quotidiano del PRC, mi aveva chiesto di mandargli. E che apparvero nella misura in cui descrissi gli effetti dei bombardamenti. Poi mi occupai della resistenza operaia, intellettuale, popolare, dell’incredibile ricostruzione in pochissimi mesi, in particolare dei magnifici ponti sul Danubio a Novi Sad e della Zastava. E qui, al ritorno, scopersi che il caporedattore Cannavò, - oggi, coerentemente, all’atlantista Fatto Quotidiano - ne aveva cestinato gran parte. “Mica potevamo appiattirci su Milosevic”, fu la giustificazione dell’indecente abuso. La stessa che mi diede la vicedirettrice Rina Gagliardi quando rifiutò la mia intervista a Milosevic. L’ultima che diede, prima dell’arresto tre giorni dopo, dando prova di generosità d’animo, amore per la patria, acutezza di analisi e di impressionante lungimiranza su quello che la distruzione della Jugoslavia avrebbe comportato. La pubblicai sul Corriere della Sera, giornale che almeno sapeva di giornalismo.

Vent’anni dopo. Un convegno. Della memoria e della resistenza.


 
Ero venuto a Belgrado per il convegno nel X anniversario dell’aggressione. Ci sono tornato ora nel XX. Dubito, a 85 anni, che mi rivedranno al XXX. Ma loro terranno duro, fino a quando la vulgata delle menzogne su Jugoslavia, Serbi, loro uccisori e devastatori non sarà riconosciuta da un’opinione pubblica che insiste a farsi turlupinare da delinquenti della guerra, dello schiavismo coloniale e dell’informazione. Fino a quando le vittime non saranno state risarcite, bonificati i territori e curati i corpi bruciati dall’uranio impoverito (tra i ragazzi sotto i 15 anni tre volte i tumori della normalità senza uranio) e avvelenati dalle sostanze chimiche fatte sprigionare dagli impianti petrolchimici di Pancevo. Sparute voci invocavano memoria, ma anche perdono. Subito subissate dal coro:"Non dimentichiamo, non perdoniamo".

Loro che tengono duro, fin dai giorni dell’aggressione, sono capeggiati da un uomo della cui specie ne vorremmo avere anche da noi. Zivadin Jovanovic era ministro degli esteri nel governo di Slobodan Milosevic, testimone dell’infame inganno di Rambouillet, trattato di “pace” con cui Madeleine Albright (quella dei “500mila bambini morti che valevano la pena per prendersi l’Iraq”) pretendeva di imporre alla Serbia di farsi occupare dalla Nato. Testimone, alla fine dei bombardamenti, della “pace” di Kumanovo. Forse l’unico, grande errore di Milosevic: il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo. Difficilmente l’UCK, se non la Nato, avrebbero prevalso, tra le montagne serbe, sull’esercito erede della lotta partigiana ai tedeschi. Avremmo vissuto un’altra storia.

Sicuramente non quella di una Grande Albania che incorpori Kosovo  e pezzi di Serbia, Montenegro e Macedonia, vascello pirata sospinto dal soffio Nato e UE, tornato virulento in questi mesi e ansioso di farla finita con una Serbia che a Putin in visita a gennaio offre tripudio, un milione di cittadini in festa e il rifiuto della Nato (“Per difenderci basta il nostro esercito. Non abbiamo bisogno della Nato”. Così, alla conferenza, il ministro della Difesa, Aleksander Vulin, ripetendo ciò che aveva detto il presidente Vucic). Una Serbia che dall’inverno scorso viene descritta come assediata dalle opposizioni anti-Vucic, ma che a fine marzo abbiamo visto in piazza ridotta a poche decine di manifestanti. Tra l’altro con parole d’ordine che richiamano con precisione quelle di Otpor, la Quinta Colonna creata dalla Cia nel 2000 e poi attiva nell’innesco di quasi tutte le “rivoluzioni colorate”, fino al golpe di Guaidò in Venezuela.

Forum di Belgrado per un Mondo di uguali

Zivadin Jovanovic (occhiali), Enrico Vigna (in blu) e il sottoscritto (in rosso). Sotto: Jovanovic al palco. 





Con il Forum di Belgrado per un Mondo di Uguali, di cui è rappresentante per l’Italia Enrico Vigna, meritevole anche per i progetti con i serbi del Kosovo che ha illustrato nel suo intervento, Jovanovic, detto Zica dagli amici, dà da vent’anni forma e contenuto alla resistenza serba e alla verità. Per questo anniversario ha riunito nella capitale, da tutto il mondo, 500 tra storici, giornalisti, analisti, esperti militari, biologi e tanti di coloro che su vari piani, in questi anni, tra oblio indotto e ripetizione delle menzogne, hanno tenuto accesi ricordi e verità. A Belgrado siamo, opportunamente, nel palazzo delle Forze Armate Serbe, quelle del cui patriottismo i serbi continuano a fidarsi. Per l'Italia ci siamo io, Vigna, un rappresentante del Comitato contro la Guerra di Milano, attivissimo nelle mobilitazioni, e il gruppo di Jugocoord che, da anni, si occupa eminentemente di ricerche storiche su Jugoslavia e fascismo.

Non avevo una precisa idea su quale tema trattare nel mio intervento alla conferenza. Si trattava di evitare dati e considerazioni che sicuramente sarebbero stati trattati dai tanti iscritti a parlare: quasi 30mila raid aerei, 10.000 missili Cruise, 21.700 tonnellate di esplosivo, 350 di uranio impoverito, 36mila bombe a grappolo, bombe alla grafite, 2.200 civili uccisi, 33 ospedali centrati, 23 raffinerie, lo stesso Kosmet, caro alla Nato, con un aumento del 200% dei casi di cancro. E poi la denuncia del complotto genocida che ha visto complici Germania, in primis, e poi Usa, Ue, Vaticano, i mancati risarcimenti, le bonifiche negate, come negata dai paesi Nato è la causalità tra Uranio ed effetti patologici letali. A dispetto dei 400 e passa soldati italiani uccisi dai tumori e dei 6000 ammalati in seguito al contatto, non protetto, con quelle armi, in Kosovo, come nei poligoni della Sardegna.

Il battesimo delle False Flag del secondo millennio
Il bacio della musa dei convegnisti arriva durante il trasferimento dall’aeroporto al centro della capitale. La mia grande amica e compagna serba in resistenza, Gordana Pavlovic, vedova di guerra (una delle grandi donne serbe  che ho avuto la fortuna di conoscere, con in testa Ivana, che in Italia tiene viva la fiamma della verità sulla Serbia), mi indica la sede, che avevo visto semicarbonizzata, del Comitato Centrale del Partito. Forse l’avrebbero lasciata lì, pensavo, monumento perenne al crimine di aggressione. Ma lo sguardo si scontra con un gigantesco complesso commerciale su cui spicca la scritta “Zara” e quella di altre griffe del consumo spietato e imbecille. La grande piazza è un parcheggio. Case, caffè, botteghe, alberi, gente del vicinato, spariti. Un’identità cancellata. L’innesco, il bacio della musa, è stata la parola “identità”. Venutami in mente in quel momento e poi pronunciata  da un solo relatore: Pyotr Olegovich Tolstoy, vicepresidente della Duma, Federazione Russa. Tolstoy ha riferito il termine alla mai sufficiente denuncia delle truffe, inganni, bugie, falsità sesquipedali con le quali si è voluto deformare l’immagine, l’identità della Jugoslavia e  indurre l’opinione pubblica a tollerarne il disfacimento, prodromo alla guerra infinita, detta “al terrorismo”, da parte di una congrega di Stati costruitisi e perpetuatisi nel terrorismo.


A partire dalla frode di Racak, innesco all’attacco, quando qualche decina di cadaveri mutilati di civili erano stati attribuiti dal capo dell’OCSE, presunto ente mediatore, William Walker, a una strage perpetrata dai serbi. Gli anatomologhi finlandesi che esaminarono la scena documentarono che trattavasi di miliziani UCK caduti in combattimento e che erano stati mutilati dopo la loro morte. Poi vennero le armi di distruzione di massa di Saddam, Osama bin Laden, l’11 settembre, Gheddafi e Assad che bombardano il loro popolo… Insomma la False Flag come madre di tutti i crimini contro l’umanità. 

Le frodi si possono rivelare, le colpe attribuire, ponti, palazzi, ferrovie, ospedali, case, scuole, fabbriche, si possono ricostruire. Ma quando un’identità è ferita, mutilata, non smette di sanguinare. Fino alla morte. Ed è questo l’obiettivo strategico dei necrofori con la falce della globalizzazione. Cancellare l’identità con la guerra, o ingabbiarla e soffocarla con la gabbia delle strutture politiche ed economiche, tipo Nato, tipo UE. Il terrorismo bellico  mira a colpire cultura, testimonianze, radici,  opere che una comunità ha espresso nel tempo, i suoi modi e le sue strutture della convivenza. Punta a sottrarre l’anima, a cancellare il nome. La guerra per l’annientamento di ciò in cui un popolo si riconosce, che lo lega a quella Storia e a quel territorio, è terribilmente sottovalutata. Al convegno di Belgrado non ne ha parlato nessun altro, ma che la questione fosse sotterraneamente presente lo hanno dimostrato  il consenso e la condivisione.

Non solo case, ospedali, monasteri, ponti, scuole…
In Iraq gli americani hanno, per primissima cosa, c’ero ancora, fatto devastare, da manovalanze importate dal Kuwait, il Museo e la Biblioteca Nazionali, contenitori di quattro millenni di civiltà, che poi ha saputo trasferirsi nel resto dell’umanità (non a tutta, per  la verità). Con i cingoli a Ur, patria di Abramo, hanno frantumato il primo asfalto inventato dall’uomo. La distruzione di Babilonia, Niniveh, Atra, Nimrud, Mosul, l’hanno perpetrata con le bombe e delegata ai mercenari Isis. Come in Siria per Palmira, Aleppo, Raqqa. Come in Libia per Cyrene, Leptis Magna, Ghadames…


Della Serbia sappiamo dei 150 monasteri ortodossi distrutti nel Kosovo e di altri 100 sotto gli occhi della Kfor. Qualcosa è trapelato sugli effetti genocidi nel tempo dei fumi sprigionati dalle raffinerie incendiate, delle sostanze chimiche mortali uscite dai serbatoi di Pancevo, appositamente e precisamente mirati (quelli vuoti non sono stati sfiorati!). Non sappiamo della distruzione o del danneggiamento dei musei, delle cattedrali, della Fortezza di Belgrado, dei cimiteri antichi, dei monumenti bizantini e medievali, delle chiese, moschee e sinagoghe, del Parco della Memoria a Kraguievac, del Parco Nazionale di Fruska Gora, dove alberi e monasteri venivano frantumati sotto i nostri occhi, dei centri urbani antichi e, dunque, della loro forme di convivenza. Tutti crimini contro l’umanità, violazioni di leggi e convenzioni. Tutto per cancellare radici, identità, anime, livellare, uniformare. E senza identità non c’è sovranità. Se non quella dei globalizzatori, livellatori, espropriatori, odiatori di cultura. Da dove trarre la forza, il senso di comunità, per lottare?

Identità, nemico principale


Il lavoro dei globalizzatori non finisce con la guerra e le bombe. Ne è prova la global-imperialista Operazione Migranti, riesumazione della tratta schiavista e del razzismo colonialista dei secoli passati, coperta dall’ipocrisia dei buonisti e accoglitori senza se e senza ma, ma finalizzata a svuotare di giovani i paesi delle risorse e ad annullare la coscienza della propria identità in chi parte e in chi accoglie. Ne è testimonianza l’universalizzazione delle gentrificazioni nelle metropoli. Con l’arrivo dei ricchi e dei manager e di torme di turisti uniformati da scenari uniformi,tra Tokio, Chicago, Londra, Lisbona e la Milano guastata da sindaci e architetti. Con l’espulsione in periferia del corpo vivo del popolo e il subentrare di centri commerciali, B&B, catene di hotel, ristoranti e boutique in franchising, dopo aver raso al suolo botteghe, caffè, trattorie, le piazze dei muretti, dei balli e delle fontane per il sabato sera della comunità di ieri e di oggi, di sempre.
 Siede con le vicine a filar la vecchierella incontro là dove si perde il giorno… “I fanciulli gridando sulla piazzola in frotta e qua e là saltando fanno un lieto rumore…. Poeta, ma anche profeta, Giacomo: “Ma la tua festa, ch’anco tardi a venir, non ti sia grave”. Il Centro Commerciale Zara & Co. al posto del palazzo del Comitato Centrale, è un brutto segno. Lo è anche il nuovo quartiere dei ricchissimi, la Waterfront (all’inglese!) sul fiume. Per ora sembra salvo il centro.

Quello del Forum di Belgrado per un Mondo di Uguali è stato, doveva essere, alla vista dell’oblio indotto dai responsabili e dai loro amanuensi, un convegno della memoria. Ma da Zivadin Jovanovic all’ultimo delegato, eravamo coscienti che la memoria non serve se resta galleria degli antenati e dei paesaggi. Ambiente in cui si crogiola troppa gente. La memoria dei serbi non cessa di accusare e avvertire: per i necrofori, la Serbia dovrebbe essere diventata il paradigma dell’umanità. O si resiste alle sirene Usa, Nato, UE, o si muore tutti. La memoria, quando è denuncia,  diventa resistenza.  A partire dalla  lotta contro coloro che oggi vengono di  nuovo incaricati di agitare la piazza. Piazza spuria e strumentale per abbattere un presidente che, forse ondeggiante, ha comunque dichiarato un no epocale alla Nato. Una Nato che, a partire dal progetto che riunisca tutti gli albanesi in unico Stato all’ordine della criminalità internazionale e locale, prosegua l’infinita destabilizzazione dei Balcani  e la faccia finita con quel cuore serbo che ha vinto i nazisti e ora rifiuta di farsi testa di ponte per la guerra alla Russia.

Le conclusioni tracciate da Jovanovic sottolineano l'impegno a difendere e diffondere a livello internazionale la memoria dei crimini e dei loro responsabili. A trarne il rafforzamento dell'opposizione alla Nato e all'UE nel nome di un diritto internazionale e di una sovranità nazionale da ricuperare. A stringere rapporti sempre più stretti con la tradizionale alleata russa. A inserirsi, con la forza dell'esperienza e della sofferenza subita, nel fronte internazionale dell'antimperialismo e dell'autodeterminazione dei popoli. Sotto il segno della parola d'ordine del convegno: "Pace e progresso contro guerra e dominio".


Ho chiuso il mio discorsetto con una promessa. Che tutti e cinquecento ci saremmo ritrovati qui al XXX anniversario e, anche, al XL. Visto che ci battiamo tutti per una causa giusta, buona e bella, non moriamo mai. Siamo immortali. Un sorriso ci vuole ogni tanto.

Seguirà, nel prossimo post, un’intervista con Zivadin Jovanovic, presidente del Forum di Belgrado e ministro degli esteri del governo Milosevic





mercoledì 20 marzo 2019

ARRIVEDERCI, DOPO BELGRADO, IN LOMBARDIA PER VENEZUELA, SERBIA E TROIKA CONTRO IL SUD----------- Per ora: Lorenzo Orsetti e Luca Casarini: due eroi del tempo non nostro



Di Lorenzo Orsetti, in qualche misura, mi sento compagno per avere anch’io, quasi cinquant’anni fa, combattuto insieme a un popolo in armi. L’analogia, però, è del tutto fuorviante. Lui, con chi fa a pezzi un paese, io, con chi il suo paese se l’era visto fare a pezzi. Lorenzo viene glorificato da media e politica, mentre io dovetti, e dovrei tuttora, guardarmi dalle rappresaglie dei nemici di allora (qui niente prescrizione) e dagli anatemi di chi insiste a schierarsi dalla parte degli espropriatori di popoli. Che in Siria sono i curdi.
Comprendo e mi dolgo della sofferenza dei famigliari dell’uomo caduto in Siria, a Baghuz, nello scontro tra Usa-curdi e Isis. Ma fare di lui, come sento, vedo e leggo, nientemeno  che un Che Guevara, o un Garibaldi, è come minimo sacrilegio. Non so con quale posizione idealistica sia partito Lorenzo ma, una volta schierato in Siria, avrebbe dovuto ripensarci. Non si è accorto che stava in territori che i curdi, sotto protezione degli invasori americani, impegnati con bombe e missili a massacrare migliaia di civili siriani, da Raqqa a Baghuz, per aprire la strada alla loro fanteria curda, con il sostegno di israeliani e sauditi, avevano rubato alla Siria sovrana? Conoscendo un po’ di Storia, non aveva notato che i suoi eroi stavano allargando il loro territorio iniziale a un terzo della Siria, con pulizie etniche feroci  degli arabi siriani? Non aveva capito di trovarsi al servizio di un’operazione tutt’altro che ideale.

Guerra criminale, finalizzata allo squartamento di un paese libero, democratico, emancipato, forse più del tanto decantato, dai complici degli aggressori, ecologismo, femminismo, diritto umanismo, dell’YPG. E, soprattutto, paese antimperialista, qualifica non spettante ai curdi. Se Lorenzo era mosso da idealismo, l’unica scelta avrebbe dovuto essere in difesa della Siria.La morte di Lorenzo nella battaglia tra le due milizie, tutte e due inventate e armate dall’aggressore, addolora doppiamente. E commuove. E indigna, pensando agli specchietti per le allodole. Per lo spreco di una vita e per la causa sbagliata. Se si vuole parlare di martiri, l’unico martirio, qui, è quello del popolo siriano.

Di Luca Casarini, corsaro di Sua Maestà George con la  "Mare Jonio", specializzata nella tratta, ex-capo delle Tutine Bianche, capo global dei noglobal, già collaboratore della ministra anti-migranti Livia Turco e ora strumento multinazionale per la depredazione dell’Africa e la destabilizzazione sociale e culturale dell’Italia, vanto tre significative verifiche personali dirette. 1) Le spedizioni coloniali nel Chapas, per  schierarsi nello scontro tra indigeni cattolici e indigeni protestanti e contribuire alla mitizzazione del subcomandante Marcos in funzione di sabotaggio della sinistra messicana, capeggiata da Andres Manuel Lopez Obrador, e della rivoluzione bolivariana di Chavez.  2) Le spedizioni imperialiste a Belgrado a sostegno della Quinta Colonna sorosiana (poi Otpor) incistata in Radio B92, dello stesso Soros, e della distruzione della Serbia in resistenza. 3) L’allestimento dell’armata di cartone di Tutine Bianche che, minacciando sfracelli per il G8 di Genova, fornì al regime Berlusconi-De Gennaro il pretesto per la militarizzazione e la successiva letale repressione.
Ciò che invece non mi vide testimone è la torta in faccia a Casarini quando si presentò a New York per assumere la guida anche di “Occupy Wall Street”. Che peccato.


A Belgrado e poi con voi in Lombardia
Vado a Belgrado in pieno tumulto per vedere cosa succede e cosa c’è dietro le manifestazioni contro il presidente Vucic.  C’è puzza di Otpor, come li ho visti operare nel 2000-2001. Partecipo alla conferenza internazionale del Forum di Belgrado per un Mondo di Uguali che, nel 20° anniversario dell’aggressione Nato, riunisce analisti, geopolitici, storici e tanti tra coloro che a suo tempo sostennero la lotta della Jugoslavia contro la sua frantumazione decisa a Washington, Berlino, Bruxelles e Vaticano. Ve ne renderò conto al mio ritorno.


Intanto vi segnalo due  link per un ulteriore approfondimento della baracconata dei bambini del 15 marzo per il clima che, sempre più, dimostra di essere un’operazione politica di grande respiro, messa in campo dagli stessi devastatori del clima con guerre militari ed economiche, impegnati a rilanciare l’accumulazione e il profitto finanzcapitalisti mediante la mistificazione detta “Green New Deal”. Che ha lo stesso tessuto di verità delle guerre chiamate “interventi umanitari”.
*****************************************************************************************************

INIZIATIVE PUBBLICHE IN LOMBARDIA

Aggiungo anche l’annuncio di tre iniziative pubbliche che mi vedono partecipe in diverse forme e a cui invito tutti coloro che sono interessati all’argomento e si trovano in zone non troppo lontane dagli eventi.


“L’Asse del Bene” che verrà proiettato nel corso di un incontro sul Venezuela alla Casa Rossa di Milano, e al quale non potrò intervenire perché a Belgrado, è il racconto della rivoluzione bolivariana realizzata da Hugo Chavez e dal popolo venezuelano, delle sue ricadute sulle condizioni di vita del paese e dei processi di emancipazione che ha innescato nel mondo latinoamericano. Offre una conoscenza fondamentale delle condizioni determinate da quei processi per valutare correttamente l’attuale scontro tra ritorno imperialista e resistenza di popolo.

*****************************************************************************************************




A Besnate (VA), presento il 29 marzo, alle 21.00, il docufilm “O la Troika o la vita”.
Presso la Biblioteca di Besnate - Sala Civica - in Via Milyus, 6

Il film illustra gli effetti sull’area mediterranea della globalizzazione neoliberista imposta
da Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale: la Grecia
distrutta nel corpo e nell’anima, Medioriente e Africa devastati da guerre e saccheggi, il
dramma dei migranti e il loro afflusso nei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo,
l’Italia dei gasdotti, delle trivelle, del terremoto, un territorio nazionale già dissestato sul
quale imperversano, nella complicità di una politica succube delle lobby, le multinazionali
del fossile. Nel film sono riportate anche interviste a voci autorevoli, leader della sinistra
greca, antropologi, economisti, fisici, filosofi, protagonisti delle lotte sul territorio, ed i temi
trattatati nella relazione dell’autore e nel successivo dibattito permetteranno di affrontare
alcune questioni determinanti dello scontro in atto tra popoli e loro territori ed i poteri che
ne devastano ambiente, comunità, patrimonio storico, cultura, salute e autodeterminazione.
Scontro che determinerà le sorti dell’umanità nei prossimi decenni.
.
Presso la Biblioteca di Besnate - Sala Civica - in Via Milyus, 6

********************************************************************************************************




Il 24 marzo 1999 Usa, UE e Nato inaugurarono, affiancati dai “pacifisti” in pellegrinaggio a Sarajevo e dalle Tute Bianche di Luca Casarini a Belgrado con gli emissari di George Soros, l’epoca delle “guerre umanitarie” e delle distruzioni di Stati e popoli disobbedienti.. Furono i primi bombardamenti su Belgrado. Quel giorno abbandonai per sempre RAI e TG3 e, presa al volo una telecamera, mi precipitai in Serbia per offrire al pubblico una documentazione degli eventi, diversa dalle menzogne che parlavano di “intervento umanitario contro il dittatore Milosevic”. Il primo documentario, realizzato sotto i raid Nato in partenza dall’Italia, sotto il governo del premier D’Alema e del ministro della Difesa Mattarella, demistifica il contesto propagandistico e illustra l’eroica resistenza di coloro di cui scrissi “meglio serbi che servi”. Il secondo, girato l’anno dopo, racconta gli spaventosi danni economici, sociali, ambientali inflitti dagli aggressori, la quasi miracolosa ricostruzione, l’afflusso dei profughi dal Kosovo, la minaccia della quinta colonna interna che portò all’arresto di Milosevic, tre giorni dopo avermi concesso l’ultima sua intervista, e alla sua successiva eliminazione nel carcere Usa dell’Aja. Appena tornato dalla conferenza internazionale di Belgrado, il mio intervento cercherà di aggiornarci sulla Serbia di oggi, sullo sfondo delle rinnovate minacce interne ed imperialiste.

NB. Ognuno di questi miei documentari è ordinabili all’indirizzo: visionando@virgilio.it    

domenica 17 marzo 2019

Il mondo - e il 5G - nascosto dai ragazzini------- 15 MARZO: KOLOSSAL DELLA MISTIFICAZIONE, DERESPONSABILIZZAZIONE, DISTRAZIONE




Greta: bimba di distrazione di massa
Ciò che gli editocrati di schermo ed edicola ci hanno propinato nelle 72 ore, impestate di retorica e ipocrisia climatiche, tra il 14 e il 16 marzo, su ordine di servizio dei mandanti nella Cupola, non suscita solo il sospetto che merita ogni campagna politico-mediatica dell’establishment e dei media incorporati. Merita l’accusa di ipocrisia, mistificazione, occultamento della realtà. E’ uno dei più cinici assalti alla nostra integrità intellettuale e morale da almeno l’11 settembre e dalle armi di distruzione di massa di Saddam. Supera e riunisce tutte le campagne ordite e lanciate nel corso delle ultime sei presidenze Usa, dei contemporanei papati e proconsolati UE, da Delors e Prodi a Barroso e Juncker: terrorismo islamico, migrazioni, diritti umani, “dittatori” arabi e latinoamericani (limitatamente ai non-dittatori disobbedienti), #metoo, “non una di meno”, razzismo-fascismo (da che pulpito!!!), antisemitismo (sulla cui sciagurata identificazione con  l’antisionismo imperversa con un inserto di ben quattro pagine il solito “manifesto”), sovranismo, populismo, medicalizzazione, bergoglismo, eccetera, eccetera.

Il suprematista bianco australiano che, uccidendo una cinquantina di musulmani in Nuova Zelanda, coglie tre piccioni con una serie di raffiche: rilancia lo scontro di (in)civiltà tra razze da colonizzare e razze colonizzanti; pompa a bue la rana esopica della minaccia razzista-fascista finalizzata a oscurare la corsa genocida alla dittatura dei pochi su chi sta fuori; collateralmente distoglie dalla catastrofe climatica che, a dispetto dei bravi ragazzi in piazza in cento paesi, torna a farsi prioritaria nella consapevolezza della gente, insieme, però, all’individuazione dei suoi responsabili.  Quella che manca nelle piazze dei bravi ragazzi.

 E che non ci sono neppure nei proclami della nuova Santa Giovanna d’Arco, Greta Thunberg, la ragazzetta svedese affetta dalla sindrome di Asperger (riconosciuta ufficialmente dall’Onu nel 1993, si tratta di una forma di autismo che comprende una serie di difficoltà legate soprattutto all’interazione sociale, alla sfera affettiva e motivazionale), che la campagna ha messo a capo del primo movimento mondiale degli adolescenti. E già questo ci fa pensare a un’astuta manipolazione. Alcune fonti, subito smentite, parlano di influencer ed esperti del marketing. Più probabile che un fenomeno di questa portata planetaria, con la necessaria mega-organizzazione e relativi finanziamenti,  possa far intravvedere qualche altro manipolatore, più grosso, più bravo, più cosmopolita. Più in grado di spostare l’attenzione da problematiche imbarazzanti, come guerre di sterminio, sanzioni sociocide, crimini bancari.  Rita Pavone non ha esitato ad andare controcorrente e della nuova icona del bene ha detto: “Inquietante, da film horror”. Il che è un po’ cattivo e non ci dice nulla sulla ragazza, alla quale dovremmo, fino a prova contraria, riconoscere sincerità di sentimenti e altrettanta inconsapevolezza circa chi se ne fa scudo. Perché è qui che casca l’asino.

Dove (non) casca l'a(ssas)sino
L’asino precipita con un gran tonfo nella celebrazione che ne fanno compatti il monopolarismo politico-economico-culturale occidentale e i suoi ragazzi di bottega mediatici. Bastano quattro frasette mandate a memoria, assolutamente generiche e indirizzate a un nebuloso orizzonte del passato, sulle colpe degli “adulti”, delle “precedenti generazioni”, di “chi è venuto prima”, poi sull’ultima generazione che ancora può fare qualcosa e, con Greta a Davos, a Bruxelles, al Premio Nobel (quello di Kissinger e Obama) va in atto un meraviglioso lavacro, un processo di autoassoluzione che solo  una bimbetta di 16 anni,  che non ne dimostra nemmeno 10, quindi ancora più innocente e verginale, una piccola madonna, poteva provocare. L'assassino del clima se ne va tranquillo e nel fiume non passa nessun cadavere.

Non solo. A cosa questa campagna dà nuovo impulso, sotto l’iridato ombrello della lotta per il clima? Forse allo scontro generazionale tra giovani e adulti? Forse, dato che in prima fila sono le altre grete spuntate come funghi dopo la pioggia, tutte solo femminucce, lo scontro tra i generi? Forse un altro contributo al divide et impera della frantumazione sociale? A pensar male….A pensar male si arriva, per esempio, a Ravenna. In mezzo al tripudio per l’ambientalismo di Greta, sindacati, Confindustria, petrolieri e tutti i loro media, dallo scassapadroni Landini riuniti in larghe intese, celebrano le 90 trivelle che perforano l’Adriatico. Cosa non si fa per un mare più pulito e un clima migliore!

Guerre? La corda in casa dell’impiccato.


Ma, soprattutto, fa sembrare lo tsunami che sconvolse l’Asia nel 2004 un ponentino romano il sospiro di sollievo fatto da chi so io per non avere né Greta, né tutti i suoi emuli nell’innocente infanzia mondiale, ansiosa di un mondo risanato, pronunciato la parola guerra. E neppure menzionato le sette guerre d’aggressione condotte da Usa e Nato dal 2001, o i 6 trilioni spesi per esse dagli Usa, con i loro quattro milioni di  ammazzati e le decine di milioni di rifugiati, e neanche le sanzioni inflitte a tutti i paesi che non stanno bene alla Cupola, con il risultato di milioni di morti non calcolate e tragedie ambientali peggiori dell’Amazzonia sradicata sotto Bolsonaro, o di Taranto sotto l’Ilva, privata o di Stato.

In “Nemo”, una bella trasmissione sulla rete di Carlo Freccero, RAI 2, c’è stata la puntata dedicata a clima e poi TAV. Non poteva mancare il gruppetto di Greti e Grete liceali che, belli e beneducati,  ricchi di buone intenzioni e a corto di competenze, ripetevano le giaculatorie sui ragazzi  vittime degli adulti. Di tutti gli adulti. Mancava l’adulta Befana che porta carbone. Mancava la Libia, polverizzata a un’ora di volo da qui. Con commossi e compiaciuti apprezzamenti da parte di soggettoni, come l’eterno imprenditore, l’inevitabile madamina Si Tav l’immancabile guru del calcio che, un attimo prima, avevano irriso coloro che, pretendendo di arrestare gli idrocarburi, preferivano tornare alla candela e al carro dei buoi. Sono bastati pochi decine di secondi di Luca Mercalli, Pecoraro Scanio e un’attivista No Tav per sotterrare tutti sotto una frana di dati e, finalmente, dei relativi responsabili.

Bambinocrazia e buchi neri

Già, perché nell’Operazione Greta ciò che manca, polverizzato tra “adulti” e “precedenti generazioni”, è appunto un fattarello come la guerra che devasta clima e ambiente peggio di tutto il resto. E manca un nome. Che so, un Marchionne, una Exxon, una Monsanto, qualche banchiere, Obama, Trump, D’Alema, qualche generale del Pentagono, i fautori di un Tav  che in 15 anni di lavori sparerebbe più gas serra in cielo di tutte le vacche del Brasile, pur flatulenti di metano, messe insieme. Tutti, proprio tutti, coloro che hanno distrutto il clima, l’ecosistema, le specie viventi, il 47% dei vertebrati, stanno dentro a quell’1%  che, grazie all’ecocidio praticato dall’inizio della rivoluzione industriale e accelerato con la rivoluzione digitale, controlla più ricchezza del resto dell’umanità. Altro che “gli adulti, la generazione precedente, i nostri padri…”


Da noi, sui nostri schermi, si è intestato la protesta dei bravi ragazzini Don Ciotti, beneficiato di una gigantesca sede a Torino dal compianto Gianni-CO2-Agnelli, imperatore dei beni sottratti alla mafia, Gran Maestro della cattoretorica sull’accoglienza.universale, furibondo difensore delle Ong che agevolano i minerari, petrolieri, agroaffaristi, bellicisti, multinazionali a svuotare il Sud del mondo delle sue genti e delle sue risorse. Ma anche da lui, che pure è grandicello e uomo di mondo, neanche un nome, una sillaba, un logo. Un sistema. Che so, capitalismo?

Il mondo salvato dai bambini. Per Paperone.
Ma la trasparenza della gigantesca distrazione diventa assoluta quando ti trovi davanti a partiti, edicole e schermi unificati che, ieri, facevano dipendere la sopravvivenza del paese e il suo futuro dalla riapertura di 600 cantieri, dal boicottaggio del referendum contro le mille trivelle in terra e in mare, dallo Sblocca Italia, dai nuovi quartieri di grattacieli, da strade, autostrade, discariche, inceneritori, Tav, Tap, Terzo Valico, Eastmed, Ilva. Tutto, con il benefico effetto di  far tracimare i depositi di quattro Zii Paperone e accelerare la fine di tutto il resto. E oggi, gli stessi identici, senza che nessuno dei bravi, puliti, ordinati ragazzi gli infligga un qualche rilievo di complicità, tutti a infatuarsi per Greta, applaudire la proliferazione di suoi emuli, altrettanto buoni e innocui, auspicare il Premio Nobel per l’innocente burattino. Sentite un fastidio alla bocca dello stomaco? Andate in bagno e liberatevi.

Domani tutto questo “si sarà perso nel tempo come lacrime nella pioggia”. I responsabili dei crimini contro l’umanità e gli altri viventi l’avranno scampata e ci diranno che, tanto, fino al 2050 c’è tempo, che ci sarà una tecnologia per trasformare gli escrementi in energia pulita, che non vorremmo mica tornare alla candela e al carro dei buoi. Continueranno guerre, sanzioni,  finanzcapitalismo neoliberista e guerrafondaio, colonialismo predatore ed espropriatore di popoli nel segno Ong, buonista, cattolico, sorosiano, dell’accoglienza di schiavi per sostenere le nostre economie sminuzzando i nostri salari.

Euroelezioni: con Greta si batte il populismo

Ma ci sarà anche un effetto non tanto secondario e immediato: benedetti dalle sacre imposizioni delle mani di Greta e dell’esercito mondiale dei bambini per il clima, il partito Verde arriverà alle prossime elezioni europee a vele gonfiate da milioni di aliti inquinati  in ansia di purificazione. L’equivoco di un partito, eminentemente tedesco, che si dice ecologico, ma ha appoggiato o ignorato tutti i genocidi da neoliberismo, guerre e sanzioni, si perpetuerà. E finalmente il sovranismo populista troverà pane per i suoi denti. A un popolo che, saturo di veleni d’ogni sorta, per illuminare nel buio una via d’uscita, aveva acceso cinque stelle nel firmamento, rimarranno i ricordi. Che “andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia (facciamo le corna).

Mentre questo accadeva di nuovo si costituiva quello che ho chiamato il monopolarismo: dal pulviscolo della stremata “sinistra”, attraverso la borchia di latta lucidata Bersani, il mortaretto Calenda, il galeotto Berlusconi, la patriota al ketch up Meloni, fino a Hulk-Salvini. Tutti uniti nel patto sacro per Tav, trivelle, F35 e Usa, ma anche per Greta. E tutti uniti, suppongo anche con i bambini ecologici, contro la Cina e per gli Usa nella questione One Road One Belt (OROB), la Via della Seta. E un altro asino casca qui. Possibile che Greta e tutta la sua ecclesia non si siano accorti, non solo delle guerre e sanzioni che ne ammazzano di più  - e volontariamente - dello smog, di quell’altro smog, l’elettromagnetico, non per nulla chiamato elettrosmog, con il quale due superpotenze, le stesse del primato dello smog, preparano il più radicale spopolamento del pianeta dai tempi della quinta estinzione?

Via della Seta, o via dell’elettrosmog?



Ennesimo scazzo: 5Stelle pro memorandum con Xi Jinping (sai che export!), Salvini e tutto il monopolarismo contro (ci comprano e ci spiano. Gli americani invece…). Se dovessi scegliere, a dispetto di quanto aggiungo dopo, non avrei dubbi tra chi dal 1949, con invasioni militari, sanzioni e colpi di Stato, ha aggredito una sessantina di paesi, dalla Corea al Venezuela, facendo una cinquantina di milioni di morti (solo da effetti diretti) e chi, al di là dell’ assediarmi con prodotti di schifo, non ha fatto nulla di male né a me, né ad altri e neppure ha mosso guerra a nessuno. Cosa , questa, che  al sovranista Salvini rende del tutto preferibile gli Usa alla Cina. Comunque sempre globalizzazione è, che, come s’è visto, alla vita, ai territori, alle comunità, alla cultura, all’identità, porta a nulla di buono. 8000 chilometri di interconnessioni saranno pure utili, ma chilometro zero è meglio.

5G, la morte che non cammina sul filo


Abbiamo visto il tabù innominabile dei ragazzini per il clima e dei loro sponsor: i nomi dei delinquenti. C’è un altro tabù, ugualmente scaltro e con esiti parimenti letali. Il 5G. Ciò per cui si accapigliano nordamericani e cinesi è lui, il 5 G e su chi ci faccia i soldi e a spese di chi, facendosi pagare l’ipervelocità delle connessioni (100 volte più veloci dell’attuale 4G) dagli utenti e facendone pagare il costo ultimo, l’avvelenamento elettromagnetico, a tutti. Compreso il miliardo, un sesto della popolazione mondiale, che muore di fame e stenti nelle bidonville, ma ha comunque uno smartphone in famiglia e un’antenna sulla testa.

Da noi il 5G è già sperimentato in varie località, compresi gli stadi di Roma e Udine che, essendo spesso densamente popolati, offrono un ottimo risultato in termini di efficacia e vittime. Verranno installate, al posto di fibra e cavi, che sono del tutto inoffensivi alla salute delle creature, centinaia di migliaia di nuove antenne, una per palazzo, ogni 250 metri, perché l’ultravelocità fa onde più corte e copre poca distanza. Ognuna di queste emetterà ininterrottamente potenti radiazioni elettromagnetiche ad altissima frequenza e altissima intensità. Quelle che già col 2G, 3G, 4G, erano state scoperte nocive all’udito, al cervello, agli organi. Usavano frequenze tra 1 e 5 gigahertz. Le 5G vanno dai 24 e i 90 gigahertz.  Più alta la frequenza e più nociva per i viventi. Ma le radiazioni non  si vedono e così la gente non ci fa caso. E pensare che in un’università israeliana hanno scoperto che il corpo umano fa pure lui da antenna e assorbe alla grande radiazioni 5G.

5G: non si nasce più e si muore prima

Ci dicono , i don Ciotti e affini, che gli immigrati vengono a colmare il nostro deficit di natalità. Forse quei maschi e quelle femmine preferirebbero mettere al mondo i loro figli a casa loro, quella cancellata dalla diga o dalla coltivazione intensiva Monsanto, piuttosto che sotto lamiere al lato di campi di pomodori S.Marzano. E forse quel nostro deficit non sarebbe tale, tra le altre cause neoliberiste e di gender, se non avessimo attraversato, da nascita a vecchiaia, il tempo dei vari G. Tutti gli studi fatti dal 2005 sui topi confermano che le radiazioni dai cellulari creano tumori, danneggiano gli spermatozoi e riducono la fertilità. Gli stessi esperimenti fatti in molti centri di ricerca, da Cleveland a Exeter e a Washington, estendono i risultati alle persone. Alla prima esposizione a cellulari, la fertilità del seme calava dell’8%. Conseguenza in Usa ed Europa: un calo della fertilità del 2% ogni anno.
   .

Non rimane spazio per parlare di altri effetti. Quelli dei tumori e delle malattie cardiocircolatorie causate dall’alterazione delle cellule provocata dal bombardamento elettromagnetico. E neanche delle nostre vite spiate in ogni dettaglio dalle piattaforme a beneficio dei poteri che ci esigono sottomessi e anche parecchio stupidi.  E dunque controllati e condizionati. Come se il rincoglionimento e l’alienazione da società e realtà, che ricaviamo dallo sprofondamento nel cellulare, non bastassero.. E ora arriva il 5G. Nel silenzio e nel buio. Decine di milioni di antenne addosso, senza un solo test biologico sulla loro sicurezza. Principio di precauzione? Un fastidio arcaico da bypassare. Del resto, si tratta solo delle nostre vite.

E Greta non ne parla. E a Greta non hanno detto di parlarne. E a Greta hanno detto di non parlarne?