I
https://vimeo.com/300013842 (link a una miaa intervista sulla Grecia realizzata da Patrick Mattarelli. Per aprire il link la password è Ful18vio)
Femminicidi. Non solo.
Metto le mani avanti, ricordando che ho dedicato gran parete di un mio documentario, visto da migliaia di persone, al femminicidio, massima espressione della violenza sulle donne. Se ora dico che al momento parrebbe che, schiacciati a terra e ridotti a pezzetti dall’uragano politico-mediatico sulla violenza sulle donne, noi uomini dobbiamo convincerci che, come tali, uccidiamo a gogò, ma non ci ammazza mai nessuno e che, in nessun caso, potremmo avanzare l’inaudita pretesa di essere, a volte, anche noi vittime. Non delle donne, di qualche donna. Sfido la crocefissione morale se dico che questa, come molte altre ondate di unanimismo di classe femminista, fin dagli anni della Grande Contestazione, potrebbe nutrire il sospetto di trattarsi, nell’intenzione dei noti amici del giaguaro, di grande operazione di distrazione di massa? Ho detto sospetto, non certezza. Vediamone gli spunti.
Fatta salva la sacrosanta protesta contro gli ottusi reazionari e facilitatori delle mammane che puntano a rimettere in discussione la 194 e mettere le zampe sull’autodeterminazione delle donne, abbiamo assistito a un tripudio di ipocrisia. Proprio come quella, del tutto analoga e inserita dalle note manone nella stessa strategia, che vede perorare l’accoglienza universale dei migranti e vituperare chi vi avanza qualche riserva. Come quella che nota lo svuotamento di un’Africa e di un Medioriente infestati da guerre innescate ad arte, o assegnati a multinazionali predatrici, e i relativi traffici di gente da spostare da più o meno nobili trafficanti. Svuotare l’Africa, far tracimare l’Europa mediterranea.
Un’ipocrisia che antropologicamente e socialmente è rappresentata dalla stessa categoria di persone che abbiamo visto rumoreggiare contro la Raggi in Campidoglio, anche per la privatizzazione dell’Atac e contro l’Appendino a Torino, anche per il TAV. Perlopiù donne guidate da donne. Di classe. Non vi abbiamo intravisto traccia delle donne che, come ci racconta il bravissimo Iaccarone in “I dieci comandamenti” (RAI 3), dalla Calabria e dal Sud della desertificazione sanitaria devono fare la colletta per emigrare al Bambin Gesù di Roma per trovare un trattamento oncologico al bambino, piccolo esempio di come si riducono 5 milioni di persone in totale miseria e altri 13 all’orlo della povertà assoluta.
Un’ipocrisia che, per aver convinto tre cittadini su quattro (sondaggio SWG) che siamo all’emergenza femminicidio, manco fossimo a Ciudad Juarez tra i narcos messicani (di cui nel mio documentario “Angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero”), corona la sua oceanica denuncia di piazza e mediatica con una piccola trascuratezza, però di dimensioni morali piuttosto pesanti.
Uccidere la dignità. Anche dei bambini.
E’ da molti anni che il femminismo ha abbandonato il fronte del trattamento offensivo delle donne in tv e della loro esibizione in Isole dei Famosi e Grandi Fratelli in gara tra loro e con gli uomini a chi si degrada meglio, diseducativo quanto le peggiori pratiche fasciste e in grado di contribuire alle deformazioni mentali alla base di tanta violenza fisica sulle donne. A me personalmente provoca collera mista a disgusto lo sfruttamento commerciale negli spot di bambini anche piccolissimi, ignari di quanto gli stanno facendo fare e dire, quando vengono imbeccati a dire cose false e che non pensano, insomma a prostituirsi. Perlopiù sono le madri a prestarsi a tale mercimonio, spesso per quell’ossessione della visibilità a loro negata e che oggi ci viene concessa in cambio della nostra intimità e privatezza. E dignità. Violenza delle madri sui bambini. Interessa? Sarà un caso, ma non ho visto bambini fare pubblicità nelle tv di Siria, Iraq, Libia.
Le ultime tre parole ci portano al nocciolo dell’uragano di ipocrisia cui abbiamo assistito. Il movimento delle donne è sacrosanto. E non solo in difesa della legge 194 e di altre conquiste da mantenere e raggiungere. Quello che rende l’intera operazione sospetta, oltre al manifesto intento dei manovratori di suscitare il diversivo sociopolitico della guerra donne contro uomini in quanto tali, sono la non innocente dimenticanza di tematiche ineludibilmente prioritarie per ogni rivendicazione e mobilitazione femminile, anche umana. Potremmo parlare dell’ennesima arma di distrazione di massa. Da cosa? Da un’inezia: le guerre che, dal 2011, Torri Gemelle, hanno ucciso tra i 20 e 30 milioni di persone. Donne? Non si sa quante. Eppure quando si uccide una donna, di solito la cosa non si ferma lì, ha ripercussioni più vaste, figli, famiglia, assistiti.
Mainstream: la corrente che (s)travolge
Ne sono specialisti i main stream media. La Repubblica, di cui sapete cosa ha scritto, tra le tante cose, delle guerre per i “diritti umani”. Ma anche della sindaca Raggi prima che la Procura di Roma fosse costretta ad assolverla da tutte le montature, bugie, calunnie. Martedì ha pubblicato due paginoni con le fotine delle firme illustre della catena Debenedetti. Ha raccolto tutte le sue penne più acuminate per neutralizzare le frecciate che alla stampa dell’establishment hanno indirizzato Di Maio e Di Battista dopo lo scandalo mediatico Raggi. Questo a pagina 12 e 13.Basta una pagina svoltata e, sulla 14, leggiamo “Attacco chimico su Aleppo”. Barcamenandosi tra versioni opposte quando è stato provato e rivendicato che si trattava di opera dei jihadisti di Idlib, la redattrice però si rifà: “Anche se la responsabilità del regime negli attacchi che hanno fatto più morti, come quelli di Ghouta del 2013 e poi del 2018, è stata accertata da inchieste internazionali”. E’ falso. E’ vero il contrario. Ma vallo a far sapere ai lettori di “Repubblica” e vallo a farlo ammettere alle sue penne acuminate. Si sono chieste, le manifestanti di sabato, chi è che esercita violenza sulle donne in Siria? E chi la fomenta?
Se la mandria di buoi in formazione d’assalto dà dei cornuti a un paio di asinelli, si deduce che è da molte cose che dovremmo essere distratti. Questa lungimirante pratica, che dalla tattica sta sconfinando ormai nello strategico delle comunicazioni di massa, è riconoscibile anche in certe campagne assordanti di questi nostri tempi in cui l’eterogenesi dei fini è diventata da passiva attiva, da spontanea volontaria. In volgare si chiama depistaggio. E allora proviamo a salire su una torre, un albero, una scala, una mongolfiera e guardiamo dall’alto verso l’orizzonte: constateremo quali viste ci abbia impedito l’ultima di queste campagne di massa.
Orizzonti di gloria e infamia
Gilet gialli contro il “leader progressista europeo”
In Francia, dopo appena pochi mesi di sosta dal sommovimento anti-Macron dei ferrovieri e di molti altri servizi pubblici, i francesi ci danno l’ennesima dimostrazione, a noi con gli occhi socchiusi dal sonno, di essere quella genìa che ha fatto la rivoluzione dai più radicali e lunghi effetti della Storia (non potendosi definire rivoluzione quella dei monoteismi , semmai controrivoluzione). Centinaia di migliaia di gilet gialli, un’armata di vero popolo, come oggi occorre di fronte alle depredazioni delle élites, che in tutto il paese per giorni e giorni bloccano il paese e tengono testa ai pretoriani dell’establishment, fin nel cuore del suo regno. Hanno il sostengo di 8 francesi su 10. Sono contadini, operai, genti isolate nelle periferie private di servizi pubblici, trasporti, ospedali, tribunali, scuole. Emarginati dalle gentrificazioni e dall’abbandono dei campi a favore dell’agroindustria. Popolo. Ce l’hanno con Macron, crollato al 25% dei consensi, colui che “il manifesto” in unisono con tutto l’arco dei padroni, aveva definito “leader progressista europeo”. E allora sui gilet gialli: sopire, troncare, padre molto reverendo…
In Europa, come l’Idra, è tornata ad ergere la sua orrida testa la Troika, quella della Grecia, quella dei PIGS-porci (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna e ora Italia). I suoi strumenti sono scelti, a seconda delle fasi, tra i gas asfissianti e la mannaia. E’ l’assalto al paese che, almeno nella sua componente gialla (quella verde è l’emanazione del nero), non ha fatto niente di diverso e assolutamente niente di peggio di quanto fatto da altri. Altri che, però, sono coloro per i quali i meccanismi troikisti sono stati inventati. Un paese che si vuole punito per un deficit realizzato dai predecessori. Un paese che invece si vuole annichilito perchè pretende di sottrarsi al principio che la ricchezza debba andare dal basso verso l’alto (Reddito di cittadinanza), che di conseguenza il continente debba morire di avvelenamento (No Tav, Terra dei fuochi), che si oppone alla regola storica per cui criminalità politica e criminalità organizzata debbano convivere e, alla bisogna, cooperare (“Spazzacorrotti”). Un paese che, date le circostanze, non ha fatto moltissimo, ma lo ha fatto contro i principi fondanti dell’intero sistema. Quello del neoliberismo a diktat bancario ed esecuzione burocratica che devasta la società.
Guerre? Ma dove? Con l’UE 70 anni di pace…
Da sopra il nostro osservatorio, su un orizzonte quasi a tiro di schioppo, vediamo bagliori di incendi immani che inceneriscono larga parte delle vite e delle opere degli uomini. E delle donne. Sono le case custodite dalle donne che finiscono in macerie, sono donne alla disperazione che devono trovare nell’impossibile il modo per provvedere alla famiglia, alla cura, al nutrimento, alla vita. Donne vengono sequestrate, stuprate, uccise da belve mercenarie dei nostri alleati. Donne combattenti cadono nella difesa della loro terra. Coloro che plaudono ai cortei antiviolenza di tutto questo sono responsabili diretti o indiretti. Chi glielo dice? Nel giorno della grande dimostrazione contro la violenza sulle donne, qualcuna s’è accorta che in Yemen, 40mila morti e 15 milioni alla fame, una madre e i suoi cinque figli hanno seguito la sorte delle migliaia di donne e dei bambini mirati da bombe da noi costruite e vendute? Che ad Aleppo 107 civili, in aggiunta ai 350mila, metà donne e bambini, sono stati uccisi dai gas tossici sparatigli dai “ribelli” costruiti nel laboratorio Hillary-Obama? Che sono sempre le donne che, sotto una tenda in Giordania o Turchia, nella traversata del deserto, o tra le mani delle Ong, su barconi e nei centri dell’alienazione e dell’esilio devono tenere insieme quel che resta?
Donne spettro
Da tante altre vicende ostruiscono lo sguardo certe roboanti campagne da tutti condivise. Dalla scomparsa, per autodivoramento da eccesso di voracità, dei principi pretesi da ogni forza politica che vantasse nella ragione sociale la lotta per i diseredati e la redistribuzione della risorse. Forza fantasmatica, ma vociferante, che una coalizione fritto misto, ormai più mediatico-bancaria che di numeri umani, unita dalla frustrazione e dall’odio, perché priva di governo e incapace di opposizione, tenta di raffigurare in vita. Poi, da nascondere sotto le funeste previsioni di nuovi migranti da salvare, tante donne espropriate dalla loro terra, c’è l’ennesima bella figura di una Ong, dai nobili trascorsi sanitari nell’orbita dell’Impero (vedi Sonia Savioli “Ong, il cavallo di Troia del capitalismo globale”), che hanno dovuto sequestrare per impedire che ci intossicasse ulteriormente con i suoi rifiuti pericolosi.
Dogville
Ma c’è un’altra cosa che non si deve avvertire e che le stesse manifestanti e i loro corifei non avvertono e che rappresenta la violenza suprema. I cortei che calano nei centri storici di Roma, Lisbona, Londra, Atene e tante altre città, da quando è passato il rullo compressore neoliberista della Troika, non percorrono più la loro città. La loro città è scomparsa. In alcuni casi da pochi anni, in altri da decenni. Ricordate il film di Lars von Trier, Dogville? Non c’erano le case. Nicole Kidman si aggirava tra segni di case tracciate per terra, planimetrie. Il tutto era sotto controllo della mafia, che poi si portano via la donna che voleva fare del bene. Metafora agghiacciante del nostro destino, urbano e non. Impostato nell’universo parallelo di Wall Street, affidato alle cure della Troika e portato a termine dai sicari locali.
Non è cambiato nulla dal Medioevo. I gangli del potere, i tentacoli, si irradiano dall’alto verso il basso. Nel castello sta la piovra e attorno le si stringono i ceti beneficiati in cambio di condivisione e collaborazione. Il popolo, la plebe, le masse, un proletariato ormai classe di tutte le classi salvo l’èlite, più lontano sta, meno ce n’è, e meglio è. Tocca drenarlo dei mezzi per cui può restare pericolosamente mescolato al patriziato: austerity, fiscal compact, pareggio di bilancio in costituzione, banche salvate, cittadini mazziati, disoccupazione coatta. Al centro i nuovi templi: banche, istituzioni, catene commerciali grandi firme, alberghi e gli airbnb dei turismi da saccheggio o depravazione di gusto ed etica. Fuori dai maroni chi non ce la fa a reggere l’assalto, in periferia, o via del tutto. Si chiama gentrificazione. Uguale in Africa, ma in direzione contraria. Via dai campi, dalle acque, servono ad altri. Via verso le capitali, le bidonville, le Ong, i barconi, l’esilio per generazioni.
Casetta de Trastevere
A Trastevere, mia base per decenni, nel 1960 il 70% erano trasteverini dai tempi in cui c’era il porto romano. Fiumaroli, artigiani, artisti, osti, cucitrici, fabbri. Nel 1980 era rimasto il 17%. Oggi è lo zero virgola. I più fortunati stanno in zona Marconi, gli altri a Tor Sapienza, Ostia, Acilia. La proprietà immobiliare era di grandi finanziarie, assicurazioni, Vaticano. Nelgli anni ’60 l’affitto per il mio attico in Piazza Cosimato era di 40.000 lire al mese. Oggi quell’appartamento di tre stanzette e balcone costa 3.500 euro. La vista sul Gianicolo se la gode un regista americano.
Spopolare
Torno da Lisbona. Il trattamento Troika ha espulso gli abitanti antichi dal centro storico. Che è lussureggiante di griffe, mangiatoie, b&b, hotel, e pare un salsiccione riempito di turisti in fregola di cibo e monumenti. La versione Usa del caffè, un abominio, “Starbucks”, sta piazzata, larga e grassa, nella più bella stazione Liberty della città.
A Londra l’uccisione della città, London City, tramite la dispersione coatta dei suoi abitanti, è stata affidata alle Olimpiadi. Ad Atene ci sono andati giù pesante. Tagli di salari, tagli di pensioni, tagli di ospedali, scuole, tribunali, vendita di ogni cosa a tedeschi e cinesi, per ripagare un debito costruito meticolosamente dai tedeschi, soprattutto armieri. C’è ancora vita, all’osso, nei quartieri più distanti da Piazza Syntagma e, in un’aria cimiteriale, qualche fuoco fatuo di resistenza. Più di tutti hanno pagato le donne.
Terremoto, che occasione!
Una città senza i suoi abitanti, la sua cultura, la sua anima dunque, non è più una città. E’ un centro direzionale circondato da pulviscolo inoffensivo. Qualcuno fantastica di metterci quelli del Senegal, come nei borghi spopolati. La strategia èquella di Malthus. Vale per la Grecia e per l’Italia, con i rispettivi centomila giovani, costruttori del futuro nazionale, nel nome di Giotto e nella scia di Dante, di Prassitele e Sofocle, che vanno e non tornano. Rafforzano coloro che ci riducono così. E se i non consoni alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione pensano di resistere, gli togli i treni, i pronti soccorsi, l’oncologia, l’università, i vigili del fuoco, asili, elementari, medie e licei. E quando ti si offre un’occasione d’oro come il terremoto, li lasci all’addiaccio, in tenda, nel camper, in campeggio al mare, o nelle casette in cui sui pavimenti crescono funghi, i cui boiler ghiacciano, i cui tetti crollano. Non gli ricostruisci una cippa e rimandi in grembo a Giove la decisione se le case siano agibili o no. Vedrai che alla fine se ne vanno e anziché viaggiare sul chilometro zero, fisiologico per chi lì produce e consuma, ma micidiale per la globalizzazione, da Arquata del Tronto si andrà ad Ancona all’Auchan. E il figlio a Londra.
Al loro posto, dicono, perché non africani? Impareranno Giotto e dimenticheranno i loro templi.
Torno da Lisbona. Il trattamento Troika ha espulso gli abitanti antichi dal centro storico. Che è lussureggiante di griffe, mangiatoie, b&b, hotel, e pare un salsiccione riempito di turisti in fregola di cibo e monumenti. La versione Usa del caffè, un abominio, “Starbucks”, sta piazzata, larga e grassa, nella più bella stazione Liberty della città.
A Londra l’uccisione della città, London City, tramite la dispersione coatta dei suoi abitanti, è stata affidata alle Olimpiadi. Ad Atene ci sono andati giù pesante. Tagli di salari, tagli di pensioni, tagli di ospedali, scuole, tribunali, vendita di ogni cosa a tedeschi e cinesi, per ripagare un debito costruito meticolosamente dai tedeschi, soprattutto armieri. C’è ancora vita, all’osso, nei quartieri più distanti da Piazza Syntagma e, in un’aria cimiteriale, qualche fuoco fatuo di resistenza. Più di tutti hanno pagato le donne.
Terremoto, che occasione!
Una città senza i suoi abitanti, la sua cultura, la sua anima dunque, non è più una città. E’ un centro direzionale circondato da pulviscolo inoffensivo. Qualcuno fantastica di metterci quelli del Senegal, come nei borghi spopolati. La strategia èquella di Malthus. Vale per la Grecia e per l’Italia, con i rispettivi centomila giovani, costruttori del futuro nazionale, nel nome di Giotto e nella scia di Dante, di Prassitele e Sofocle, che vanno e non tornano. Rafforzano coloro che ci riducono così. E se i non consoni alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione pensano di resistere, gli togli i treni, i pronti soccorsi, l’oncologia, l’università, i vigili del fuoco, asili, elementari, medie e licei. E quando ti si offre un’occasione d’oro come il terremoto, li lasci all’addiaccio, in tenda, nel camper, in campeggio al mare, o nelle casette in cui sui pavimenti crescono funghi, i cui boiler ghiacciano, i cui tetti crollano. Non gli ricostruisci una cippa e rimandi in grembo a Giove la decisione se le case siano agibili o no. Vedrai che alla fine se ne vanno e anziché viaggiare sul chilometro zero, fisiologico per chi lì produce e consuma, ma micidiale per la globalizzazione, da Arquata del Tronto si andrà ad Ancona all’Auchan. E il figlio a Londra.
Al loro posto, dicono, perché non africani? Impareranno Giotto e dimenticheranno i loro templi.
Nel mio ultimo docufilm, “O la Troika o la vita”, che tratta di Grecia, trivelle, gasdotti e altri crimini, il capitolo più grosso è dedicato al terremoto nel Centroitalia. Dove, dopo due anni, non siamo più al chilometro zero, ma allo zero assoluto. Quello dove non c’è vita. Quel documentario l’ho sottotitolato “Non si uccidono così anche i paesi”? Le donne, di solito, sono le ultime ad andarsene. Quando vanno loro è finita.Se ne accorgerà qualche corteo? O ci affidiamo a Mimmo Lucano?