Il Talleyrand di Pomigliano e il Sultano
neottomano
Venendo alla Libia e al grandissimo casino che abbiamo
contribuito a scatenare in quel paese, fino a ieri prospero, unito, giusto e
felice, viene in questi giorni infausti anche da pensare a Luigino Di Maio
ministro degli Esteri. Tipo Stenterello che si veste da Metternich. Dopo aver
già dato prova di scarso senso delle proporzioni assommando in sé, in
successione o contemporaneamente, gli incarichi di mezza dozzina di accademici,
o tecnici del CNR, o politici a 24 carati, ora si occupa di quel pantagruelico
pasto per avvoltoi che è la Libia. Resta il dato che, in ogni caso, Di Maio,
pur rinnegando le premesse di politica estera dell’ottimo M5S d’antan, resta
un mezzo visir tra i buffoni di corte che lo hanno preceduto su quello scranno.
Ci avessero mandato qualcuno che di mondo ne ha visto, come
un Alessandro Di Battista, o di giusto e ingiusto capisse, come un Bonafede, o
sapesse scrivere sulla lavagna i buoni e i cattivi, come un Fioramonti, o,
ancora meglio, che sapesse di traffici mafiosi come un Morra… Ma spedire da
quelle parti, o da qualunque parte, Luigi Di Maio, è come mandare il Pinocchio
di legno a spegnere gli incendi della California (e mi viene in mente il
burattino perché ho visto la bella trasposizione cinematografica di uno dei
massimi capolavori della letteratura mondiale).
Sapete cosa si dovrebbe chiedere a un Di Maio ministro
degli esteri, o a un Giuseppe Conte premier? Di fare l’Erdogan. Ve li
immaginate? Eppure, ragionando in termini coloniali, a me ostici, ne avremmo
avuto le migliori ragioni perché siamo i dirimpettai, le zampe sulla Libia le
abbiamo messe noi, prima o meglio dei turchi, con i romani, con Giolitti e,
infine, con Berlusconi che la bombardò e aiutò il premio Nobel per la Pace
Obama e l’onesto Sarkozy, eletto grazie ai fondi libici, a raderla al suolo.
Ora se ne occupano il Talleyrand di Pomigliano e il Coniglio Mannaro pugliese, fan di
Padre Pio.
Dall’Italia alla Libia sono 355 km. Dalla Turchia 741, ma
dopo le nuove Zone di Esclusione Economica (ZEE) proclamate dal sultano
neo-ottomano e dal governatore di un Hotel di Tripoli, Serraj, Turchia e Libia
sono praticamente appiccicate via mare e quanto a giacimenti di gas e petrolio,
non ce n’è più per nessuno. Né per Creta, né per Cipro, né per
Libano-Palestina, né per l’Egitto. Figuriamoci per l’Italia, che già ha
ricevuto le bacchettate di Erdogan sulle mani, anzi, sulle navi, quando l’ENI
s’è azzardata a pescare dalle parti di Cipro! Mentre il famigerato, ennesimo,
gasdotto di merda con cui, dopo il TAP, assalire e devastare l’Italia, l’Eastmed
Israele-Cipro-Creta-Grecia-Puglia, per la maggiore gioia dei motori e delle
caldaie nordeuropee, viene messo in quarantena dalle cacciatorpediniere di
Erdogan.
Quale governo legittimo?
Magari credendoci, il nostro ministro degli Esteri, fatto
un po’ di spola tra Serraj e il generale Haftar, se ne esce col mantra di tutti
gli ipocriti, tipo Chamberlain a Monaco, “La soluzione deve essere
politica, non c’è soluzione militare, dialogo!” Intanto lui e tutta
l’accolita atlanto-israeliana insistono ad accreditare una ONU-tappezzeria di
Wall Street nel dare del premier libico a Serraj, sovrano golpista su alcuni
quartieri di Tripoli, con associato il pozzo nero di nequizie razziste e
stragiste che è Misurata. Dove, non per nulla, stazionano 500 militari
italiani. E da cui magari sono partiti i droni italiani che Haftar è riuscito
ad abbattere. Il Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Serraj non è né
legittimo, né rappresenta un popolo che, con le sue tribù e il suo territorio,
è invece schierato all’80% con Haftar. Nessuno, né, figurati, l’ONU, ricorda
che fu un golpe dei Fratelli Musulmani, 2015, a prendere il potere a Tripoli e
a costringere all’esilio a Tobruq l’ultimo parlamento regolarmente eletto.
Unico parlamento democratico e legittimo, sia nel suo presidente, Aquila Saleh
Issa, sia nel suo premier, Khalifa
al-Ghweil, sia nel
suo ministro della Difesa, Khalifa Haftar.
Gente che ha fatto a pezzi la Libia, pacifica e nemica di
nessuno, se non dell’imperialismo, che ha linciato Gheddafi tra lo sghignazzo
di Hillary Clinton e che, con i suoi capibastone e sguatteri, persegue i propri
interessi riducendo alla fame e alla morte popoli interi a forza di bombe,
terroristi e sanzioni. Gente che blatera da mane a sera di dialogo e soluzione
politica, ma che da nessuna parte ha preferito il dialogo, o rinunciato a
opzioni di forza quando se lo poteva permettere. C’è stata soluzione politica
in Iraq nel 1991 e nel 2003? C’è stata soluzione politica col colpo di Stato
narcofascista degli Usa in Honduras? E’ in corso una soluzione politica in
Siria, o Afghanistan, mentre si inceneriscono villaggi e si difende con i
marines l’oppio che serve a neutralizzare il sacrosanto odio dei dominati? Di
cosa diavolo spapagalli, Di Maio? E’ solo la soluzione militare che, dopo
averla fatta sopravvivere, ha avvicinato la Siria alla vittoria. Non le hanno
lasciato scelta. Non lasciano mai scelta.
Giocare alla pari, stare a guardare, o
andarsene?
Ho scandalizzato qualcuno quando ho detto che Di Maio o
Conte, o chi per loro dovrebbero fare gli Erdogan? E’ un paradosso limitato
alla situazione sul terreno e in mano a poteri che, in qualsiasi caso, sono
criminali e perseguono l’assalto occidentale al Sud del mondo. Se questo è il
gioco, Erdogan insegna che ti servono almeno due o tre carte, una russa,
l’altra statunitense e la Nato, come un tempo a Cavour tra Francia, Austria e
Inghilterra. Lo sta imparando perfino la Grecia, paese Nato come noi, ma che si
schiera con il fronte libico di Tobruk. Noi le altre carte le abbiamo buttate
settant’anni fa. Giochiamo con una sola. Cioè stiamo a vedere.
Questo se si vuole fare il gioco dei farabutti del
colonialismo. Se invece si sta al giusto e al morale, noi occidentali non dovremmo
avere altra scelta, altro imperativo storico, politico e morale, di scomparire
dalla Libia per sempre. Con armi, bagagli multinazionali e Ong facilitatrici. Fino
a quando non tornano a invitarci a prendere il tè. Significherebbe riprendersi un
po’ di sovranità nel rapportarci al resto del mondo, da sotto il tappeto rosso
che abbiamo steso sulle nostre teste e sotto ai piedi dei nostri “alleati”.
Ubbie? Per ora ci accontentiamo di mandare bacini e incoraggiamenti ai
“rivoluzionari” colorati che stanno lavorando ai regime change tentati
dai nostri “alleati” in Iraq, Iran, Sudan e Algeria. Arabi che insistono a non marciare
in riga.
Il pokerista ottomano
La Turchia che sta dall’altra parte del Mediterraneo, s’è
impadronita di praticamente tutto il mare tra Istanbul e Tripoli. Alla faccia
della Grecia (subito precipitatasi a fare fronte con Haftar e con tutti i
nemici dei Fratelli musulmani) e delle sue isole, di Cipro, di Creta e,
ovviamente, dell’Italia. Che non sta dall’altra parte, ma virtualmente a
contatto di gomito con la Libia. Recep Tayyip Erdogan fa quello che vuole e che
gli serve. Noi facciamo quello che vogliono gli altri e che non ci serve. Lui,
padrone della sua politica, gioca tra i due giganti del pianeta, li mena per il
naso, li blandisce, li ricatta, ci si allea, li contrasta, li serve. Ha in mano
il pallino.
Tiene per il bavero gli Usa che senza le gigantesche basi
militari in Turchia e il più forte esercito alleato Nato si troverebbero in
braghe di tela di fronte alla Russia, alla Siria, all’Iran. Tiene al guinzaglio
i russi, il cui gasdotto Turkish Stream resta uno dei pochi sbocchi
energetici di Mosca verso Occidente e i cui interessi in Siria si devono
contemperare con quelli turchi. Fino a quando non si consolidi una Libia amica
della Russia e finchè l’Egitto traccheggia tra Usa, molto presente, e Russia,
appena affacciatasi; finchè solo a Incirlik sostano gli aerei e i missili nucleari
dell’Air Force e a Kurecik funziona il massimo radar Usa che copre Medioriente
e Asia e finchè Ankara compensa l’antiaerea russa S-400 con gli F-35 americani,
Erdogan può ricattare gli uni e gli altri.
E se facessimo come i greci?
Noi, Italia, saremmo in una posizione addirittura di
maggiore forza. Sempre immaginando di giocare quella partita coloniale di
ladroni di roba altrui. Molto più strategicamente centrali nel Mediterraneo,
tra tre continenti segnati da risorse naturali e industriali e movimenti coatti
di masse, ospitiamo, oltre ad Aviano, da dove abbiamo squartato la Serbia, non
una, ma 90 Basi e presidi Usa, una novantina di bombe atomiche, ora in procinto
di ulteriore potenziamento a B61-12, tutta la Sesta Flotta, Il MUOS che da
Niscemi, oltre a irradiare la popolazione, governa operazioni militari in mezzo
mondo.
Se ci fosse un ministro degli Esteri che, oltre a
conoscere, facesse gli Esteri, nel senso di perseguire gli interessi italiani
nel mondo, magari del popolo, più che della sola ENI (ma manco di quella),
magari con un pizzico di morale, ora staremmo accanto ad Haftar, al popolo
libico e al legittimo parlamento e governo di Tobruq. Haftar che, oltre ad aver
recuperato la migliore e più onesta classe dirigente e di quadri mai vantata
dalla Libia, quella della Jamahirija, ha il consenso della maggioranza della
popolazione e sta per eliminare dalla ricattatoria scena allestita dal
colonialismo il mercenariato jihadista di quest’ultimo. E gli americani? Gli
diremmo, guardate che, senza di noi, nel Mediterraneo, ma anche nei Balcani e
oltre, fareste poco.
Rosso, area
controllata da Tobruk. Viola, area controllata da Tripoli. Verde Tuareg e tribù
alleate di Tobruk.
Mamma, li turchi!
Quello dei jihadisti assoldati dai Fratelli Musulmani
è un mercenariato ultimamente infoltito dall’afflusso di truppe turche, per le
quali Erdogan dice di aver ricevuto richiesta dal fantoccio Serraj. Quali
truppe turche? Le solite, dette proxies in inglese: quelle adoperate da Nato,
Israele e Golfo contro l’Iraq e la Siria e vari paesi africani. Anche contro
l’Egitto, liberatosi dai Fratelli musulmani e perciò punito con la sceneggiata
Regeni. Arriva da Idlib l’abominio degli abomini Isis e Al Qaida-Al Nusra. Da
Idlib, dove, tra le lacrime del “manifesto” sui “civili uccisi dai
bombardamenti siro-russi”, sotto l’avanzare delle forze di Assad, stanno
fuggendo a migliaia i terroristi della Jihad. Ora che Tripoli e il
pozzo nero di Misurata rischiano di cadere, il trasferimento da Idlib dei
tagliagole chiamate “truppe turche” viene ufficializzato nel nome del governo
libico riconosciuto dall’ONU. In Libia, dove Tripoli già impone la Sharìa, si vorrebbe
tornare alle crocifissioni, decapitazioni, scuoiamenti, ai “matrimoni a ore”,
popolarissimi nelle parti di Siria e Iraq sotto controllo Isis. Le donne
libiche si aspettino stupri a migliaia. Che hanno da dire le “Non una di meno”?
Per neutralizzare l’effetto poco simpatico che
sull’opinione pubblica ha l’immagine di questi decapitatori, ecco che le spore
nostrane dei tentacoli imperiali s’inventano la presenza, già ventilata in
Siria, e poi dissoltasi al sole per totale mancanza di prove (ne avessero
catturato uno!), di mercenari russi di una ditta privata, “Wagner”. Ditta
ovviamente “vicina al Cremlino”, quando non guardia del corpo di un Putin
minacciato, secondo il premurosissimo Yuri Colombo del “manifesto”, da una
rivolta di popolo che sta incendiando tutta la Russia e che solo lui vede e lo
Stato Profondo auspica.
Sapete qual è il colmo - uno dei tanti assegnabili al “manifesto”
- in questa congiuntura? Che ieri Erdogan era il brutale assassino, mica dei
siriani contro cui da nove anni scatena i suoi terroristi, no no, dei curdi,
eterne vittime, femministi, ecologici, confederalmente democratici, anche se,
ma chi se ne impippa, impegnati nella pulizia etnica di un terzo di Siria e nel
fare da guardia, per i ladri USA, al bidone del petrolio siriano. Oggi Erdogan,
che corre in aiuto al Fratello Musulmano sotto assedio a Tripoli, riconosciuto
dalla “comunità internazionale”, mentre il “rinnegato generale, potenziale
dittatore”, Haftar, sostenuto dai russi, sauditi, Emirati, francesi, bombarda –
è fisiologico – donne e bambini, per i nostri progressisti, difensori dei
diritti umani, risulta quasi umano.
Male che vada, ci sono sempre i Fratelli
Musulmani (e Giulio Regeni)
Tanto più che il principale alleato di Haftar è
Al Sisi, presidente egiziano. Già, quello di Regeni. Mica quello del cui popolo
fanno quotidianamente strage in Sinai, e non solo, i Fratelli musulmani di Al
Serraj, di Erdogan, di Morsi, del Satrapo al Thani del Qatar, di tutti i
terrorismi dai colonialimperialisti affidati a vari agenti tipo Osama, Al
Zarkawi, Al Baghdadi. Quei Fratelli Musulmani che, da circa cent’anni, servono
il colonialismo occidentale nella guerra all’unità, all’intelligenza e
all’emancipazione degli arabi.
Ma c’è un altro colmo dei colmi in cui, con il “manifesto”,
sinistra mosca cocchiera, indulgono tutti gli altri sinistri, con tanto di
padre spirituale in Vaticano. La giaculatoria da decenni fondata sui fatti, veri
quanto quelli recitati nelle novene, è che i migranti tocca assolutamente
accoglierli perché sopravvissuti alle condizioni atroci in cui verserebbero tra
i diecimila e i cinquecentomila (a seconda di chi giacula), rinchiusi nei lager
dell’orrore libici: torture, stupri, assassinii. Molti di questi campi sono
sorvegliati da personale dell’ONU (UNHCR o OIM), che di conseguenza
assisterebbe, non si sa cieco, sordo, o compiaciuto. Altri sono governativi,
del regime Serraj, dunque in mano ai Fratelli Musulmani, braccio politico
dell’Isis e affini, ma Serraj è uomo dell’ONU e nostro amico, quindi non
contano. Altri ancora sarebbero in mano a milizie al limite del cannibalismo,
sempre jiahidisti, cioè Fratelli musulmani, amici del “liberatore Erdogan”
Ora arriva, con i suoi soldati dell’Esercito Nazionale
Libero (LNA), il generale Haftar, nemico di Serraj, nemico dei Fratelli
musulmani, riabilitatore dei gheddafiani e, dunque, fortissimamente nemico e
liquidatore militare dei bruti che gestiscono quei campi e vi compiono quelle
cose orrende. Ci sarebbe da levarsi in massa in una standing ovation dalle Alpi
alla Sirte: non più stupri, non più torture, non più omicidi, non più commercio
di schiavi; viva, viva il nostro Generale! E tutte le Ong che estraggono le
vittime dei carnefici dai lager libici, dovrebbero rendergli onori.
Avete sentito niente? E’ che, se Haftar libera i migranti,
e magari una nuova Libia li fa pure lavorare, come al tempo di Gheddafi, le ONG
e tutto il relativo codazzo dell’accoglienza, cosa ci starebbero a fare?
A proposito di Libia, Obama e Hillary Clinton,
i fari di quanti nel mondo si dichiarano di sinistra, sono ancora a piede
libero. Julian Assange, che ne ha rivelato al mondo i crimini, sta in galera e
lentamente è fatto morire. Così va il mondo. Lo sapevi, Luigi Di Maio? Lo
sapevi quando Beppe Grillo ti ha ordinato di metterti con il partito italiano di
Obama e Hillary?