Non fosse che sui due
eventi, il ’68 e l’uccisione di Moro, che hanno cambiato l’Italia più di ogni
altro, dal dopoguerra ad oggi, a dispetto dei tentativi messi in atto nei
successivi 50 e 40 anni dall’establishment, sempre quello, di offuscarli,
deformarli, seppellirli nelle menzogne, stanno sbracando in maniera indecente
tutti, me ne sarei rimasto zitto. Consapevole che la mia singola e debolissima
voce, per quanto testimonianza diretta del tempo, diversamente da quella dei
tanti figuranti, comparse, millantatori, epigoni, scopertisi protagonisti ex
post, non avrebbe neanche inciso una lieve stonatura nel coro delle
rievocazioni di regime.
Berlino apre al ’68. Vero.
Poi però è successo
che la Germania, Stato oligarchico, plutocratico, capitalista quanto e peggio
di altri, quello contro il quale cadde Rudi Dutschke, mi abbia dato l’occasione
di scoprire che lo Stato borghese, quando si sente forte e sicuro, ha anche
l’intelligenza di riservare qualche spazio all’altro, magari diverso, magari
antagonista, senza boldrineggiare con la caccia a Fake News, estremisti, nazifascismi
cartonati da sciogliere nell’acido. Avvertito della mia modesta e vetusta
esistenza antimperialista e “sovversiva” grazie ad alcune apparizioni sugli
schermi e nelle onde radio di un bravo giornalista contro, Ken Jebsen, copia in
bella del Beppe Grillo d’un tempo, questo Stato decise di irrobustire la mia
voce in misura tale da potersi udire anche in mezzo al rumoreggiare dei
rievocatori di servizio.
A conferma di quanto
ho appena detto sullo Stato tedesco e i suoi angoletti di democrazia, vi esiste
e lavora una Centrale Federale per l’Educazione Politica (Bundeszentrale für
politische Bildung) che dalla ricorrenza del ’68 ha tratto lo spunto per una
grande mostra internazionale che si apre al Ludwig Forum di Aquisgrana il 19
aprile 2018. Porta il titolo niente male di “LAMPI DEL FUTURO – L’arte dei
sessantottini, ovvero il potere degli impotenti” ed esporrà opere, scritte o
figurative, di alcune decine di attori, testimoni, artisti, descrittori e
analisti di quell’epoca e del suo Zeitgeist. Ancora mi chiedo perché, per
l’Italia, anziché esponenti notori, come Oreste Scalzone, famigerati come Sofri
o Mario Moretti, o storici come Bobbio o Mieli, ci sia io, semplice militante,
mai leader di niente, semmai divulgatore del nostro ’68-’77, ma anche di quelli
vissuti altrove. Forse qualcuno aveva scoperto che il mio ’68, in senso
escatologico, nasce nel 1945, proprio in Germania, tra camicie brune e bombe
angloamericane, alle elementari e poi alle università di Monaco e Colonia con
l’Erasmus di allora, per riapparire alla Sapienza di Roma. E non è ancora
finito.
Insomma, gentili e molto empatiche funzionarie di questa Centrale di
“coscientizzazione” politica (il termine “Bildung” è più che “educazione”) mi
chiedono un contributo al catalogo della mostra del ’68 sotto forma di scritto
che racconti la mia esperienza in quel contesto. Liberamente. Il catalogo, di
ben 600 pagine, e i suoi autori, soprattutto tedeschi, ma anche
latinoamericani, francesi, britannici e altri) verranno presentati il 19
aprile, in occasione dell’apertura della mostra. Concomitante con il catalogo
della Bundeszentrale, esce ora, per i tipi dell’editore Zambon, onorato da una
prefazione di Vladimiro Giacchè e curato nella redazione e grafica da Fabio
Biasio, un mio libro con quel testo in italiano e un altro con lo stesso, ma
nell’originale tedesco: “Un ’68 lungo una vita”, ora alla Fiera del LIbro di
Milano. (In Italia lo si può acquistare o ordinare nelle librerie, o rivolgersi
a www.zambon.net . In calce elenco altri miei libri).
Parte da lontano ogni ‘68
Dubito che questo mio
breve cammino narrativo, lungo un filo rosso che congiunge tempi e fatti che
potrebbero sembrare incongrui, rivesta un particolare valore letterario o
storico. Forse riesce a mostrare come quanto s’intende per ’68, nella sua
specificità, non è limitato a quel decennio, ma che la messa in discussione
dell’esistente, più o meno radicale, serpeggia, può serpeggiare, dovrebbe
serpeggiare, sempre, in contesti apparentemente lontani e diversi. Cosa dice
Totò nel magistrale monologo di “Siamo uomini o caporali”? Caporali si nasce,
non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi
siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli
stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera. Degli uomini, “trattati come
bestie”, Totò fa la denuncia, non esprime la rivolta. Erano i tempi. Valletta
schiaffava gli operai nei reparti punitivi, lo Stato sparava impunemente contro
i braccianti ad Avola. Ma non ci sarebbe stata, pochi anni dopo, Valle Giulia, senza
quei prodromi. Prologhi, antefatti, ouvertures del melodramma.
Uomini che diventano caporali
Del ’68 molti degli
“uomini”, che per Totò tali nascono, come i “caporali”, “caporali” sono invece
diventati. Un po’ la metamorfosi di Kafka, da uomo a scarafaggio. Ciò che
irrita sommamente e indigna e forse giustifica il mio libretto, è che molti di
questi non si sono accontentati di diventare caporali, con le conseguenti
gratificazioni concesse dalla categoria, ma non si sono peritati addirittura di
rappresentare gli “uomini” di allora. Il primo a balzare sul tema è stato
Flores D’Arcais con numeri speciali e convegni di Micromega. Vi imperversavano
degne persone, dalle sagge rappresentazioni e considerazioni, ma che
sinceramente io non avevo mai incrociato, né in piazza, né nelle università, né
negli intergruppi, né nelle redazioni, né ai cancelli delle fabbriche, né
nell’occupazione di case a Via Tibaldi, né in carcere. Gente del calibro di
Camilleri, Renzo Piano, Carlo Verdone, Massimo Cacciari, Alberto Moravia…
Magari ero distratto, o hanno fatto tutto mentre i processi al quotidiano
“Lotta Continua”, di cui ero direttore responsabile, mi avevano costretto
all’esilio: Londra, Bruxelles, Yemen.
Uno, portato in palmo da Flores D’Arcais, è Paolo Mieli, lo storico da schermo,
onnipresente e onnisciente dove si parli di vicende tra il 1922 e il 1945, o il
tuttologo dove si dicano parole definitive sui massimi sistemi politici,
economici, sociali. o dietetico-cosmetici. Un padre della patria al cui
confronto cambiacavallo e autoriciclati come Adriano Sofri, Lucia Annunziata,
Paolo Liguori, Mario Tronti, Massimiliano Fuksas, Galli Della Loggia, pur
ampiamente compensati per il passaggio di classe, fanno la figura delle
vallette.
Le grandi metempsicosi, o darwinismo all’incontrario.
Non ricordo quale mese
del ’69 fu, stavo ancora a Paese Sera ma ero già in Lotta Continua, che
c’incontrammo per creare a Roma il primo giornale del movimento, “La Classe”.
Quelli di cui ricordo la partecipazione alle riunioni “di redazione” erano
Paolo Mieli, appunto, Oreste Scalzone, Stefano Lepri, Gianmaria Volontè,
Lorenzo Magnolia (con i quali due ultimi avevo fatto “teatro di strada” sui
temi che allora fiorivano rigogliosi: operai e padroni, divorzio, sessualità,
Vietnam, colonialismo, e poi il film Oscar “Indagine su un cittadino al di
sopra di ogni sospetto”, il più forte film italiano sul Potere mai passato
sugli schermi). Da quel giornaletto ultrà marxista-leninista, venni cacciato da
Mieli perché, ancora infettato dalla “swinging London”, dove avevo passato gli
anni dal 1962 al 1967, avevo contaminato il progetto suggerendo di inserirvi
degradanti e borghesi fenomeni di costume come il rock, i nuovi rapporti
sessuali, i fumetti, l’animalismo, l’avanguardia artistica. De “La Classe”
uscirono tre numeri. Mieli è assurto all’empireo del Sistema,
uomo-establishment a tutto tondo, Gianmaria Volontè ci ha lasciato gemme di
grandezza umana. Io sto qua. Con una cervicale mi buca l’occipite.
Binocoli rovesciati
Dalla polvere di ignoranza,
falsificazione, strumentalizzazione sotto cui il revanscismo postfascista
democristiano, con la fattiva complicità del già marcescente PCI, ha sepolto
quel decennio che aveva reso credibile l’alternativa totale, ora si lasciano
riemergere voci inoffensive. Quale sciropposa e nostalgica, come si trattasse
di un giardino dell’Arcadia in cui ci avevano lasciato giocare tra ninfe e
pastorelli; quale impegnata a irridere e ridurre il tutto allo sfogo di
adolescenti borghesucci, insoddisfatti della propria medietà sociale; quale
rivendicatrice del proprio ruolo rivoluzionario senza averne i titoli. Mentre
le prime di queste voci perlopiù non c’erano, se non col ciucciotto in bocca,
non hanno capito niente e parlano per puntellare la catastrofe, o l’indecenza,
della propria condizione attuale, altre c’erano e rivendicano, o senza averne i
titoli, o bluffando, o millantando. Siamo al terzo mese del cinquantesimo e
quelli seri non si sono ancora fatti avanti.
Molto si dà da fare “il manifesto”, che insiste a titolarsi “quotidiano
comunista” contro ogni evidenza della sua identità reale e del ruolo
assegnatogli. Primeggiano sul proscenio le due “signore del 900”, Rossana
Rossanda, che vive la sua agiata senescenza all’ombra delle Tuleries, e Luciana
Castellina, il superego oggi vessillifero, accanto ai simili Boldrini e
D’Alema, dei propositi rivoluzionari di Liberi e Uguali. Di cui lei, ancora una
volta, è l’anima, il cuore, i garretti, l’io. Il “manifesto”, da noi militanti
con le bocce e la pizza a taglio, era visto come il calmiere delle istanze e
pratiche del movimento. Signore e signori già allora inesorabilmente “radical
chic”, fauna da salotti. Vi albergavano e ne venivano lanciati verso destini
altamente remunerati e di prestigio sistemico i vari Riotta, Annunziata,
Maiolo, Barenghi, Ruotolo, Menichini….
Rossana e Luciana, mai un passo falso
Accanto a questi, va
concesso, si sono espresse firme più coerenti e, dunque, pesantemente
contrastate dai capi. Penso al grande inviato di guerra, mio amico
indimenticabile, Stefano Chiarini, e alla grama vita riservata in direzione al
suo eccellente lavoro in Medioriente. Colleghi inconsapevolmente ma
sostanzialmente fuori linea rispetto all’orizzonte strategico del giornale.
Quest’ultimo riconoscibile anche dal salvifico contributo disinvoltamente
ottenuto da grandi inserzionisti dei poteri forti ENI, ENEL, COOP, Telecom,
lobby della caccia e delle relative armi. Di Soros si mormora, ma non si
dimostra, se non per induzione, seguendo le campagne disgregatrici sostenute
dall’ufficiale pagatore del mondialismo neoliberista: Obama, Hillary, minaccia
neonazista, molestie, migranti, russofobia, LGBT, diritti umani… . Ecco come la
sinistra del “manifesto” si batte per l’ecosistema di tutti i viventi (vedi
pubblicità "Caccia").
Pubblicità sul manifesto
Campagne che potremmo
dire ben definite dalle polene sulla prua della nave, Rossanda e Castellina,
rappresentanti di quella lobby che è sempre stata preponderante nel giornale e
oggi lo ha quasi militarizzato, specie nei suoi inserti, a partire dal
raffinatamente proletario “Alias”, Una delle ultime sferzate per raddrizzare
una linea che, sulla Libia, con l’inviato Matteuzzi, era scivolata in critiche
all’assalto Nato e jihadista, la diede Rossanda prima di ritirarsi nei
Boulevard. “Contro Gheddafi, sanguinario dittatore, e accanto ai rivoluzionari
di Bengasi, vanno richiamate in servizio le Brigate Internazionali di Spagna”,
tuonò. La perspicacia e lungimiranza dell’altra, prima di farsi incoronare da
D’Alema e Bersani dama di compagnia della Boldrini nei LeU, aveva dato luminosa
prova di sè nella creazione della lista “Un’altra Europa con Tsipras”.
Meravigliosa la “Brigata Kalimera”, di cui era capogita ad Atene, appena
qualche ora prima che il nuovo alfiere della rivoluzione socialista non
pugnalasse il suo popolo alle spalle rinnegando l’esito anti-Troika del
referendum e sottoponendo la Grecia alla triturazione dei memorandum. Con
l’ovvio corollario dell’eterna fedeltà alla Nato e dell’alleanza con Israele.
Il "quarantenario" delle voci del padrone, BR in testa
Rimane da dire che al
cinquantenario si accompagna, altrettanto malamente, il quarantenario. Quello
dove finiamo noi e incominciano gli anni di piombo dei padroni. Quello del
rapimento Moro e dell’esecuzione della sua guardia del corpo. Ricercatori,
indagatori, analisti coscienziosi come Flamigni, i Cipriani, Imposimato,
esperti stranieri di vaglio, su questa operazione
Gladio-Nato-Cia-Mossad-‘ndrangheta, hanno rivelato l’(in)credibile tessuto
imperialista. “Il manifesto”, in complice sintonia con gli eredi di coloro che
in questo modo consolidarono lo Stato delle stragi, lo Stato colonia degli Usa
e succube di Israele, venne lanciato dalla solita Rossanda sulla pista
dell’autenticità delle BR e viene su questa confermato oggi. Erano veri,
uscivano dall’Albo di Famiglia del PCI. Come sono vere le interferenze di Putin
nella vittoria di Trump, come è vero che i russi spargono gas nervino nelle
città inglesi, come è vero che Assad, Gheddafi e Saddam minacciavano di
invadere l’Occidente, come è vero che Hillary ci avrebbe salvato e i 5 Stelle
sono tutti fascisti e le Ong tutte sante. Nessun infiltrato nessuno manipolato,
figurati, Nemmeno tra quelli che fulminarono in pochi secondi, con precisione
da Berretti Verdi, 5 guardie e nessun altro, senza aver mai sparato più di
mezzo caricatore.. E che ancora oggi hanno la spudoratezza di coprire la verità.
A dispetto delle
infinite bugie, degli omertosi silenzi di brigatisti a cui, sicuri fino alla
tracotanza, si permette ancora oggi di pontificare in tv e di tacere sulle
borse e sui memoriali di Moro trafugati, sugli ambienti vaticani e dei servizi
segreti all’interno dei quali l’operazione si svolse e venne protetta, su tutto
il resto. Su un’operazione con cui gli Usa e i loro sguatteri vollero tenere
l’Italia nell’orbita mortale che ci ha portato fino all’oggi e, al tempo
stesso, militarizzare e criminalizzare un’opposizione civile di massa che aveva
fatto scorrere brividi lungo la schiena della demo-dittature uscite dalla
guerra anti-nazifascista. Di tutte le maleodoranti voragini spalancate sulla
vulgata di regime cronisti d’ordine, come Purgatori, Ezio Mauro, Gotor, sicari
reduci come Gallinari, Morucci, Moretti, Balzarani, Fiore, e cantori nel coro
come “il manifesto”, si limitano a parlare di zone d’ombra”. Punto. Sono, non
siamo, tutti coinvolti.
E il mio libro
racconta un’altra storia. Molto personale. Ma perlomeno vera. E neanche pagata,
dato che gli introiti vanno all’ottimo editore Zambon, combattente di una
straordinaria controinformazione (vedi catalogo).
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SPOT. Astenersi i
disinteressati.
Da Zambon ho pubblicato anche un altro
libro “L’Occidente all’ultima crociata”,
mentre “Mondocane – Serbi, bassotti,
Saddam e Bertinotti” l’ho pubblicato con KAOS, “Mamma ho perso la Sinistra! – Convergenze, connivenze, obbedienze
di una Sinistra ex” , “Di resistenza si
vince – Il futuro di Palestina e Medioriente, la riscossa araba, la crisi
di Israele”, e “Delitto e castigo in
Medioriente – Gaza, Baghdad, Beirut” sono tutti usciti presso Malatempora,
casa editrice che nel frattempo è defunta. Ai miei bassotti è dedicato “Rambo, Nando e io”, edito da Il
Salvagente. Di questi libri ho a disposizione alcune copie.