Unire i puntini. Capire meglio
Una collega documentarista, sciocchina, giustamente tutta presa dal male assoluto che imperversa sulla Palestina, peggio che ai tempi di Erode, si è risenIita perchè io, in queste temperie, ho osato allontanarmi dal tema Palestina per occuparmi e scrivere di Egitto. La signora ignora che di Palestina mi occupo ininterrottamente da 54 anni, da quando ero inviato alla Guerra dei Sei Giorni (1967), attraverso le intifade, le sconfitte subite dagli israeliani in Libano, le aggressioni a Gaza, fino alla mia lotta a fianco dei fedajin. E' un suo diritto ignorare. Ma la signora soffre dello Zeitgeist col quale quelli del male assoluto, in Israele e in tutto l'Occidente, riescono a neutralizzare l'intelligenza umana. Spirito del tempo costruita nelle provette del vaccino: la restrizione nella gabbia del presente e di ciò ohe si ha sotto gli occhi. Niente contesto, niente prima, niente dopo, niente altrove.
La signora non unisce i puntini e si perde il contesto per il quale ciò che viene inflitto all'Egitto in termini di aggressione terrorista ISIS, diffamazione, calunnie e vituperio, ha un suo parente stretto in quanto stanno facendo ai palestinesi. E' la globalizzazione che deve rimuovere gli ostacoli: identitari, sovrani, non omologati. In Palestina siamo al genocidio. Ma cosa pensate possa capitare a 100 milioni di egiziani se, con il consenso internazionale, o il famigerato silenzio-assenso, l'Etiopia, padrona delle sorgenti, taglia l'acqua ai paesi a valle? La vita dell'Egitto, popolo e coltivazioni, cioè cibo, ne dipende al 90%. Ora, se il premier etiope Abiy Ahmed, uscito con le mani insanguinate dal massacro del Tigray e da altre stragi nella terra degli Oromo, persiste nel procedere al riempimento della nuova diga del "Rinascimento", colosso iperdimensionato che trattiene milioni di metricubi d'acqua, per l'Egitto, nazione della più antica civiltà del mondo, sarebbe la morte per sete.
Gli arabi sono da secoli una spina nel fianco dell'Occidente colonialista (al netto delle satrapie del Golfo, la cui massa umana è essenzialmente importata). Appena alzano la testa, manifestano una loro volontà, immaginano che il concetto di sovranità popolare e nazionale spetti anche a loro, riescono a farsi protagonisti della regione e sullo scenario geopolitico, cala la mannaia, degli F35, dell'Isis-Al Qaida, delle sanzioni, dell'acqua del Nilo negata. Sono puntini da collegare, non vi pare? E mettiamoci anche il Covid che, per noi, è un po' come i missili sulle case di Gaza, o la chiusura del rubinetto all'Egitto.
L'Egitto è il primo paese che si è precipitato a proporre una mediazione che ponga fine al genocidio in Palestina. Ha aperto il valico di Rafah con Gaza, ha fatto entrare massici aiuti, ha accolto nei suoi ospedali i feriti. Altri stanno a guardare. Sono gli "equidistanti", equidistanti tra fuoco e acqua.
Cosa le presstitute hanno saputo fare dell'Egitto per essersi liberato della Fratellanza Musulmana
Nell'area Mediterraneo-Medioriente-Nordafrica, l'Egitto e il suo presidente Al Sisi, ci vengono presentati come un buco nero e il mostro che vi imperversa. Al Sisi, arrivato al potere sull'onda di una rivolta di popolo contro il regime della Fratellanza Musulmana, di cui i militari si sono fatti carico. Il presidente dell'Egitto è peggio di Erdogan, della Giunta di Myanmar, della governatrice di Hong Kong, di Maduro. E' l'ennesimo "Nuovo Hitler". E' l'immagine su cui, con stereotipata ripetitività, si inchiodano una serie di Stati fuori dall'orbita detta "occidentale".
E' l'immagine e il conseguente trattamento, politico, economico, spionistico, mediatico, colorato-golpista, sanzionistico e, alla fine, militare, che meritano i paesi con la pretesa di un'autodeterminata sovranità, politica, struttura sociale, scelta delle amicizie e alleanze. Tanto più se risultano forti di consenso popolare e capacità di progresso. Sono condizioni che attraggono le destabilizzazioni di CIA, Mossad, NED (National Endowment for Democracy) tramite vari strumenti: mobilitazione di un ceto insoddisfatto, organizzato e finanziato da fuori, mercenariato che finga la guerra civile, sanzioni che strangolino l'equità sociale, divisioni etnoconfessionali, Forze Speciali e relative provocazioni, False Flag. E' soprattutto un'uragano di calunnie e diffamazioni mediatiche, basate sulle collaudate "prove" di organismi legati al Dipartimento di Stato, come Amnesty International, Human Rights Watch, Medici Senza Frontiere, o Save the Children.
Ad Al Sisi come a Putin. Fatte le debite proporzioni, l'accostamento non è affatto arbitrario. Entrambi, in tempi quasi miracolosi, hanno tratto dalla rovina un paese devastato, saccheggiato, ridotto in miseria, con tutti i fondamentali dell'economia e della società in frantumi, preda di avvoltoi autoctoni e stranieri. Lo hanno rimesso in piedi, gli hanno ridato autostima e dignità, hanno sconfitto le forze mercenarie agli ordini di chi li voleva cancellare dalla Storia.
Il cavallo di Troia
Sconfitto il progetto statunitense della Primavera Araba da consegnare nelle mani del leader, Mohamed Morsi, di una forza politico-sociale reazionaria e integralista, braccio politico del terrorismo jihadista la Fratellanza Musulmana. Una consorteria da un secolo sotto controllo colonialista anglosassone, quinta colonna per il contrasto alla rinascita anticolonialista, sociale e culturale della liberazione araba, laica e progressista. Ha favorito con i suoi militanti il recupero coloniale della Libia, già libera e prospera, faro per l'intero continente; insieme a turchi e curdi ha lacerato la Siria e l'Iraq per conto di USA, Israele e Nato
Cosa conviene o non all'Italia nei suoi rapporti con Egitto e regione afromediterranea
Vogliamo permettere che la Svizzera costruisca bacini e dighe per, impunemente tagliare l'acqua del Reno a Germania, Lussemburgo, Olanda? O che il Perù, con megadighe sul Rio delle Amazzoni, riduca l'acqua al Brasile nell'Amazzonia e dei suoi popoli minacciati? O che la Germania privi dell'acqua, con megadighe sul Danubio, Austria, Slovacchia, Ungheria, Serbia, e Romania? O che la Repubblica Ceca, con megadighe sull'Oder, asseti i campi e le gole dei tedeschi in Slesia (ora Polonia) e in Germania? O che la stessa Cechia, bloccando l'Elba, tolga l'acqua ancora alla Germania? O pensiamo addirittura che la Cina, nel Tibet, possa erigere gigantesche dighe e ridurre al deserto Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia, Vietnam?
Scrivo dall’Italia, un paese che dell’Egitto è stato per lunghi, fruttuosi anni un partner privilegiato negli scambi e nella cooperazione. Oggi il mio paese sembra aver messo in vendita i frutti di questo vicinato, geograficamente e storicamente così valido, con danni soprattutto per se stesso e la sua popolazione. Tutto questo per una manovra geopolitica condotta da interessi opposti, basata su una gigantesca menzogna. Si tratta di interessi ostili sia all’Italia che all’Egitto e al mondo arabo in generale, con lo scopo della destabilizzazione dell'intera regione all'insegna di ciò che qualcuno chiama "caos creativo".
Neocolonialismo all'opera: ricuperare i beni perduti
Sopra le legge: "Diga della Rinascita" costruita da Salini-Impregilo Fin da quando, negli anni ’60, ero redattore della BBC e poi inviato di molte testate nazionali e internazionali, fino alla TV di Stato italiana, RAI, il mio campo di massima specializzazione è stato il Medioriente e la nazione araba, allora in fase di grande risveglio e di liberazione dal colonialismo. Un colonialismo che oggi prova a ripresentarsi sotto nuove forme e con nuovi e più subdoli strumenti: oltre a quello delle armi, dello strangolamento economico, della propaganda e della sovversione interna.
L’Egitto, che ho visitato in varie occasioni fin dai tempi del Presidente Gamal Abdel Nasser, sia per lavoro, che per vacanze, è oggi come ieri il cuore del mondo arabo. Con Nasser ne fu l’avanguardia politica e sociale. Un’avanguardia che al suo fianco aveva altri protagonisti della liberazione anticoloniale che ne seguivano l’esempio: Libia, Siria, Iraq, Yemen, Sudan, Algeria. Popoli impegnati per l’unità, il benessere. e la sovranità della nazione e nella resistenza al neocolonialismo. Alcuni hanno dovuto soccombere, altri resistono. Tutti si rialzeranno, tempo al tempo.
Obiettivo Egitto
Milioni in piazza contro il presidente islamista Morsi nel primo anniversario del suo governo.Non poteva non toccare all’Egitto, il paese più popoloso e forte, al centro di un crocevia di regioni, continenti e rotte strategiche e che perciò molti potenti cercano di ridurre in condizioni di dipendenza. L’Egitto laico e nazionale aveva vinto una prima battaglia per la democrazia e l’emancipazione del suo popolo, quando una cospirazione internazionale aveva portato al potere, contro la volontà della sua società, un vecchio strumento colonialista: la Fratellanza Musulmana e il suo totalitarismo oscurantista, religioso e politico. Milioni di egiziani, con in testa le donne, si erano opposti al regime del presidente Morsi, eletto grazie all’astensione di tutti i partiti laici. L’esercito aveva raccolto la loro istanza, come in altri momenti della decolonizzazione.
Un successo di popolo e dei suoi rappresentanti che non poteva essere tollerato da chi si era augurato di ritrovare, grazie alla Fratellanza Musulmana, un Egitto prono e obbediente, come negli anni prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un situazione di dipendenza e arretratezza alla quale aveva risposto la Rivoluzione nasseriana. La maggioranza dei media occidentali, facendo leva su quella che deve essere chiamata “Operazione Giulio Regeni”, scatenò una campagna di odio e diffamazione contro il paese e il suo governo.
Al Cairo non veniva perdonato di esseri riscattato dall’oscurantismo, di aver riaffermato la propria sovranità, di sostenere la sovranità della Siria sotto attacco jnihadista, di volere la salvezza di una Libia distrutta dalla Nato e la sua liberazione dal dominio della Fratellanza Musulmana e delle sue bande jihadiste.
Un paese troppo libero e autodeterminato? Vai con i jihadisti!
Raddoppio del Canale di Suez Non gli veniva perdonato di aver rimesso in piedi un paese, le cui infrastrutture erano gravemente compromesse, raddoppiando il Canale di Suez in meno di un anno, fonte di reddito e progresso per tutta la popolazione; di aver costruito in tempi record una nuova capitale amministrativa per alleggerire la congestione del Cairo; di essere tornato ad attrarre turismo ai suoi tesori archeologici e ambientali, di aver promosso una maggiore equità sociale, dopo la politica settaria e anti-operaia di Morsi; di aver ricomposto una convivenza confessionale dopo l'orrore delle chiese copte bruciate da militanti della Fratellanza col fine di creare lacerazioni interne.
In particolare ha disturbato la dimostrazione di efficienza dimostrata col raddoppio del Canale in tempi brevissimi, anche perchè fonte di maggiori introiti per lo sviluppo del paese. Forse non è del tutto innocente quanto poi capitato con l'assurda mega-portacontainer di Taiwan, Evergreen, che dopo aver fatto stranissimi ghirigori di manovra nel Mar Rosso, alla sua entrata nel Canale è andata dritta a incagliarsi, bloccando 400 navi e suscitando vasti malumori. Anche qui, l'Egitto ha fatto da solo e in sei giorni ha spazzato via migliaia di tonnellate di sabbia e liberato la nave.
L’assedio a questo nuovo Egitto, tornato riferimento per i patrioti arabi, viene attuato in vari modi. Quando gli assalitori mediatici dell’Egitto citano cifre di detenuti e uccisi, immancabilmente attribuite tutte alla repressione "politica" del governo del presidente Abdel Fattah Al Sisi. Ciò avviene in mancanza totale di verifica, si riprendono i numeri senza prove di ONG legate a interessi colonialisti e imperialisti, come Amnesty International o Human Rights Watch. Organizzazioni impegnate a preparare il terreno alla destabilizzazione, tramite guerre, sanzioni o sommosse.
Informazione o propaganda?
Così circola da anni la cifra di 60.000 prigionieri, detti “politici”, nelle carceri egiziane. Si parla di torture e uccisioni sistematiche. A parte che per tale numero non è stata tentata nessuna verifica, nessuno vuole ricordare che, dalla caduta di Morsi, l’Egitto soffre una violentissima aggressione terroristica di bande jihadiste, braccio armato della Fratellanza, con migliaia di vittime civili e delle forze di Sicurezza, specialmente nel Sinai. Ma anche con attentati mortali ad alti esponenti delle istituzioni nel cuore del paese. Gran parte di quei detenuti sono prigionieri della guerra mossa all'Egitto dagli islamisti. Mentre i media e i politici dell'Occidente reclamano il diritto e l'urgenza di combattere il terrorismo, peraltro di origini molto sospette, all'Egitto si imputa la colpa la difendere dal terrorismo la propria popolazione.
A questa guerra contro il popolo egiziano si collegano vari altri fattori e scenari geopolitici. Vanno dalla pretesa della Turchia neo-ottomana di assicurarsi il dominio su gran parte del Mediterraneo e dei suoi giacimenti minerari e di imporre il suo controllo sulla Libia araba, al progetto di ridurre alla sottomissione l’Egitto tramite un lento esaurimento della sua risorsa vitale, l’acqua.
Far morire di sete Il nuovo Egitto ha saputo neutralizzare la massima parte delle aggressioni subite. Ma sul piano della risorsa fondamentale per l’economia e la vita stessa della sua popolazione, esso sta subendo una minaccia mortale. E questo nell’indifferenza e nel silenzio di tutti coloro che tanto si adoperano ad aggredire il paese con le calunnie. Io non so come stiano le cose nell’Egitto, sul piano della democrazia e della giustizia sociale, manco da qualche anno. Ma so benissimo che non mi devo fidare, che nessuno deve fidarsi, quando campagne propagandistiche, in difesa di scoperti interessi, cercano di demolire la reputazione di uno Stato. Ne abbiamo esempi a centinaia. L’Egitto è troppo prezioso e importante perché non si cerchi di ridurlo al proprio servizio. Dirò di più: oggi come oggi non vedo nessuno nell'Occidente ex-colonialista, imperialista, sanzionatorio e guerrafondaio, che possa vantare titoli per condannare chicchessia.
La minaccia maggiore è quella della così chiamata Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), “Grande Diga del Rinascimento Etiopico”, diga sul Nilo Blu E’ diga colossale, al di là di ogni proporzione necessaria per i bisogni di quel paese, la più grande dell’Africa e la settima nel mondo. E l’Italia ne è protagonista, in quanto costruttrice con la Salini-Impregilo, oggi Webuild, quanto lo è ENI nel giacimento egiziano di idrocarburi Zhor, il più vasto del Mediterraneo. Motivo in più, si direbbe ragionevolmente, per salvaguardare l‘amicizia tra i due paesi.
La GERD ha visto porre la prima pietra nel 2011, nel nordovest del paese, a una cinquantina di km dal confine col Sudan. La sua dimensione e la capienza dei bacini, una volta colmata, può rappresentare per i paesi a valle, soprattutto per l’Egitto, una tale riduzione del flusso da desertificare un paese che per oltre il 90% ne vive. Un progetto, fruttato a Salini 4,5 miliardi e che dovrebbe non solo soddisfare il fabbisogno energetico dei circa 110 milioni di etiopi, ma anche assicurare al governo di Abiy Ahmed un ricco reddito. Si prevede l’esportazione di un gigantesco surplus ai paesi vicini. A spese degli oltre 100 milioni di egiziani, ai quali infliggerà la desertificazione fino a 4 milioni di ettari dei 10 milioni attualmente coltivabili.
L'inutile e pernicioso gigantismo di un'opera
Affetta da gigantismo, la GERD è stata ulteriormente ampliata in corso d'opera. Dai previsti 145 metri di altezza e un volume di 10,1 milionni di metri cubi, si è passati a 155 metrri e a 10,3 milioni di metri cubi. Da una superficie di 1.680 km quadrati si è arrivati a 1.874. Peccato che approfondite ricerche geologiche e ingegneristiche rivelano che la base rocciosa del colosso non è stata studiata adeguatamente e presenta, alla base, un piano di roccia mobile che avrebbe potuto provocare il catastrofico scivolamento a valle di diga e bacino, con conseguenze rispetto alle quali il disastro del nostro Vayont parrebbe la perdita da una piscina. Per rimediare occorrono ulteriori studi e migliaia di tonnellate di calcestruzzo.
Il megaimpianto sul Nilo Blu è successivo ad altre tre grandi dighe, sempre costruite da Salini-Impregilo, che si aggiungono a ulteriori trenta e che hanno comportato lo sradicamento e la deportazione di intere popolazioni, parti delle quali sono giunte in Italia sui barconi. Potenze investitrici in Etiopia, quali gli Usa, la Cina, Israele, Unione Europea e altri paesi, fanno orecchie da mercante su questa causa delle migrazioni, nonchè sulle gravi violazioni del diritto internazionale relativo alle gestione globale delle acque. I ripetuti tentativi di Egitto e, in minor misura, del Sudan, che controlla il corso del Nilo Bianco, sono falliti di fronte all'intransigenza del governo di Addis Abeba.
Un regime violento e guerresco
Intransigenza accresciuta sotto la premiership, dal 2018, di Abiy Ahmed. Un esponente dell'etnia Oromo, succeduto alla lunga dittatura dell'etnia tigrina e impegnato subito in sanguinose incursioni all'interno del paese. In precedenza si era assicurato la tranquillità del confine Nord, grazie alla riconciliazione con l'Eritrea, ex-colonia italiana annessa da Addis Abeba sotto Haile Selassiè e con la quale l'Etiopia era periodicamente in conflitto dagli anni '60 del secolo scorso, fino all'indipendenza conseguita da Asmara nel 1993. Una lotta trentennale della quale chi scrive è stato partecipe e testimone e di cui ha dovuto constatare, negli ultimi anni, la compromissione degli ideali politici e sociali che avevano caratterizzato la sua lotta e la sua conquistata libertà. Nella sua strategia di centralizzazione, sotto il proprio potere, di un vastissimo paese, dalle numerose differenze etniche, religiose e geografiche, Abiy ha provato a distruggere una storica struttura federalista, con autonomia riconosciuta alle varie minoranze.
Prima ci fu l'opposizione degli Oromo, ferocemente repressa, con un numero di vittime altissimo e mai calcolato dal regime. Subito dopo toccò ai tigrini che, per decenni, sopratutto con Meles Zenawi, avevano governato in modo autoritario il paese. Nell'attacco al Tigray, che aveva osato tenere le solite elezioni regionali, Abiy fu aiutato dai suoi ex-nemici eritrei, ansiosi di vendicarsi di coloro di cui avevano subito l'occupazione e poi il tentativo di rivincita. Entrambe le imprese hanno comportato spaventosi eccidi di civili e l'esodo di decine di migliaia di rifugiati.
Guerra dell'acqua come arma strategica
Tutto questo non ha impedito al nuovo governo etiopico di perseguire la sua marcia verso il completamento della GERD, con il rifiuto di ogni ragionevole compromesso, ultimo quello tentato recentemente dall'Egitto con il coinvolgimento nella mediazione, a Entebbe e Kinshasa, dei 10 paesi del bacino e di altri attori internazionali. All'inizio dell'anno, in una conferenza stampa, al ministro delle Acque etiopico era stato chiesto quale insieme di forze interessate avrebbe controllato la diga e il suo flusso. La risposta fu netta e brutale: "E' la MIA diga!"
Per fortuna, l'Egitto non manca di sostenitori importanti, a partire da Russia, settori USA, la Francia, vari paesi arabi e africani, ai quali sfortunatamente non aderisce di questi tempi il governo italiano. Si ricorre a vari pretesti che gli vengono imposti da entità di cui si tenta di occultare l'identità. Per la questione Giulio Regeni, si imputano alla magistratura egiziana scorrettezze, depistaggi, insabbiamenti. Caratteristiche che spesso venivano imputate alla Procura romana in altre occasioni. Di fronte alla recente accusa a esponenti della Sicurezza egiziana, sulla quale non ho elementi per giudicarne la fondatezza, resta l'incredibile riluttanza ad approfondire il passato professionale e formativo della vittima italiana e l'ambiente britannico che gli fa da sfondo.
Corno d'Africa-Suez, a chi il controllo?
Il confronto è dunque geopolitico e, in particolare, tra un Corno d'Africa, dominato dall'Etiopia, che sovrasta il passaggio per lo stretto di Bab el Mandeb e il transito del 40% del commercio tra Est e Ovest, e il Mar Rosso, con il terminale del Canale di Suez.
Per la legge e le convenzioni, titolari di un corso d'acqua plurinazionale che, oltre tutto, ha un rilievo enorme ai fini di preservare il patrimonio ambientale ed ecologico di vaste regioni, sono tutti coloro che ne governano la sorgente, il corso e la foce. L'atteggiamento etiopico non tiene conto di questo dato, nè delle norme in proposito e neppure dei danni che si rischia di infliggere ai paesi a valle.
Un ricatto a centinaia di milioni di esseri umani e al loro ecosistema.
Con il graduale riempimento del bacino, che l'Egitto e il Sudan hanno chiesto invano di rallentare, la quota d'acqua spettante all'Egitto si è ridotta del 25%, di circa 12 miliardi di metri cubi rispetto agli originali 55 miliardi concordati nei trattati. L'abbassamento del Lago Nasser, tra Sudan ed Egitto, comporterà il ridotto funzionamento delle turbine idroelettriche e renderà problematico il grande progetto di bonifica della regione Toshka. Solo a ridurre del 2% di quanto gli spetta, l'Egitto rischia di perdere 200mila feddan all'anno. E molte altre sono le conseguenze negative di una mancata equità nella distribuzione delle acque del Nilo. Equità che soddisferebbe ampiamente il fabbisogno etiopico e garantirebbe quello di Sudan ed Egitto.
Chi si accanisce a parlare di violazioni dei diritti umani, qua e là nei paesi che si vogliono sotto tiro, dovrebbe preoccuparsi del cataclisma che si rovescerebbe sui diritti umani, non solo del paese dei faraoni e del cuore della nazione araba. Tenendo conto dell'analoghe imprese strangolatrici che la Turchia attua nei confronti dell'Iraq, con le sue megadighe sull'Eufrate, si comprende come ne vada di mezzo l'intero equilibrio economico, sociale, sanitario e politico tra i popoli che vivono sulle sponde del Mediterraneo, in Africa e Medioriente.
L'Italia, portando avanti una speculazione politica senza basi e che serve esclusivamente agli interessi di suoi concorrenti o padrini, non certamente ai suoi, rischia di destabilizzare uno scenario cui tutti dovrebbero concorrere in pace e armonia. La sua è una pesante responsabilità. Uno strumento particolarmente sporco è stato lo sfruttamento della vicenda Regeni per isolare ed esorcizzare l'Egitto. Il recente documentario egiziano su chi fosse Regeni e cosa facesse e avesse fatto, nel quale c'è anche una mia intervista, è stato definito "macchina del fango", punto. Nessuno dei fatti incontrovertibili e delle ragionate considerazioni è stato preso in considerazione o contestato. Se qualcuno volesse avere una dimostrazione di malafede, dia un'occhiata a questo piccolo campionario delle reazioni di stampa.