Quando i 5 Stelle stavano dove era giusto stare
Nei percorsi, nelle ricerche e nelle
denunce dei miei più recenti documentari – Fronte Italia-Partigiani del Duemila,
“L’Italia al tempo della peste” e “O la Troika o la vita” (trailer e
selezioni nel mio sito) – mi sono ripetutamente ritrovato a
fianco esponenti, attivisti, rappresentanti eletti del M5S. Più loro che di
qualsiasi altro partito. E’ un dato di fatto sul quale potete sbertucciarmi
quanto volete, ma è un dato di fatto. Che si trattasse del TAV in Valsusa e del
Terzo Valico, della base di guerra MUOS statunitense a Niscemi, del TAP e in
genere della devastazione ambientale e sociale provocata dal’ossessione fossile.
E se il referendum contro le trivelle, seppur mancando per poco il quorum,
aveva conseguito una maggioranza schiacciante degli anti-trivelle, il merito ne
è andato in gran misura a chi con le sue mobilitazioni di massa ne aveva
favorito l’esito, i 5 Stelle. In particolare, attivisti ed eletti 5 Stelle
hanno accompagnato e istruito me e la coautrice dei film, Sandra, negli approfondimenti
sul terremoto nelle Marche e nel Lazio (quelli che grazie al TAP verranno
squartati in coincidenza con le aree più sismiche), al punto che senza la loro
conoscenza-competenza-passione non ne saremmo mai venuti a capo. Al punto che
ne è fiorita un’amicizia rigogliosa in profondità e nel tempo.
Questi amici mi hanno espresso
stamane rabbia, delusione, frustrazione, dolore. La stessa dei disperati e
mortificati che in Puglia erano stati mandati in massa in Parlamento sull’onda
della loro adesione ai No Tap. Una rivolta di testa e di pancia, come è giusto
sempre che sia, contro quanto questo governo ha deciso su una delle più
nefaste, sporche e letali delle Grandi Opere. Grandi Opere, cioè grandi
devastazioni, ruberia, mafiosità. Altrettante battaglie dell’epopea guerresca
condotta contro l’Italia, le sue comunità, il suo ambiente, la sua salute, il
suo futuro, dai terminator che hanno governato nell’ultimo mezzo secolo, con
apoteosi cementificatrice ed avvelenatrice al tempo degli ultimi predecessori
dell’attuale governo. Quelli dello “Sblocca Italia”.
Quelli che se la godono quando il governo rovina un
altro po’ l’Italia
Lo ripeto ancora una volta: questo
non è il “mio governo”. Intanto non lo potrebbe mai essere finchè vi fosse un
capobastone come Salvini. Uno che anziché per la coda in Italia, la tragedia
emigrazione dovrebbe prenderla per la testa, in Africa, dove viene organizzata
da chi la pensa proprio come lui in termini di depredazione neoliberista. Uno
cui la decapitazione di un movimento di massa sacrosanto come quello No Tap ha
fatto secernere la stronzata: “Così gli
italiani avranno più gas a minor prezzo”. Per trovare un governo che vorrei
mio, dovrei tornare al 1870 e a Parigi, ai primi Soviet, a Cuba finchè c’era il
Che, al Burkina Faso di Thomas Sankara. Ma poi, vai a vedere. Ma di questo
governo so, con granitica certezza, che è mille volte peggio chi lo bombarda
giorno e notte di fiele e menzogne, a partire da quel sinistro “manifesto” in
osceno orgasmo davanti al TAP che si
farà, solo perché passa con i cingoli, oltreché su territorio, acqua e aria, su
integrità e forza politica dei 5 Stelle. E so anche che questo governo ha
provato, sta provando e sta facendo cose, magari pochine, magari timide, ma che
per quelli di prima, da Andreotti ad Andreotti, da Amato a D’Alema, da Prodi a
Renzi, sarebbero stati anatema, rovesciamento dei paradigmi, obbrobrio per le
fratellanze, vittoria del Maligno.
A testate contro il tram
Per cui, con tutte le ragioni vedute,
apprezzate o respinte, sostengo e penso che chi si proclama dalla parte degli
sfruttati e offesi, dei dominati, dovrebbe sostenerne le ragioni buone, anziché
gareggiare con i dominanti a chi meglio vitupera proprio quelle (perché
evidentemente dalla parte degli sfruttati e offesi proprio non sta). Per cui,
quando il Movimento 5 Stelle, componente fino a voto contrario ancora
preponderante nella maggioranza, alla faccia di cementifici, asfaltifici e capannoni
cari alla Lega, si precipita a testa bassa e senza casco contro il tram in
arrivo, lasciandosene maciullare e sgomberandogli la via al massacro di San
Foca, del Salento, del Centroitalia sismico sgarrato dal gasdotto, della
Padania bucherellata dagli stoccaggi in
regione sismogenetica, io sto con i miei amici 5 Stelle che piangono e urlano.
E con nessun’ altra ipocrita prefica.
Tantomeno con quegli emuli di Sisifo
che, giorno dopo giorno, edizione dopo edizione, articolo collaborazionista
dopo articolo consociativo, si devono affannare a risospingere in vetta e in bella vista la
testatina “quotidiano comunista”, mentre
inesorabilmente gli rirotola giù, sepolta da 15 pagine che quella
testatina la negano.
Penali, ma decchè!
Mi dimostreranno che ho torto, ma
non credo alla storia delle penali multimiliardarie che ci raderebbero al
suolo. Credo che abbiano la stessa funzione ricattatoria di quelle altre penali
che ci avrebbero lasciati tutti in mutande se solo avessimo osato strappare ad
Autostrade SpA la greppia della concessione. Penali dimostrate inesistenti. Dalle
parti di Melendugno, con le telecamere, siamo stati ripetutamente. E così anche
tra i boschi allora integri e le montagne ancora non sfregiate, tra Liguria e
Piemonte, del Terzo Valico. Terzo Valico (dopo due sottoutilizzati) dove alcuni
già pluri-inquisiti per malaffari di ogni genere insistono a volersi intascare
quei 6,5 miliardi per far arrivare una terza, inutile, ferrovia da Genova a…
Tortona: opera indispensabile ai collegamenti europei e transeuropei!
Tra gli ulivi orrendamente amputati,
sradicati, imbavagliati, che ricordano le immagini di soldati mutilati,
fasciati da bende insanguinate, abbandonati nelle trincee della Grande Guerra,
ho incontrato ragazzi, cittadini, consapevoli che attorno a questi cantieri di
lamiere e filo spinato, sotto le bastonate delle forze dell’Ordine Costituito e
i cingoli dei loro blindati, si giocavano quanto ancora sfuggiva al saccheggio
del mostro capitalglobalista. Come a Genova del G8. Come ad Aleppo. Come a
Gaza. Come a Caracas.
Gianluca Maggiore, portavoce del
Movimento No Tap, Marco Potì, sindaco ormai da sempre, da quando importa, di
Melendugno, due autentici eroi della resistenza umana , di quelli beato il
paese che ce li ha, parlano a lungo nei documentari citati. Insieme ad accademici,
militanti, geologi. E tutti hanno tutte le ragioni del mondo,
tecnico-scientifiche, morali, legali, legittime, biologiche. Perfino
geopolitiche. E Conte e Di Maio ciurlano nel manico quando ci piazzano davanti
il paravento delle penali da 20 miliardi. Esibissero i documenti a prova delle
stesse. Neghino che, come si è visto nel caso del Ponte Morandi, le
inadempienze, le malefatte, trucchi e frodi dei concessionari, le infiltrazioni
mafiose all’origine, i calcoli errati, le attestazioni false, possano
costituire materia di contestazione.
Ciò che non ti dicono: mica finisce in Salento
In ogni caso ci sono ragioni ancora
più stringenti. Quelle per le quali si sono ribellate le popolazioni lungo
tutto il percorso tracciato per quel dannato gas, inutile a noi (il consumo
previsto dal noto liberalizzatore Bersani anni fà si è ridotto di metà, altro
che TAP), catastrofico per l’ambiente, altamente lucrativo per chi lo vende
all’estero. Coloro che si sono mangiati la parola data alla Puglia e
all’ambiente, alle rinnovabili e all’onestà, com’è che non ti dicono niente su
quello che viene dopo la spiaggia e la macchia di San Foca? Mica finisce lì il
TAP. I giganteschi tubi, sempre a rischio di rottura ed esplosione, come
avvenuto anche da noi, accompagnano
sottoterra, fedelmente, la faglia sismica che ogni tanto fa saltare per aria
l’interno d’Italia. Ogni qualche chilometro sorgerebbe un mostruoso impianto di
decompressione o ricompressione del gas, o come diavolo si chiamano. Poi il gas
finisce in una demenziale concentrazione di impianti di stoccaggio nella bassa
padana, una dozzina nel raggio di pochi chilometri, a portata di sassata da
centri abitati e cascine, su terreni agricoli desertificati, dove un tempo
vivevano e lavoravano migliaia di famiglie. E non gli 8 addetti, otto, dei
singoli megaimpianti. Impianti che sparano il gas in arrivo nelle cavità del
sottosuolo dalle quali un tempo si estraeva altro gas e poi lo risucchiano per venderlo
ad austriaci, tedeschi, croati, olandesi. Il tutto, particolare non da poco,
anzi, drammatico, in zona notoriamente a rischio sismagenetico, cioè dove c’è
probabilità di grossi sgrulloni sismici (vedi mappa). Che ce l’abbiano messi
apposta lì? O solo perchè già c’erano i comodi
buchi fatti da Enrico Mattei sessant’anni fa?
A proposito del gasdotto Snam dal
Salento a Tarvisio e dei grappoli di stoccaggi in Padania, quelli sicuramente
possono essere bloccati prima di procedere. Mica c’è un trattato internazionale
presuntamente inibitore! E se, alla luce dei rischi mortali al territorio e alla
gente, dell’ulteriore spintone idrocarburico al cambiamento climatico che ci
annega e arrostisce tutti, i motivi per bloccare tubi e depositi ci sono, tanti
e poderosi, perché Di Maio, Conte e Toninelli non bloccate quelli? I signori del
TAP facciano pure il loro tubo dall’Albania al fondomare davanti al Salento.
Non essendoci proseguio, si dovrebbero fermare lì. E nessuno pagherebbe penali.
E, forse, vedendo l’utilità di un tubo transasiatico che si ferma là dove
sguazzano bagnanti e che non ha dove e perché andare oltre, forse lo stesso TAP
si direbbe: ma chi me lo fa fare… E Salvini si accontenti delle bombolette di
gas che sicuramente gli regalerebbe Putin.
Sono gli Usa che ce lo chiedono
Andiamo, governo Conte-Di Maio, c’eravate tanto
simpatici (e ci voleva poco, dopo Renzi, Gentiloni, Calenda, Gelmini, Alfano,
Verdini, Orfini e caravanserraglio vario). Ditecelo che lo volete/dovete fare
perché ve l’hanno ingiunto, per bocca di Trump, i gestori della distruzione del
mondo per via climatica e bellica. Siete andati a Washington, vi hanno detto
che il TAP è strategico per il processo di inchiavardamento dell’Europa agli
Usa, perché fotte i russi e il loro gas tanto più economico e vicino (che dici Salvini,
amico di Putin?) e perchè elimina da un mondo da mondializzare a stelle e
strisce le ubbie sovraniste di un paese da quattro soldi.
Per imporre al cammino dell’umanità l’handicap di un
pianeta dalle ossa rotte e dal sangue avvelenato, per eliminare dalla scena
chiunque si frapponga al rullo compressore del necromillenarismo, questi hanno
bisogno di controllare ogni sorgente e ogni arteria, fino all’ultima venuzza,
dell’energia, civile e militare, fossile e nucleare. L’hanno fatta pagare a
Libia, Siria, Iraq, Somalia, Yemen, a milioni di vite e dai e dai. Vuoi che si
lascino privare di un tubo solo perché intossica un po’ di colonizzati e guasta
un po’ di spiagge e monti? Poi, se rimarrà ancora qualcosa, prima che debbano
trasferirsi su un altro pianeta, o in un Eden bunkerizzato sottoterra, vorranno
appropriarsi anche delle rinnovabili.
Eppure… eppure io me li ricordo, i Manlio Di Stefano e
Alessandro Di Battista, quando dicevano “ma
di questa cazzo di Nato cosa vogliamo fare”. Io c’ero. E mi sono sentito
contento di essere italiano. Bello sovranista, sotto cinque stelle.