Cari Interlocutori, l’ho fatta bella lunga. Suggerisco una lettura a
spizzichi e bocconi, dato che ogni ulteriore incombenza vi sarà evitata nelle
prossime settimane, tutte impegnate al confezionamento del documentario “No
Tav-No Muos – Guerra all’Italia”
Siamo sempre stati fieri del nostro paese. Ma non abbiamo aspirazioni da
superpotenza, non ambiamo al dominio regionale o globale, non interferiamo negli
interessi di chiunque altro cercando di esserne i padrini, non diamo lezioni a
nessuno. Ma ci adoperiamo per essere leader nella difesa del diritto
internazionale, assicurando che sovranità nazionale, indipendenza e identità
siano rispettate. (Vladimir Putin)
Quelli che vivono in piccolo, si accoppiano in piccolo, muoiono in piccolo.
E’ l’approccio riduzionista alla vita. Se la tenete piccola, la manterrete
sotto controllo. Se non fate rumori, l’uomo nero non vi troverà. Ma è
un’illusione, poiché anche questi muoiono, coloro che avvolgono le proprie vita
in piccole palline di cotone, in modo di stare al sicuro. Al sicuro da cosa? La
vita corre sempre sull’orlo della morte, stretti vicoli conducono negli stessi
posti di grandi viali e una candela piccola si consuma quanto una fiammante
torcia. Ho scelto il mio proprio modo di bruciare. (Sophie Scholl, resistente e martire antinazista)
Unione bancaria-soluzione tombale
Ciò che quel leone impagliato, quel Babbo Natale da
Coca Cola di Palazzo Chigi, ci ha regalato è una procedura Libia senza bombe,
ma con un numero illimitato di mercenari. Mediatici. Il risultato è analogo. Una
nazione consegnata incaprettata alle camere a gas allestite da Wall Street,
Pentagono e Bruxelles, saccheggiata fino al midollo, rasa al suolo, obliterata.
A sinistra s’ode lo squillo della Troika che, con l’Unione Bancaria, ha esteso
ai paesi zavorra dell’Europa, sottraendogli un altro pezzo di sovranità, il
metodo Cipro della dittatura bancaria. Dittatura bancaria che ora si sosterrà
per legge mediante la rapina e riduzione in miseria di obbligazionisti (il
malloppo dei risparmi popolari nella pancia delle banche sono Buoni del Tesoro)
e correntisti con in banca un gruzzolo che li difenda dall’assalto dei
predatori. Stupite, anche se non c’è niente da stupire, vista la smodata
passione che il padre nobile Valentino Parlato nutriva per banche e Banca d’Italia, leggendo l’anodina
“obbiettività” con cui il “manifesto” ha commentato questo “esproprio
elitario”. A destra risponde lo squillo degli ascari coloniali locali
incaricati di metterci il collare a strozzo made in BCE. La “legge di
stabilità”, che si deve intendere formalmente per “finanziaria” e
sostanzialmente per prelievo forzoso di ricchezza da trasferire dal corpo della
piramide alla sua punta, è la più bella giocata delle tre carte che si sia
vista dai tempi del governo Amato e della svendita del patrimonio di tutti noi
ai vari Khodorkovsky domestici e multinazionali.
Legge di stabilità e ultimi furti
Qualche stretta del guinzaglio blu con le 27 stelle
l’hanno bloccata i benemeriti che di stelle ne hanno solo cinque. Quelli che il
coro di ululati multipartisan, comodamente accoccolato fino a ieri nello stesso
lupanare con Berlusconi, accusa di connivenza populista con il guitto mannaro.
Forse scordandosi della connivenza oppositrice di PCI e MSI, nei lunghi decenni nei quali le due forze
erano tenute fuori dall’arco costituzionale (proprio come il regime vorrebbe
fare oggi con il M5S), ovviamente avendo ognuno, come oggi, diversissime e
anche opposte ragioni per combattere i forchettoni della blindata maggioranza.
Cinque Stelle che, secondo i complottisti a rovescio istruiti dagli specialisti
di transfert alla Cia, annidati tra “manifesto” e “Repubblica” e seminati anche
in rete, sarebbero gli emissari di qualche Spectra,
tipo Goldman Sachs o, magari, GPU. Sarà per questo che il principe consorte,
Gianni Letta, nell’invitare le forze politiche a collaborare al nuovo raggiro
con cui, meglio che col Porcellum, manipolare e turlupinare gli elettori, dalla
chiamata ha escluso solo i Cinque Stelle, rappresentanti 9 milioni di italiani
di troppo.
Infatti è a loro che dobbiamo l’eliminazione
dell’ennesimo bonus offerto agli amici corruttori e finanziatori (di Letta, con
15mila euro, e della sua associazione “Vedrò”, con 20mila) della mafia dei
biscazzieri-bari. Dopo averne ridotto il debito fiscale da 98 miliardi a 600
milioni, si sono avventati sui comuni
che ne ostacolano la proliferazione, negandogli i trasferimenti di Stato
necessari alla sopravvivenza. Un’oscenità
pari alla faccia di merda di quelli, tutti i PD tranne 4, che l’hanno votata e
già ne pregustavano berlusconianamente il guiderdone. Mossa Cinque Stelle poi
copiata, con sincerità briatoresca e opportunismo vendoliano, da Matteo Renzi.
Il quale, in compenso, s’era appena ingraziato la lobby dei rapinatori di
regime col suo piano-capestro del lavoro chiamato, minacciosamente in inglese,
alla burina, “Job Act”. Piano che
permette ai padroni (per ora fino al 2017, quanto basta per spolparci del
tutto, poi si vedrà) di assumere per tre anni senza riguardo all’art.18.
Nient’altro che il consolidamento della prassi delle finte assunzioni in prova
che fanno girare quel vertiginoso carosello di assunzioni e licenziamenti con
il quale all’impresa è risparmiato di ottemperare alle salvaguardie del
detestato articolo. Robaccia che ha già fatto fuggire dal cerchio magico dello
Stentarello fiorentino nientemeno che una Cgil.
Che bravo Renzi, così pieno di buona volontà di
attenuare le diseguaglianze sociali (siamo terzi nel mondo), non fosse per quel
Yoram Gutgeld, israeliano, già sicario della più criminale grassatrice
finanziaria del mondo, la McKinsey, che i Grandi Poteri gli hanno imposto come
consulente economico. I confindustriali non si tenevano dall’entusiasmo.Tanto
che Squinzi è arrivato alla gioiosa abnegazione di plaudire, sottobraccio a
Renzi, alla vittoria della Fiorentina sul “suo” Sassuolo. Un dolorino rispetto
al tripudio per aver trovato, dopo il micragnoso Letta, una tale sponda
politica.
Sempre grazie ai Cinque Stelle abbiamo potuto
nausearci della ripresa, merito della Boldrini, del buon costume craxiano di
imbarcare su aerei di Stato, a nostre spese, famigli e sguatteri. E un bel
chiodino nelle gomme del bulldozer dei finanziamenti ad personam è stata la denuncia della strenna di Natale alla
ballerina di prima fila PD, Serracchiani, con il finanziamento per 40mila euro alla
società del maneggio in cui la dragona friulana ama cavalcare. Cosucce, magari,
ma di capillare diffusione tra i banchi della maggioranza e, dunque, alta valenza
simbolica. Buca gli è andata invece, grazie al connubio postribolare tra
immobiliari e cosche parlamentari, il tentativo di restituire ai cittadini il
miliardo e passa che viene pagato, all’assurdo tasso di 5000 euro il metro
quadro, per l’affitto dei palazzi istituzionali appartenenti agli amici. 440
milioni d’affitto, ci si poteva comprarli. E un altro bel colpo alla banda dei
ladri con destrezza, quello di ridurre da 350 a 225 euro il cumulo che
intascano da pensioni e stipendi i pantagrueli di Stato alla Giuliano Amato, si
è infranto davanti all’esibizione della disperante inedia dei soggetti
interessati. Né gli è andata meglio quando hanno offerto al governo il mazzo di
improperi popolari per lo sconcio delle auto blu in neoborbonica dotazione ai
notabili di regime. Il governo lo ha accolto, lo ha annusato approvandone gli
effluvi e l’ha tosto seppellito sotto la decisione di rinnovare l’intero parco
(costo 1,050 miliardi all’anno) con l’acquisto entro luglio, di quasi 700 auto blu blindate e
aereocondizionate. 250 saranno in più e costeranno 135 milioni.
Essendo nessuno perfetto, poi però, pentastellati hanno alluvionato i dintorni
del vaso votando – per distrazione, dicono. Vedremo – la privatizzazione
dell’Acea, municipalizzata romana di acqua e gas. Già hanno corretto il getto.
Comunque, poca, seppure sgradevole cosa rispetto al fosforo bianco scagliato
dai B-52 della Legge di Stabilità, sganciato per incenerire lavoratori,
pensionati, malati, scuola, università, ricerca, cultura, storia. Legge che,
tra le altre provvidenze “che ci avvicinano alla ripresa”, non ha appesantito
il territorio con neanche mezzo alloggio di edilizia sociale (le vecchie,
assolutamente non trendy, case
popolari), preferendo abbellirlo con i cento nuovi stadi: i cinque ettari al
giorno attualmente cementificati non si sentiranno più mingherlini e soli.
Stato e mafia. E loro garante.
Prima di uscire dai confini nazionali, mi sembra
opportuno sottolineare la valenza simbolica di un paio di fattarelli. Da
qualche mese ormai il PM dell’inchiesta sulla concertazione Stato-mafia, Nino
Di Matteo, è destinatario delle minacce di morte da parte del regime, espresse
per bocca del noto pecoraro Totò Riina. E’ un preciso replay della vicenda
Falcone-Borsellino, soprattutto perché anche stavolta il regime accompagna gli
avvertimenti, fatti lanciare dai portavoce in carcere, con l’isolamento del soggetto. Napolitano,
piuttosto di pronunciare il nome del nefasto magistrato, magari per dire che
gli dispiace, si taglierebbe la lingua. Non ha ancora digerito lo spavento per
come costui gli stava innaffiando di sale la coda. E si capisce, essendo questo
violentatore della Costituzione e di ogni illusione democraticista, il garante
massimo della trattativa in oggetto. Ma almeno da un organo a composizione
mista come il CSM ci si sarebbe aspettati qualcosa di meno sconcio dello schiaffo
a Di Matteo, inflitto con quella spedizione antimafia a Palermo che ha
rumorosamente escluso ogni contatto con colui che dell’antimafia è oggi il
combattente nella prima linea di fuoco.
Di tutto questo si è occupato solo il “forcaiolo” “Il
Fatto quotidiano”. Voltati dall’altra parte “il manifesto”, Vendola e tutto il
cucuzzaro delle larghissime intese del solito “arco anticostituzionale”. Arco che
invece si strappa le vesti, giustamente quanto ipocritamente, su quanto sta
facendo succedere nei CIE e nei CARA. L’Urlo di Munch che “Il Fatto” ha messo
in prima pagina è la migliore didascalia alle immagini di chi a Ponte Galeria
si è cucito le labbra in nome degli ingabbiati dai guardiani dello zoo. Ero al
CARA di Mineo pochi giorni fa, a intervistare i reclusi da un anno e oltre in
attesa di asilo politico. Quelli sotto tutela di appaltati di mafia che beccano
una fetta dei 44 milioni all’anno stanziati dal regime per maltrattare migranti,
al punto di portarli ad alzare barricate in strada, cosicché si possano
criminalizzare e pestare e, al tempo stesso, scongiurare, con quell’esempio,
l’arrivo di profughi. Oltre, ovviamente, a quelli utili a deprimere le
condizioni degli schiavizzandi indigeni. In sette anni lo Stato ha infilato
nelle tasche di consorzi e cooperative per gestione e sorveglianza (poca
gestione e molta sorveglianza), oltre un miliardo di euro; programmi da albergo
a cinque stelle, scandalosa spesa per internato di 30 euro al giorno.
Asilo a chi!
E’ lo stesso obiettivo delle operazioni fatte effettuare
a Lampedusa idrantizzando esseri umani nudi e al freddo, o di quel Frontex che
si propone di far colare a picco nel Mediterraneo chi insiste a volersi
sottrarre a miseria, guerre e mercenari tagliagole, inflitti dagli stessi che
li ricevono a forza di Turco-Napolitano e Bossi-Fini. Sostenuti da coloro che
deprecano guerre e sanzioni genocide, ma ne condividono con gli assassini le
motivazioni sotto forma di “Assad dittatore sanguinario” e simili. La banda che
si è vista concedere l’appalto milionario per i 4000 sequestrati di Mineo è la
stessa che gestisce la Guantanamo di Lampedusa. Quando ero lì sentendo una
donna eritrea, con bambino e marito, raccontarmi dei sei mesi chiusi nel CARA,
del pessimo cibo, delle angherie degli addetti, di un miserevole assegno,
peraltro trasformato in sigarette, che si tratti di fumatori e non, di adulti o
bambini, del vuoto geografico e umano (Mineo è a 7 chilometri e non c’è che una
navetta per una cinquantina al giorno), ecco che sono apparsi i kapò. Migranti
che, alla maniera dei collaborazionisti di Auschwitz, fanno le spie ai danni
dei compagni di sventura. Circondando l’intervistata insieme a occhiuti
guardioni e aguzzando l’orecchio su quanto mi stava riferendo, se ne sarebbero
tratte le indicazioni per come trattare la sventurata al ritorno nel lager.
Furono due grandi combattenti anti-lager e anti-Muos, Antonio Mazzeo e Alfonso
Di Stefano, a liberarcene con modi spicci.
Una considerazione. Cosa distingue i “clandestini” ingabbiati
nei CIE dai richiedenti asilo politico nei CARA che hanno il privilegio di potersi fare
qualche avanti e indietro sull’asfalto?
Assolutamente niente. È una differenziazione del tutto arbitraria, ma
con occulta ragione politica. Entrambe le categorie sono spiaggiate qui per,
perlopiù, esclusiva colpa di noialtri in Occidente che gli portiamo democrazia e diritti umani a
forza di bombe, sanzioni, golpe e, nei casi migliori, schiavismo neoliberista e
semi sterili e diserbanti Monsanto al glifosato. Ai quattro funzionari della
Commissione per l’asilo è delegata una scelta: se vieni da un paese governato
da amici, vedi Libia, Senegal, o Marocco, marcisci lì e poi fuori dalle palle;
se scappi da un regime, tipo Egitto, che non si ancora bene dove sta messo,
intanto marcisci e poi si vedrà; se vieni da Eritrea, Iran, Siria, Kazakistan o Ucraina (!), hai delle
ottime chance. Si tratta di fuga
da dittature, di quelle renitenti, che non accettano il nostro collare a
strozzo, ma sono di alta valenza pubblicitaria. E allora non vuoi che sul tuo
paese d’origine, da noi visto come paese canaglia, per ottenere quel documento
che ti da diritto di esistere, tu non ci confermi ogni turpitudine? Mettiamo
l’Eritrea, che ho frequentato fin dalla sua liberazione. E’ l ‘unico paese del
Corno d’Africa su cui il neocolonialismo non ha ancora potuto mettere le
grinfie. L’Etiopia, terreno di scorribande agroindustriali e multinazionali, è il capobastone regionale e,
ogni due per tre, viene mandato a bastonare vicini turbolenti o reprobi, come
Somalia ed Eritrea. Guerre surrogate dell’imperialismo che servono a impedire
indipendenza, progresso e benessere. E dunque profughi. Circondata da governi
mercenari da ogni lato, fatta oggetto di incursioni, sanzioni, infiltrazioni, dall’Eritrea
si esige una serena e pluralistica democrazia all’occidentale. E se poi i suoi
cittadini sono costretti dagli assedianti a fare un servizio militare di tre
anni, ecco che Isaias Tafeworki, il presidente, è un grandissimo criminale
(nessuno ricorda che in Israele il militare dura tutta la vita attiva).
Conclusione, se merita asilo politico il fuggiasco eritreo, allo stesso titolo
lo merita chi viene da qualsiasi paese affidato ai caporalmaggiori locali
dell’armata imperiale.
Siamo
scivolati nell’internazionale. E ci restiamo, sorvolando rapidamente il Sudan, spezzato in
due da una quarantennale cospirazione di Usa, Israele, Vaticano, e dove due
burattini coloniali, messi a capo di un non-Stato come il Sud Sudan, il
presidente Kir, un Dinka e il suo vice Machar, un Nuer, si sbattono contro le
rispettive tribù e si rubano il rispettivo bestiame per assicurarsi l’immensa
ricchezza petrolifera. Un bel non-Stato a disposizione delle multinazionali del
petrolio, proprio come il narcostato Kosovo s’era fatto a beneficio dei
mercatisti della droga. Passiamo a volo radente sulla Repubblica
Centroafricana. A un’altitudine che permetta di contare gli oltre mille morti
ammazzati dalla, o grazie alla, “Legion
Etrangere” e i trentamila
terrorizzati ammassati attorno all’aeroporto di Bangui. Sono lì dal momento, 5
dicembre, in cui sono sbarcati i 1.600 professionisti di Hollande (ricordate il
plauso del “manifesto” alla sua elezione?) a rinforzo dei mille mercenari,
travestiti da Forza Interafricana, spediti dall’altra colonia, il Chad.
Professionisti con il compito di alimentare lo scannatoio tra cristiani e
musulmani, fondamentale perché la colonia non s’illuda di farsi Stato, e di
garantire il flusso indisturbato alla madrepatria di uranio, petrolio e tutto
il resto.
Terzo
recupero francese del maltolto coloniale, dopo Costa d’Avorio, oggi spolpata in
condominio tra Francia e FMI, e Mali, sprofondato nel sangue con l’aiuto di
Usa, Regno Unito e Prodi. Il modulo è sempre quello: si attizza con qualche
colpo di Stato una rivalità latente, etnica o religiosa, si inietta una buona
dose di Al Qaida che faccia invocare la “guerra al terrorismo” e si ha l’occasione per quello che tutto il
mondo chiamerà “intervento umanitario”. Il prevedibilissimo imprevisto è che
non tutte le ciambelle riescono col buco. Anche perché, nel loro piccolo, anche
le formiche s’incazzano. In Iraq il socio di minoranza iraniano è passato a
socio di maggioranza e non servono neanche i terroristi alqaidisti, spediti dai
signori del Golfo per le quotidiane carneficine di sciti, a spostare il governo
di un millimetro della sua alleanza con Damasco e con Tehran. In Libia il caos
totale del tutti contro tutti impedisce di rastrellare il bottino previsto. In
Mali e RCA, il patetico subimperialista socialista e sionista resterà impantanato
alla pari degli Usa-Nato in Afghanistan e tutta questa consorteria di cannibali
rischia di doversela vedere in casa con i dissanguati dalle sue guerre
miliardarie.
Siria, el pueblo
unido
Il
nostro volo, spostandosi verso nord-est, per poco non viene scompigliato
dall’uragano di anatemi contro la Siria per i presunti bombardamenti su Aleppo
con i sempiterni “bambini” trucidati da Assad. Uragano sollevato dalle note
agenzie umanitarie, imbeccate da quell’Osservatorio londinese dei diritti umani
che viene carburato dalle telefonate dei confidenti sul terreno come
selezionate dai servizi britannici. Si parla grottescamente di “barili
artigianali di esplosivo” lanciati da elicotteri, come se le forze armate
patriottiche non avessero più a disposizione neanche qualche bomba. Barili
artigianali che fanno pensare al consueto trucco dei mercenari che fanno
saltare edifici e gente e attribuiscono macerie e vittime ai
bombardamenti. Lo strepitìo ha il
compito di offuscare le continue stragi dei tagliateste ai quali, in rotta
quasi ovunque, non resta che usare i mortai sui civili, con predilezione per le
scuole, gli ospedali, le chiese e i conventi cristiani (70 ne sono stati
bruciati). Soprattutto deve neutralizzare l’orrore per le settanta vittime delle
atrocità jihadiste ad Adra, dove donne, bambini e anziani, sono stati
decapitati e bruciati nei forni del pane. C’è anche da gettare qualche osso alla propaganda
occidentale, messa in difficoltà dalla dissoluzione del “Free Syrian Army”, già
braccio armato dell’ormai svaporata Coalizione Nazionale di Istanbul, a sua
volta braccio politico degli aggressori. Entrambi frantumati dal sempre più
imbarazzante Fronte Islamista di Al Nusrah e Al Qaida in Iraq e nel Levante.
L’imperialismo
si avvia così alla conferenza Ginevra 2 militarmene sotto schiaffo
dall’esercito siriano, con l’argomento della “rivoluzione democratica” in Siria
del tutto sputtanato, con la Turchia, piattaforma di lancio dell’aggressione,
paralizzata da scandali di regime e opposizione di massa, privato del Qatar che
deve occuparsi di Olimpiadi e di parare lo scandalo dello schiavismo inflitto
agli operai, ridotto, quindi, ad affidarsi al famigerato “terrorismo islamico”
per giocarsi le ultime carte. Gli restano l’Arabia Saudita, ormai primo armiere
e ufficiale pagatore dei mercenari, e Israele, con le sue periodiche incursioni
aeree e le sue teste di cuoio infiltrate per insegnare ai terroristi come far
saltare per aria la gente. Non basta e, a meno di un’improbabile arretramento
della Russia e di un attenuazione della revulsione universale alla guerra, il
nuovo anno si apre sotto migliori auspici per i brandelli insanguinati di un
popolo che sta dando lezioni al mondo.
A
proposito di Russia, è fallita in Ucraina, grazie a Putin, alla storia, alla geografia,
al gas, al buonsenso e a un governante non minchione, l’operazione di inglobare
il paese nella tonnara dell’Europa delle periferie. Figli di un dio minore da
depredare e buttare. E’ fallita a dispetto delle Forze Speciali mediatiche che,
dalle gazzette di destra e “sinistra”, si sono date da fare per puntellare gli
sgherri Otpor e NED sguinzagliati tra le folle. Folle poi abbacinate da
specchietti delle allodole come il mastino neocon John Cain, o la
sottosegretaria di Kerry, Victoria Lunand, il primo a promettere prosperità
capitalista in piazza, la seconda a distribuire brioches. Discrete interferenze
negli affari di un altro Stato che vorremmo veder ripetere a Washington, con
dirigenti russi sul palco degli Occupy
Wall Street, per vedere l’effetto che fa. Per ora l’atomica di rabbia e
frustrazione che l’Occidente intero lancia contro Putin è l’armata dei GLBT (a
cui “il manifesto” aggiunge una Q per Queer, che nessuno sa chi cazzo
rappresenta) per punire una legge che vieta agli omosessuali di praticare o
adescare in pubblico. Cosa da noi vale per le donne che passeggiano. Un
mortaretto.
John McCain a Kiev
Zar Putin e dissidente Khodorkovsky
Putin che,
mentre “il manifesto” guardava dall’altra parte, è diventato per le masse
deprivate del mondo, con l’asilo a Snowden e il blocco dell’attacco alla Siria
e all’Iran, il difensore dei veri diritti umani, ha sgonfiato un po’ di obesi
babbi Natale occidentali. Prima, con la vittoria russo-ucraina sulle sirene
UE-Nato e, poi, con l’amnistia a Greenpeace, Khodorkovsky e a quelle aggraziate
soubrette delle Pussy Riot. Per coloro che blaterano di gulag nello “Stato di polizia dello zar
Putin” si prospetti il parallelo con lo Stato democratico del boss Napolitano e
con le sue decine di No Tav rinchiusi, o avviati al carcere per aver difeso la
propria comunità e la salute del mondo. O con gli assassinii mirati di cortei
di nozze in Yemen, Afghanistan, Pakistan e Somalia, e le “extraordinary renditions” in carceri della tortura, praticati da
Obama e confratelli democratici.. Tagliando corto, proviamo a fare un confronto
tra società libere e democratiche e gulag zaristi. Mettiamo su un piatto la
liberazione di nemici del popolo, come Khodorkovsky e di confidenti da
angiporto, come le Pussy Riot e, sull’altro, il soldato Manning, condannato a
35 anni di carcere per aver rivelato le nefandezze delle guerre Usa, Assange
segregato nell’ambasciata ecuadoriana ed Edgar Snowden cui la giustizia Usa
promette la forca.
A
rimediare ai tanti schiaffazzi ricevuti, il soldato mediatico della brigata
unita destro-sinistra cerca di rimediare, come aveva fatto con il delinquente
Ablyazov, al tempo del “martirio” della socia-consorte Shalabajeva: da criminale, che aveva rubato miliardi in
Kazakistan, Ucraina e Regno Unito,
mutato in “dissidente democratico perseguitato dal dittatore”. Così con
Khodorkovsky, il più vorace dello stormo di avvoltoi cui l’emissario
alcolizzato degli Usa, Eltsin, aveva dato via libera per fare del patrimonio
del popolo stralussi e strapoteri
personali. Khodorkovsky, figlio adottivo della mafia, sottraendo al
paese il petrolio, truffando e rapinando, pare anche uccidendo, era diventato
il più ricco capoclasse della scuola neoliberista. Un modello per quelle
riforme che, su diktat euro-atlantico, Napolitano va inseguendo qui e che
dovrebbero trovare il coronamento nel malfamato TTIP, trattato-patibolo tra Usa
e UE, in corso di clandestino perfezionamento, per porre fine a ogni pretesa di
libertà, uguaglianza, sovranità, diritto alla vita, di alcune centinaia di
milioni di esodandi. Volesse il cielo che ci capitasse uno “zar” come quello
che, in quattro e quattr’otto, ha
rimesso in piedi e in cammino un enorme paese depredato e annichilito.
Fra un po’
vedremo Khodorkovsky aggirarsi nel nome
dei diritti umani tra Bonino, “manifesto” e “società civile”, con il corredo di
qualche spettacolo hard delle Pussy Riot, a ripetizione dell’orgia con cui
esordirono nel Museo della Memoria russo, magari da ripetere in San Pietro.
Riserviamogli l’accoglienza che meritano. Possibilmente con in mano bandiere No
Tav e No Muos.
Kalashnikov per la libertà
E’ morto Michail
Kalashnikov, l’ingegnere sovietico che inventò e incessantemente perfezionò una
delle armi più riuscite al mondo, il AK-47,
da tutti i suoi utilizzatori amata e rispettata col nome del suo creatore. Quell’arma
è stata un’icona della lotta per la libertà in tre continenti. Anche se poi se
ne è abusivamente appropriata la feccia mercenaria dell’impero.
Per me un
ricordo del 1970 è quel gruppo di fedayin del Fronte Democratico (FPDLP) nelle
grotte sopra la Valle del Giordano. Di noi 12, tra stranieri e palestinesi, ero
il penultimo per tempi dello smontare e rimontare l’arma, ma anche il terzo
nella mira. Scusate la personalizzazione, ma che sia lo spunto per augurare
simile felicità e stesso amore a tutti. Buon anno solare.
PARLA BASHAR EL ASSAD,
AL FESTIVAL DELLA GIOVENTù A Quito.
tratto da un
post della pagina facebook di Francesco-siria-press
Da Damasco, la più antica città abitata nella storia, dalla Siria
portatrice di una civiltà di oltre 7000 anni, mi rivolgo a voi in Ecuador,
questo paese erede di generazioni successive che hanno arricchito e migliorato
il suo popolo con la cultura e la diversità. Io scrivo a nome mio personale e a
nome del popolo arabo siriano, attraverso la delegazione giovanile e
studentesca che è la base del presente e il baluardo del futuro, che partecipa
con voi in questo festival internazionale, l’evento più importante al mondo
nella vita dei giovani, e dico: Nessun paese è costruito senza le braccia della
sua gioventù, nessun paese progredisce senza gli obiettivi dei loro studenti e
giovani … Questo è stato sperimentato dalla Siria in più generazioni … La Siria
ha garantito l’educazione e la cultura alla sua gioventù e alle sue capacità,
affinché emergesse per la scienza, il lavoro, il pensiero e la lotta … e in
casi di bisogno i giovani rispondono al meglio come difensori della loro terra,
come i migliori protettori dei loro valori, dei principi, della storia e della
civiltà, questo è … ciò che è accaduto e sta accadendo in Siria. Giovani e
studenti … La Siria, come sapete e come si sa in tutto il mondo, affronta da
oltre due anni e mezzo una lotta contro il terrorismo takfiro… Un terrorismo
che cerca di minare la sua identità e la sua diversità, la sua vera storia di
civiltà radicata, e il suo presente ricco di tolleranza e di affetto … Dico
questo mentre si sono riuniti in Ecuador, un paese che conosce molto bene il
significato della diversità culturale, il senso della storia e della civiltà.
L’ Ecuador conosce anche il significato del colonialismo e della lotta per la
liberazione, l’indipendenza e la sovranità. In Siria, ragazzi, ci sono quelli
che uccidono i bambini sotto la bandiera della libertà, uomini che uccidono
sotto la bandiera della religione, che violentano le donne sotto la bandiera
del jihad …. In Siria, ci sono quelli che cercano di ristabilire cose centinaia
di anni fa, e schiavizzano le persone che sono nati liberi. In Siria ci sono
quelli che saccheggiano le chiese, devastano le moschee e distruggono statue di
letterati e pensatori. In Siria ci sono quelli che cercano di cancellare il
nostro passato, di seppellire il nostro patrimonio, di uccidere i giovani per
uccidere la gioventù dentro di noi, e così uccidere il nostro futuro a cui
aspiriamo. Abbiamo affrontato e resistito a tutto questo appoggiandoci
all’edificio della nostra storia e del nostro presente potente in cui i nostri
giovani, uomini e donne con la loro cultura e la consapevolezza di ciò che sta
accadendo, sono state le sue fondamenta. Se, Giovani, Siamo il paese della pace,
della giustizia e delle cause giuste e siamo anche quelli che ora difendono
questi principi con il nostro sangue, con il cibo della nostra gente e la vita
dei nostri giovani, donne e bambini. Siamo il paese dei giusti, che possiamo
garantire i nostri diritti e il nostro territorio e la sovranità. Siamo uno
stato che non si arrese alle pressioni, all’egemonia e all’occupazione,
dall’esterno o dall’interno. Hanno introdotto il terrorismo alla terra di pace,
hanno introdotto l’estremismo nella terra della tolleranza, hanno introdotto la
morte nel paese del gelsomino, ma non sono riusciti a introdurre la
disperazione nelle nostre anime, la resa o la sottomissione del nostro pensiero
e dei nostra principi. Più intensificando il loro terrorismo, più aumenta la nostra
determinazione a resistere. Più aumenta l’ estremismo, più aumentano i
sacrifici della nostra gente e del nostro esercito … La Siria sarà meglio di
prima …. e questo non accadrà senza le braccia della sua gioventì e dei suoi
confratelli dei paesi amici. A voi, giovani del mondo, affidiamo le nostre
speranze e le nostre mani tendono a voi … Siate la miglior generazione per il
futuro dei vostri paesi. Che le vostre armi siano l’istruzione e il lavoro …
come i giovani e gli studenti siriani che hanno difeso il loro paese, ognuno
dal suo posto: gli studenti con i loro libri, il medico con il bisturi e gli
ingegneri con le loro matite … e il soldato con la sua pistola, tutti hanno
sostenuto e difeso la patria … si vede e sente ciò che sta accadendo in Siria,
soprattutto negli ultimi mesi, la resistenza conduce alla vittoria, i grandi
sacrifici sono degni dei nobili obiettivi e abbiamo resistito, abbiamo
sofferto, e noi ancora lo faremo, perché la Siria è il nostro obiettivo nobile.
Gioventù del mondo, La celebrazione di questa festa è in Ecuador i indirizzo un
cordiale saluto al presidente e al popolo dell’Ecuador, volendo che si
continuino i progressi, la prosperità e il successo nella vostra politica
basata sulla democrazia e il rispetto dei popoli e l’autodeterminazione, e non
nell’ interferenza negli affari interni degli Stati. Questo è ciò che
raccogliamo e che sui libri di storia si leggerà nelle future generazioni su di
noi e voi, e perché siamo i proprietari del primo alfabeto della storia, sarà
dall’altezza di Ugarit, che ha dato le lettere al mondo per scrivere con loro
la loro storia e della civiltà, e la civiltà del Regno di Ebla, che ha
arricchito la storia con le sue Tavole e ha dato una nuova dimensione alla
civiltà della regione e del mondo. Dalla Siria, da questa terra che ho detto,
io dico: “Dal cuore della sofferenza nasce la vita”, e qui siamo, attraverso i
nostri giovani e i nostri studenti, aspiravano e continuare ad aspirare la
giustizia e la pace nel mondo, e a tendere le nostre mani ad ogni persona
libera, onesta e indipendente nel mondo per costruire un domani più bello
insieme, per una generazione che merita …. Spero che il vostro Festival abbia
successo. Sono sicuro che voi, insieme con i vostri colleghi giovani e studenti
siriani che partecipano a questo evento, lavorerete duro per raggiungere il
successo di quello che è stato proposto quando avete deciso di incontrarvi e
scelto il titolo del convegno: “Giovani uniti contro l’imperialismo, per un
mondo in cui prevalga la pace, la solidarietà e il cambiamento sociale”, che è
quello dove voglio arrivare a tutti. Bachar AL Assad Presidente della
Repubblica Áraba di Siria -Francesco-
4 commenti:
Devo dire che il testo riportato di Sophie Scholl e' di una profondita' incredibile e di un'attualita' sorprendente, in una fase storica dove cercano di convincerci a vivere nella rinuncia e nella rassegnazione, nell'illusione che vivere in piccolo, senza sogni ed ideali sia il miglior modo di vivere nella realta' che, anche se non ci piace, fa parte del migliore mondo possibile. Con i media che portano come esempi negativi quei paesi e quelle realta' che per scelta o per necessita', con consapevolezza o no, si trovano in rotta di collisione con le politiche di spoliazione delle risorse e del territorio, e di distruzione dei diritti dei lavoratori, presentati come "ostacoli" alla modernita' ed alla competitivita'.
Ciao Fulvio grazie come sempre per i tuoi bellissimi articoli.
Mi permetto di rubare un angolo del tuo blog per postare un link che dovrebbe smentire le voci che corrono riguardo il coinvolgimento del M5S sulla privatizzazione dell'acqua a Roma
http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma2013/2013/12/revoca-accordo-acea---mekorot.html
e
http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma2013/2013/12/nel-iii-municipio-il-movimento-5-stelle-difende-una-delle-sue-stelle-lacqua.html
e altri.....
Ciao e un grandissimo augurio di buon anno!!
Silvio
A Proposito di privatizzazioni: da confidenze di un amico sembra che le Poste Italiane siano destinate ad esserlo a breve, almeno per la quota maggioritaria. Il bilancio e' in attivo, quindi un bel pezzo da spolpare, con in prospettiva una fine simile a quella dell'Enel e dell'Alitalia, di essere ridotta o peggio smantellata in piccole compagnie.
Sinceramente non pensavo che la sinistra antimperialista fosse così importante da attirare infiltrati di ogni risma. Se anche la cantante squartabambini Noa si sbatte per sputtanare il movimento No Muos con il suo "sostegno", forse è un buon segno. Come lo è, decuplicato, il rifiuto dei No Muos a far lordare la loro immagine dalla viscida megera:
http://www.nomuos.info/noa-con-i-no-muos-no-grazie/
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